185 resultados para Hécuba triste
Resumo:
During November 2010, three ticks were collected from three dogs living in the rural area of Arica, northern Chile. Morphological analyses of the ticks in the laboratory revealed that they were most similar to Amblyomma maculatum Koch and Amblyomma triste Koch. However, because of unique metatarsal spurs, neither of the Chilean specimens could be assigned with certainty to A. maculatum or A. triste, based on external morphology. The mitochondrial 16S rRNA gene partial sequences obtained from two Chilean specimens were 99.5% identical to A. triste from Uruguay, and 99.0% identical to A. maculatum from the United States. Through phylogenetic analysis inferred from partial 16S rRNA sequences, the Chilean specimens were classified as A. triste. Molecular analyses also showed that one of the three Chilean ticks was infected by Candidatus 'Rickettsia andeanae'. These findings extend the geographical distribution of A. triste to Chile, where no tick-associated rickettsia had been reported previously.
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La ricerca ha perseguito l’obiettivo di individuare e definire il potere di un ente territoriale di sostituire, tramite i suoi organi o atti, quelli ordinari degli enti territoriali minori, per assumere ed esercitare compiutamente, in situazioni straordinarie, le funzioni proprie di questi. Dogmaticamente potremmo distinguere due generali categorie di sostituzione: quella amministrativa e quella legislativa, a seconda dell’attività giuridica nella quale il sostituto interviene. Nonostante tale distinzione riguardi in generale il rapporto tra organi o enti della stessa o di differenti amministrazioni, con eguale o diverso grado di autonomia; la ricerca ha mirato ad analizzare le due summenzionate categorie con stretto riferimento agli enti territoriali. I presupposti, l’oggetto e le modalità di esercizio avrebbero consentito ovviamente di sottocatalogare le due generali categorie di sostituzione, ma un’indagine volta a individuare e classificare ogni fattispecie di attività sostitutiva, più che un’attività complessa, è sembrata risultare di scarsa utilità. Più proficuo è parso il tentativo di ricostruire la storia e l’evoluzione del menzionato istituto, al fine di definire e comprendere i meccanismi che consentono l’attività sostitutiva. Nel corso della ricostruzione non si è potuto trascurare che, all’interno dell’ordinamento italiano, l’istituto della sostituzione è nato nel diritto amministrativo tra le fattispecie che regolavano l’esercizio della funzione amministrativa indiretta. La dottrina del tempo collocava la potestà sostitutiva nella generale categoria dei controlli. La sostituzione, infatti, non avrebbe avuto quel valore creativo e propulsivo, nel mondo dell’effettualità giuridica, quell’energia dinamica ed innovatrice delle potestà attive. La sostituzione rappresentava non solo la conseguenza, ma anche la continuazione del controllo. Le fattispecie, che la menzionata dottrina analizzava, rientravano principalmente all’interno di due categorie di sostituzione: quella disposta a favore dello Stato contro gli inadempimenti degli enti autarchici – principalmente il comune – nonché la sostituzione operata all’interno dell’organizzazione amministrativa dal superiore gerarchico nei confronti del subordinato. Già in epoca unitaria era possibile rinvenire poteri sostitutivi tra enti, la prima vera fattispecie di potestà sostitutiva, era presente nella disciplina disposta da diverse fattispecie dell'allegato A della legge 20 marzo 1856 n. 2248, sull'unificazione amministrativa del Regno. Tentativo del candidato è stato quello, quindi, di ricostruire l'evoluzione delle fattispecie sostitutive nella stratificazione normativa che seguì con il T.U. della legge Comunale e Provinciale R.D. 4 febbraio 1915 e le successive variazioni tra cui il R.D.L. 30 dicembre 1923. Gli istituti sostitutivi vennero meno (di fatto) con il consolidarsi del regime fascista. Il fascismo, che in un primo momento aveva agitato la bandiera delle autonomie locali, non tardò, come noto, una volta giunto al potere, a seguire la sua vera vocazione, dichiarandosi ostile a ogni proposito di decentramento e rafforzando, con la moltiplicazione dei controlli e la soppressione del principio elettivo, la già stretta dipendenza delle comunità locali dallo Stato. Vennero meno i consigli liberamente eletti e al loro posto furono insediati nel 1926 i Podestà e i Consultori per le Amministrazioni comunali; nel 1928 i Presidi e i Rettorati per le Amministrazioni Provinciali, tutti organi nominati direttamente o indirettamente dall’Amministrazione centrale. In uno scenario di questo tipo i termini autarchia e autonomia risultano palesemente dissonanti e gli istituti di coordinamento tra Stato ed enti locali furono ad esso adeguati; in tale ordinamento, infatti, la sostituzione (pur essendo ancora presenti istituti disciplinanti fattispecie surrogatorie) si presentò come un semplice rapporto interno tra organi diversi, di uno stesso unico potere e non come esso è in realtà, anello di collegamento tra soggetti differenti con fini comuni (Stato - Enti autarchici); per semplificare, potremmo chiederci, in un sistema totalitario come quello fascista, in cui tutti gli interessi sono affidati all’amministrazione centrale, chi dovrebbe essere il sostituito. Il potere sostitutivo (in senso proprio) ebbe una riviviscenza nella normativa post-bellica, come reazione alla triste parentesi aperta dal fascismo, che mise a nudo i mali e gli abusi dell’accentramento statale. La suddetta normativa iniziò una riforma in favore delle autonomie locali; infatti, come noto, tutti i partiti politici assunsero posizione in favore di una maggiore autonomia degli enti territoriali minori e ripresero le proposte dei primi anni dell’Unità di Italia avanzate dal Minghetti, il quale sentiva l’esigenza dell’istituzione di un ente intermedio tra Stato e Province, a cui affidare interessi territorialmente limitati: la Regione appunto. Emerge piuttosto chiaramente dalla ricerca che la storia politica e l’evoluzione del diritto pubblico documentano come ad una sempre minore autonomia locale nelle politiche accentratrici dello Stato unitario prima, e totalitario poi, corrisponda una proporzionale diminuzione di istituti di raccordo come i poteri sostitutivi; al contrario ad una sempre maggiore ed evoluta autonomia dello Stato regionalista della Costituzione del 1948 prima, e della riforma del titolo V oggi, una contestuale evoluzione e diffusione di potestà sostitutive. Pare insomma che le relazioni stato-regioni, regioni-enti locali che la sostituzione presuppone, sembrano rappresentare (ieri come oggi) uno dei modi migliori per comprendere il sistema delle autonomie nell’evoluzione della stato regionale e soprattutto dopo la riforma apportata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Dalla preliminare indagine storica un altro dato, che pare emergere, sembra essere la constatazione che l'istituto nato e giustificato da esigenze di coerenza e efficienza dell'azione amministrativa sia stato trasferito nell'ambio delle relazioni tra stato e autonomie territoriali. Tale considerazione sembra essere confermata dal proseguo dell’indagine, ed in particolare dai punti di contatto tra presupposti e procedure di sostituzione nell’analisi dell’istituto. Nonostante, infatti, il Costituente non disciplinò poteri sostitutivi dello Stato o delle regioni, al momento di trasferire le competenze amministrative alle regioni la Corte costituzionale rilevò il problema della mancanza di istituti posti a garantire gli interessi pubblici, volti ad ovviare alle eventuali inerzie del nuovo ente territoriale. La presente ricerca ha voluto infatti ricostruire l’ingresso dei poteri sostitutivi nel ordinamento costituzionale, riportando le sentenze del Giudice delle leggi, che a partire dalla sentenza n. 142 del 1972 e dalla connessa pronuncia n. 39 del 1971 sui poteri di indirizzo e coordinamento dello Stato, pur non senza incertezze e difficoltà, ha finito per stabilire un vero e proprio “statuto” della sostituzione con la sentenza n. 177 del 1988, individuando requisiti sostanziali e procedurali, stimolando prima e correggendo successivamente gli interventi del legislatore. Le prime fattispecie sostitutive furono disciplinate con riferimento al rispetto degli obblighi comunitari, ed in particolare con l’art. 27 della legge 9 maggio 1975, n. 153, la quale disciplina, per il rispetto dell’autonomia regionale, venne legittimata dalla stessa Corte nella sentenza n. 182 del 1976. Sempre con riferimento al rispetto degli obblighi comunitari intervenne l’art. 6 c. 3°, D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. La stessa norma va segnalata per introdurre (all’art. 4 c. 3°) una disciplina generale di sostituzione in caso di inadempimento regionale nelle materie delegate dallo Stato. Per il particolare interesse si deve segnalare il D.M. 21 settembre 1984, sostanzialmente recepito dal D.L. 27 giugno 1985, n. 312 (disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), poi convertito in legge 8 agosto 1985, n. 431 c.d. legge Galasso. Tali disposizioni riaccesero il contenzioso sul potere sostitutivo innanzi la Corte Costituzionale, risolto nelle sentt. n. 151 e 153 del 1986. Tali esempi sembrano dimostrare quello che potremmo definire un dialogo tra legislatore e giudice della costituzionalità nella definizione dei poteri sostitutivi; il quale culminò nella già ricordata sent. n. 177 del 1988, nella quale la Corte rilevò che una legge per prevedere un potere sostitutivo costituzionalmente legittimo deve: essere esercitato da parte di un organo di governo; nei confronti di attività prive di discrezionalità nell’an e presentare idonee garanzie procedimentali in conformità al principio di leale collaborazione. Il modello definito dalla Corte costituzionale sembra poi essere stato recepito definitivamente dalla legge 15 marzo 1997, n. 59, la quale per prima ha connesso la potestà sostitutiva con il principio di sussidiarietà. Detta legge sembra rappresentare un punto di svolta nell’indagine condotta perché consente di interpretare al meglio la funzione – che già antecedentemente emergeva dallo studio dei rapporti tra enti territoriali – dei poteri sostitutivi quale attuazione del principio di sussidiarietà. La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha disciplinato all’interno della Costituzione ben due fattispecie di poteri sostitutivi all’art. 117 comma 5 e all’art. 120 comma 2. La “lacuna” del 1948 necessitava di essere sanata – in tal senso erano andati anche i precedenti tentativi di riforma costituzionale, basti ricordare l’art. 58 del progetto di revisione costituzionale presentato dalla commissione D’Alema il 4 novembre 1997 – i disposti introdotti dal riformatore costituzionale, però, non possono certo essere apprezzati per la loro chiarezza e completezza. Le due richiamate disposizioni costituzionali, infatti, hanno prodotto numerose letture. Il dibattito ha riguardato principalmente la natura delle due fattispecie sostitutive. In particolare, si è discusso sulla natura legislativa o amministrativa delle potestà surrogatorie e sulla possibilità da parte del legislatore di introdurre o meno la disciplina di ulteriori fattispecie sostitutive rispetto a quelle previste dalla Costituzione. Con particolare riferimento all’art. 120 c. 2 Cost. sembra semplice capire che le difficoltà definitorie siano state dovute all’indeterminatezza della fattispecie, la quale attribuisce al Governo il potere sostitutivo nei confronti degli organi (tutti) delle regioni, province, comuni e città metropolitane. In particolare, la dottrina, che ha attribuito all’art. 120 capoverso la disciplina di un potere sostitutivo sulle potestà legislative delle Regioni, è partita dalla premessa secondo la quale detta norma ha una funzione fondamentale di limite e controllo statale sulle Regioni. La legge 18 ottobre 2001 n. 3 ha, infatti, variato sensibilmente il sistema dei controlli sulle leggi regionali, con la modificazione degli artt. 117 e 127 della Costituzione; pertanto, il sistema dei controlli dopo la riforma del 2001, troverebbe nel potere sostitutivo ex art. 120 la norma di chiusura. Sul tema è insistito un ampio dibattito, al di là di quello che il riformatore costituzionale avrebbe dovuto prevedere, un’obiezione (più delle altre) pare spingere verso l’accoglimento della tesi che propende per la natura amministrativa della fattispecie in oggetto, ovvero la constatazione che il Governo è il soggetto competente, ex art. 120 capoverso Cost., alla sostituzione; quindi, se si intendesse la sostituzione come avente natura legislativa, si dovrebbe ritenere che il Costituente abbia consentito all’Esecutivo, tosto che al Parlamento, l’adozione di leggi statali in sostituzione di quelle regionali. Suddetta conseguenza sembrerebbe comportare una palese violazione dell’assetto costituzionale vigente. Le difficoltà interpretative dell’art. 120 Cost. si sono riversate sulla normativa di attuazione della riforma costituzionale, legge 5 giugno 2003, n. 131. In particolare nell’art. 8, il quale ha mantenuto un dettato estremamente vago e non ha preso una chiara e netta opzione a favore di una della due interpretazione riportate circa la natura della fattispecie attuata, richiamando genericamente che il potere sostitutivo si adotta “Nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120” Cost. Di particolare interesse pare essere, invece, il procedimento disciplinato dal menzionato art. 8, il quale ha riportato una procedura volta ad attuare quelle che sono state le indicazioni della Corte in materia. Analogamente agli anni settanta ed ottanta, le riportate difficoltà interpretative dell’art. 120 Cost. e, più in generale il tema dei poteri sostitutivi dopo la riforma del 2001, sono state risolte e definite dal giudice della costituzionalità. In particolare, la Corte sembra aver palesemente accolto (sent. n. 43 del 2004) la tesi sulla natura amministrativa del potere sostitutivo previsto dall’art. 120 c. 2 Cost. Il giudice delle leggi ha tra l’altro fugato i dubbi di chi, all’indomani della riforma costituzionale del 2001, aveva letto nel potere sostitutivo, attribuito dalla riformata Costituzione al Governo, l’illegittimità di tutte quelle previsioni legislative regionali, che disponevano ipotesi di surrogazione (da parte della regione) nei confronti degli enti locali. La Corte costituzionale, infatti, nella già citata sentenza ha definito “straordinario” il potere di surrogazione attribuito dall’art. 120 Cost. allo Stato, considerando “ordinare” tutte quelle fattispecie sostitutive previste dalla legge (statale e regionale). Particolarmente innovativa è la parte dell'indagine in cui la ricerca ha verificato in concreto la prassi di esercizio della sostituzione statale, da cui sono sembrate emergere numerose tendenze. In primo luogo significativo sembra essere il numero esiguo di sostituzioni amministrative statali nei confronti delle amministrazioni regionali; tale dato sembra dimostrare ed essere causa della scarsa “forza” degli esecutivi che avrebbero dovuto esercitare la sostituzione. Tale conclusione sembra trovare conferma nell'ulteriore dato che sembra emergere ovvero i casi in cui sono stati esercitati i poteri sostitutivi sono avvenuti tutti in materie omogenee (per lo più in materia di tutela ambientale) che rappresentano settori in cui vi sono rilevanti interessi pubblici di particolare risonanza nell'opinione pubblica. Con riferimento alla procedura va enfatizzato il rispetto da parte dell'amministrazione sostituente delle procedure e dei limiti fissati tanto dal legislatore quanto nella giurisprudenza costituzionale al fine di rispettare l'autonomia dell'ente sostituito. Dalla ricerca emerge che non è stato mai esercitato un potere sostitutivo direttamente ex art. 120 Cost., nonostante sia nella quattordicesima (Governo Berlusconi) che nella quindicesima legislatura (Governo Prodi) con decreto sia stata espressamente conferita al Ministro per gli affari regionali la competenza a promuovere l’“esercizio coordinato e coerente dei poteri e rimedi previsti in caso di inerzia o di inadempienza, anche ai fini dell'esercizio del potere sostitutivo del Governo di cui all'art. 120 della Costituzione”. Tale conclusione, però, non lascia perplessi, bensì, piuttosto, sembra rappresentare la conferma della “straordinarietà” della fattispecie sostitutiva costituzionalizzata. Infatti, in via “ordinaria” lo Stato prevede sostituzioni per mezzo di specifiche disposizioni di legge o addirittura per mezzo di decreti legge, come di recente il D.L. 09 ottobre 2006, n. 263 (Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania. Misure per la raccolta differenziata), che ha assegnato al Capo del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri “le funzioni di Commissario delegato per l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania per il periodo necessario al superamento di tale emergenza e comunque non oltre il 31 dicembre 2007”. Spesso l’aspetto interessante che sembra emergere da tali sostituzioni, disposte per mezzo della decretazione d’urgenza, è rappresentato dalla mancata previsione di diffide o procedure di dialogo, perché giustificate da casi di estrema urgenza, che spesso spingono la regione stessa a richiedere l’intervento di surrogazione. Del resto è stata la stessa Corte costituzionale a legittimare, nei casi di particolare urgenza e necessità, sostituzioni prive di dialogo e strumenti di diffida nella sent. n. 304 del 1987. Particolare attenzione è stata data allo studio dei poteri sostitutivi regionali. Non solo perché meno approfonditi in letteratura, ma per l’ulteriore ragione che tali fattispecie, disciplinate da leggi regionali, descrivono i modelli più diversi e spingono ad analisi di carattere generale in ordine alla struttura ed alla funzione dei poteri sostitutivi. Esse sembrano rappresentare (in molti casi) modelli da seguire dallo stesso legislatore statale, si vedano ad esempio leggi come quella della regione Toscana 31 ottobre 2001, n. 53, artt. 2, 3, 4, 5, 7; legge regione Emilia-Romagna 24 marzo 2004, n. 6, art. 30, le quali recepiscono i principi sviluppati dalla giurisprudenza costituzionale e scandiscono un puntuale procedimento ispirato alla collaborazione ed alla tutela delle attribuzioni degli enti locali. La ricerca di casi di esercizio di poter sostitutivi è stata effettuata anche con riferimento ai poteri sostitutivi regionali. I casi rilevati sono stati numerosi in particolare nella regione Sicilia, ma si segnalano anche casi nelle regioni Basilicata ed Emilia-Romagna. Il dato principale, che sembra emergere, pare essere che alle eterogenee discipline di sostituzione corrispondano eterogenee prassi di esercizio della sostituzione. Infatti, alle puntuali fattispecie di disciplina dei poteri sostitutivi dell’Emilia-Romagna corrispondono prassi volte ad effettuare la sostituzione con un delibera della giunta (organo di governo) motivata, nel rispetto di un ampio termine di diffida, nonché nella ricerca di intese volte ad evitare la sostituzione. Alla generale previsione della regione Sicilia, pare corrispondere un prassi sostitutiva caratterizzata da un provvedimento del dirigente generale all’assessorato per gli enti locali (organo di governo?), per nulla motivato, salvo il richiamo generico alle norme di legge, nonché brevi termini di diffida, che sembrano trovare la loro giustificazione in note o solleciti informati che avvisano l’ente locale della possibile sostituzione. In generale il fatto che in molti casi i poteri sostitutivi siano stimolati per mezzo dell’iniziativa dei privati, sembra dimostrare l’attitudine di tal istituto alla tutela degli interessi dei singoli. I differenti livelli nei quali operano i poteri sostitutivi, il ruolo che la Corte ha assegnato a tali strumenti nell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale, nonché i dati emersi dall’indagine dei casi concreti, spingono ad individuare nel potere sostitutivo uno dei principali strumenti di attuazione del principio di sussidiarietà, principio quest’ultimo che sembra rappresentare – assieme ai corollari di proporzionalità, adeguatezza e leale collaborazione – la chiave di lettura della potestà sostitutiva di funzioni amministrative. In tal senso, come detto, pare emergere dall’analisi di casi concreti come il principio di sussidiarietà per mezzo dei poteri sostitutivi concretizzi quel fine, a cui l’art. 118 cost. sembra mirare, di tutela degli interessi pubblici, consentendo all’ente sovraordinato di intervenire laddove l’ente più vicino ai cittadini non riesca. Il principio di sussidiarietà sembra essere la chiave di lettura anche dell’altra categoria della sostituzione legislativa statale. L’impossibilità di trascurare o eliminare l’interesse nazionale, all’interno di un ordinamento regionale fondato sull’art. 5 Cost., sembra aver spino la Corte costituzionale ad individuare una sorta di “potere sostitutivo legislativo”, attraverso il (seppur criticabile) meccanismo introdotto per mezzo della sent. 303 del 2003 e della cosiddetta “chiamata i sussidiarietà”. Del resto adattare i principi enucleati nella giurisprudenza costituzionale a partire dalla sent. n. 117 del 1988 alla chiamata in sussidiarietà e i limiti che dal principio di leale collaborazione derivano, sembra rappresentare un dei modi (a costituzione invariata) per limitare quello che potrebbe rappresentare un meccanismo di rilettura dell’art. 117 Cost. ed ingerenza dello stato nelle competenze della regioni. Nonostante le sensibili differenze non si può negare che lo strumento ideato dalla Corte abbia assunto le vesti della konkurrierende gesetzgebung e, quindi, di fatto, di un meccanismo che senza limiti e procedure potrebbe rappresentare uno strumento di interferenza e sostituzione della stato nelle competenze regionali. Tali limiti e procedure potrebbero essere rinvenuti come detto nelle procedure di sostituzione scandite nelle pronunce del giudice delle leggi. I risultati che si spera emergeranno dalla descritta riflessione intorno ai poteri sostitutivi e il conseguente risultato circa lo stato del regionalismo italiano, non sembrano, però, rappresentare un punto di arrivo, bensì solo di partenza. I poteri sostitutivi potrebbero infatti essere oggetto di futuri interventi di riforma costituzionale, così come lo sono stati in occasione del tentativo di riforma del 2005. Il legislatore costituzionale nel testo di legge costituzionale approvato in seconda votazione a maggioranza assoluta (recante “Modifiche alla Parte II della Costituzione” e pubblicato in gazzetta ufficiale n. 269 del 18-11-2005) pareva aver fatto un scelta chiara sostituendo il disposto “Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle città metropolitane, delle Province e dei Comuni” con “Lo Stato può sostituirsi alle Regioni, alle città metropolitane, alle Province e ai Comuni nell'esercizio delle funzioni loro attribuite dagli articoli 117 e 118”. Insomma si sarebbe introdotto quello strumento che in altri Paesi prende il nome di Supremacy clause o Konkurrierende Gesetzgebung, ma quali sarebbero state le procedure e limiti che lo Stato avrebbe dovuto rispettare? Il dettato che rigidamente fissa le competenze di stato e regioni, assieme alla reintroduzione espressa dell’interesse nazionale, non avrebbe ridotto eccessivamente l’autonomia regionale? Tali interrogativi mirano a riflettere non tanto intorno a quelli che potrebbero essere gli sviluppi dell’istituto dei poteri sostitutivi. Piuttosto essi sembrano rappresenterebbe l’ulteriore punto di vista per tentare di comprendere quale percorso avrebbe potuto (o potrebbe domani) prendere il regionalismo italiano.
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Non-sorted circles, non-sorted polygons, and earth hummocks are common ground-surface features ill arctic regions. The), are caused by a variety of physical processes that Occur in permafrost regions including contraction cracking and frost heave. Here we describe the vegetation of patterned-ground forms on zonal sites at three location!: along an N-S transect through the High Arctic of Canada. We made 75 releves on patterned-ground features (circles, polygons, earth hummocks) and adjacent tundra (Interpolygon, intercircle, interhummock areas) and identified and classified the vegetation according to the Braun-Blanquet Method. Environmental factors were correlated with the vegetation data using a nonmetric multidimensional scaling ordination (NMDS). We identified eleven commnunities: (1) Puccinellia angustata-Papaver radicalum community in xeromesic non-sorted polygons of subzone A of the Circumpolar Arctic Vegetation Map; (2) Saxifraga-Parmelia omphalodes ssp. glacialis community in hydromesic interpolygon areas of subzone A; (3) Hypogymnia subobscura-Lecanora epibryon community In xeromesic non-sorted polygons of subzone B; (4) Orthotrichum speciosum-Salix arctica community In xeromesic interpolygon areas of subzone B; (5) Cochlearia groenlandica-Luzula nivalis community in hydromesic earth Mocks Of subzone B; (6) Salix arctica-Eriophorum angustifolium ssp. triste community in hygric earth hummocks of subzone 13; (7) Puccinellia angustata-Potentilla vahliana community in xeromesic non-sorted circles and bare patches of subzone Q (8) Dryas integrifolia-Carex rupestris community in xeromesic intercircle areas and vegetated patches of subzone C; (9) Braya glabella ssp. purpurascens-Dryas integrifolia community In hydromesic non-sorted circles of subzone Q (10) Dryas integrifolia-Carex aquatilis community in hydromesic intercircle areas of subzone C; and (11) Eriophorum angustifolium ssp. triste-Carex aquatilis community ill hygric intercircle areas of subzone C. The NMDS ordination displayed the vegetation types with respect to complex environmental gradients. The first axis of the ordination corresponds to a complex soil moisture gradient and the second axis corresponds to a complex geology/elevation/climate gradient. The tundra plots have a greater moss and graminoid cover than the adjacent frost-heave communities. In general, frost-heave features have greater thaw depths, more bare ground, thinner organic horizons, and lower soil moisture than the surrounding tundra. The morphology of the investigated patterned ground forms changes along the climatic gradient, with non-sorted pollygons dominating in the northernmost sites and non-sorted circles dominating, in the southern sites.
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Los arquitectos trascendemos a partir de nuestras obras y continuamos viviendo a través de ellas… Es así si no media una topadora y gente con poco conocimiento a cargo. Lo que comento tiene relación con el triste anuncio de ARQ (24/7/13) sobre la demolición de la comisaría en Santo Pipó, Misiones. Integrante del grupo formado por Boris Davinovic, Augusto Gaido, Francisco Rossi y Clorindo Testa, ordenados alfabéticamente, así figuran en los planos enviados al desarrollar el proyecto luego de ganar el concurso nacional de anteproyectos para puestos de salud y comisarías, es decir que aún no era el famoso arquitecto, antes incluso del Banco de Londres, la obra que lo proyectó nacional e internacionalmente. Los concursos organizados por la provincia fueron para consolidarse, ya que al ser Territorio Nacional no tenía contenedores arquitectónicos de suficiente jerarquía para alojar las funciones del poder provincial, salvo dos y ambos en Posadas: la Casa del Gobernador de Corrientes, de fin del siglo anterior y el edificio construido en 1944 para la Feria Nacional de Turismo y Yerba Mate que luego se reformulará para la Legislatura. Es así como estos concursos cubrirán el territorio provincial de obras destinadas a los más variados fines, pero con un lenguaje predominante y común. En ese cruce entre arquitectura y política, ¿por qué el lenguaje identitario de ese tiempo histórico fue el del Movimiento Moderno? En cierto sentido heroico apelaba a la construcción de un significado nuevo que dejando atrás las propuestas arquitectónicas del pasado se proyectara hacia el futuro interpelando las categorías fundacionales y alejándose de la tentación de extraer analogías de la impronta preliminar que habilitaba un eclecticismo romántico.
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Si la sustancia del hombre es el tiempo, la memoria es el testigo de la humanidad del hombre. No ejercerla, es una omisión similar a dejar de alimentarse. Sobornar a ese testigo, también es posible pero no es sino otra forma de suicidio. En un momento y un lugar la autoridad universitaria le puso uniforme al conocimiento. No fumar ni ingerir alimentos en horas de clase; vestir adecuadamente y mantener limpio el aspecto; no realizar bailes en los clubes (aunque sí escuchar música suave); no protagonizar juegos de azar, recordar la nacionalidad argentina de la Universidad Nacional de Cuyo, fueron los curiosos requisitos de acceso al saber científico, decretados por la máxima autoridad académica, concentrada en inventariar los libros que hacía desaparecer. Convertir al ciudadano en idiota, es un anhelo de todo autoritarismo. La lectura de estas páginas nos recuerda que esa triste utopía y sus nefastas consecuencias -minuciosamente registradas- tuvieron fortuna en nuestra tierra, en una época no lejana. Pero en ese espejo, simultáneamente, también vemos reflejadas las figuras y las formas que ya presagiaban su derrota. Este volumen de Roberto Vélez nos enseña que la memoria no sólo es testigo del hombre sino, principalmente, el instrumento que permite forjar sueños y modificar destinos. (Por Alejandro Poquet)
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El objetivo de la presente comunicación es pensar al personaje Don Quijote de la Mancha bajo la perspectiva de Miguel de Unamuno, a partir principalmente de sus textos Vida de Don Quijote y Sancho y El caballero de la triste figura, ambos en diálogo con el poema Letanía de Nuestro Señor Don Quijote, de Rubén Darío. De acuerdo con Unamuno, Don Quijote es el caballero de la fe, pero de la fe basada en la duda. Se pretende así rescatar el sentido de la fe quijotesca y profundizar la idea de la vida como sueño (ya presentada en la obra de Pedro Calderón de la Barca), adentrándose la noción unamuniana vital y comprendiendo la defensa del autor de hacer revivir lo quijotesco en cada uno
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En esta ponencia queremos introducir algunas reflexiones sobre el tango como género y sobre su ubicuidad en las letras argentinas, a la luz de las claves que nos presentan las antologías. Esta propuesta de análisis se inserta en el marco del Proyecto de Investigación Plurianual (PIP) "Antologías argentinas. Intervenciones sobre el canon y emergencias del imaginario", dirigido por la Dra. Ma. Amelia Arancet Ruda. Luego de Angel Gregorio Villoldo y desde la aparición de "Mi noche triste" (1917) de Pascual Contursi, las letras de tango comienzan a manifestar una conciencia autoral definida. Andados los años ya no se discute su valor estético en la literatura nacional. Sin embargo, aún quedan planteados algunos interrogantes tales como cuál es el lugar que ocupa el tango en dicha literatura, cómo lo mira la poesía, qué inserción tiene el tango en el género lírico, cuál es la relación del tango con las letras de canciones pertenecientes a otros géneros musicales entre otros. Estas cuestiones, si bien no completamente resueltas, pueden verse allanadas por el aporte teórico de las antologías, tanto de aquellas que recogen el tango como un ejemplo de poesía argentina -antologías de poesía- como aquellas consagradas exclusivamente a las letras de tango -antologías de tango-
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Haiti, conocida en la época colonial como 'la Perla de las Antillas', su economía se organizó entorno a la producción de azúcar que proveían a través de Francia al resto de Europa. De este modo 70de la producción de azúcar era consumido en Europa y más del 60del café. Con una lógica que perseguía obtener los máximos rindes, buscaron mano de obra esclava en el África Subsahariana, población que directamente reemplazó a la originaria. Así comienza a plantearse el desarrollo de un tipo de economía en Haiti, que traería graves consecuencias ambientales hasta la actualidad. Hoy es el país más pobre de América, con una esperanza de vida de alrededor de 60 años, y la tasa de analfabetismo del 52. Ubicado en un área tropical, es frecuente que sufra el impacto de las tormentas tropicales y ciclones que, como consecuencia de una tala desmedida de laforestación originaria, las inundaciones acentúan los problemas, a lo que se suman los problemas sanitarios inherentes a un nivel de vida con tantas carencias; y a la preponderancia de minifundios en el área rural, llevan a conformar un escenario de enorme vulnerabilidad. En el año 2010, una triste noticia pondría a Haïti en el centro de la escena mundial: el terremoto de marzo de ese año que afectara el área de Puerto Príncipe dejando alrededor de 300.000 muertos y más de un millón de damnificados. En la actualidad la presencia debarrios enteros viviendo en carpas en espacios públicos, son una expresión de la vigencia de dicho evento. Sin embargo, desde mediados de la década pasada tienen lugar proyectos que intentan territorializar una experiencia argentina de reconocido impacto en procura de atender las necesidades de la población con mayor vulnerabilidad que habita en los espacios rurales. Se trata del Programa Pro Huerta, que desde hace más de veinte años se desarrolla en Argentina y se propuso en el ámbito de este país desde la perspectiva de la cooperación internacional. De este modo, en distintos departamentos de Haiti con el trabajo en conjunto de diversos países ponen en marcha un proyecto social de seguridad alimentaria. La finalidad es el análisis de la territorialización de la experiencia Pro Huerta Haiti a partir del enfoque de cooperación internacional del cual Argentina participa junto con Canadá y Haiti. Entre los resultados y aportes de esta investigación, se pudo constatar que en Haïtí se fortalecen las redes sociales, la familia, el trabajo solidario, la salud y en conjunto contribuyen a fortalecer la soberanía alimentaria, en un país con grandes carencias y gran vulnerabilidad. Asimismo, es interesante resaltar que el modelo de Cooperación Sur-Sur que la Argentina desarrolla, desde una visión horizontal donde nuestro país camina junto a Haití y Canadá en el aprendizaje cotidiano del crecimiento conjunto, donde cada país tiene mucho por seguir aprendiendo
Resumo:
El presente artículo se propone estudiar la evolución en España, durante el siglo XX de las relaciones entre prensa y literatura. A principios del siglo, nacen las "revistas noveleras" o "collecciones literarias", que se dan como finalidad poner literatura de calidad al alcance del pueblo. Cada semana se edita una revista barata, vendida en quiosco, que contiene principalmente una novela corta inédita, firmada en general por un autor de renombre. El negocio funciona, las colecciones se multiplican, y el modelo incluso se exporta, principalmente a Argentina. Además, estas revistas, a pesar de rechazar en general las etiquetas políticas precisas, difunden en la sociedad ideas progresistas : denuncia del sistema político corrupto, de la triste condición de la mujer española, de la moral católica, de la guerra etc... Cambia el panorama con la implantación en España de la dictatura franquista, que supone la aparición de nuevas revistas, con criterios de mercado : darle al público lo que supuestamente le va a gustar. Estudiaremos así la editorial Bruguera y su autora estrella, la famosa Corín Tellado. La comparación entre ambas situaciones permite mostrar el cambio abismal que se ha producido en la asociación entre prensa y literatura. A principios del siglo, la prensa es un instrumento de gran divulgación, que no está reñido con la calidad. Cuando se consolida la dictadura franquista, la noción de gran divulgación se asocia con la baja calidad y las expresiones "literatura popular" o "literatura de quiosco" han adquirido ya, en el lenguaje corriente, connotaciones fuertemente peyorativas
Resumo:
El caso clínico presentado muestra el trabajo psicoterapéutico realizado con una paciente oncológica, dentro del marco de intervención en Psicooncología, en la fase final de la evolución tumoral del cáncer. Si hay algo impreciso, inasible, alterante, dilemático, generador de fantasías y angustias en nuestra labor, es el tiempo que transcurre en torno a la fase final de la vida del paciente. Trabajar con el paciente moribundo, implica trabajar con nuestra propia muerte. Muerte es una palabra temida, olvidada, rechazada, final de todo. Morir hoy en día es un acto triste y solitario en la Unidad de Terapia Intensiva de los hospitales, donde la atención es despersonalizada, donde el paciente pierde el derecho de opinar y se vuelve un cuerpo a ser tratado. El agonizante pierde su status y la experiencia de la muerte es destituida de contenido. Las personas al final de su vida prefieren realmente estar en su casa, con sus afectos, y no en una sala de hospital. En la inmensa mayoría de los pacientes se puede lograr el objetivo de que puedan permanecer libres de dolor y otros síntomas molestos, estando lúcidos y preparándose para morir. Quien recibe el diagnóstico de una enfermedad grave tiene que hacer un duelo, transitar un duelo. No hay duelo solamente en el que se queda, sino también en el que se va. El objeto de duelo en los pacientes terminales es la vida misma. Es fundamental trabajar en el paciente con sus miedos y con su depresión, posibilitándole la oportunidad de participar de la muerte como participó de la vida. La Psicooncología entiende que para que una persona pueda tener cáncer se requiere previamente que ocurra una alteración yoica que lleva a aceptar como propio el tumor. Por ello es sensato y necesario un diagnóstico y tratamiento coadyuvante en el paciente con cáncer. Se entiende que el cáncer le pertenece a esa persona desde el punto de vista orgánico y psíquico. La descripción del tumor es una parte del problema. La otra parte es el individuo. La enfermedad y el pronóstico resultan de la interrelación del cáncer con la totalidad de la persona. Todo él está comprometido. No solo se trata de un proceso local que puede diseminarse por metástasis. Mucho antes, es un proceso general del individuo que se localizará. El cáncer es sólo un síntoma. La persona es mucho más que su enfermedad; así como también lo enfermo puede ser mucho más que el paciente Toda psicoterapia es un compromiso real y vital. La entrevista deberá tener la característica de que el fenómeno transferencial se cumpla desde los primeros instantes y permanezca. La Psicooncología investiga en el alma las respuestas emocionales y afectivas que pudieron provocar como síntoma ese cáncer. No busca traumas, ni estrés; busca la respuesta personal a esas circunstancias. De modo tal que la Psicooncología se ocupa de la VIDA y es un tratamiento coadyuvante que todo paciente tiene derecho a recibir. Con esta actividad no se pretende curar un proceso que ya ocurrió, se intenta buscar razones en lo que caracteriza al ser humano, en sus más importantes valores: buscar razones en su alma
Resumo:
La valoración del cuento como género responde, tanto en Ignacio Aldecoa como en José María Merino, a la búsqueda por el sentido de la individualidad. Bajo la mirada testimonial del niño de guerra, el uno, y experimentando el tránsito del franquismo a la democracia, el otro, el acto de escritura evidencia en ambos autores la crisis del sujeto en su intento por entender su entorno. El sentido que cobra esta reflexión en los cuentos se traduce en un concepto de literatura que intenta dar respuestas al (los) modo(s) en que habría que relacionarse con la realidad. Propongo revisar y confrontar ambas propuestas, a partir del análisis de dos cuentos: 'La fantasma de Treviño. Cuento regional, triste y falsificado', de Aldecoa, y 'El nacimiento en el desván', de Merino. He seleccionado estos dos, porque considero que sintetizan de manera clara el desarrollo de sus poéticas: la comprensión y el sufrimiento del dolor en el primero, y el cultivo de lo fantástico en el otro, como evasión de una realidad tormentosa
Resumo:
El análisis retórico tradicional del lenguaje poético de las tragedias de Eurípides ofrece frecuentemente el recuento de una variedad de recursos de estilo. Sin embargo, Eurípides propone una reflexión meta-discursiva acerca de la relación entre el objeto denominado y el nombre con el que se lo denomina, reintroduciendo de esta manera una autoconciencia de su quehacer literario. La cabal comprensión de este planteo meta-discursivo del trágico nos dará una clave que nos permitirá profundizar el sentido de sus usos retóricos. Intentaremos analizar este lenguaje poético euripideo en sus seis tragedias de tema bélico -Heraclidas, Hécuba, Troyanas, Helena, Suplicantes e Ifigenia en Áulide-, como una construcción intelectual autónoma que, en su complejidad retórica, intenta servir de herramienta y espejo (y, por tanto, de aproximación cognitiva) a la nueva contemplación del mundo que el final del siglo V propone
Resumo:
En este trabajo analizamos la representación de la experiencia de conquista en las Cartas de relación de Hernán Cortés y la Historia verdadera de la conquista de la Nueva España de Bernal Díaz del Castillo. En ambas crónicas, a medida que los soldados avanzan (en el territorio y en el relato), la vivencia sensible se constituye en piedra de toque en la organización de la trama, definiendo identidades. Nos centramos entonces en ciertos enfrentamientos paradigmáticos (la Noche Triste, la caída de Tenochtitlan) para dar cuenta de las metáforas -vinculadas a la percepción de la corporalidad propia y ajena-, en las que esta experiencia se inscribe, y en sus cruces con tradiciones discursivas específicas.
Resumo:
El análisis retórico tradicional del lenguaje poético de las tragedias de Eurípides ofrece frecuentemente el recuento de una variedad de recursos de estilo. Sin embargo, Eurípides propone una reflexión meta-discursiva acerca de la relación entre el objeto denominado y el nombre con el que se lo denomina, reintroduciendo de esta manera una autoconciencia de su quehacer literario. La cabal comprensión de este planteo meta-discursivo del trágico nos dará una clave que nos permitirá profundizar el sentido de sus usos retóricos. Intentaremos analizar este lenguaje poético euripideo en sus seis tragedias de tema bélico -Heraclidas, Hécuba, Troyanas, Helena, Suplicantes e Ifigenia en Áulide-, como una construcción intelectual autónoma que, en su complejidad retórica, intenta servir de herramienta y espejo (y, por tanto, de aproximación cognitiva) a la nueva contemplación del mundo que el final del siglo V propone
Resumo:
En este trabajo analizamos la representación de la experiencia de conquista en las Cartas de relación de Hernán Cortés y la Historia verdadera de la conquista de la Nueva España de Bernal Díaz del Castillo. En ambas crónicas, a medida que los soldados avanzan (en el territorio y en el relato), la vivencia sensible se constituye en piedra de toque en la organización de la trama, definiendo identidades. Nos centramos entonces en ciertos enfrentamientos paradigmáticos (la Noche Triste, la caída de Tenochtitlan) para dar cuenta de las metáforas -vinculadas a la percepción de la corporalidad propia y ajena-, en las que esta experiencia se inscribe, y en sus cruces con tradiciones discursivas específicas.