956 resultados para Exotic specie
Resumo:
Negli ultimi decenni nell’Alto Adriatico, in particolare lungo la costa dell’Emilia-Romagna, si sono verificati fenomeni eutrofici con lo svilupparsi di “red tides”, con frequenza e intensità tali da aver assunto un aspetto cronico. Da questi episodi è nata l’esigenza sia di un efficiente monitoraggio dell’area, che viene svolto dal 1976 dalla Struttura Oceanografica Daphne (ARPA), sia di ricercare e studiare i meccanismi che guidano il processo. Questa zona è sotto stretta osservazione anche nell’ambito Direttiva europea 2008/56/CE, Marine Strategy Framework Directive (MSFD), in quanto l’alto Adriatico rappresenta la zona maggiormente a rischio per i fenomeni di eutrofizzazione e di bloom algali. Il lavoro di questa tesi nasce dalla necessità di approfondire diversi aspetti sollevati dalla MSFD che non vengono soddisfatti da una normale attività di monitoraggio. La frequenza e l’enorme mole di dati raccolti spesso non permette nè di riunire insieme per un unico sito tutti i parametri biotici e abiotici indicativi dello stato dell’ambiente, né di fare elaborazioni statistiche approfondite. Per fare questo sono state condotte in due siti prospicienti la località di Marina di Ravenna (costa emiliano-romagnola): DIGA SUD e GEOMAR, distanti rispettivamente 1.5 Km e 12 Km dalla costa, analisi quali-quantitative dei popolamenti fitoplanctonici presenti e concomitanti analisi dei parametri chimico-fisici (nutrienti, temperatura e salinità) dell’acqua. Il campionamento bimensile è iniziato ad aprile del 2013 ed è terminato ad ottobre dello stesso anno. Dai dati ottenuti dalle suddette analisi, avvalendosi di diversi strumenti statistici, si è cercato di capire se c’è differenza fra i due siti oggetto di studio in termini di variabili abiotiche ambientali e di popolazione fitoplanctonica dovuta ad effetto geografico (distanza dalla costa). Inoltre si è cercato di individuare come le variabili ambientali vadano ad influenzare la distribuzione dei diversi taxa fitoplanctonici e di segnalare l’eventuale presenza di specie microalgali potenzialmente tossiche e/o dannose.
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La phytoremediation si colloca nel campo dei nuovi interventi di bonifica come una tecnica verde, sostenibile e a basso costo, che può sostituire le ordinarie tecniche ingegneristiche in condizioni di inquinamento da basso a moderato. Si basa sull'utilizzo di piante per contenere, rimuovere o degradare i contaminanti presenti in suolo, sedimenti e acque. In questo studio sono state valutate le capacità fitoestrattive della specie Dittrichia viscosa in suoli derivanti da attività mineraria. Il campionamento è stato realizzato in due siti minerari, il distretto minerario di Montevecchio (VS) e la miniera di Libiola (GE) ed in cinque siti non minerari utilizzati come riferimento e controllo. In ogni sito è stato campionato suolo rizosferico e campioni vegetali della specie D. viscosa. Lo studio si è focalizzato su cinque metalli pesanti molto diffusi e pericolosi: Cu, Ni, Pb, Zn e Cd. Per valutare a quale livello della pianta vengono accumulati, ogni campione vegetale è stato separato in tre porzioni, radici, fusto e foglie, che sono state analizzate separatamente; inoltre, sono state determinate le concentrazioni totali e biodisponibili dei cinque metalli nei suoli rizosferici campionati. Dallo studio è emerso che la specie D. viscosa tende ad accumulare i contaminanti indagati soprattutto a livello fogliare nonostante non sia sempre dimostrato nei campioni provenienti dal sito di Libiola. Grazie alle buone capacità che la pianta presenta nell'accumulare Ni e Zn nell'apparato radicale, e nel trasferire Zn, Pb e Cd nell'apparato fogliare, D. viscosa può essere considerata una buona candidata negli interventi di fitorimedio.
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La foca monaca (Monachus monachus, Hermann 1779) è il pinnipede più a rischio d’estinzione del mondo e pochi sono gli studi che hanno indagato l’impatto antropico dato dagli inquinanti chimici su questa specie. Questo studio si propone di analizzare la pressione che elementi in traccia, organoclorurati (OC) e, per la prima volta, idrocarburi policiclici aromatici (IPA) hanno sulla specie, studiando una della popolazioni più numerose presenti nel Mar Mediterraneo, ossia quella greca. Sono stati utilizzati campioni di 59 esemplari deceduti provenienti da diverse colonie residenti in Grecia, di ambedue i sessi, appartenenti a diverse classi d’età e riferibili ad un arco temporali di quasi 20 anni (1994-2013). Per i contaminanti organici (PCB, DDT ed IPA), caratterizzati da un comportamento lipofilico, sono stati utilizzati esclusivamente campioni di tessuto adiposo, mentre per l’analisi di elementi in traccia (essenziali: Fe, Co, Cu, Se, Zn, Mg; tossici: Cr, Ni, As, Cd, Pb, Hg) sono state impiegate diverse matrici, quali fegato, rene, muscolo, adipe, milza, polmone, cuore e pelo. I risultati evidenziano un’importante contaminazione dai OC (125.896,69±289.934,27 ng/g p.s.), in cui DDT e PCB sono presenti rispettivamente al 48,5% e 51,5%, mentre, tra i metalli considerati tossici (As, Cd, Pb, Hg, Cr, Ni), As e Hg sono gli elementi che destano maggiori preoccupazioni per la salute di Monachus monachus, presenti rispettivamente al 36,44% e 12,83%. IPA ed altri elementi in traccia analizzati invece non raggiungono di per sé concentrazioni di rischio per la specie, ma non si escludono possibili effetti sinergici tra i vari inquinanti. L’elaborazione del fingerprint tossicologico ha evidenziato un’eterogeneità nella pressione data dai contaminanti in studio, manifestando che alcune colonie di foca monaca in Grecia sono maggiormente soggette all’azione negativa di organoclorurati, idrocarburi policiclici aromatici o elementi in traccia tossici a seconda del caso.
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La Fusariosi della spiga (FDS) è una fitopatia diffusa a livello mondiale che colpisce le colture cerealicole, tra cui il frumento duro, ed è in grado di causare gravi danni di tipo qualitativo ed economico. Le specie fungine responsabili appartengono al genere Fusarium, tra cui F. graminearum, F. culmorum e più recentemente F. poae. La conseguenza più rilevante riguarda la contaminazione della granella da micotossine, molecole prodotte dai miceti, considerate dalla comunità scientifica ad alto rischio per la salute dell’uomo e animali. L’eziologia è molto complessa, dal momento che su una stessa spiga di frumento possono coesistere più specie fungine che contribuiscono ad influenzare i quantitativi di micotossine prodotte. Lo scopo della ricerca è incentrato sulla caratterizzazione di ceppi di F. poae, in termini di potenziale patogeno e aggressività. Tramite l’allestimento di un saggio di inoculazione in vitro “Petri-dish” è stato possibile attribuire un indice di aggressività a ciascun isolato fungino, basato su parametri quali AUHPC e AUDPC standard, insieme ad altre variabili come la riduzione della lunghezza del coleottile e del tasso di germinazione. Il saggio è stato esteso anche a F. culmorum, per valutare la riproducibilità del test su altre specie fungine. Il test in vitro offre diversi vantaggi, tra cui affidabilità e rapidità di esecuzione ed è quindi adatto allo screening di ceppi patogeni da utilizzare in successive sperimentazioni. Gli stessi ceppi di F. poae, provenienti da una prova di inoculazione artificiale in serra su piante di frumento duro, sono stati caratterizzati dal punto di vista bio-molecolare. Poichè lo studio della fusariosi della spiga richiede la determinazione quantitativa della biomassa dei patogeni nei tessuti della pianta-ospite, anche in assenza di sintomi, il protocollo di Real-Time PCR con chimica SYBR® Green I qui sviluppato, ha dimostrato essere un buon compromesso tra attendibilità, rapidità e costi complessivi della metodica.
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L'importanza dell'acciuga europea (Engraulis encrasicolus) come risorsa ittica, sia a livello economico che ecologico, nel Mar Mediterraneo, ha portato alla necessità di monitorare la biomassa deponente di questa specie per cercare di dare un limite al suo sovrasfruttamento (rappresentando il 22% delle catture nazionali). Lo studio effettuato riguarda le stime di fecondità dell'acciuga europea tramite l'applicazione di un metodo di analisi d'immagine, Whole Mount, su campioni di gonadi di adulti maturi e pronti alla deposizione. Il campionamento degli esemplari è avvenuto durante due campagne oceanografiche, organizzate dall'U.O.S di Capo Granitola dell'Istituto per l'Ambiente Marino Costiero del CNR, che hanno coperto l'area dello Stretto di Sicilia e del Mar Tirreno, durante i mesi estivi che rappresentano il picco di deposizione della specie. Nel presente lavoro sono stati analizzati in totale 76 ovari di acciuga, provenienti da entrambe le aree di campionamento e che presentassero ovociti maturi e risultassero, quindi, in una fase di deposizione nota come "deposizione imminente". Per entrambe le aree di studio è stata stimata una relazione lunghezza-peso con andamento esponenziale. I test statistici non parametrici di Kolmogorov-Smirnov e di Mann-Whitney hanno permesso di stimare se vi fossero differenze tra la fecondità, l'indice gonadosomatico (IGS) e il fattore di condizione (CF) nelle due aree, Stretto di Sicilia e piattaforma settentrionale siciliana. I valori di CF sono risultati significativamente differenti tra le due aree se valutati con il test di Kolmogorov-Smirnov, tuttavia tale differenza non è stata confermata dal test di Mann-Whitney. L'IGS e la fecondità, invece, sono risultati significativamente diversi nelle due aree per entrambi i test. Si può ipotizzare che valori di fecondità differenti nelle due aree, nonostante in entrambi i casi il campionamento sia avvenuto durante il picco di riproduzione della specie, possono essere dovuti alla variabilità dei fattori abiotici, quali temperature e nutrienti, differenti nello Stretto di Sicilia e nell'area lungo le coste settentrionali siciliane. Temperatura e nutrienti possono essere differenti, poiché vi è un diverso movimento delle masse d'acqua causato da correnti distinte nelle due aree. Conoscere la variabilità dei parametri riproduttivi di una specie di rilevanza commerciale così alta, come l'acciuga, rappresenta uno strumento fondamentale per scegliere le misure di gestione sostenibile degli stock più appropriate per aree differenti.
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L’anguilla europea, Anguilla anguilla, è una specie gravemente minacciata, sia da impatti diretti legati al sovrasfruttamento della specie a tutti gli stadi del ciclo vitale, che indiretti come l’urbanizzazione costiera e la perdita di habitat lagunari. Negli ultimi 45 anni è stata documentata una riduzione del tasso di reclutamento di anguilla europea del 90%. Lo scopo di questo studio è stato approfondire le modalità riproduttive di A. anguilla per via indiretta, attraverso un’analisi di paternità. Il Centro di ricerca universitario di Cesenatico (Laboratori di Acquacoltura ed Igiene delle Produzioni Ittiche – Università di Bologna) ha avviato le prime sperimentazioni su A. anguilla, al fine di mettere a punto un protocollo di riproduzione artificiale. Nell’estate 2015 i ricercatori hanno ottenuto sette riproduzioni spontanee in ambiente controllato, da queste sono state campionate casualmente e genotipizzate circa 40 larve per ogni mandata riproduttiva e i relativi riproduttori per condurre l’analisi di paternità. In ogni riproduzione è stata utilizzata sempre e soltanto una femmina e tre o quattro maschi; le analisi genetiche, condotte utilizzando 9 loci microsatelliti, si sono focalizzate sull’individuazione dei padri e l’assegnamento di paternità è avvenuto con un livello di confidenza medio dell’89%. Dalle analisi effettuate è emerso che: 1) i maschi di questa specie, precedentemente sottoposti a stimolazioni ormonali per indurne la riproduzione e la fertilità, sono in grado di partecipare con successo a più di una riproduzione; 2) più esemplari riescono a fecondare gli ovociti di una sola femmina e sembrano stabilirsi modelli gerarchici di dominanza in quanto si è osservato generalmente che un maschio prevale sugli altri, generando da solo più del 50% della prole. Questo studio pilota rappresenta, quindi, un punto di partenza per approfondimenti futuri sulle modalità riproduttive dell’anguilla europea.
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Ecological disturbances may be caused by a range of biotic and abiotic factors. Among these are disturbances that result from human activities such as the introduction of exotic plants and land management activities. This dissertation addresses both of these types of disturbance in ecosystems in the Upper Peninsula of Michigan. Invasive plants are a significant cause of disturbance at Pictured Rocks Natural Lakeshore. Management of invasive plants is dependent on understanding what areas are at risk of being invaded, what the consequences of an invasion are on native plant communities and how effective different tools are for managing the invasive species. A series of risk models are described that predict three stages of invasion (introduction, establishment and spread) for eight invasive plant species at Pictured Rocks National Lakeshore. These models are specific to this location and include species for which models have not previously been produced. The models were tested by collecting point data throughout the park to demonstrate their effectiveness for future detection of invasive plants in the park. Work to describe the impacts and management of invasive plants focused on spotted knapweed in the sensitive Grand Sable Dunes area of Pictured Rocks National Lakeshore. Impacts of spotted knapweed were assessed by comparing vegetation communities in areas with varying amounts of spotted knapweed. This work showed significant increases in species diversity in areas invaded by knapweed, apparently as a result of the presence of a number of non-dune species that have become established in spotted knapweed invaded areas. An experiment was carried out to compare annual spot application of two herbicides, Milestone® and Transline® to target spotted knapweed. This included an assessment of impacts of this type of treatment on non-target species. There was no difference in the effectiveness of the two herbicides, and both significantly reduced the density of spotted knapweed during the course of the study. Areas treated with herbicide developed a higher percent cover of grasses during the study, and suffered limited negative impacts on some sensitive dune species such as beach pea and dune stitchwort, and on some other non-dune species such as hawkweed. The use of these herbicides to reduce the density of spotted knapweed appears to be feasible over large scales.
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Invasive exotic plants have altered natural ecosystems across much of North America. In the Midwest, the presence of invasive plants is increasing rapidly, causing changes in ecosystem patterns and processes. Early detection has become a key component in invasive plant management and in the detection of ecosystem change. Risk assessment through predictive modeling has been a useful resource for monitoring and assisting with treatment decisions for invasive plants. Predictive models were developed to assist with early detection of ten target invasive plants in the Great Lakes Network of the National Park Service and for garlic mustard throughout the Upper Peninsula of Michigan. These multi-criteria risk models utilize geographic information system (GIS) data to predict the areas at highest risk for three phases of invasion: introduction, establishment, and spread. An accuracy assessment of the models for the ten target plants in the Great Lakes Network showed an average overall accuracy of 86.3%. The model developed for garlic mustard in the Upper Peninsula resulted in an accuracy of 99.0%. Used as one of many resources, the risk maps created from the model outputs will assist with the detection of ecosystem change, the monitoring of plant invasions, and the management of invasive plants through prioritized control efforts.
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On Tuesday, October 15th 2013, Ragan Callaway, the MT-EPSCoR Project Director & Division of Biological Sciences at the University of Montana spoke at Montana Tech about Soil Biota and Exotic Plant Invasions.
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1 .In their colonized ranges, exotic plants may be released from some of the herbivores or pathogens of their home ranges but these can be replaced by novel enemies. It is of basic and practical interest to understand which characteristics of invaded communities control accumulation of the new pests. Key questions are whether enemy load on exotic species is smaller than on native competitors as suggested by the enemy release hypothesis (ERH) and whether this difference is most pronounced in resource-rich habitats as predicted by the resource–enemy release hypothesis (R-ERH). 2. In 72 populations of 12 exotic invasive species, we scored all visible above-ground damage morphotypes caused by herbivores and fungal pathogens. In addition, we quantified levels of leaf herbivory and fruit damage. We then assessed whether variation in damage diversity and levels was explained by habitat fertility, by relatedness between exotic species and the native community or rather by native species diversity. 3. In a second part of the study, we also tested the ERH and the R-ERH by comparing damage of plants in 28 pairs of co-occurring native and exotic populations, representing nine congeneric pairs of native and exotic species. 4. In the first part of the study, diversity of damage morphotypes and damage levels of exotic populations were greater in resource-rich habitats. Co-occurrence of closely related, native species in the community significantly increased the probability of fruit damage. Herbivory on exotics was less likely in communities with high phylogenetic diversity. 5. In the second part of the study, exotic and native congeneric populations incurred similar damage diversity and levels, irrespective of whether they co-occurred in nutrient-poor or nutrient-rich habitats. 9. Synthesis. We identified habitat productivity as a major community factor affecting accumulation of enemy damage by exotic populations. Similar damage levels in exotic and native congeneric populations, even in species pairs from fertile habitats, suggest that the enemy release hypothesis or the R-ERH cannot always explain the invasiveness of introduced species.
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Exotic snake bites are not rare in Switzerland. Treatment can be challenging for medical staff particularly as rapid and focused management are critical to improve patient outcome. The case of a young herpetologist bitten by an exotic venomous snake is used to review measures to be taken before arrival at the emergency department and to highlight key points of management. Resources for the obtention of expert advice and antivenoms are also reported.