994 resultados para IL-24
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L’attività nel teatro della Villa medicea di Pratolino, presso Firenze, giunse al culmine nel primo decennio del ’700, quando il principe Ferdinando de’ Medici commissionò e vi fece rappresentare, una per anno, opere in musica di Alessandro Scarlatti e di Giacomo Antonio Perti. Benché le partiture siano perdute, sopravvive un’ingente quantità di materiale documentario, in massima parte inedito, il quale dà un eccezionale resoconto sul mecenatismo del Principe e sul funzionamento della macchina teatrale. La dissertazione si concentra sulle sei opere poste in musica da Perti ("Lucio Vero", 1700, in collaborazione con Martino Bitti; "Astianatte", 1701; "Dionisio re di Portogallo", 1707; "Ginevra principessa di Scozia", 1708; "Berenice regina d’Egitto", 1709; "Rodelinda regina de’ Longobardi", 1710), sui rapporti del compositore col Principe, col librettista Antonio Salvi, col rivale Scarlatti, coi cantanti e con la corte medicea, sullo stile da lui perseguito e – per quanto è dato sapere o lecito ipotizzare – sulla fisionomia dei suoi lavori (strutture e risorse letterarie, teatrali e musicali).
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La tesi intende offrire una disamina approfondita dell’istituto del giudicato implicito, di rito e di merito, sotto il duplice profilo dei recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità, da un lato, e dei rilievi critici della dottrina, dall’altro. Il candidato si sofferma, preliminarmente, sulla ratio delle recenti sentenze delle sezioni unite della Cassazione, le quali promuovono un’interpretazione restrittiva e residuale dell’art. 37 c.p.c. alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata. Si pone, quindi, il problema del rapporto tra il giudicato implicito sulla giurisdizione e i principi processuali costituzionali, dedicando ampio spazio e rilievo alle riflessioni critiche della dottrina sulla teoria del giudicato implicito. Il candidato passa così all’esame del giudicato implicito sulle questioni preliminari di merito, dopo aver trattato il tema dell’ordine logico-giuridico delle questioni e della struttura della decisione. Nel corso di questa analisi, ravvisa nel principio della ragione più liquida la negazione dell’idea di giudicato implicito, sviluppando così alcune riflessioni critiche sul giudicato di merito implicito. A questo punto, il piano dell’indagine si incentra su un aspetto specifico dell’istituto in esame, particolarmente importante sotto il profilo dei risvolti applicativi: le implicazioni del giudicato implicito in sede di impugnazione. Segue, quindi, la parte conclusiva della tesi dedicata ai profili di criticità del recente orientamento delle sezioni unite, con particolare riguardo all’onere di appello incidentale della parte vittoriosa nel merito. La tesi mette in luce come la struttura degli istituti venga in qualche misura piegata ad esigenze di deflazione, che andrebbero però perseguite con altri e più coerenti strumenti.
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Attraverso l’indagine di fonti altomedievali come le Leges dei barbari si è potuto valutare, da un punto di vista pragmatico e fattuale, l’intenzione umana – a volte incidentale e pure difficoltosa – di inquadrare e definire il rapporto con un animale domestico come il cane, che continua e si evolve tra Antichità ed Alto Medioevo e senza una cesura netta. Per completare il quadro culturale e storico-sociale della ricerca, oltre alla trattatistica antica e alla letteratura medievale sugli animali, si è passato in rassegna espressioni documentarie come i capitularia mundana ed ecclasiastica, che hanno destato ulteriore interesse in quanto in esse sussiste il riflesso di un’attenzione tutta “altomedievale” per il cane e per quell’attività che da millenni lega l’uomo a questo animale: la caccia. L’argomento venatorio presuppone l’associazione con il cane nella quasi totalità dei provvedimenti sulla caccia, trasmettendo testimonianze stimabili del connubio homo cum canibus. Ne risulta ora un’amicitia, ora un legame impedito come nelle continue interdizioni venatorie rivolte agli ecclesiastici, uomini – e donne – di Chiesa che andavano a caccia. Pur non fornendo le stesse informazioni minuziose sui cani delle Leggi dei barbari, i capitularia propongono suggestivi scorci di un mondo in cui la caccia, forse la sola attività attraverso cui uomo e cane condividono le medesime trepidazioni primordiali, non era violenza gratuita ma un fondamento della cultura, soprattutto, ma non solo, di ambito aristocratico.
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Oggetto della ricerca è l’esame del ruolo attuale della partecipazione pubblica locale in società per l’erogazione di servizi pubblici locali di rilevanza economica, nel nuovo contesto normativo caratterizzato dalla residualità dell’autoproduzione, dalla liberalizzazione, dall’organizzazione del servizio in ambiti territoriali, e dalle esigenze di contenimento della spesa locale, acuite dalla crisi economica-finanziaria. Si sono distinte quattro tipologie di società: nel caso di servizi gestiti in regime di esclusiva, le società a capitale pubblico-privato con socio privato operativo scelto mediante gara, le società in house affidatarie dirette, e le società affidatarie in quanto selezionate in procedure ad evidenza pubblica; nel caso di servizi sottratti al regime di esclusiva, le società che eroghino il servizio liberalizzato. L’indagine si è focalizzata sulle condizioni di costituzione e di mantenimento di tali società, e si è approfondito quel particolare aspetto del loro regime giuridico costituito dai limiti operativi. L’analisi è stata condotta esaminando le nuove disposizioni, le posizioni giurisprudenziali e le letture della dottrina relative alle società disciplinate come forme di gestione di servizi pubblici locali di rilevanza economica, relative alla funzionalizzazione dell’attività degli enti territoriali e delle società da questi partecipate, e relative alla tutela della concorrenza.
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La mia tesi di dottorato ha ad oggetto lo studio e l’analisi del ruolo della Narrative all’interno di tre ambiti, quali Medical Ethics, Clinical Practice e Medical Education. La tesi è strutturata in 4 capitoli: i primi tre vanno a comporre la parte teorica mentre nel quarto capitolo viene riportata una ricerca sul campo da me svolta negli Stati Uniti. Nel primo capitolo, analizzo il ruolo della narrative all’interno della Medical Ethics specificando che cosa si intenda con etica narrativa, quali sono le motivazione alla base del suo sviluppo e chi sono i suoi principali esponenti. In questo capitolo, inoltre, esamino i problemi che l’etica narrativa solleva suggerendo un nuovo modo in cui essa si integra alla riflessione bioetica. Il secondo capitolo è dedicato al contributo della narrative nella Medical Practice investigando sia le modalità attraverso le quali il paziente può avvalersi della narrazione per analizzare la sua esperienza di malattia sia la cosiddetta Medicina Narrativa. Il terzo capitolo è dedicato all'analisi delle Medical Humanities, ossia di quelle discipline che all’interno della Medical Education si stanno rivelando strumenti efficaci per una formazione più equilibrata e completa dei professionisti della salute. Il quarto capitolo, invece, è dedicato alla descrizione di una ricerca svolta presso l’University of California – Irvine . Durante questa esperienza ho frequentato i corsi del Program in Medical Humanities and Arts diretto dalla Prof.ssa J. Shapiro, (programma in vigore da 13 anni e implementato allo scopo di migliorare alcune competenze nei futuri medici quali: l'empatia, l’altruismo, la compassione e la predisposizione alla cura verso i pazienti, oltre che per affinare le comunicazione clinica e la capacità di osservazione) e intervistato gli studenti che hanno preso parte a queste lezioni.
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La ricerca in oggetto ha analizzato le relazioni tra migrazione e salute mentale nel Distretto di Pianura Est dell'AUSL di Bologna. Attraverso un dispositivo d’indagine multi-disciplinare basato sui quadri teorici dell'Antropologia Medica Critica, della Salute Pubblica e della Psichiatria, la ricerca si è inserita nell’ampio contesto di sperimentazione di un innovativo modello di assistenza per pazienti migranti, denominato Centro di Consultazione Socio- Culturale. L'architettura dello studio si rifà a un modello di Ricerca-Azione Partecipata e Multi-Situata fondato su un approccio analitico e auto-riflessivo, il quale ha consentito di problematizzare, oltre alle azioni e alle traiettorie dei vari soggetti che operano nel campo della ricerca, anche le categorie oggetto della ricerca stessa. L'analisi, profondamente radicata nel dato empirico, è stata condotta a partire dall'esperienza degli attori sociali coinvolti. Le esperienze, le informazioni e le rappresentazioni reciproche sono state co-costruite in forma partecipativa attraverso l'uso combinato di metodologie quali-quantitative proprie sia delle discipline sanitarie sia di quelle sociali. Come materiali della ricerca sono stati utilizzati: dati primari e secondari prodotti dalle istituzioni e dalle organizzazioni del territorio stesso; informazioni provenienti dall'osservazione partecipante; colloqui con informatori-chiave; interviste semi-strutturate con decisori politici, amministratori, organizzazioni del territorio, operatori dei servizi, cittadini e pazienti. La ricerca ha dimostrato la validità delle prospettive teoriche utilizzate e delle strategie di lavoro proposte. Il modello di lavoro multi-disciplinare e multi-metodologico si è rivelato produttivo nell'indagare congiuntamente le prospettive degli attori coinvolti insieme alle loro traiettorie, alle reciproche interconnessioni e alle relazioni tra processi locali e globali. L’analisi auto-riflessiva ha consentito di analizzare le attività del Centro di Consultazione evidenziandone vantaggi e limiti. Infine, la collaborazione tra Salute Pubblica e Antropologia Medica Critica ha dimostrato una grande potenzialità e produttività sia sul versante della ricerca scientifica sia su quello dell'assistenza sanitaria.
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La bioetica è il luogo ideale per cercare risposte ai grandi interrogativi concernenti la vita, la morte e la cura dell'essere umano. I recenti dibattiti sull'uso, ed il temuto abuso, del corpo umano in medicina hanno messo in evidenza la necessità di una discussione approfondita sul potere di scelta che l'individuo può esercitare sulla propria mente e sul proprio corpo. Spinta dal desidero di indagare l'estensione di tale potere di scelta ho voluto analizzare le tematiche riguardanti “il corpo”, “l'individuo”, “la proprietà” e “l'autodeterminazione”. L'analisi è stata condotta individuando alcuni dei differenti significati che questi termini assumono nei diversi ambiti che la bioetica lambisce e mostrando, in particolare, la visione di tale realtà attraverso le lenti del giurista. A chi appartiene il corpo? Chi ha il potere di decidere su di esso? Il potere di scelta valica gli antichi i confini legati al corpo del paziente e coinvolge tessuti, organi e cellule staccati dal corpo umano, parti che un tempo erano considerati scarti operatori sono oggi divenuti tesori inestimabili per la ricerca. L'importanza assunta dai campioni biologici ha portato alla creazione di biobanche nelle quali sono raccolti, catalogati e il DNA studiato in campioni biologici Le biobanche riflettono le tensioni della bioetica e del biodititto. Lo studio delle biobanche riguarda, tra l'altro, la riceca dell'equilibrio tra le diverse esigenze meritevoli di tutela: in primo luogo il diritto alla privacy, diritto a che le “proprie informazioni” non vengano divulgate ed il diritto a non essere discriminato ed in secondo luogo le necessità dettate dalla ricerca e dalla scienza medica. Nel 2009 la rivista Times messo biobanche tra le 10 idee in grado di cambiare il mondo anche in considarazione della medicina personalizzata e del fatto che costituiscono una la speranza per la ricerca contro le malattie attuali e future.
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Il lavoro di Elisa Tosi Brandi riguarda il mestiere del sarto nel basso Medioevo e si sviluppa utilizzando due prospettive differenti. Da un lato, infatti, si è deciso di seguire una tradizione di studi oramai consolidata, che privilegia l’indagine degli aspetti economici e politici, dall’altro si è scelto di non trascurare la storia dei prodotti degli artigiani. L’approccio utilizzato in questa tesi tiene insieme entrambe le prospettive di ricerca, tentando dunque di indagare i produttori e i prodotti così come le fasi e i metodi di lavoro. Ciò senza ignorare, da un lato, indagini di tipo politico, economico e sociale, poiché tali oggetti sono lo specchio della società che li ha ideati e creati e da cui non si può prescindere e, dall’altro, indagini di tipo tecnico, poiché gli oggetti sono rivelatori del complesso patrimonio di conoscenze artigianali. Partendo dal caso di studio della Società dei sarti della città di Bologna, la tesi di Elisa Tosi Brandi ricostruisce questo mestiere confrontando tra loro fonti inedite (statuti corporativi, matricole, estimi) e studi effettuati su altre aree italiane. La ricca documentazione conservata ha consentito di mettere in luce l’organizzazione di questo lavoro, di collocare abitazioni e botteghe nell’area del mercato e nel più ampio tessuto cittadino, di individuare i percorsi commerciali e di approvvigionamento. L’ultima parte della tesi offre l’analisi di alcune fonti materiali al fine di ricostruire le tecniche sartoriali medievali intrecciando tutte le fonti consultate: dai documenti scritti si passa pertanto agli abiti che offrono informazioni dirette sulle tecniche di taglio ed assemblaggio.
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La Piana di foce del Garigliano (al confine tra Lazio e Campania) è caratterizzata, fino ad epoche recenti, dalla presenza di aree palustri e umide. Lo studio in corso cerca di ricostruire l’evoluzione dell’ambiente costiero mettendolo in relazione alla presenza dell’uomo, alla gestione del territorio, alle vicende storiche e alle variazioni climatiche utilizzando molteplici metodologie tipiche della geoarcheologia. Si tratta di un approccio multidisciplinare che cerca di mettere insieme analisi tipiche dell’archeologia, della topografia antica, della geomorfologia, della geologia e della paleobotanica. Fino all’età del Ferro l’unica traccia di popolamento viene da Monte d’Argento, uno sperone roccioso isolato lungo la costa, posto al limite occidentale di un ambiente sottostante che sembra una palude chiusa e isolata da apporti sedimentari esterni. Con il passaggio all’età del ferro si verifica un mutamento ambientale con la fine della grande palude e la formazione di una piccola laguna parzialmente comunicante con il mare. L’arrivo dei romani alla fine del III secolo a.C. segna la scomparsa dei grandi centri degli Aurunci e la deduzione di tre colonie (Sessa Aurunca, Sinuessa, Minturno). Le attività di sistemazione territoriale non riguardarono però le aree umide costiere, che non vennero bonificate o utilizzate per scopi agricoli, ma mantennero la loro natura di piccoli laghi costieri. Quest’epoca è dunque caratterizzata da una diffusione capillare di insediamenti, basati su piccole fattorie o installazioni legate allo sfruttamento agricolo. Poche sono le aree archeologiche che hanno restituito materiali successivi al II-III secolo d.C. La città resta comunque abitata fino al VI-VII secolo, quando l’instabilità politica e l’impaludamento dovettero rendere la zona non troppo sicura favorendo uno spostamento verso le zone collinari. Un insediamento medievale è attestato solo a Monte d’Argento e una frequentazione saracena dell’inizio del IX secolo è riportata dalle fonti letterarie, ma non vi è ancora nessuna documentazione archeologica.
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La tesi si occupa del rapporto tra il Maestro di Ozieri e la produzione figurativa in Sardegna nella prima metà del Cinquecento. Studia l'uso delle incisioni. Valuta l'influenza della pittura romana e meridionale. Riflette sulla possibile identità straniera del pittore, sulla base delle molte somiglianze con artisti tedeschi e fiamminghi. Si occupa di comprendere quali possano essere considerate le opere autografe e quali quelle eseguite da seguaci e imitatori. Riformula alla luce dei confronti stilistici e delle ricerche in archivio la personalità dell'artista e la sua collocazione cronologica.
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La tesi esamina il codice musicale Gr. Rés Vm7 676 della Biblioteca Nazionale di Parigi, che rappresenta una fonte di grande interesse per lo studio della musica vocale italiana tra Quattro e Cinquecento. Compilato nel 1502, il codice è stato oggetto di analisi da parte di vari studiosi, che ne hanno preso in esame singoli brani o intere sezioni, allo scopo di attestare procedimenti compositivi particolari (Torrefranca) o caratteri stilistici locali, in particolare relativi alla frottola mantovana e ferrarese (Prizer). Un’accurata ricognizione sul repertorio è stata effettuata da Nanie Bridgman in un saggio degli anni Cinquanta del secolo scorso, ma non è mai stato realizzato uno studio organico sul manoscritto. Pertanto la ricerca si è proposta di riconsiderare l’intero repertorio italiano tramandato dal codice, per proporre un plausibile inquadramento stilistico nella cultura della poesia per musica coeva. La trascrizione dei testi e delle musiche, supportata dal confronto con le fonti manoscritte e a stampa, letterarie e musicali, ha consentito di formulare alcune ipotesi in merito alla circolazione del repertorio tramandato e all’ambiente di produzione del documento. L’inconsueta varietà di forme musicali riscontrate nel codice consente inoltre di assumere questo manoscritto come una delle principali fonti della tradizione musicale che precede immediatamente la ‘sistemazione’ del repertorio frottolistico effettuata da Ottaviano Petrucci, a partire dal 1504, con la pubblicazione dei suoi undici libri di frottole (1501-1514).
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Quello del falso è un problema con cui si sono dovuti confrontare gli specialisti di ogni epoca storica, ma che ha subito un’accelerazione e un’esasperazione con la storia del tempo presente, anche per via della simultanea presenza dei protagonisti che hanno reso più complessa una scena storica e memoriale segnata profondamente dal rapporto tra storici e testimoni e dall’articolazione della memoria pubblica e di quella privata. L’evento che più acutamente ha risentito del problema del falso in età contemporanea è certamente il genocidio degli ebrei compiuto dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale perché è proprio al cuore dell’impresa genocidiaria che è avvenuta la grande falsificazione che ha alimentato qualsiasi successivo discorso revisionista. L’emersione del testimone sulla scena pubblica ha posto pertanto in modo acuto il problema dello statuto della testimonianza rendendo l’analisi del funzionamento della memoria indispensabile per comprendere quanto un testimone sia molto più utile per la descrizione, non tanto del fatto in sé, ma del modo in cui l’evento è stato socialmente codificato, registrato e trasmesso. Il legame tra i casi esaminati, pur nella loro estrema eterogeneità, spaziando da false autobiografie, come quella di Binjamin Wilkomirski, a testi controversi, come quello di Jean-François Steiner, o da racconti contestati, come quelli di Deli Strummer e Herman Rosenblat, a narrazioni che nel tempo hanno subito importanti variazioni, come nel caso Aubrac e nelle vicende del libro di Alcide Cervi, sarà stabilito grazie alla centralità giocata, in ognuno di essi, dalla forma testimoniale e dall’altrettanto fondamentale argomentazione in termini di affaire. Il problema del falso è stato perciò indagato all’interno delle ragioni storiche e culturali che hanno determinato la formazione discorsiva che ha per soggetto il testimone e la testimonianza come più autentico punto di vista sugli eventi del passato con le relative conseguenze sul piano storico e pubblico.
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La ricerca muove dal presupposto che l’opera di Aldo Rossi sia stata analizzata finora secondo un criterio tipologico. Tale approccio è una tra le possibili chiavi di lettura del lavoro dell’architetto. Nel tentativo di individuare un’interpretazione dell’opera di Rossi legata a sistemi immutabili nel tempo si è ritenuto necessario approfondire la relazione che si stabilisce tra la sua opera e il suolo. Attraverso la definizione di due categorie di lettura dei progetti dell’autore, che si basano su continuità o discontinuità fisica del progetto rispetto al suolo, si comprende come il rapporto tra area e progetto produca nel tempo soluzioni ricorrenti. In base a questa interpretazione muro e pilastro costituiscono due elementi fondamentali del linguaggio di Rossi. Essi a loro volta si allacciano ad un sistema di riferimento più ampio di cui tettonica e arte muraria sono i capisaldi. La ricerca si articola in tre parti, all’interno delle quali sono sviluppati specifici capitoli. La prima parte, sistema di riferimento, è necessaria a delineare un vocabolario utile per isolare il tema trattato. Essa è fondamentale per comprendere la posizione occupata da Rossi rispetto alle esperienze verificatesi nel corso della storia, relativamente al rapporto spazio - architettura - suolo. La seconda parte, arte muraria, serve a mettere in luce l’influenza che la componente massiva e plastica del terreno ha determinato nella definizione di specifiche soluzioni progettuali. La terza parte, tettonica, delinea invece un approccio opposto al precedente, individuando quei progetti in cui il rapporto col suolo è stato sminuito o addirittura negato, aumentando il senso di sospensione dei volumi nello spazio. In definitiva, l’influenza che il rapporto col suolo ha determinato sulle scelte progettuali di Rossi rappresenta l’interrogativo principale di questa ricerca.
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Gli endocannabinoidi (EC) sono una classe di composti che mimano gli effetti del Δ9-tetraidrocannabinolo. Essi comprendono l’anandamide (AEA) ed il 2-arachidonoilglicerolo (2-AG), molecole che interagiscono preferenzialmente con due specifici recettori, il CB1 ed il CB2. Più recente è la scoperta di due molecole EC simili, il palmitoiletanolamide (PEA) e l’oleiletanolamide (OEA), che tuttavia agiscono legando recettori diversi tra cui il PPARα ed il TRVP1. Studi sperimentali dimostrano che il sistema degli EC è attivato in corso di cirrosi epatica ed è coinvolto nel processo fibrogenico e nella patogenesi delle alterazioni emodinamiche tipiche della malattia. Esso partecipa alla patogenesi di alcune delle maggiori complicanze della cirrosi quali ascite, encefalopatia, cardiomiopatia ed infezioni batteriche. Scopo del presente studio è stato quello di studiare il ruolo degli EC nella patogenesi delle infezioni batteriche in corso di cirrosi. A tale scopo sono stati eseguiti un protocollo clinico ed uno sperimentale. Nel protocollo sperimentale la cirrosi è stata indotta mediante somministrazione di CCl4 per via inalatoria a ratti maschi Wistar. In tale protocollo i livelli circolanti di tutti gli EC sono risultati significativamente aumentati a seguito della somministrazione di LPS. La somministrazione dell’antagonista del recettore CB1, Rimonabant, inoltre, è stata efficace nel ridurre del 50% la mortalità a 24 ore dei ratti trattati col farmaco rispetto ai ratti trattati col solo LPS. Parallelamente il Rimonabant ha determinato una riduzione dell’espressione genica di molecole pro-infiammatorie e sostanze vasoattive. Lo studio clinico, condotto su 156 pazienti, ha confermato l’attivazione del sistema degli EC in corso di cirrosi epatica. Inoltre è stata identificata una forte correlazione tra il PEA e l’OEA e l’emodinamica sistemica ed una associazione con alcune delle maggiori complicanze. L’analisi statistica ha inoltre individuato l’OEA quale predittore indipendente di insufficenza renale e di sopravvivenza globale.
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Il presente lavoro si rivolge all’analisi del ruolo delle forme metaforiche nella divulgazione della fisica contemporanea. Il focus è sugli aspetti cognitivi: come possiamo spiegare concetti fisici formalmente complessi ad un audience di non-esperti senza ‘snaturarne’ i significati disciplinari (comunicazione di ‘buona fisica’)? L’attenzione è sulla natura stessa della spiegazione e il problema riguarda la valutazione dell’efficacia della spiegazione scientifica a non-professionisti. Per affrontare tale questione, ci siamo orientati alla ricerca di strumenti formali che potessero supportarci nell’analisi linguistica dei testi. La nostra attenzione si è rivolta al possibile ruolo svolto dalle forme metaforiche nella costruzione di significati disciplinarmente validi. Si fa in particolare riferimento al ruolo svolto dalla metafora nella comprensione di nuovi significati a partire da quelli noti, aspetto fondamentale nel caso dei fenomeni di fisica contemporanea che sono lontani dalla sfera percettiva ordinaria. In particolare, è apparsa particolarmente promettente come strumento di analisi la prospettiva della teoria della metafora concettuale. Abbiamo allora affrontato il problema di ricerca analizzando diverse forme metaforiche di particolare rilievo prese da testi di divulgazione di fisica contemporanea. Nella tesi viene in particolare discussa l’analisi di un case-study dal punto di vista della metafora concettuale: una analogia di Schrödinger per la particella elementare. I risultati dell’analisi suggeriscono che la metafora concettuale possa rappresentare uno strumento promettente sia per la valutazione della qualità delle forme analogiche e metaforiche utilizzate nella spiegazione di argomenti di fisica contemporanea che per la creazione di nuove e più efficaci metafore. Inoltre questa prospettiva di analisi sembra fornirci uno strumento per caratterizzare il concetto stesso di ‘buona fisica’. Riteniamo infine che possano emergere altri risultati di ricerca interessanti approfondendo l’approccio interdisciplinare tra la linguistica e la fisica.