193 resultados para Gumbo Limbo hammock
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Pós-graduação em Agronomia (Produção Vegetal) - FCAV
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Pós-graduação em Agronomia (Ciência do Solo) - FCAV
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Pós-graduação em Cirurgia Veterinária - FCAV
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Conselho Nacional de Desenvolvimento Científico e Tecnológico (CNPq)
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Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)
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Conselho Nacional de Desenvolvimento Científico e Tecnológico (CNPq)
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Pós-graduação em Direito - FCHS
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Obiettivi: Valutare la modalità più efficace per la riabilitazione funzionale del limbo libero di fibula "single strut", dopo ampie resezioni per patologia neoplastica maligna del cavo orale. Metodi: Da una casistica di 62 ricostruzioni microvascolari con limbo libero di fibula, 11 casi sono stati selezionati per essere riabilitati mediante protesi dentale a supporto implantare. 6 casi sono stati trattati senza ulteriori procedure chirurgiche ad eccezione dell'implantologia (gruppo 1), affrontando il deficit di verticalità della fibula attraverso la protesi dentaria, mentre i restanti casi sono stati trattati con la distrazione osteogenetica (DO) della fibula prima della riabilitazione protesica (gruppo 2). Il deficit di verticalità fibula/mandibola è stato misurato. I criteri di valutazione utilizzati includono la misurazione clinica e radiografica del livello osseo e dei tessuti molli peri-implantari, ed il livello di soddisfazione del paziente attraverso un questionario appositamente redatto. Risultati: Tutte le riabilitazioni protesiche sono costituite da protesi dentali avvitate su impianti. L'età media è di 52 anni, il rapporto uomini/donne è di 6/5. Il numero medio di impianti inseriti nelle fibule è di 5. Il periodo massimo di follow-up dopo il carico masticatorio è stato di 30 mesi per il gruppo 1 e di 38.5 mesi (17-81) di media per il gruppo 2. Non abbiamo riportato complicazioni chirurgiche. Nessun impianto è stato rimosso dai pazienti del gruppo 1, la perdita media di osso peri-implantare registrata è stata di 1,5 mm. Nel gruppo 2 sono stati riportati un caso di tipping linguale del vettore di distrazione durante la fase di consolidazione e un caso di frattura della corticale basale in assenza di formazione di nuovo osso. L'incremento medio di osso in verticalità è stato di 13,6 mm (12-15). 4 impianti su 32 (12.5%) sono andati persi dopo il periodo di follow-up. Il riassorbimento medio peri-implantare, è stato di 2,5 mm. Conclusioni: Le soluzioni più utilizzate per superare il deficit di verticalità del limbo libero di fibula consistono nell'allestimento del lembo libero di cresta iliaca, nel posizionare la fibula in posizione ideale da un punto di vista protesico a discapito del profilo osseo basale, l'utilizzo del lembo di fibula nella versione descritta come "double barrel", nella distrazione osteogenetica della fibula. La nostra esperienza concerne il lembo libero di fibula che nella patologia neoplastica maligna utilizziamo nella versione "single strut", per mantenere disponibili tutte le potenzialità di lunghezza del peduncolo vascolare, senza necessità di innesti di vena. Entrambe le soluzioni, la protesi dentale ortopedica e la distrazione osteogenetica seguita da protesi, entrambe avvitate su impianti, costituiscono soluzioni soddisfacenti per la riabilitazione funzionale della fibula al di là del suo deficit di verticalità . La prima soluzione ha preso spunto dall'osservazione dei buoni risultati della protesi dentale su impianti corti, avendo un paragonabile rapporto corona/radice, la DO applicata alla fibula, sebbene sia risultata una metodica con un numero di complicazioni più elevato ed un maggior livello di riassorbimento di osso peri-implantare, costituisce in ogni caso una valida opzione riabilitativa, specialmente in caso di notevole discrepanza mandibulo/fibulare. Decisiva è la scelta del percorso terapeutico dopo una accurata valutazione di ogni singolo caso. Vengono illustrati i criteri di selezione provenienti dalla nostra esperienza.
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(De)colonization Through Topophilia: Marjorie Kinnan Rawlings’s Life and Work in Florida attempts to reveal the author’s intimate connection to and mental growth through her place, namely the Cross Creek environs, and its subsequent effect on her writing. In 1928, Marjorie Kinnan Rawlings and her first husband Charles Rawlings came to Cross Creek, Florida. They bought the shabby farmhouse on Cross Creek Road, trying to be both, writers and farmers. However, while Charles Rawlings was unable to write in the backwoods of the Florida Interior, Rawlings found her literary voice and entered a symbiotic, reciprocal relationship with the natural world of the Cracker frontier. Her biographical preconditions – a childhood spent in the rural area of Rock Creek, outside of Washington D. C. - and a father who had instilled in her a sense of place or topophilia, enabled her to overcome severe marriage tensions and the hostile climate women writers faced during the Depression era. Nature as a helping ally and as an “undomesticated”(1) space/place is a recurrent motif throughout most of Rawlings’s Florida literature. At a time when writing the American landscape/documentary and the extraction of the self from texts was the prevalent literary genre, Marjorie Kinnan Rawlings inscribed herself into her texts. However, she knew that the American public was not yet ready for a ‘feminist revolt’, but was receptive of the longtime ‘inaudible’ voices from America’s regions, especially with regard to urban poverty and a homeward yearning during the Depression years. Fusing with the dynamic eco-consciousness of her Cracker friends and neighbors, Rawlings wrote in the literary category of regionalism enabling her to pursue three of her major aims: an individuated self, a self that assimilated with the ‘master narratives’ of her time and the recognition of the Florida Cracker and Scrub region. The first part of this dissertation briefly introduces the largely unknown and underestimated writer Marjorie Kinnan Rawlings, providing background information on her younger years, the relationship toward her family and other influential persons in her life. Furthermore, it takes a closer look at the literary category of regionalism and Rawlings’s use of ‘place’ in her writings. The second part is concerned with the ‘region’ itself, the state of Florida. It focuses on the natural peculiarities of the state’s Interior, the scrub and hammock land around her Cracker hamlet as well as the unique culture of the Florida Cracker. Part IV is concerned with the analysis of her four Florida books. The author is still widely related to the ever-popular novel The Yearling (1938). South Moon Under (1933) and Golden Apples (1935), her first two novels, have not been frequently republished and have subsequently fallen into oblivion. Cross Creek (1942), Rawlings’s last Florida book, however, has recently gained renewed popularity through its use in classes on nature writers and the non-fiction essay but it requires and is here re-evaluated as the author’s (relational) autobiography. The analysis through place is brought to completion in this work and seems to intentionally close the circle of Rawlings’s Florida writings. It exemplifies once more that detachment from place is impossible for Rawlings and that the intermingling of life and place in literature, is essential for the (re)creation of her identity. Cross Creek is therefore not only one of Rawlings’s greatest achievements; it is more importantly the key to understanding the author’s self and her fiction. Through the ‘natural’ interrelationship of place and self and by looking “mutually outward and inward,”(2) Marjorie Kinnan Rawlings finds her literary voice, a home and ‘a room of her own’ in which to write and come to consciousness. Her Florida literature is not only product but also medium and process in her assessment of her identity and self. _____________ (1) Alaimo, Stacy. Undomesticated Ground: Recasting Nature as Feminist Space (Ithaca: Cornell UP, 2000) 23. (2) Libby, Brooke. “Nature Writing as Refuge: Autobiography in the Natural World” Reading Under the Sign of Nature. New Essays in Ecocriticism. Ed. John Tallmadge and Henry Harrington. (Salt Lake City: The U of Utah P, 2000) 200.
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La detenzione amministrativa degli stranieri, pur condividendo il carattere tipicamente afflittivo e stigmatizzante delle pene, non si fonda sulla commissione di un reato e non gode delle medesime garanzie previste dal sistema della giustizia penale. Nel nostro ordinamento l’inadeguatezza della legislazione, l’ampio margine di discrezionalità rimesso all’autorità di pubblica sicurezza, nonché il debole potere di sindacato giurisdizionale rimesso all’autorità giudiziaria, raggiungono il loro apice problematico nell’ambito delle pratiche di privazione della libertà personale che hanno per destinatari gli stranieri maggiormente vulnerabili, ossia quelli appena giunti sul territorio e il cui status giuridico non è ancora stato accertato (c.d. situazione di pre-admittance). E’ proprio sulla loro condizione che il presente lavoro si focalizza maggiormente. Le detenzioni de facto degli stranieri in condizione di pre-admittance sono analizzate, nel primo capitolo, a partire dal “caso Lampedusa”, descritto alla luce dell’indagine sul campo condotta dall’Autrice. Nel secondo capitolo viene ricostruito lo statuto della libertà personale dello straniero sulla base dei principi costituzionali e, nel terzo capitolo, sono analizzati i principi che informano il diritto alla libertà personale nell’ambito delle fonti sovranazionali, con particolare riferimento al diritto dell’Unione Europea e al sistema della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Sulla scorta dei principi indagati, nel quarto capitolo è tracciata l’evoluzione legislativa in materia di detenzione amministrativa dello straniero in Italia e, nel quinto capitolo, è approfondito il tema dei Centri dell’immigrazione e delle regole che li disciplinano. Nelle conclusioni, infine, sono tirate le fila del percorso tracciato, attraverso la valutazione degli strumenti di tutela in grado di prevenire le pratiche di privazione della libertà informali e di garantire uno standard minimo nella tutela della libertà individuale, anche nelle zone di frontiera del nostro ordinamento.
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Independent Myanmar and Japan had long held the strongest ties among Asian countries, and they were often known as having "special relations" or a "historically friendly relationship." Such relations were guaranteed by the sentiments and experiences of the leaders of both countries. Among others, Ne Win, former strongman throughout the socialist period (1962-1988), was educated and trained by the Japanese army officers of the Minami Kikan, leading to the birth of the Burma Independence Army (BIA). Huge official development assistance provided by the Japanese government also cemented this special relationship. However, the birth of the present military government (SLORC/SPDC) in 1988 drastically changed this favorable relationship between the two countries. When the military seized power in a coup, Japan was believed to be the only country that possessed sufficient meaningful influence on Myanmar to encourage a move toward national reconciliation between the junta and the opposition party led by Aung San Suu Kyi. In reality, Japan failed to exert such an influence due to its sour relations with the military government and reduced influence in the new international and regional political landscape. What is worse, Japan seems to be losing its say on Myanmar issues in the international political arena, as it has been wavering in limbo between the sanctionist forces, such as the United States and the European Union, and engagement forces, such as China and ASEAN.
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El vehículo espacial ExoMarsOrbiter, llamado Exomars Trace Gas Orbiter (EMTGO), se encuadra en una misión de la ESA/NASA, contribuyendo a las ambiciones europeas de misiones de exploración futura, según lo establecido en la declaración Aurora. Los objetivos del programa ExoMars dan continuidad a los esfuerzos de cooperación con la NASA para enviar una misión de retorno de una muestra de Marte en las siguientes décadas. Están prevista s dos misiones dentro del programa ExoMars, una para 2016 y otra para 2018. NOMAD (solar occultation in the infra red and Nadir and Occultation for MArs Discovery) es un espectrómetro de alta resolución en el infrarrojo - visible - ultravioleta, observando en las franjas de 0.2 - 0.65 y 2.3 - 4.2 μm, para la inspección de la atmósfera de Marte. Dispone de tres canales (LNO, SO y UVIS) que operarán según tres modos distintos (ocultación solar, limbo y nadir). NOMAD es un instrumento con una masa de 29.9 kg que está montado sobre la bandeja superior exterior, en la cara fría del vehículo, y debe estar fuertemente desacoplado del mismo desde un punto de vista térmico (con una conductancia total máxima de 0.02 W/K). Este desacoplamiento dificulta el diseño estructural de la unión con el vehículo. El diseño térmico debe estar capacitado además para evacuar el calor disipado internamente y las cargas exteriores, utilizando únicamente métodos de control térmico pasivos. Un requisito térmico adicional es el que impone e l espectrómetro del canal LNO, que es una caja interior a NOMAD que debe ser enfriada a - 100º C. Con el objeto de cumplir estos requisitos, se disponen dos radiadores: un radiador ‘general’ para mantener al conjunto del instrumento a una temperatura semejante a la ambiente terrestre, y un radiador multietapa en “V” para enfriar la sección del LNO a - 100º C. Éste último consiste en 4 etapas con placas delgadas, que disponen de una combinación de regiones de alta emisividad y otras de alta reflectividad, para evacuar el calor entre etapas. Además, se ha de alcanzar un compromiso entre la rigidez del radiador y la masa del mismo para disminuir la masa del radiador, las placas delgadas deben ser rigidizadas estructuralmente. Tanto su diseño térmico como el estructural representan un reto tecnológico, debido a su escasa presencia en misiones anteriores. El modelo geométrico y los modelos matemáticos térmico s y estructural es se han construido siguiendo los estándares de la ESA. Esto es, la metodología utilizada ha sido la de efectuar primero un diseño conceptual preliminar, para posteriormente desarrollar un modelo térmico y otro estructural a nivel instrumento, con el software ESATAN y NASTRAN, ambos indicados por la ESA. Los resultados muestran la viabilidad de NOMAD desde un punto de vista térmico y estructural.
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En un tiempo como el actual, en el que en arquitectura ya casi nada es lo que aparenta ser ni las disciplinas tradicionales parecen proporcionar ya suficientes asideros para conocer el trazo de los caminos, el proyecto arquitectónico se enfrenta a una visible incertidumbre a lo largo del limbo que parece definir el momento presente. Las infinitas soluciones que aparentemente marcan nuevas opciones de trabajo definen también un panorama de escasa claridad con una consiguiente pérdida de referencias de rigor que faciliten la certidumbre y un obligado compromiso en esta ciencia poética que se desvirtúa a veces como un mal arte menor. Para ahondar en este camino borroso se propone un ejercicio de búsqueda de invariantes que sirvan como base de método de trabajo. El planteamiento que sigue a continuación aspira a explorar una serie de herramientas básicas que siguen constituyendo el armazón de la arquitectura justa: la materia, la luz, la estructura, la emoción. No se trata pues de valerse de artilugios pasajeros o de argumentos pobremente arraigados, sino que el objeto de estudio que aquí se presenta tenga como base aquellas cuestiones que son esenciales a la arquitectura como ciencia poética y como técnica. En el discurso de la arquitectura pura nada es accesorio. Como escribe Rem Koolhaas, «donde la arquitectura acontece, nada más sucede». Además de explorar dichas herramientas, la investigación propone la recuperación explícita de unas estrategias que son tanto atemporales como históricas. Los filtros de mirada y luz pueden encontrarse en muchas culturas y bajo muchos signos, destinados a toda una variedad de funciones resueltas a medida según la medida de cada región y de cada hombre. La recuperación de estos elementos en la presente investigación presupone no solo una experiencia de la emoción espacial determinada por los mismos, sino la constatación y el abanderamiento de lo vernáculo como conocimiento del proyecto, como mecanismo de creación carente de frivolidad que, acumulado entre siglos y culturas, se destila para ofrecer lo más sensato y poético al hombre que lo precisa. Por último, el filtro es construcción y estructura, es materia y luz, no es mera imagen sino un neto configurador de espacios físicos y de emoción arquitectónica. Trabajar con estos invariantes debería garantizar una investigación desde el rigor y la responsabilidad. Su validez arquitectónica pues ésta va siempre más allá de su valor geográfico o histórico. Los filtros recorren un camino que arranca con la salida del hombre de la cueva platónica y alcanza la estructura molecular más compleja del cerramiento estructural más contemporáneo. La constante pulsión de un invariante tan consolidado viene a confirmarse de nuevo hoy en el auge de la arquitectura actual. La arquitectura siempre ha necesitado de filtros. Éstos, desde sus múltiples configuraciones, han permitido dar solución a cuestiones funcionales básicas a la vez que integraban sistemas desde los que proporcionar una imagen exterior y una emoción interior. Su verdadero sentido se comprende en su relación en el medio continuo, donde se ponen de manifiesto las interacciones que fomenta y que van más allá de su propia naturaleza y de sus propiedades intrínsecas como objeto para establecer nuevos significados. Contribuyen, como señala Jean-Pierre Cometti, a que «aparezca algo que no estaba implícito en las observaciones desarrolladas desde el principio»2. Los filtros son, por tanto, más que la suma de construcción, estructura, espacio y ornamento. Esta múltiple condición es la que proporciona un carácter único al filtro en sus consecuencias espaciales. Tan sólidos han sido sus apoyos que su presencia se ha mantenido indemne al tiempo y ha permanecido en el cruce de la historia, capaz de dar tantos y tan buenos resultados en el proyecto de arquitectura. Nuestra propuesta es redescubrir esos filtros.
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El objetivo de esta Tesis Doctoral ha sido la revisión de la taxonomía infraespecífica de la especie Atriplex halimus L., la delimitación del área geográfica que ocupan sus taxones y su caracterización morfológica. En base a las citas bibliográficas y material de herbario consultado se ha trazado un mapa de distribución de la especie, que delimita su distribución como planta espontánea a la Cuenca Mediterránea, desierto de Siria, Macizo de Hoggar y Sahara Occidental. El resto debe considerarse poblaciones naturalizadas o cultivadas. La taxonomía actual, basada en relaciones filogenéticas, nos indica que lo adecuado es separar las poblaciones de A. halimus en dos clados que se caracterizan por tener diferente nivel de ploidía. Para definir el área de distribución de los clados diploide y tetraploide se ha determinado la ploidía de 19 poblaciones en el espacio comprendido entre las dos áreas de distribución conocidas. Y como resultado el área de distribución de ambos clados puede definirse trazando una recta que une el estrecho de Gibraltar con Estambul, las poblaciones al sur de esta línea son tetraploides a las que habría que añadir las poblaciones del este y sur de la isla de Cerdeña que son también tetraploides. Se han determinado cuales son los parámetros morfológicos que permiten caracterizar ambos clados, para lo cual se han estudiado 52 poblaciones que comprenden toda el área de distribución de la especie. Se han evaluado caracteres cualitativos y cuantitativos de valvas fructíferas, plántulas cultivadas en cámara y arbustos de 2 a 4 años situados en la misma parcela. El único elemento fiable para determinar la pertenencia al clado diploide o tetraploide es la medición del nivel de ploidía. Ninguno de los caracteres morfológicos estudiados es plenamente fiable para determinar si los individuos de una población pertenecen al clado diploide o tetraploide a pesar de realizarse las mediciones sobre poblaciones cultivadas en igualdad de condiciones de suelo y clima, y en condiciones muy favorables para la expresión de caracteres cualitativos y cuantitativos. Los caracteres cualitativos observados que guardan una mayor correlación con el nivel de ploidía son: la base de las hojas de las plántulas, el porte del arbusto, la ramificación, el ángulo de inserción de las ramas y la longitud de la inflorescencia. Respecto a los datos cuantitativos los más relevantes han sido, la longitud de los cotiledones y la longitud del limbo de la 1ª, 3ª o 5ª hoja de la plántula o la razón entre este valor y la anchura del limbo. ABSTRACT The aim of this Thesis has been in the revision of the infraspecies taxa of Atriplex halimus L., the delimitation of their natural growing area and their morphological characterization. Using references to relevant literature and consultation of herbariums, it has been possible to map the distribution of the species as spontaneous plant in the Mediterranean Basin, Desert of Syria, Massif of Hoggar and Western Sahara. The remaining populations must be considered as naturalized or cultivated. The current taxonomy, based on phylogenetic relationships, indicates that A.halimus should be divided in two clades. These clades are characterized by their different ploidy level. Samples of nineteen populations collected from localizations between the defined distribution area of both clades have been characterized for their ploidy level. As a result, it can be seen that the line of clade separation can be trazed from Istambul tothe Strait of Gibraltar, where the populations north to this line are classified as diploid and those south of the line are clsassified as tetraploid. The only exception of this rule is in Sardinia, hwre populations to the West and South of the Island are also classified as tetraploid. The morphological parameters, which include the characterization of both clades, have been defined, and the study of fifty-two populations from the entire distribution area according to these parameters have been analysed. The qualitative and quantitative characteristics of the fruit valves have been evaluated, with seedlings grown in a culture chamber, and 2-4 years old shrubs grown in the same orchard. None of the morphological characters under study are fully reliable to determine whether individuals in a population belong to clade diploid or tetraploid. This is despite measurements being made on populations grown under the same conditions of soil and climate, and in very favorable conditions for the expression of qualitative and quantitative traits. The qualitative characteristics that show a higher correlation with the ploidy level are: the base of the leaves of the seedlings, the bearing bush, the branch arrangement, the angle of insertion of the branches and the inflorescence length. With regards to the quantitative data the most relevant were the length of the cotyledons and the length of the blade of the 1st, 3rd or 5th leaves of the seedling, and the ratio of any of this values and the leaf blade width. The only reliable way to determine the diploid or tetraploid clade membership is the measurement of ploidy level.
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We cloned a new inhibitor of apoptosis protein (IAP) homolog, SfIAP, from Spodoptera frugiperda Sf-21 cells, a host of insect baculoviruses. SfIAP contains two baculovirus IAP repeat domains followed by a RING domain. SfIAP has striking amino acid sequence similarity with baculoviral IAPs, CpIAP and OpIAP, suggesting that baculoviral IAPs may be host-derived genes. SfIAP and baculoviral CpIAP inhibit Bax but not Fas-induced apoptosis in human cells. Their apoptosis-suppressing activity in mammalian cells requires both baculovirus IAP repeat and RING domains. Further biochemical data suggest that SfIAP and CpIAP are specific inhibitors of mammalian caspase-9, the pinnacle caspase in the mitochondria/cytochrome c pathway for apoptosis, but are not inhibitors of downstream caspase-3 and caspase-7. Thus the mechanisms by which insect and baculoviral IAPs suppress apoptosis may involve inhibition of an insect caspase-9 homologue. Peptides representing the IAP-binding domain of the Drosophila cell death protein Grim abrogated human caspase suppression by SfIAP and CpIAP, implying evolutionary conservation of the functions of IAPs and their inhibitors.