966 resultados para according Mangerud and Gulliksen (1975)
Resumo:
This study was designed in an attempt to identify the risk factors that could be significantly associated with angio graphic recurrences after selective endovascular treatment of aneurysms with inert platinum coils. A retrospective analysis of all patients with selective endovascular coil occlusion of intracranial aneurysms was prospectively collected from 1999 to 2003. There were 455 aneurysms treated with inert platinum coils and followed by digital subtraction angiography. Angio graphic results were classified according Roy and Raymond's classification. Recurrences were subjectively divided into minor and major. The most significant predictors for angio graphic recurrences were determined by ANOVAs logistic regression, Cochran-Mantel-Haenszel test, Fisher exact probability. Short-term (4.3 +/- 1.4 months) follow-up angiograms were available in 377 aneurysms, middle-term (14.1 +/- 4.0 months) in 327 and long-term (37.4 +/- 11.5 months) in 180. Recurrences were found in 26.8% of treated aneurysms with a mean of 21 +/- 15.7 months of follow-up. Major recurrences needing retreatment were present in 8.8% during a mean period follow-up of 17.9 +/- 12.29 months after the initial endovascular treatment. One patient (0.2%) experienced a bleed during the follow-up period. Recurrences after endovascular treatment of aneurysms with inert platinum coils are frequent, but hemorrhages are unusual. Single aneurysm, ruptured aneurysm, neck greater than 4 mm and time of follow-up were risk factors for recurrence after endovascular treatment. The retreatment of recurrent aneurysm decreases the risk of major recurrences 9.8 times. Long-term angiogram monitoring is necessary for the population with significant recurrence predictors.
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OBJETIVOS: Relatamos os resultados de um estudo de coorte retrospectivo envolvendo 139 pacientes com dermatomiosite, conduzido de 1991 a 2011. MÉTODOS: Todos os pacientes preenchiam pelo menos quatro dos cinco critérios de Bohan and Peter (1975). RESULTADOS: A média de idade dos pacientes no início da doença foi de 41,7 ± 14,1 anos, e a duração da doença foi de 7,2 ± 5,2 anos. A amostragem constitui-se de 90,2% de indivíduos brancos, 79,9% do gênero feminino. Sintomas constitucionais foram detectados em menos da metade dos casos. Envolvimentos cutâneo e articular ocorreram em 95,7% e 41,7% dos pacientes, respectivamente. Em 48,2% dos pacientes foram apresentadas pneumopatia incipiente, opacidades em "vidro fosco" e/ou fibrose pulmonar. Todos os pacientes receberam prednisona (1 mg/kg/dia) e 51,1% receberam também metilprednisolona intravenosa (1 g/dia por três dias). Vários imunossupressores foram usados como poupadores de corticosteroide de acordo com tolerância, efeitos colaterais e/ou refratariedade. Houve recidiva de doença (clínica e/ou laboratorial) em 53,2% dos casos; 76,3% permaneceram em remissão no momento do estudo. A taxa de infecção grave foi de 35,3%, com o predomínio de herpes zoster. Houve 15 (10,8%) casos de câncer, dos quais 12 foram confirmados em um período de um ano após o diagnóstico da doença. Houve ainda 16 óbitos (11,5%) cujas causas principais foram sepse/choque séptico (27,5%), pneumopatia atribuída à doença (31,3%), neoplasias (31,3%) e eventos cardiovasculares (12,5%). CONCLUSÕES: No presente trabalho, os dados clínico-laboratoriais foram semelhantes aos de outros grupos populacionais descritos na literatura, com diferenças mínimas quanto à frequência e às características das manifestações extramusculares.
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Descrizione, tema e obiettivi della ricerca La ricerca si propone lo studio delle possibili influenze che la teoria di Aldo Rossi ha avuto sulla pratica progettuale nella Penisola Iberica, intende quindi affrontare i caratteri fondamentali della teoria che sta alla base di un metodo progettuale ed in particolar modo porre l'attenzione alle nuove costruzioni quando queste si confrontano con le città storiche. Ha come oggetto principale lo studio dei documenti, saggi e scritti riguardanti il tema della costruzione all'interno delle città storiche. Dallo studio di testi selezionati di Aldo Rossi sulla città si vuole concentrare l'attenzione sull'influenza che tale teoria ha avuto nei progetti della Penisola Iberica, studiare come è stata recepita e trasmessa successivamente, attraverso gli scritti di autori spagnoli e come ha visto un suo concretizzarsi poi nei progetti di nuove costruzioni all'interno delle città storiche. Si intende restringere il campo su un periodo ed un luogo precisi, Spagna e Portogallo a partire dagli anni Settanta, tramite la lettura di un importante evento che ha ufficializzato il contatto dell'architetto italiano con la Penisola Iberica, quale il Seminario di Santiago de Compostela tenutosi nel 1976. Al Seminario parteciparono numerosi architetti che si confrontarono su di un progetto per la città di Santiago e furono invitati personaggi di fama internazionale a tenere lezioni introduttive sul tema di dibattito in merito al progetto e alla città storica. Il Seminario di Santiago si colloca in un periodo storico cruciale per la Penisola Iberica, nel 1974 cade il regime salazarista in Portogallo e nel 1975 cade il regime franchista in Spagna ed è quindi di rilevante importanza capire il legame tra l'architettura e la nuova situazione politica. Dallo studio degli interventi, dei progetti che furono prodotti durante il Seminario, della relazione tra questo evento ed il periodo storico in cui esso va contestualizzato, si intende giungere alla individuazione delle tracce della reale presenza di tale eredità. Presupposti metodologici. Percorso e strumenti di ricerca La ricerca può quindi essere articolata in distinte fasi corrispondenti per lo più ai capitoli in cui si articola la tesi: una prima fase con carattere prevalentemente storica, di ricerca del materiale per poter definire il contesto in cui si sviluppano poi le vicende oggetto della tesi; una seconda fase di impronta teorica, ossia di ricerca bibliografica del materiale e delle testimonianze che provvedono alla definizione della reale presenza di effetti scaturiti dai contatti tra Rossi e la Penisola Iberica, per andare a costruire una eredità ; una terza fase che entra nel merito della composizione attraverso lo studio e la verifica delle prime due parti, tramite l'analisi grafica applicata ad uno specifico esempio architettonico selezionato; una quarta fase dove il punto di vista viene ribaltato e si indaga l'influenza dei luoghi visitati e dei contatti intrattenuti con alcuni personaggi della Penisola Iberica sull'architettura di Rossi, ricercandone i riferimenti. La ricerca è stata condotta attraverso lo studio di alcuni eventi selezionati nel corso degli anni che si sono mostrati significativi per l'indagine, per la risonanza che hanno avuto sulla storia dell'architettura della Penisola. A questo scopo si sono utilizzati principalmente tre strumenti: lo studio dei documenti, le pubblicazioni e le riviste prodotte in Spagna, gli scritti di Aldo Rossi in merito, e la testimonianza diretta attraverso interviste di personaggi chiave. La ricerca ha prodotto un testo suddiviso per capitoli che rispetta l'organizzazione in fasi di lavoro. A seguito di determinate condizioni storiche e politiche, studiate nella ricerca a supporto della tesi espressa, nella Penisola Iberica si è verificato il diffondersi della necessità e del desiderio di guardare e prendere a riferimento l'architettura europea e in particolar modo quella italiana. Il periodo sul quale viene focalizzata l'attenzione ha inizio negli anni Sessanta, gli ultimi prima della caduta delle dittature, scenario dei primi viaggi di Aldo Rossi nella Penisola Iberica. Questi primi contatti pongono le basi per intense e significative relazioni future. Attraverso l'approfondimento e la studio dei materiali relativi all'oggetto della tesi, si è cercato di mettere in luce il contesto culturale, l'attenzione e l'interesse per l'apertura di un dibattito intorno all'architettura, non solo a livello nazionale, ma europeo. Ciò ha evidenziato il desiderio di innescare un meccanismo di discussione e scambio di idee, facendo leva sull'importanza dello sviluppo e ricerca di una base teorica comune che rende coerente i lavori prodotti nel panorama architettonico iberico, seppur ottenendo risultati che si differenziano gli uni dagli altri. E' emerso un forte interesse per il discorso teorico sull'architettura, trasmissibile e comunicabile, che diventa punto di partenza per un metodo progettuale. Ciò ha reso palese una condivisione di intenti e l'assunzione della teoria di Aldo Rossi, acquisita, diffusa e discussa, attraverso la pubblicazione dei suoi saggi, la conoscenza diretta con l'architetto e la sua architettura, conferenze, seminari, come base teorica su cui fondare il proprio sapere architettonico ed il processo metodologico progettuale da applicare di volta in volta negli interventi concreti. Si è giunti così alla definizione di determinati eventi che hanno permesso di entrare nel profondo della questione e di sondare la relazione tra Rossi e la Penisola Iberica, il materiale fornito dallo studio di tali episodi, quali il I SIAC, la diffusione della rivista "2C. Construccion de la Ciudad", la Coleccion Arquitectura y Critica di Gustavo Gili, hanno poi dato impulso per il reperimento di una rete di ulteriori riferimenti. E' stato possibile quindi individuare un gruppo di architetti spagnoli, che si identificano come allievi del maestro Rossi, impegnato per altro in quegli anni nella formazione di una Scuola e di un insegnamento, che non viene recepito tanto nelle forme, piuttosto nei contenuti. I punti su cui si fondano le connessioni tra l'analisi urbana e il progetto architettonico si centrano attorno due temi di base che riprendono la teoria esposta da Rossi nel saggio L'architettura della città : - relazione tra l'area-studio e la città nella sua globalità, - relazione tra la tipologia edificatoria e gli aspetti morfologici. La ricerca presentata ha visto nelle sue successive fasi di approfondimento, come si è detto, lo sviluppo parallelo di più tematiche. Nell'affrontare ciascuna fase è stato necessario, di volta in volta, operare una verifica delle tappe percorse precedentemente, per mantenere costante il filo del discorso col lavoro svolto e ritrovare, durante lo svolgimento stesso della ricerca, gli elementi di connessione tra i diversi episodi analizzati. Tale operazione ha messo in luce talvolta nodi della ricerca rimasti in sospeso che richiedevano un ulteriore approfondimento o talvolta solo una rivisitazione per renderne possibile un più proficuo collegamento con la rete di informazioni accumulate. La ricerca ha percorso strade diverse che corrono parallele, per quanto riguarda il periodo preso in analisi: - i testi sulla storia dell'architettura spagnola e la situazione contestuale agli anni Settanta - il materiale riguardante il I SIAC - le interviste ai partecipanti al I SIAC - le traduzioni di Gustavo Gili nella Coleccion Arquitectura y Critica - la rivista "2C. Construccion de la Ciudad" Esse hanno portato alla luce una notevole quantità di tematiche, attraverso le quali, queste strade vengono ad intrecciarsi e a coincidere, verificando l'una la veridicità dell'altra e rafforzandone il valore delle affermazioni. Esposizione sintetica dei principali contenuti esposti dalla ricerca Andiamo ora a vedere brevemente i contenuti dei singoli capitoli. Nel primo capitolo Anni Settanta. Periodo di transizione per la Penisola Iberica si è cercato di dare un contesto storico agli eventi studiati successivamente, andando ad evidenziare gli elementi chiave che permettono di rintracciare la presenza della predisposizione ad un cambiamento culturale. La fase di passaggio da una condizione di chiusura rispetto alle contaminazioni provenienti dall'esterno, che caratterizza Spagna e Portogallo negli anni Sessanta, lascia il posto ad un graduale abbandono della situazione di isolamento venutasi a creare intorno al Paese a causa del regime dittatoriale, fino a giungere all'apertura e all'interesse nei confronti degli apporti culturali esterni. E' in questo contesto che si gettano le basi per la realizzazione del I Seminario Internazionale di Architettura Contemporanea a Santiago de Compostela, del 1976, diretto da Aldo Rossi e organizzato da César Portela e Salvador Tarragó, di cui tratta il capitolo secondo. Questo è uno degli eventi rintracciati nella storia delle relazioni tra Rossi e la Penisola Iberica, attraverso il quale è stato possibile constatare la presenza di uno scambio culturale e l'importazione in Spagna delle teorie di Aldo Rossi. Organizzato all'indomani della caduta del franchismo, ne conserva una reminescenza formale. Il capitolo è organizzato in tre parti, la prima si occupa della ricostruzione dei momenti salienti del Seminario Proyecto y ciudad historica, dagli interventi di architetti di fama internazionale, quali lo stesso Aldo Rossi, Carlo Aymonino, James Stirling, Oswald Mathias Ungers e molti altri, che si confrontano sul tema delle città storiche, alle giornate seminariali dedicate all’elaborazione di un progetto per cinque aree individuate all’interno di Santiago de Compostela e quindi dell’applicazione alla pratica progettuale dell’inscindibile base teorica esposta. Segue la seconda parte dello stesso capitolo riguardante La selezione di interviste ai partecipanti al Seminario. Esso contiene la raccolta dei colloqui avuti con alcuni dei personaggi che presero parte al Seminario e attraverso le loro parole si è cercato di approfondire la materia, in particolar modo andando ad evidenziare l’ambiente culturale in cui nacque l’idea del Seminario, il ruolo avuto nella diffusione della teoria di Aldo Rossi in Spagna e la ripercussione che ebbe nella pratica costruttiva. Le diverse interviste, seppur rivolte a persone che oggi vivono in contesti distanti e che in seguito a questa esperienza collettiva hanno intrapreso strade diverse, hanno fatto emergere aspetti comuni, tale unanimità ha dato ancor più importanza al valore di testimonianza offerta. L’elemento che risulta più evidente è il lascito teorico, di molto prevalente rispetto a quello progettuale che si è andato mescolando di volta in volta con la tradizione e l’esperienza dei cosiddetti allievi di Aldo Rossi. Negli stessi anni comincia a farsi strada l’importanza del confronto e del dibattito circa i temi architettonici e nel capitolo La fortuna critica della teoria di Aldo Rossi nella Penisola Iberica è stato affrontato proprio questo rinnovato interesse per la teoria che in quegli anni si stava diffondendo. Si è portato avanti lo studio delle pubblicazioni di Gustavo Gili nella Coleccion Arquitectura y Critica che, a partire dalla fine degli anni Sessanta, pubblica e traduce in lingua spagnola i più importanti saggi di architettura, tra i quali La arquitectura de la ciudad di Aldo Rossi, nel 1971, e Comlejidad y contradiccion en arquitectura di Robert Venturi nel 1972. Entrambi fondamentali per il modo di affrontare determinate tematiche di cui sempre più in quegli anni si stava interessando la cultura architettonica iberica, diventando così ¬ testi di riferimento anche nelle scuole. Le tracce dell’influenza di Rossi sulla Penisola Iberica si sono poi ricercate nella rivista “2C. Construccion de la Ciudad” individuata come strumento di espressione di una teoria condivisa. Con la nascita nel 1972 a Barcellona di questa rivista viene portato avanti l’impegno di promuovere la Tendenza, facendo riferimento all’opera e alle idee di Rossi ed altri architetti europei, mirando inoltre al recupero di un ruolo privilegiato dell’architettura catalana. A questo proposito sono emersi due fondamentali aspetti che hanno legittimato l’indagine e lo studio di questa fonte: - la diffusione della cultura architettonica, il controllo ideologico e di informazione operato dal lavoro compiuto dalla rivista; - la documentazione circa i criteri di scelta della redazione a proposito del materiale pubblicato. E’ infatti attraverso le pubblicazioni di “2C. Construccion de la Ciudad” che è stato possibile il ritrovamento delle notizie sulla mostra Arquitectura y razionalismo. Aldo Rossi + 21 arquitectos españoles, che accomuna in un’unica esposizione le opere del maestro e di ventuno giovani allievi che hanno recepito e condiviso la teoria espressa ne “L’architettura della città”. Tale mostra viene poi riproposta nella Sezione Internazionale di Architettura della XV Triennale di Milano, la quale dedica un Padiglione col titolo Barcelona, tres epocas tres propuestas. Dalla disamina dei progetti presentati è emerso un interessante caso di confronto tra le Viviendas para gitanos di César Portela e la Casa Bay di Borgo Ticino di Aldo Rossi, di cui si è occupato l’ultimo paragrafo di questo capitolo. Nel corso degli studi è poi emerso un interessante risvolto della ricerca che, capovolgendone l’oggetto stesso, ne ha approfondito gli aspetti cercando di scavare più in profondità nell’analisi della reciproca influenza tra la cultura iberica e Aldo Rossi, questa parte, sviscerata nell’ultimo capitolo, La Penisola Iberica nel “magazzino della memoria” di Aldo Rossi, ha preso il posto di quello che inizialmente doveva presentarsi come il risvolto progettuale della tesi. Era previsto infatti, al termine dello studio dell’influenza di Aldo Rossi sulla Penisola Iberica, un capitolo che concentrava l’attenzione sulla produzione progettuale. A seguito dell’emergere di un’influenza di carattere prettamente teorica, che ha sicuramente modificato la pratica dal punto di vista delle scelte architettoniche, senza però rendersi esplicita dal punto di vista formale, si è preferito, anche per la difficoltà di individuare un solo esempio rappresentativo di quanto espresso, sostituire quest’ultima parte con lo studio dell’altra faccia della medaglia, ossia l’importanza che a sua volta ha avuto la cultura iberica nella formazione della collezione dei riferimenti di Aldo Rossi. L’articolarsi della tesi in fasi distinte, strettamente connesse tra loro da un filo conduttore, ha reso necessari successivi aggiustamenti nel percorso intrapreso, dettati dall’emergere durante la ricerca di nuovi elementi di indagine. Si è pertanto resa esplicita la ricercata eredità di Aldo Rossi, configurandosi però prevalentemente come un’influenza teorica che ha preso le sfumature del contesto e dell’esperienza personale di chi se ne è fatto ricevente, diventandone così un continuatore attraverso il proprio percorso autonomo o collettivo intrapreso in seguito. Come suggerisce José Charters Monteiro, l’eredità di Rossi può essere letta attraverso tre aspetti su cui si basa la sua lezione: la biografia, la teoria dell’architettura, l’opera. In particolar modo per quanto riguarda la Penisola Iberica si può parlare dell’individuazione di un insegnamento riferito alla seconda categoria, i suoi libri di testo, le sue partecipazioni, le traduzioni. Questo è un lascito che rende possibile la continuazione di un dibattito in merito ai temi della teoria dell’architettura, della sue finalità e delle concrete applicazioni nelle opere, che ha permesso il verificarsi di una apertura mentale che mette in relazione l’architettura con altre discipline umanistiche e scientifiche, dalla politica, alla sociologia, comprendendo l’arte, le città la morfologia, la topografia, mediate e messe in relazione proprio attraverso l’architettura.
Uterine torsion in Brown Swiss cattle: retrospective analysis from an alpine practice in Switzerland
Resumo:
The incidence of uterine torsion in cattle is 0.5–1 per cent of all calvings and up to 30 per cent of all dystocia cases (Berchtold and Rüsch 1993). The unstable suspension of the bovine uterus is a predisposition cited by different authors (Pearson 1971, Schulz and others 1975, Berchtold and Rüsch 1993). Age of the cow, season and weight and sex of the calf have been inconsistently reported to be associated with uterine torsion (Distl 1991, Frazer and others 1996, Tamm 1997). Small amount of fetal fluids and a large abdomen may contribute to uterine torsion (Berchtold and Rüsch 1993). Furthermore, some authors describe a predisposition in the Brown Swiss breed (Distl 1991, Schmid 1993, Frazer and others 1996) and in cows kept in alpine regions (Schmid 1993). Uterine torsion is predominantly seen under parturition, and the degree of torsion is most often between 180° and 360°. The direction is counter-clockwise in 60–90 per cent of the cases (Pearson 1971, Berchtold and Rüsch 1993, Erteld and others 2012). Vaginal delivery is possible after manual detorsion or after rolling of the cow, whereas caesarean section has to be performed after unsuccessful detorsion or if the cervix is not dilating adequately following successful correction of the torsion (Berchtold and Rüsch 1993, Frazer and others 1996). Out of all veterinary-assisted dystocia cases, 20 per cent (Aubry and others 2008) to 30 per cent (Berchtold and Rüsch 1993) are due to uterine torsion. Many publications describe fertility variables after dystocia, but only Schönfelder and coworkers described that 40 per cent of the cows got pregnant after uterine torsion followed by caesarean section (Schönfelder and Sobiraj 2005).
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A geological model of subduction postulated by Karig, Ingle, et al. (1975) and Karig and Sharman (1975) proposes that the sedimentary prism at the foot of the landward wall is being actively built as sediment is scraped off the subducting oceanic and plastered onto the base of the wedge, forming an accretionary wedge containing overthrust sedimentary layers or intense sedimentary folding. Because overlying layers must continually be uplifted and compressed to accommodate new matter at the base, the accreting wedge will provide a geochemical record of this process at or near the Japan Trench. Several recent papers have discussed the metalliferous sediments on the active oceanic ridges. The geochemistry of such sediments is now reasonably well known: generally these deposits are considered products of volcanic processes (Boström and Peterson, 1969; Böstrom et al., 1969; Horowitz, 1970, 1974; Cronan et al., 1972; Cronan and Garrett, 1973). The geochemistry of subduction zone sediments, however, is less well known, and the need for studies of these sediments is particularly urgent if such sediments provide a record of the effects of subduction of oceanic plates under continental crust. Because the Japan Trench contains welldeveloped subduction zone deposits, Leg 56 sampling was of utmost importance to the discovery of how they originate.
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Barremian through uppermost Aptian strata from ODP Hole 641C, located upslope of a tilted fault block on the Galicia margin (northwest Spain), are syn-rift sediments deposited in the bathyal realm and are characterized by rapid sedimentation from turbidity currents and debris flows. Calcarenite and calcirudite turbidites contain shallow-water carbonate, terrigenous, and pelagic debris, in complete or partial Bouma sequences. These deposits contain abraded micritized bioclasts of reefal debris, including rudist fragments. The youngest turbidite containing shallow-water carbonate debris at Site 641 defines the boundary between syn-rift and post-rift sediments; this is also the boundary between Aptian and Albian sediments. Some Aptian turbidites are partially silicified, with pore-filling chalcedony and megaquartz. Adjacent layers of length-fast and -slow chalcedony are succeeded by megaquartz as the final pore-filling stage within carbonate reef debris. Temperatures of formation, calculated from the oxygen isotopic composition of the authigenic quartz, are relatively low for formation of quartz but are relatively warm for shallow burial depths. This quartz cement may be interpreted as a rift-associated precipitate from seawater-derived epithermal fluids that migrated along a fault associated with the tilted block and were injected into the porous turbidite beds. These warm fluids may have cooled rapidly and precipitated silica at the boundaries of the turbidite beds as a result of contact with cooler pore waters. The color pattern in the quartz cement, observed by cathodoluminescence and fluorescence techniques, and changes in the trace lement geochemistry mimic the textural change of the different quartz layers and indicates growth synchronism of the different quartz phases. Fluorescence petrography of neomorphosed low-Mg-calcite bioclasts in the silicified turbidites shows extensive zonation and details of replacive crystal growth in the bioclasts that are not observed by cathodoluminescence. Fluorescence microscopy also reveals a competitive growth history during neomorphism of the adjacent crystals in an altered carbonate bioclast. Barremian-Aptian background pelagic sediments from Hole 641C have characteristics similar to pelagic sediments from the Blake-Bahama Formation described by Jansa et al. (1979) from the western North Atlantic. Sediments at this site differ from the Blake-Bahama Formation type locality in that the Barremian-Aptian pelagic sediments have a higher percentage of dark calcareous claystone and some turbidites are silicified at Site 641. The stable isotopic composition of the pelagic marlstones from Site 641 is similar to those of other Berriasian-Aptian pelagic sediments from the Atlantic.
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In 1970 a large deposit of ferromanganese nodules was discovered on the floor of the Indian Ocean southwest of Cape Leeuwin by the research vessel USNS Eltanin. This discovery, which was based largely on bottom photographs from about 20 stations, was discussed by Frakes (1975) and Kennett and Watkins (1975, 1976). The photographs suggest that the deposit spreads, nearly continuously, over 900 000km^2, and cores showed that the nodules are essentially confined to the sediment surface. Kennett and Watkins (op. cit.) pointed to the abundance of ripple and scour marks and current-formed lineations on the present surface, and of extensive disconformities in the cores, as evidence of strong present and past bottom currents in the region. They suggested that the current action had resulted in very low sedimentation rates, which had allowed the nodule field, named by them (1976) the 'Southeast Indian Ocean Manganese Pavement', to develop. In early 1976 the authors used the research vessel HMAS Diamantina for a 10-day cruise in the region to sample the nodules in order to study their chemistry and mineralogy. During the cruise 9 stations were occupied, 8 of them successfully (Figure 1), and about 2000 nodules were recovered from the sea bed. The apparatus used was a light box dredge on the ships hydrowire, which had a breaking strain of about one tonne. Although an attempt was made to reoccupy Eltanin photographic stations, it should be noted that positioning was by celestial navigation, so errors of up to 10 km are possible.
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The occurrence of Quaternary and Oligocene silicoflagellates at two Ocean Drilling Program (ODP) Leg 119 Holes (736A and 744A) on the Kerguelen Plateau in the Southern Ocean was investigated to compare species distributions to Northern Hemisphere floras. This abstract gives the data determined (Tables 1 and 2) for 24 samples and few preliminary remarks. Quaternary assemblages of Hole 736A are noteworthy for the absences of key North Pacific zonal guide species such as Bachmannocena quadrangula, Dictyocha aculeata, Dictyocha subarctios, and Distephanus octangulatus (Bukry and Monechi, 1985). Other species such as Distephanus floridus, Distephanus speculum elongatus, and Mesocena octagona show limited ranges in Hole 736A and may help to subdivide the Quaternary locally. The late Oligocene assemblages of Hole 744A contain widely distributed species of Distephanus and Naviculopsis, which permit correlation to lower latitude assemblages. They also contain the high-latitude acme of Distephanus raupii which was first noted at Deep Sea Drilling Project (DSDP) Hole 278 (56°3.42'S, 160°04.29'E, water depth 3689 m) by Perch-Nielsen (1975) and Bukry (1975). Study of Hole 744A assemblages suggests that D. raupii developed from pentagonal Dictyocha deflandrei deflandrei. A final note on the Hole 744A assemblages is the brief late Oligocene acme (25%) of Dictyocha sp. aff. D. spinosa in Sample 119-744A-13H-4, 65-67 cm, which provides a direct correlation to the acme (16%) in DSDP Sample 29-278-31R-CC (Perch-Nielsen, 1975) in the Southern Ocean. Most of the taxonomy used in the tables is documented in earlier publications of the DSDP Initial Reports (see Bukry in Volumes 16, 35, 37, 40, 44, 49, 54, 67, 68, 69, 81, and 95). Also, see Loeblich et al. (1968) and Perch-Nielsen (1985) for extensive taxonomy and illustrations.
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Late Jurassic-early Cretaceous black shales and an overlying sequence of Albian-Campanian zeolitic claystones from the Falkland Plateau (DSDP/IPOD Leg 71, Site 511) were analyzed for tetrapyrrole pigment type and abundance. The "black shale" sequence was found to be rich in DPEP-series dominated free-base, nickel (Ni) and, to a lesser extent, vanadyl (V = 0) porphyrins. A low level of organic maturity (i.e. precatagenesis) is indicated for these strata as nickel chelation by free-base porphyrins is only 50-75% complete, proceeding down-hole to 627 meters sub-bottom. Electronic and mass spectral data reveal that the proposed benzo-DPEP (BD) and tetrahydrobenzo-DPEP (THBD) series are present in the free-base and Ni species, as well as the more usual occurrence in V = 0 porphyrin arrays. Highly reducing conditions are suggested by an abundance of the PAH perylene, substantial amounts of the THBD/BD series and a redox equilibrium between free-base DPEP and 7,8-dihydro-DPEP series, which exist in a 7:1 molar ratio. The Albian-Campanian claystone strata were found to be tetrapyrrolepoor, and those pigments present were typed as Cu/Ni highly dealkylated (C26 max.) etioporphyrins, thought to be derived via redeposition and oxidation of terrestrial organic matter (OM). Results from the present study are correlated to our past analyses of Jurassic-Cretaceous sediments from Atlantic margins in an effort to relate tetrapyrrole quality and quantity to basin evolution and OM sources in the proto-Atlantic.
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The severity of the impact of elevated atmospheric pCO2 to coral reef ecosystems depends, in part, on how seawater pCO2 affects the balance between calcification and dissolution of carbonate sediments. Presently, there are insufficient published data that relate concentrations of pCO2 and CO3**2- to in situ rates of reef calcification in natural settings to accurately predict the impact of elevated atmospheric pCO2 on calcification and dissolution processes. Rates of net calcification and dissolution, CO3**2- concentrations, and pCO2 were measured, in situ, on patch reefs, bare sand, and coral rubble on the Molokai reef flat in Hawaii. Rates of calcification ranged from 0.03 to 2.30 mmol CaCO3/m**2/h and dissolution ranged from -0.05 to -3.3 mmol CaCO3/m**2/h. Calcification and dissolution varied diurnally with net calcification primarily occurring during the day and net dissolution occurring at night. These data were used to calculate threshold values for pCO2 and CO3**2- at which rates of calcification and dissolution are equivalent. Results indicate that calcification and dissolution are linearly correlated with both CO3**2- and pCO2. Threshold pCO2 and CO3**2- values for individual substrate types showed considerable variation. The average pCO2 threshold value for all substrate types was 654±195 µatm and ranged from 467 to 1003 µatm. The average CO3**2- threshold value was 152±24 µmol/kg, ranging from 113 to 184 µmol/kg. Ambient seawater measurements of pCO2 and CO3**2- indicate that CO3**2- and pCO2 threshold values for all substrate types were both exceeded, simultaneously, 13% of the time at present day atmospheric pCO2 concentrations. It is predicted that atmospheric pCO2 will exceed the average pCO2 threshold value for calcification and dissolution on the Molokai reef flat by the year 2100.
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Elevated seawater pCO2, and in turn ocean acidification (OA), is now widely acknowledged to reduce calcification and growth of reef building corals. As with other environmental factors (e.g., temperature and nutrients), light availability fundamentally regulates calcification and is predicted to change for future reef environments alongside elevated pCO2 via altered physical processes (e.g., sea level rise and turbidity); however, any potential role of light in regulating the OA-induced reduction of calcification is still unknown. We employed a multifactorial growth experiment to determine how light intensity and pCO2 together modify calcification for model coral species from two key genera, Acropora horrida and Porites cylindrica, occupying similar ecological niches but with different physiologies. We show that elevated pCO2 (OA)-induced losses of calcification in the light (G L) but not darkness (G D) were greatest under low-light growth conditions, in particular for A. horrida. High-light growth conditions therefore dampened the impact of OA upon G L but not G D. Gross photosynthesis (P G) responded in a reciprocal manner to G L suggesting OA-relieved pCO2 limitation of P G under high-light growth conditions to effectively enhance G L. A multivariate analysis of past OA experiments was used to evaluate whether our test species responses were more widely applicable across their respective genera. Indeed, the light intensity for growth was identified as a significant factor influencing the OA-induced decline of calcification for species of Acropora but not Porites. Whereas low-light conditions can provide a refuge for hard corals from thermal and light stress, our study suggests that lower light availability will potentially increase the susceptibility of key coral species to OA.
Resumo:
In situ calcification measurements tested the hypothesis that corals from environments (Florida Bay, USA) that naturally experience large swings in pCO2 and pH will be tolerant or less sensitive to ocean acidification than species from laboratory experiments with less variable carbonate chemistry. The pCO2 in Florida Bay varies from summer to winter by several hundred ppm roughly comparable to the increase predicted by the end of the century. Rates of net photosynthesis and calcification of two stress-tolerant coral species, Siderastrea radians and Solenastrea hyades, were measured under the prevailing ambient chemical conditions and under conditions amended to simulate a pH drop of 0.1-0.2 units at bimonthly intervals over a 2-yr period. Net photosynthesis was not changed by the elevation in pCO2 and drop in pH; however, calcification declined by 52 and 50 % per unit decrease in saturation state, respectively. These results indicate that the calcification rates of S. radians and S. hyades are just as sensitive to a reduction in saturation state as coral species that have been previously studied. In other words, stress tolerance to temperature and salinity extremes as well as regular exposure to large swings in pCO2 and pH did not make them any less sensitive to ocean acidification. These two species likely survive in Florida Bay in part because they devote proportionately less energy to calcification than most other species and the average saturation state is elevated relative to that of nearby offshore water due to high rates of primary production by seagrasses.
Resumo:
To model strength degradation due to low cycle fatigue, at least three different approaches can be considered. One possibility is based on the formulation of a new free energy function and damage energy release rate, as was proposed by Ju(1989). The second approach uses the notion of bounding surface introduced in cyclic plasticity by Dafalias and Popov (1975). From this concept, some models have been proposed to quantify damage in concrete or RC (Suaris et al. 1990). The model proposed by the author to include fatigue effects is based essentially in Marigo (1985) and can be included in this approach.