203 resultados para Évasion virale


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I virus tumorali inducono oncogenesi nel loro ospite naturale o in sistemi animali sperimentali, manipolando diverse vie cellulari. Ad oggi, sono stati identificati sette virus capaci di causare specifici tumori umani. Inoltre HPV, JCV ed SV40, sono stati associati con un grande numero di tumori umani in sedi corporee non convenzionali, ma, nonostante molti anni di ricerca, nessuna eziologia virale è stata ancora confermata. Lo scopo di questo studio è stato di valutare la presenza ed il significato sia di JCV ed SV40 in tumori ossei umani, e di HPV nel carcinoma della mammella (BC), galattoforectomie (GF), secrezioni mammarie patologiche (ND) e glioblastoma multiforme (GBM). Tecniche di biologia molecolare sono state impiegate per esaminare campioni di tessuto tumorale di 70 tumori ossei (20 osteosarcomi [OS], 20 tumori a cellule giganti [TCG], 30 condrosarcomi [CS]), 168 BCs , 30 GFs, 59 GBM e 30 campioni di ND. Il genoma di SV40 e JCV è stato trovato nel 70% dei CS + 20% degli OS, e nel 13% dei CS +10% dei TCG, rispettivamente. Il DNA di HPV è stato rilevato nel 30% dei pazienti con BC, nel 27% dei campioni GF e nel 13% dei NDs. HPV16 è stato il genotipo maggiormente osservato in tutti questi campioni, seguito da HPV18 e HPV35. Inoltre, il DNA di HPV è stato trovato nel 22% dei pazienti con GBM, in questo tumore HPV6 era il tipo più frequentemente rilevato, seguito da HPV16. L’ ISH ha mostrato che il DNA di HPV è situato all’interno di cellule tumorali mammarie e di GBM. I nostri risultati suggeriscono un possibile ruolo di JCV, SV40 e HPV in questi tumori, se non come induttori come promotori del processo neoplastico, tuttavia diversi criteri devono ancora essere soddisfatti prima di chiarirne il ruolo.

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La RNA interference è un processo attraverso il quale alcuni piccoli frammenti di RNA (19-25 nucleotidi) sono in grado di silenziare l'espressione genica. La sua scoperta, nel 1998, ha rivoluzionato le concezioni della biologia molecolare, minando le basi del cosiddetto Dogma Centrale. Si è visto che la RNAi riveste ruoli fondamentali in meccanismi di regolazione genica, nello spegnimento dell'espressione e funziona come meccanismo di difesa innata contro varie tipologie di virus. Proprio a causa di queste implicazioni richiama interesse non solo dal punto di vista scientifico, ma anche da quello medico, in quanto potrebbe essere impiegata per lo sviluppo di nuove cure. Nonostante la scoperta di tale azione desti la curiosità e l'interesse di molti, i vari processi coinvolti, soprattutto a livello molecolare, non sono ancora chiari. In questo lavoro si propongono i metodi di analisi di dati di un esperimento prodotto dall'Istituto di Biologia molecolare e cellulare di Strasburgo. Nell'esperimento in questione vengono studiate le funzioni che l'enzima Dicer-2 ha nel pathway - cioè la catena di reazioni biomolecolari - della RNA interference durante un'infezione virale nel moscerino della frutta Drosophila Melanogaster. Per comprendere in che modo Dicer-2 intervenga nel silenziamento bisogna capire in quali casi e quali parti di RNA vengono silenziate, a seconda del diverso tipo di mutazione dell'enzima stesso. Dunque è necessario sequenziare l'RNA nelle diverse condizioni sperimentali, ottenendo così i dati da analizzare. Parte dei metodi statistici che verranno proposti risultano poco convenzionali, come conseguenza della peculiarità e della difficoltà dei quesiti che l'esperimento mette in luce. Siccome le tematiche affrontate richiedono un approccio sempre più interdisciplinare, è aumentata considerevolmente la richiesta di esperti di altri settori scientifici come matematici, informatici, fisici, statistici e ingegneri. Questa collaborazione, grazie a una diversità di approccio ai problemi, può fornire nuovi strumenti di comprensione in ambiti che, fino a poco tempo fa, rientravano unicamente nella sfera di competenza dei biologi.

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Il Parvovirus B19, virus patogeno umano della famiglia Parvoviridae, mostra uno specifico tropismo per i precursori eritroidi e una limitata replicazione in alcune linee cellulari megacarioblastoidi. Allo scopo di sviluppare sistemi utili allo studio delle caratteristiche biologiche del virus, diversi laboratori si sono occupati della costruzione di cloni genomici di B19 dotati di competenza funzionale e capaci di generare virus infettante. Parte del presente lavoro ha riguardato l’analisi funzionale di diversi cloni genomici di B19 e ha permesso di caratterizzare le regioni terminali del virus e di identificare requisiti essenziali per la loro funzionalità. Nel contesto intracellulare, esistono differenti livelli di restrizione in relazione alla capacità della cellula di supportare la replicazione virale, non ancora del tutto caratterizzati. Inoltre si sono accumulate evidenze circa la capacità del B19 di instaurare persistenza in numerosi tessuti. Non sono ancora note le caratteristiche funzionali del genoma virale in questo stato, è possibile che il virus persista in forma silente e meccanismi epigenetici possano regolare tale silenziamento. In questo studio è stato analizzato lo stato di metilazione del genoma di B19 e il suo possibile effetto sul ciclo replicativo virale ed è stata investigata la possibile associazione del DNA virale agli istoni cellulari nel corso di infezione in vitro. I risultati ottenuti confermano la presenza di questi meccanismi epigenetici, potendo ipotizzare che giochino un importante ruolo nella regolazione della funzionalità virale e nell’interazione B19-cellula e siano un elemento critico per l’adattamento del virus nell’ambiente in cui si trova. Inoltre l’ipotesi che anche i microRNA possano assumere un importante significato nell’interazione B19-cellula è stata proposta da diversi lavori e nel presente studio è stata valutata la produzione di queste piccole molecole durante l'infezione in vitro, ricercando microRNA (cellulari e/o virali) con omologia di sequenza per il genoma di B19 e quindi specifici per il virus.

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Das Cydia pomonella Granulovirus (CpGV, Baculoviridae) wird seit Ende der 1980er Jahre als hoch-selektives und effizientes biologisches Bekämpfungsmittel zur Kontrolle des Apfelwicklers im Obstanbau eingesetzt. Seit 2004 wurden in Europa verschiedene Apfelwicklerpopulationen beobachtet die resistent gegenüber dem hauptsächlich angewendeten Isolat CpGV-M aufweisen. Die vorliegende Arbeit befasst sich mit der Untersuchung der Vererbung und des Mechanismus der CpGV Resistenz. Einzelpaarkreuzungen zwischen einem empfindlichen Laborstamm (CpS) und einem homogen resistenten Stamm (CpRR1) zeigten, dass die Resistenz durch ein einziges dominantes Gen, das auf dem Z-Chromosom lokalisiert ist, vererbt wird. Massernkreuzungen zwischen CpS und einer heterogen resistenten Feldpopulation (CpR) deuteten zunächst auf einen unvollständig dominanten autosomalen Erbgang hin. Einzelpaarkreuzungen zwischen CpS und CpR bewiesen jedoch, dass die Resistenz in CpR ebenfalls monogen dominant und geschlechtsgebunden auf dem Z-Chromosom vererbt wird. Diese Arbeit diskutiert zudem die Vor- und Nachteile von Einzelpaarkreuzungen gegenüber Massernkreuzungen bei der Untersuchung von Vererbungsmechanismen. Die Wirksamkeit eines neuen CpGV Isolates aus dem Iran (CpGV-I12) gegenüber CpRR1 Larven, wurde in Bioassays getestet. Die Ergebnisse zeigen, dass CpGV-I12 die Resistenz in allen Larvenstadien von CpRR1 brechen kann und fast so gut wirkt wie CpGV-M gegenüber CpS Larven. Daher ist CpGV-I12 für die Kontrolle des Apfelwicklers in Anlagen wo die Resistenz aufgetreten ist geeignet. Um den der CpGV Resistenz zugrunde liegenden Mechanismus zu untersuchen, wurden vier verschiedene Experimente durchgeführt: 1) die peritrophische Membran degradiert indem ein optischer Aufheller dem virus-enthaltenden Futtermedium beigefügt wurde. Das Entfernen dieser mechanischen Schutzbarriere, die den Mitteldarm auskleidet, führte allerdings nicht zu einer Reduzierung der Resistenz in CpR Larven. Demnach ist die peritrophische Membran nicht am Resistenzmechanismus beteiligt. 2) Die Injektion von Budded Virus in das Hämocoel führte nicht zur Brechung der Resistenz. Folglich die die Resistenz nicht auf den Mitteldarm beschränkt, sondern auch in der Sekundärinfektion wirksam. 3) Die Replikation von CpGV in verschiedenen Geweben (Mitteldarm, Hämolymphe und Fettkörper) von CpS und CpRR1 wurde mittels quantitativer PCR verfolgt. In CpS Larven konnte in allen drei Gewebetypen sowohl nach oraler als auch nach intra-hämocoelarer Infektion eine Zunahme der CpGV Genome in Abhängigkeit der Zeit festgestellt werden. Dagegen konnte in den Geweben aus CpRR1 nach oraler sowie intra-hämocoelarer Infektion keine Virusreplikation detektiert werden. Dies deutet darauf hin, dass die CpGV Resistenz in allen Zelltypen präsent ist. 4) Um zu untersuchen ob ein humoraler Faktor in der Hämolymphe ursächlich an der Resistenz beteiligt ist, wurde Hämolymphe aus CpRR1 Larven in CpS Larven injiziert und diese anschließend oral mit CpGV infiziert. Es konnte jedoch keine Immunreaktion beobachtet und kein Faktor in der Hämolymphe identifiziert werden, der Resistenz induzieren könnte. Auf Grundlage dieser Ergebnisse kann festgestellt werden, dass in resistenten Apfelwicklerlarven die virale Replikation in allen Zelltypen verhindert wird, was auf eine Virus-Zell Inkompatibilität hinweist. Da in CpRR1 keine DNA Replikation beobachtet wurde, wird die CpGV Resistenz wahrscheinlich durch eine frühe Unterbindung der Virusreplikation verursacht.Das früh exprimierte Gen pe38 codiert für ein Protein, das wahrscheinlich für die Resistenzbrechung durch CpGV-I12 verantwortlich ist. Interaktionen zwischen dem Protein PE38 und Proteinen in CpRR1 wurden mit Hilfe des Yeast Two-Hybrid (Y2H) Systems untersucht. Die detektierten Interaktionen sind noch nicht durch andere Methoden bestätigt, jedoch wurden zwei mögliche Gene auf dem Z-Chromosom und eines auf Chromosom 15 gefunden, wie möglicherweise an der CpGV Resistenz beteiligt sind.

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Pränatale Infektionen mit dem humanen Cytomegalovirus (HCMV) sind die häufigste Ursache frühkindlicher Schädigung, noch vor dem Down-Syndrom oder dem fetalen Alkoholsyndrom. Reaktivierung dieses Herpesvirus ist darüber hinaus als lebensbedrohliche Komplikation in der Transplantationsmedizin gefürchtet. Von Experten wurde daher die Entwicklung einer Vakzine vielfach angemahnt. Trotz unterschiedlicher Ansätze zu ihrer Entwicklung ist bisher jedoch kein Impfstoff verfügbar. Die Verwendung von subviralen Dense Bodies (DB) des Virus als Vakzinegrundlage stellt eine vielversprechende Strategie zur HCMV-Impfstoffentwicklung dar. DB enthalten bereits in ihrer natürlichen Form wichtige Zielantigene der humoralen und zellulären Immunantwort gegen HCMV. Durch gezielte Mutation des 230.000 Basenpaare umfassenden Genoms des HCMV konnte in Vorarbeiten der Beweis erbracht werden, dass DB hinsichtlich ihres antigenen Repertoires optimierbar sind. Allerdings waren Immunogenität und erzielte Ausbeuten noch unbefriedigend. Ziel der vorliegenden Arbeit war es, den Ansatz der Verwendung modifizierter DB als Impfstoff-Grundlage weiter zu entwickeln und Erkenntnisse über die für die Partikelbildung entscheidenden molekularen Mechanismen zu erarbeiten. In einem ersten Abschnitt wurde der Ansatz der Modifikation von DB durch Insertion heterologer Peptidantigene in das virale Tegumentprotein pp65 verfeinert. Das pp65 ist die mengenmäßig dominante Komponente von DB. Durch Herstellung und Austestung definierter HCMV Mutanten konnte die Position 175 des pp65 als geeignete Insertionsstelle für virale wie für nicht-virale Antigene identifiziert werden. In einem zweiten Schritt der Arbeit wurde die Rolle des pp65 im Verlauf der viralen Vermehrung und Morphogenese näher untersucht. Grundlage für diese Analysen war eine Virusmutante, die eine dominant-negative Variante des pp65 exprimierte. Vergleichende massenspektrometrische Untersuchungen unter Einbeziehung von pp65-kompetenten und pp65-negativen Virusmutanten zeigten, dass pp65 in der spät-infizierten Zelle mit dem viralen RNA-Exportfaktor pUL69 und der virale Kinase pUL97 komplexiert vorkommt. Das pp65 wurde als Substrat von pUL97 identifiziert. Daneben wurden essentielle Proteine des viralen Replikationsapparates, sowie zelluläre Proteine des RNA-Metabolismus und Transports und virale DNA in diesen Komplexen gefunden. Die Ergebnisse deuteten darauf hin, dass pp65 zu späten Zeitpunkten der viralen Infektion zu Stellen viraler DNA rekrutiert wird und dort regulatorisch in posttranskriptionelle Vorgänge von RNA Prozessierung oder RNA Transport eingreift. Die Hypothese, dass pp65 einen regulatorischen Einfluss auf die RNA-Exportfunktion von pUL69 nimmt, liegt nahe und ist nun in weiteren Analysen prüfbar.

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L’obiettivo della tesi è studiare il virus HIV-1 in relazione alle alterazioni sistemiche, riscontrate nel paziente HIV-infetto, in particolare alterazioni a carico del sistema scheletrico, indotte dal virus o dall’azione dei farmaci utilizzati nella terapia antiretrovirale (HAART). L’incidenza dell’osteoporosi nei pazienti HIV-positivi è drammaticamente elevata rispetto alla popolazione sana. Studi clinici hanno evidenziato come alcuni farmaci, ad esempio inibitori della proteasi virale, portino alla compromissione dell’omeostasi ossea, con aumento del rischio fratturativo. Il nostro studio prevede un follow-up di 12 mesi dall’inizio della HAART in una coorte di pazienti naïve, monitorando diversi markers ossei. I risultati ottenuti mostrano un incremento dei markers metabolici del turnover osseo, confermando l’impatto della HAART sull’omeostasi ossea. Successivamente abbiamo focalizzato la nostra attenzione sugli osteoblasti, il citotipo che regola la sintesi di nuova matrice ossea. Gli esperimenti condotti sulla linea HOBIT mettono in evidenza come il trattamento, in particolare con inibitori della proteasi, porti ad apoptosi nel caso in cui vi sia una concentrazione di farmaco maggiore di quella fisiologica. Tuttavia, anche concentrazioni fisiologiche di farmaci possono regolare negativamente alcuni marker ossei, come ALP e osteocalcina. Infine esiste la problematica dell’eradicazione di HIV-1 dai reservoirs virali. La HAART riesce a controllare i livelli viremici, ciononostante diversi studi propongono alcuni citotipi come potenziali reservoir di infezione, vanificando l’effetto della terapia. Abbiamo, perciò, sviluppato un nuovo approccio molecolare all’eradicazione: sfruttare l’enzima virale integrasi per riconoscere in modo selettivo le sequenze LTR virali per colpire il virus integrato. Fondendo integrasi e l’endonucleasi FokI, abbiamo generato diversi cloni. Questi sono stati transfettati stabilmente in cellule Jurkat, suscettibili all’infezione. Una volta infettate, abbiamo ottenuto una significativa riduzione dei markers di infezione. Successivamente la transfezione nella linea linfoblastica 8E5/LAV, che porta integrata nel genoma una copia di HIV, ha dato risultati molto incoraggianti, come la forte riduzione del DNA virale integrato.

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L'infezione da HIV-1 resta ancora oggi una delle principali problematiche nell'ambito della sanità mondiale, con circa 35 milioni di individui infetti in tutto il mondo. L'introduzione della terapia antiretrovirale combinata (cART) ha drasticamente modificato l’evoluzione di questa infezione, che da patologia a sviluppo terminale dopo alcuni anni dalla trasmissione, è diventata una patologia cronica con una lunga aspettativa di vita per i pazienti. Tuttavia, la cART non è in grado di eradicare l’infezione e nei pazienti HIV-infetti trattati è possibile notare un aumento della comparsa di comorbidità, tra le quali le più frequentemente riscontrate sono lesioni al sistema nervoso centrale, ai reni, al tessuto osseo, al fegato e al sistema cardiovascolare. I danni al sistema cardiocircolatorio derivano da una serie di concause virologiche, comportamentali, ambientali e farmacologiche che alterano la parete vascolare, il metabolismo dei lipidi e la regolazione della coagulazione, inducendo la formazione di lesioni strutturali di tipo aterosclerotico che sono alla base dell’aumentata incidenza di infarti, ictus e alterazioni del circolo osservabili nei pazienti HIV-positivi. Dalla recente letteratura è emerso come l’omeostasi del tessuto endoteliale sia regolata anche a livello delle cellule staminali mesenchimali (MSC) presenti nella parete vascolare. Per questo abbiamo voluto analizzare possibili effetti dell’infezione di HIV, delle sue proteine e di alcune molecole antiretrovirali sulla vitalità e sul differenziamento delle MSC purificate dalla parete arteriosa umana. I risultati ottenuti indicano come l’infezione da HIV e l’azione delle proteine gp120 e Tat attivino il meccanismo di apoptosi nelle MSC e una profonda alterazione nel differenziamento verso la filiera adipocitaria e verso quella endoteliale. Inoltre, alcune molecole ad azione antiretrovirale (in particolare specifici inibitori della proteasi virale) sono in grado bloccare il differenziamento delle MSC verso le cellule endoteliali. Dall’insieme di queste osservazioni emergono nuovi meccanismi patogenetici correlati al danno cardiovascolare riscontrato nei pazienti HIV-positivi.

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L'epatite E è una malattia umana con caratteristiche di epatite acuta, causata da un ssRNA virus (HEV). Nel 1997, HEV è stato identificato per la prima volta nei suini (SwHEV). In seguito, diverse evidenze, tra cui la vicinanza genetica tra ceppi umani e suini, suggerirono la trasmissione zoonotica del virus. Nella presente tesi, l’identificazione di SwHEV è stata condotta mediante ricerca di porzioni di genoma virale attraverso RT-PCR. Dal 2011 al 2013, sono stati analizzati 343 campioni fecali (da 19 allevamenti) e 70 bili (da 2 macelli) prelevati da altrettanti suini, in diverse Regioni italiane. E’ stato inoltre condotto uno studio retrospettivo su 78 feci (da 3 allevamenti) raccolte nel 2000. Il virus è stato identificato nel 24,5% e 19,2% delle feci raccolte rispettivamente nel 2011-2013 e nel 2000. Nessuna bile è risultata positiva. Mediante sequenziamento del genoma intero di uno dei virus identificati, è stata condotta l’analisi filogenetica per valutarne il grado di correlazione con alti ceppi suini e umani. La presenza di HEV è stata valutata lungo la filiera di produzione suina, dal macello al punto vendita. Trentaquattro campioni di feci, fegato e muscolo sono stati raccolti in un macello da altrettanti suini sani (età:6-7 mesi). Quattordici feci e 2 fegati, sono risultati positivi per HEV. Sono state prelevate 129 salsicce sia allo stabilimento di trasformazione sia alla vendita, ma nessuna è risultata positiva. La presenza di HEV è stata valutata anche nelle salsicce di fegato, fresche e secche, acquistate presso una macelleria. Il genoma virale è stato rilevato nel 22,2% delle salsicce fresche e nel 4,3 % di quelle secche ma la vitalità del virus non è stata dimostrata. In conclusione, lo studio condotto ha confermato l’ampia circolazione di HEV nei suini e la possibile contaminazione dei prodotti carnei derivati, confermando la necessità di una continua sorveglianza.

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Introduzione: La malattia mani-piedi-bocca è una patologia infettiva tipica della prima infanzia causata dagli enterovirus, in particolare i sierotipi Coxsackievirus A16 ed Enterovirus 71. A partire dal 2008, ne è stata descritta un’epidemia da Coxsackievirus A6, in genere accompagnata da febbre elevata e che si distingue per lo sviluppo di piccole vescicole che progrediscono a lesioni vescicolo-bollose e a bolle vere e proprie. Inoltre, nei pazienti affetti da dermatite atopica, le lesioni tendono a localizzarsi sulle aree eczematose. Abbiamo quindi svolto uno studio osservazionale prospettico per descrivere le caratteristiche cliniche delle forme atipiche di malattia mani-piedi-bocca. Metodi: Sono stati arruolati i pazienti affetti da una forma atipica di malattia mani-piedi-bocca giunti consecutivamente presso l’Ambulatorio di Dermatologia Pediatrica del Policlinico S.Orsola-Malpighi di Bologna tra gennaio 2012 e febbraio 2014. Abbiamo valutato distribuzione, tipologia ed estensione delle lesioni. In un gruppo di pazienti è stata inoltre eseguita l’identificazione virale sul fluido vescicolare. Risultati: Abbiamo arruolato 47 pazienti (68% maschi) con un’età mediana di 22 mesi. Sono stati individuati 3 aspetti clinici principali: 1) forma acrale (distribuzione delle lesioni prevalentemente acrale), nel 62% dei soggetti; 2) eczema coxsackium (lesioni localizzate su aree eczematose), nel 23% dei soggetti; 3) forma diffusa (estensione delle lesioni al tronco), nel 15% dei soggetti. Inoltre, nell’80% circa dei pazienti si riscontravano macule purpuriche acrali, circa la metà dei pazienti aveva lesioni con aspetto purpurico e il 72% un interessamento dei glutei. In 9 su 11 soggetti genotipizzati è stato isolato il Coxsackievirus A6. Conclusioni: Questo studio ha permesso di descrivere tre fenotipi di malattia mani-piedi-bocca atipica, che deve essere correttamente identificata al fine di non porre diagnosi errate quali varicella, eczema herpeticum, vasculiti, impetigine, e di potere così procedere ad una gestione appropriata della patologia.

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La Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (AIDS o SIDA) causata da HIV-1 (Virus dell'Immunodeficienza umana) è caratterizzata dalla graduale compromissione del sistema immunitario del soggetto colpito. Le attuali terapie farmacologiche, purtroppo, non riescono a eliminare l'infezione a causa della comparsa di continui ceppi resistenti ai farmaci, e inoltre questi trattamenti non sono in grado di eliminare i reservoir virali latenti e permettere l'eradicazione definitiva del virus dall’organismo. E' in questo ambito che si colloca il progetto a cui ho lavorato principalmente in questi anni, cioè la creazione di una strategia per eradicare il provirus di HIV integrato nel genoma della cellula ospite. L'Integrasi di HIV-1 è un enzima che media l'integrazione del cDNA virale nel genoma della cellula ospite. La nostra idea è stata, quindi, quella di associare all'attività di legame dell'IN stessa, un'attività catalitica. A tal fine abbiamo creato una proteina chimerica costituita da un dominio DNA-binding, dato dall'Integrasi, e da un dominio con attività nucleasica fornito dall'enzima FokI. La chimera ottenuta è stata sottoposta a mutagenesi random mediante UV, ed è stata oggetto di selezione in vivo, al fine di ottenere una chimera capace di riconoscere, specificamente le LTR di HIV-1, e idrolizzare i siti di inserzione. Questo lavoro porterà a definire pertanto se l'IN di HIV può essere riprogrammata a catalizzare una nuova funzione mediante la sostituzione dell'attività del proprio dominio catalitico con quello di FokI.

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MVA ist ein attenuiertes Vakziniavirus, das durch wiederholte Passagierung von Chorioallantoisvirus Ankara auf Hühnerembryofibroblasten gewonnen wurde. Es ist bis auf wenige Ausnahmen nicht mehr in der Lage, in Säugerzellen zu replizieren, zeigt aber dennoch eine vollständige virale Proteinexpression und induziert nach Immunisierung eine zu VACV vergleichbare Immunantwort. Aus diesem Grund wurde es bereits als Impfstoff gegen die menschliche Pockenerkrankung eingesetzt, ohne hierbei die bei den klassischen Impfviren beobachtbaren Nebenwirkungen hervorzurufen. Das Genom von MVA enthält jedoch noch Immunmodulatoren, deren Deletion Ansatzpunkt für die weitere Verbesserung des Impfstoffes sein kann. Im Rahmen der vorliegenden Arbeit wurde eine Deletionsmutante untersucht, bei der das Gen für den Interleukin-1β Rezeptor (IL-1βR) deletiert ist (MVA ΔIL-1βR). Es konnte nachgewiesen werden, dass der IL-1βR in murinen als auch in humanen Zellen exprimiertes IL-1β bindet und somit inaktiviert. Des Weiteren wurde gefunden, dass MVA in der Lage ist, IL-1β in antigenpräsentierenden Zellen zu induzieren, welches aber durch die Neutralisierung aufgrund des IL-1βR nur transient nachzuweisen war. Im Gegensatz dazu induzierte MVA ΔIL-1βR eine anhaltende und um ein Vielfaches erhöhte Sekretion an IL-1β. Untersuchungen in antigenpräsentierenden Zellen aus knock-out Mäusen, die verschiedene Defizienzen in den Signalwegen zur IL-1β-Induktion trugen, zeigten, dass die Sekretion von IL-1β von Caspase-1 abhängig war, welches wahrscheinlich aus der vorgeschalteten Aktivierung der NLRP3- und/oder AIM2-Inflammasomen resultierte. Interessanterweise wurden auch Caspase-1 unabhängige Mechanismen beobachtet, die auf eine Inflammasom-unabhängige IL-1β-Induktion hinweisen könnten. In Bezug auf die Immunaktivierung führte die vermehrte Sekretion von IL-1β durch MVA ΔIL-1βR vermutlich zu einer verbesserten Antigenpräsentation, die die nachfolgende T-Zellantwort beeinflusste. In Übereinstimmung mit bereits veröffentlichten Daten wurde nach Immunisierung mit MVA ΔIL-1βR eine effektivere Gedächtnis-T-Zellantwort festgestellt, deren Charakteristika und zu Grunde liegenden Mechanismen hier untersucht wurden. Jedoch konnten weder Unterschiede in weiteren pro-inflammatorischen Zytokinmustern noch im Verlauf insbesondere der CD8+ T-Zell-Aktivierung und -erhaltung zwischen MVA und MVA ΔIL-1βR beobachtet werden. Als mögliche weitere Ursache für die veränderte Gedächtnis-T-Zellantwort könnte daher eine vermehrte Stimulation durch antigenpräsentierende Zellen und eine IL-21-vermittelte bessere Unterstützungsfunktion der CD8+ Gedächtnis-T-Zellen durch CD4+ T-Zellen in Frage kommen. Zusammenfassend konnten hier neue molekulare Mechanismen, die zur Induktion von IL-1β nach einer MVA-Infektion führen, aufgedeckt werden. Darüber hinaus existieren bereits erste Hinweise auf einen Vorteil der Deletion des IL-1βR für MVA-basierte Vektorimpfstoffe. Die vorliegende Arbeit hat weitere Daten erhoben, die das Erzielen verbesserter Immunantworten nach Immunisierung mit MVA ΔIL-1βR unterstützen, woraus sich neue Ansätze für die Entwicklung MVA-basierter Impfstoffe ergeben könnten.

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Die Lunge stellt einen Hauptort der CMV-Latenz dar. Die akute CMV-Infektion wird durch infiltrierende antivirale CD8 T-Zellen terminiert. Das virale Genom verbleibt jedoch im Lungengewebe in einem nicht replikativen Zustand, der Latenz, erhalten. Es konnte bereits gezeigt werden, dass während der Latenz die Major Immediate Early- (MIE) Gene ie1- und ie2 sporadisch transkribiert werden. Bisher konnte diese beginnende Reaktivierung latenter CMV-Genome nur in einer Momentaufnahme gezeigt werden (Kurz et al., 1999; Grzimek et al., 2001; Simon et al., 2005; zur Übersicht: Reddehase et al., 2008). Die sporadische Expression der MIE-Gene führt jedoch zur Präsentation eines antigenen IE1-Peptids und somit zur Stimulation antiviraler IE1-Peptid-spezifischer CD8 T-Zellen, die durch ihre Effektorfunktion die beginnende Reaktivierung wieder beenden. Dies führte uns zu der Hypothese, dass MIE-Genexpression über einen Zeitraum betrachtet (period prevalence) häufiger stattfindet als es in einer Momentaufnahme (point prevalence) beobachtet werden kann.rnrnUm die Häufigkeit der MIE-Genexpression in der Dynamik in einem definierten Zeitraum zu erfassen, sollte eine Methode entwickelt werden, welche es erstmals ermöglicht, selektiv und konditional transkriptionell aktive Zellen sowohl während der akuten Infektion als auch während der Latenz auszulöschen. Dazu wurde mit Hilfe der Zwei-Schritt BAC-Mutagenese ein rekombinantes death-tagged Virus hergestellt, welches das Gen für den Diphtherie Toxin Rezeptor (DTR) unter Kontrolle des ie2-Promotors (P2) enthält. Ist der P2 transkriptionell aktiv, wird der DTR an der Zelloberfläche präsentiert und die Zelle wird suszeptibel für den Liganden Diphtherie Toxin (DT). Durch Gabe von DT werden somit alle Zellen ausgelöscht, in denen virale Genome transkriptionell aktiv sind. Mit zunehmender Dauer der DT-Behandlung sollte also die Menge an latenten viralen Genomen abnehmen.rnrnIn Western Blot-Analysen konnte das DTR-Protein bereits 2h nach der Infektion nachgewiesen werden. Die Präsentation des DTR an der Zelloberfläche wurde indirekt durch dessen Funktionalität bewiesen. Das rekombinante Virus konnte in Fibroblasten in Gegenwart von DT nicht mehr replizieren. In akut infizierten Tieren konnte die virale DNA-Menge durch eine einmalige intravenöse (i.v.) DT-Gabe signifikant reduziert werden. Verstärkt wurde dieser Effekt durch eine repetitive i.v. DT-Gabe. Auch während der Latenz gelang es, die Zahl der latenten viralen Genome durch repetitive i.v. und anschließende intraperitoneale (i.p.) DT-Gabe zu reduzieren, wobei wir abhängig von der Dauer der DT-Gabe eine Reduktion um 60\% erreichen konnten. Korrespondierend zu der Reduktion der DNA-Menge sank auch die Reaktivierungshäufigkeit des rekombinanten Virus in Lungenexplantatkulturen. rnrnrnUm die Reaktivierungshäufigkeit während der Latenz berechnen zu können, wurde durch eine Grenzverdünnungsanalyse die Anzahl an latenten viralen Genomen pro Zelle bestimmt. Dabei ergab sich eine Kopienzahl von 9 (6 bis 13). Ausgehend von diesen Ergebnissen lässt sich berechnen, dass, bezogen auf die gesamte Lunge, in dem getesteten Zeitraum von 184h durch die DT-Behandlung 1.000 bis 2.500 Genome pro Stunde ausgelöscht wurden. Dies entspricht einer Auslöschung von 110 bis 280 MIE-Gen-exprimierenden Lungenzellen pro Stunde. Damit konnte in dieser Arbeit erstmals die Latenz-assoziierte Genexpression in ihrer Dynamik dargestellt werden.rn

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Primary varicella-zoster virus (VZV) infection during childhood leads to varicella commonly known as chickenpox. After primary infection has occurred VZV establishes latency in the host. During subsequent lifetime the virus can cause reactivated infection clinically known as herpes zoster or shingles. In immunodeficient patients’ dissemination of the virus can lead to life-threatening disease. Withdrawal of acyclovir drug prophylaxis puts allogeneic hematopoietic stem-cell transplantation (HSCT) patients at increased risk for herpes zoster as long as VZV-specific cellular immunity is impaired. Although an efficient live attenuated VZV vaccine for zoster prophylaxis exists, it is not approved in immunocompromised patients due to safety reasons. Knowledge of immunogenic VZV proteins would allow designing a noninfectious nonhazardous subunit vaccine suitable for patients with immunodeficiencies. The objective of this study was to identify T cell defined virus proteins of a VZV-infected Vero cell extract that we have recently described as a reliable antigen format for interferon-gamma (IFN-γ) enzyme-linked immunosorbent spot (ELISpot) assays (Distler et al. 2008). We first separated the VZV-infected/-uninfected Vero cell extracts by size filtration and reverse-phase high performance liquid chromatography (RP-HPLC). The collected fractions were screened for VZV reactivity with peripheral blood mononuclear cells (PBMCs) of VZV-seropositive healthy individuals in the sensitive IFN-γ ELISpot assay. Using this strategy, we successfully identified bioactive fractions that contained immunogenic VZV material. VZV immune reactivity was mediated by CD4+ memory T lymphocytes (T cells) of VZV-seropositive healthy individuals as demonstrated in experiments with HLA blockade antibodies and T cell subpopulations already published by Distler et al. We next analyzed the bioactive fractions with electrospray ionization mass spectrometry (ESI-MS) techniques and identified the sequences of three VZV-derived proteins: glycoprotein E (gE); glycoprotein B (gB), and immediate early protein 62 (IE62). Complementary DNA of these identified proteins was used to generate in vitro transcribed RNA for effective expression in PBMCs by electroporation. We thereby established a reliable and convenient IFN-γ ELISPOT approach to screen PBMCs of healthy donors and HSCT patients for T cell reactivity to single full-length VZV proteins. Application in 10 VZV seropositive healthy donors demonstrated much stronger recognition of glycoproteins gE and gB compared to IE62. In addition, monitoring experiments with ex vivo PBMCs of 3 allo-HSCT patients detected strongly increased CD4+ T cell responses to gE and gB for several weeks to months after zoster onset, while IE62 reactivity remained moderate. Overall our results show for the first time that VZV glycoproteins gE and gB are major targets of the post-transplant anti-zoster CD4+ T cell response. The screening approach introduced herein may help to select VZV proteins recognized by memory CD4+ T cells for inclusion in a subunit vaccine, which can be safely used for zoster prophylaxis in immunocompromised HSCT patients.

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Immune modulation by herpesviruses, such as cytomegalovirus, is critical for the establishment of acute and persistent infection confronting a vigorous antiviral immune response of the host. Therefore, the action of immune-modulatory proteins has long been the subject of research, with the final goal to identify new strategies for antiviral therapy.rnIn the case of murine cytomegalovirus (mCMV), the viral m152 protein has been identified to play a major role in targeting components of both the innate and the adaptive immune system in terms of infected host-cell recognition in the effector phase of the antiviral immune response. On the one hand, it inhibits cell surface expression of RAE-1 and thereby prevents ligation of the activating natural killer (NK)-cell receptor NKG2D. On the other hand, it decreases cell surface expression of peptide-loaded MHC class I molecules thereby preventing antigen presentation to CD8 T cells. Ultimately, the outcome of CMV infection is determined by the interplay between viral and cellular factors.rnIn this context, the work presented here has revealed a novel and intriguing connection between viral m152 and cellular interferon (IFN), a key cytokine of the immune system: rnthe m152 promoter region contains an interferon regulatory factor element (IRFE) perfectly matching the consensus sequence of cellular IRFEs.rnThe biological relevance of this regulatory element was first suggested by sequence comparisons revealing its evolutionary conservation among various established laboratory strains of mCMV and more recent low-passage wild-derived virus isolates. Moreover, search of the mCMV genome revealed only three IRFE sites in the complete sequence. Importantly, the functionality of the IRFE in the m152 promoter was confirmed with the use of a mutant virus, representing a functional deletion of the IRFE, and its corresponding revertant virus. In particular, m152 gene expression was found to be inhibited in an IRFE-dependent manner in infected cells. Essentially, this inhibition proved to have a severe impact on the immune-modulatory function of m152, first demonstrated by a restored direct antigen presentation on infected cells for CD8 T-cell activation. Even more importantly, this effect of IRFE-mediated IFN signaling was validated in vivo by showing that the protective antiviral capacity of adoptively-transferred, antigen-specific CD8 T cells is also significantly restored by the IRFE-dependent inhibition of m152. Somewhat curious and surprising, the decrease in m152 protein simultaneously prevented an enhanced activation of NK cells in acute-infected mice, apparently independent of the RAE-1/NKG2D ligand/receptor interaction but rather due to reduced ‘missing-self’ recognition.rnTaken together, this work presents a so far unknown mechanism of IFN signaling to control mCMV immune modulation in acute infection.rnrn

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Mechanismen der zentralen und der peripheren Toleranz schützen den Körper vor Immunreaktionen gegen körpereigenes Gewebe oder gegen harmlose Umweltantigene. An der Aufrechterhaltung der peripheren Toleranz sind tolerogene Dendritische Zellen (DC) beteiligt. Tolerogene DC können in vitro u.a. mit Hilfe von immunsuppressiven und antiinflammatorischen Substanzen, aber auch durch virale Transduktionen, die zur Denovo- oder Überexpression toleranzassoziierter Moleküle führen, generiert werden. rnDa die Wirkung einiger immunmodulatorischer Substanzen über den intrazellulären sekundären Botenstoff cAMP vermittelt wird, sollte getestet werden, welchen Einfluss eine direkte Erhöhung des intrazellulären cAMP-Niveaus mittels Dibutyryl-cyclo-Adenosin-3´,5´-Mono-Phoshat (db-cAMP) auf die phänotypischen und funktionellen Eigenschaften von BM-DC („bone marrow derived dendritic cells“) hat.rnIm Vergleich zu unbehandelten BM-DC wiesen db-cAMP-DC ein vermindertes T-Zell-Stimulierungs-potenzial auf. Dieses verminderte T-Zell-Stimulierungspotenzial wird teilweise über die Proteinkinase A, nicht aber über Cyclooxygenase-2 (Cox-2) vermittelt. rnAnhand der FACS-Analyse mit DC- und MDSC- („myeloid derived suppressor cells“) spezifischen Markern konnte gezeigt werden, dass es sich bei den db-cAMP-DC um CD11c-positive DC mit einer vergleichsweise niedrigen Expression von MHCII und kostimulatorischen Oberflächenmolekülen handelt. Des Weiteren zeigte sich, dass sie verglichen mit BM-DC eine vermehrte mRNA-Expression der koinhibitorischen Moleküle B7-H1 und LIGHT und der toleranzassoziierten Moleküle FcγRIIB, HO-1 und Cox-2 aufweisen. Mittels ELISA konnte eine gesteigerte Expression der HO-1- und eine moderat gesteigerte PGE2-Synthese beobachtet werden. PGE2 wird mit Hilfe der Cox-2 aus Arachidonsäure gebildet.rnIm Gegensatz zu BM-DC wiesen db-cAMP-DC in beiden Reifungsstadien ein verändertes Zytokinprofil auf: Auf mRNA-Ebene zeigte sich, dass db-cAMP-DC verglichen mit BM-DC vermehrt IL-1RA und IL-10 exprimieren. Dieser Unterschied konnte für IL-10 auch mittels ELISA bestätigt werden. In den Kulturüberständen der stimulierten db-cAMP-DC konnte, im Gegensatz zu denen stimulierter BM-DC, kaum bioaktives IL-12 nachgewiesen werden. rnDb-cAMP-DC induzierten des Weiteren in kokultivierten allogenen T-Zellen ein differenzielles Zytokinprofil: Sie förderten die INFγ- und IL-17-Sezernierung durch T-Zellen, während die IL-5-Sezernierung geringer war, wenn T-Zellen mit stimulierten db-cAMP-DC kokultiviert wurden. Db-cAMP-DC hatten hingegen keinen Einfluss auf die IL-10-Produktion. Außerdem führte eine Kokultur der db-cAMP-DC mit allogenen T-Zellen nicht zu einer gesteigerten Induktion von FoxP3+ Treg. rnIn einem zweiten Ansatz sollte getestet werden ob es möglich ist die murine DC-Linie SP37A3 lentiviral mit dem toleranzassoziierten Oberflächenprotein B7-H3 zu transduzieren. Dies ist von Interesse, da die SP37A3-Zellen einige Vorteile gegenüber BM-DC aufweisen, wie z.B. ihren homogeneren Phänotyp und die Möglichkeit sie in einer Expansionskultur zu halten.rnEs konnte gezeigt werden, dass SP37A3-Zellen als Modell für myeloide DC für die Transduktion mit lentiviralen Partikeln geeignet sind. Hierbei zeigte es sich aber, dass darauf geachtet werden muss, mit konzentriertem Virus zu arbeiten und dass die Reportergen-Expression der Zielzellen über mehr als 3 Tage (mindestens 7 Tage) untersucht werden muss. Nur so kann eine eventuell auftretende Pseudotransduktion erkannt und verhindert werden. Ab einer MOI („multiplicity of infection“) von 50 konnte in SP37A3-Zellen eine Transgen-Expression nachgewiesen werden.rn