185 resultados para Asilo
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Even with several technologies, politics, laws and to knowledge that looks to secure the worthiest conditions of aging, the asylum of olds still marks presence in the contemporaneousness, like a sign of the aging badly succeeded. The present work is the result of practices carried out in institutions of long permanence and, among the effects of the institutionalization of the old age, the most attention was given here to the mechanism of the regression, analyzed through the light of the psychoanalysis.
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IMPARARE LA SOSTENIBILITA’ Oggetto di questa tesi di laurea è la progettazione di un asilo nido in prossimità della scuola dell’infanzia “Coccinella” di Bertinoro (FC) per rispondere alle esigenze espresse dalla’Amministrazione Comunale, orientate a realizzare un ampliamento della struttura esistente, completando così il polo scolastico comprendente anche la scuola elementare comunale adiacente. La strategia di intervento che il progetto ha adottato prevede due scenari: uno che assume integralmente gli obiettivi dell’Amministrazione e prevede la realizzazione di una struttura per la prima infanzia ad ampliamento di quella esistente, e un secondo che invece propone anche la realizzazione di una nuova scuola materna, in sostituzione di quella attualmente presente. Il progetto ha adottato un approccio integrato dal punto di vista formale e costruttivo, mostrando particolari attenzioni alle tematiche ambientali, assunte come determinanti per ottenere elevati livelli di benessere per i fruitori. La scuola diventa così promotrice di una progettazione orientata a principi di sostenibilità ambientale, efficienza e risparmio energetico, attraverso scelte in cui, sin dalle prime fasi, tecnologia, ambiente, comfort e salute cercano un reciproco equilibrio. A scala urbana si è scelto di recuperare e ampliare il sistema di percorsi pedonali che consente il collegamento tra le diverse parti della città, valorizzando il paesaggio quale risorsa primaria. A scala locale, per garantire l’integrazione del nuovo intervento con l’ambiente e il territorio, il progetto ha richiesto un’approfondita analisi preliminare del sito, comprendente lo studio di elementi del contesto sociale, culturale, ambientale e paesaggistico. A questi si sono affiancati gli aspetti climatologici, funzionali alla scelta dell’esposizione da attribuire all’edificio in modo da mitigare gli effetti delle variazioni climatiche e ottimizzare la qualità indoor. Dal punto di vista funzionale e distributivo il progetto ha risposto a criteri di massima flessibilità e fruibilità degli ambienti interni, assecondando le esigenze di educatori e bambini. Particolare attenzione è stata rivolta alla scelta della tipologia costruttiva, adottando elementi prefabbricati in legno assemblati a secco. Questo sistema consente la realizzazione di strutture affidabili, durevoli nel tempo e rispondenti a tre criteri fondamentali nell’ottica della sostenibilità: impiego di materiali rinnovabili, minimizzazione dei rifiuti e del consumo di acqua in cantiere e possibilità di recupero tramite smontaggio. Per garantire un corretto rapporto tra costruito e contesto urbano si è deciso di utilizzare materiali da rivestimento della tradizione locale, quali la pietra, e di attenuare l’impatto visivo dell’intervento attraverso l’impiego di coperture verdi. Queste, oltre a restituire in copertura il suolo occupato dai volumi edificati, contribuiscono alla mitigazione del microclima, sia all’interno dell’edificio che nel suo intorno. Rispetto agli obiettivi di benessere degli utenti, il progetto si è posto l’obiettivo di superare i confini determinati dalla normativa sui requisiti energetici, puntando al raggiungimento di condizioni ottimali in termini di salubrità del costruito e confort abitativo. Questo intervento si propone di sperimentare un approccio ecologico di sensibilizzazione ai criteri di sostenibilità, capace di coinvolgere tutti i protagonisti della vita scolastica: i bambini, gli insegnanti, i genitori e la città. “Imparare la sostenibilità” è l’obiettivo del progetto e la linea guida della tesi, i “percorsi di sostenibilità”, rappresenta il frutto degli studi, delle analisi, delle scelte che ci hanno spinto ad ottenere lo scopo prefissato e racchiude in un significato sia fisico che metaforico i risultati finali, sia a scala urbana, che a scala dell’edificio. Il termine “percorsi” ci permette di comprendere sia la nuova rete di collegamenti tra l’area di intervento e il resto della città quali strumento di rigenerazione e di contatto con il paesaggio, ma anche il processo di crescita e formativo che il bambino, destinatario e protagonista del progetto, intraprenderà in questi luoghi. La realizzazione di edifici tecnologicamente efficienti dal punto di vista delle prestazioni energetiche (raggiungimento classe B per la struttura esistente, classe A per le ipotesi di ampliamento) ma anche dal punto di vista del confort luminoso rappresenta la premessa per la formazione di una nuova generazione più responsabile e rispettosa nei confronti dell’ambiente che la circonda.
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Oggetto di questa tesi di Laurea è la riqualificazione della Scuola d’Infanzia Diana a Reggio nell’Emilia (RE), svolta con particolare attenzione al comfort ambientale interno e alla ricerca di una relazione con il contesto urbano e sociale circostante. I soggetti interessati al progetto sono due: l’Istituzione Scuole e Nidi d’Infanzia del comune di Reggio Emilia, che dal 2003 si occupa dei servizi educativi comunali, e la società “Reggio Children”, che opera al fine di “esportare” all’estero gli esempi delle scuole reggiane. L’interesse nei confronti di questo asilo nasce dalla notevole importanza che esso ricopre nel panorama nazionale e mondiale in riferimento al modello educativo applicato. L’edificio presenta inoltre alcuni interessanti caratteri: collocato in una posizione strategica rispetto alla città, si trova nel cuore dei Giardini Pubblici, circondato da alcuni dei principali monumenti. Tuttavia, un’analisi approfondita ha evidenziato alcune criticità, che questo lavoro ha cercato di risolvere. La problematica principale rilevata, che la tesi ha affrontato, riguarda il benessere degli utenti. Dal punto di vista della fruibilità degli spazi, poi, si riscontra il sottodimensionamento del grande-atelier in relazione alle esigenze del modello pedagogico, nonché la necessità di una riorganizzazione degli arredi, al fine di rendere gli ambienti più vivibili. A ciò si affiancano, infine, l’inefficienza energetica dell’involucro, la vulnerabilità sismica dell’edificio e la mancanza di adeguate connessioni tra asilo, verde di pertinenza e parco pubblico. Al centro delle strategie progettuali c’è il bambino, che diventa il “vero committente”, ossia il soggetto di cui soddisfare esigenze e desideri. Si è cercato quindi di realizzare un ambiente confortevole e sicuro, agendo sull’involucro, sul sistema impiantistico, e rinforzando la struttura dell’edificio. A scala architettonica la complessità del progetto è stata quella di dotare l’asilo degli spazi necessari. Si è quindi prevista la realizzazione di un ampliamento, puntando a conseguire prestazioni energetiche più elevate rispetto agli standard fissati dalla dalla normativa, cercando di non alterare i caratteri del luogo e di interagire con il contesto. Durante tutto l’iter progettuale si è dunque operato verificando contestualmente ogni scelta dal punto di vista architettonico, tecnologico ed energetico e puntando ad una soluzione attuabile per fasi.
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Conformemente ai trattati, l'UE sviluppa una politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà e sul rispetto dei diritti fondamentali e, a tal fine, avvia relazioni strategiche con i Paesi terzi e le Organizzazioni internazionali. Un fenomeno “senza frontiere”, quale quello migratorio, esige del resto un'azione coerente e coordinata sia sul piano interno sia su quello esterno. La messa in atto di quest'ultima, tuttavia, si scontra con difficoltà di rilievo. Innanzitutto, l'UE e i suoi Stati membri devono creare i presupposti per l'avvio della collaborazione internazionale, vale a dire stimolare la fiducia reciproca con i Paesi terzi, rafforzando la propria credibilità internazionale. A tal fine, le istituzioni, gli organi e gli organismi dell'UE e gli Stati membri devono impegnarsi a fornire un modello coerente di promozione dei valori fondanti, quali la solidarietà e il rispetto dei diritti fondamentali, nonché a coordinare le proprie iniziative, per individuare, insieme ai Paesi terzi e alle Organizzazioni internazionali, una strategia d'azione comune. In secondo luogo, l'UE e gli Stati membri devono adottare soluzioni volte a promuovere l'efficacia della collaborazione internazionale e, più precisamente, assicurare che la competenza esterna sia esercitata dal livello di governo in grado di apportare il valore aggiunto e utilizzare la forma collaborativa di volta in volta più adeguata alla realizzazione degli obiettivi previsti. In definitiva, l'azione esterna dell'UE in materia di politica migratoria necessita di una strategia coerente e flessibile. Se oggi la coerenza è garantita dalla giustiziabilità dei principi di solidarietà, di rispetto dei diritti fondamentali e, giustappunto, di coerenza, la flessibilità si traduce nel criterio del valore aggiunto che, letto in combinato disposto con il principio di leale cooperazione, si pone al centro del nuovo modello partenariale proposto dall'approccio globale, potenzialmente idoneo a garantire la gestione efficace del fenomeno migratorio.
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Questo studio propone un'esplorazione dei nessi tra processi migratori ed esperienze di salute e malattia a partire da un'indagine sulle migrazioni provenienti dall'America latina in Emilia-Romagna. Contemporaneamente indaga i termini del dibattito sulla diffusione della Malattia di Chagas, “infezione tropicale dimenticata” endemica in America centro-meridionale che, grazie all'incremento dei flussi migratori transnazionali, viene oggi riconfigurata come 'emergente' in alcuni contesti di immigrazione. Attraverso i paradigmi teorico-metodologici disciplinari dell'antropologia medica, della salute globale e degli studi sulle migrazioni, si è inteso indagare la natura della relazione tra “dimenticanza” ed “emergenza” nelle politiche che caratterizzano il contesto migratorio europeo e italiano nello specifico. Si sono analizzate questioni vincolate alla legittimità degli attori coinvolti nella ridefinizione del fenomeno in ambito pubblico; alle visioni che informano le strategie sanitarie di presa in carico dell'infezione; alle possibili ricadute di tali visioni nelle pratiche di cura. Parte della ricerca si è realizzata all'interno del reparto ospedaliero ove è stato implementato il primo servizio di diagnosi e trattamento per l'infezione in Emilia-Romagna. È stata pertanto realizzata una etnografia fuori/dentro al servizio, coinvolgendo i principali soggetti del campo di indagine -immigrati latinoamericani e operatori sanitari-, con lo scopo di cogliere visioni, logiche e pratiche a partire da un'analisi della legislazione che regola l'accesso al servizio sanitario pubblico in Italia. Attraverso la raccolta di narrazioni biografiche, lo studio ha contribuito a far luce su peculiari percorsi migratori e di vita nel contesto locale; ha permesso di riflettere sulla validità di categorie come quella di “latinoamericano” utilizzata dalla comunità scientifica in stretta correlazione con il Chagas; ha riconfigurato il senso di un approccio attento alle connotazioni culturali all'interno di un più ampio ripensamento delle forme di inclusione e di partecipazione finalizzate a dare asilo ai bisogni sanitari maggiormente percepiti e alle esperienze soggettive di malattia.
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L'obiettivo di questo elaborato é quello di mettere in evidenza una categoria critica dei rifiuti: i pannolini usa e getta. Essi, infatti, consumano una quantità ingente di risorse ed energia ed inoltre producono un enorme impatto ambientale connesso allo smaltimento finale. Si pensi che quest'ultimi rappresentano circa il 5% del totale dei rifiuti prodotti: 2 miliardi di pannolini solo in Italia che impiegano più di 500 anni per decomporsi in discarica. Per studiare questo fenomeno si è presa in considerazione una cooperativa sociale bolognese che ha molto a cuore la salvaguardia dell'ambiente e che, attraverso un suo progetto, il progetto Lavanda, ha istituito una lavanderia che si occupa di fornire attraverso il noleggio pannolini lavabili agli asili del territorio: la cooperativa Eta Beta. Inoltre, recentemente, essa ha deciso di utilizzare anche pannolini compostabili, forniti dall'azienda IES Gas, per ridurre ulteriormente le emissioni nell'ambiente. Infatti il motore principale della cooperativa è quello di coniugare la raccolta differenziata alla riduzione dei rifiuti, concetto che dovrebbe essere alla base di ogni azienda, ogni famiglia, ogni persona ma che in Italia risulta di difficile realizzazione.Utilizzando i dati dalla Cooperativa e contattando le cooperative che collaborano con essa (Cadiai e Karabak) ed anche gli asili affiliati si è deciso di effettuare un'analisi statistico - gestionale per individuare il numero medio di pannolini utilizzati da un bambino in un anno scolastico andando a considerare diverse variabili come la tipologia di asilo, l'età dei bambini o le presenze. Dopo questa parentesi 'gestionale', lo studio ha ripreso un'impronta 'ambientale': infatti si è andato a studiare il processo anaerobico e aerobico per lo smaltimento dei pannolini compostabili attraverso un esperimento svolto presso il laboratorio di Chimica e di Processo del DICAM, facoltà di Ingegneria, Alma Mater Studiorum di Bologna
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Il presente elaborato, partendo dalla curiosità e gli stimoli ricevuti durante il percorso di laurea triennale, vuole prendere in analisi i tratti caratteristici dell’Intercultura e delle due facce che la compongono: l’interpretariato e la mediazione linguistica. Nel primo capitolo si delineano i contorni dell’interculturalità, partendo dalla definizione stessa di cultura, passando poi per l’approccio alla comunicazione interculturale e giungendo alla descrizione dei protagonisti dello scambio comunicazionale. Nel secondo capitolo dell’elaborato ci si concentra invece sulle figure professionali quali l’interprete di conferenza e il mediatore linguistico, cercando di far emergere i punti di contatto ma soprattutto le discrepanze inerenti alla pratica linguistica. Nel terzo ed ultimo capitolo, grazie alla collaborazione degli operatori del centro di accoglienza per extracomunitari richiedenti asilo della città di Caltanissetta, si traggono le conclusioni basandosi su un’intervista sottoposta ad un’operatrice in attività nel centro in qualità di interprete.
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Las múltiples llamadas de atención que M. Frisch y F. Dürrenmatt realizaron a los intelectuales suizos durante los años 50, tanto a través de sus obras como de sus discursos públicos, tuvieron como consecuencia no sólo un enfrentamiento decididamente crítico por parte de los jóvenes autores con la sociedad helvética en sus más diversos aspectos, sino también la reflexión sobre el papel del intelectual en la sociedad. Una reacción directa a tales planteamientos fue la novela más conocida de Walter Matthias Diggelmann (1927-1979) Die Hinterlassenschaft (El legado, 1965). En ella, a través del personaje de David Boller, un joven cuyos padres habían muerto en un campo de concentración durante el Tercer Reich, el autor reflexiona sobre los años del profascismo y sobre la política de asilo en Suiza durante la II Guerra Mundial relacionándolos con las tendencias comunistas posteriores a través de una historia para cuya composición utiliza abundante material documental, lo que dota al texto de unas características formales enormemente innovadoras. En su última novela, El séptimo velo (2007), Juan Manuel de Prada construye una trama ambientada en la Francia del periodo de la ocupación nazi, a través de la que Julio, el protagonista, descubre que su padre es un antiguo héroe de la resistencia francesa. El análisis comparado de ambas obras revela estrategias de composición similares en torno a los ejes temáticos de la memoria y la identidad.
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Las múltiples llamadas de atención que M. Frisch y F. Dürrenmatt realizaron a los intelectuales suizos durante los años 50, tanto a través de sus obras como de sus discursos públicos, tuvieron como consecuencia no sólo un enfrentamiento decididamente crítico por parte de los jóvenes autores con la sociedad helvética en sus más diversos aspectos, sino también la reflexión sobre el papel del intelectual en la sociedad. Una reacción directa a tales planteamientos fue la novela más conocida de Walter Matthias Diggelmann (1927-1979) Die Hinterlassenschaft (El legado, 1965). En ella, a través del personaje de David Boller, un joven cuyos padres habían muerto en un campo de concentración durante el Tercer Reich, el autor reflexiona sobre los años del profascismo y sobre la política de asilo en Suiza durante la II Guerra Mundial relacionándolos con las tendencias comunistas posteriores a través de una historia para cuya composición utiliza abundante material documental, lo que dota al texto de unas características formales enormemente innovadoras. En su última novela, El séptimo velo (2007), Juan Manuel de Prada construye una trama ambientada en la Francia del periodo de la ocupación nazi, a través de la que Julio, el protagonista, descubre que su padre es un antiguo héroe de la resistencia francesa. El análisis comparado de ambas obras revela estrategias de composición similares en torno a los ejes temáticos de la memoria y la identidad.
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Las múltiples llamadas de atención que M. Frisch y F. Dürrenmatt realizaron a los intelectuales suizos durante los años 50, tanto a través de sus obras como de sus discursos públicos, tuvieron como consecuencia no sólo un enfrentamiento decididamente crítico por parte de los jóvenes autores con la sociedad helvética en sus más diversos aspectos, sino también la reflexión sobre el papel del intelectual en la sociedad. Una reacción directa a tales planteamientos fue la novela más conocida de Walter Matthias Diggelmann (1927-1979) Die Hinterlassenschaft (El legado, 1965). En ella, a través del personaje de David Boller, un joven cuyos padres habían muerto en un campo de concentración durante el Tercer Reich, el autor reflexiona sobre los años del profascismo y sobre la política de asilo en Suiza durante la II Guerra Mundial relacionándolos con las tendencias comunistas posteriores a través de una historia para cuya composición utiliza abundante material documental, lo que dota al texto de unas características formales enormemente innovadoras. En su última novela, El séptimo velo (2007), Juan Manuel de Prada construye una trama ambientada en la Francia del periodo de la ocupación nazi, a través de la que Julio, el protagonista, descubre que su padre es un antiguo héroe de la resistencia francesa. El análisis comparado de ambas obras revela estrategias de composición similares en torno a los ejes temáticos de la memoria y la identidad.
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Las mujeres de la Bauhaus: El camino hacia la arquitectura, no es un simple título, es una secuencia en el tiempo. Al igual que la meta final de la Bauhaus era la Arquitectura, la Construcción, la obra de arte total donde participaban todas las disciplinas; la Escuela, sin la participación femenina hubiese nacido castrada, no hubiese sido la Bauhaus. En una entrevista se le preguntó a un alumno la razón de su ingreso, qué era lo más importante que le hizo tomar dicha decisión, a lo que contestó: “la forma de vida comunitaria de la gente de la Bauhaus”. Las mujeres, en un principio, con ser admitidas ya se daban por satisfechas. Eran disciplinadas, muy trabajadoras y se conformaban con las tareas que se les asignaba. Todos los estudiantes conocían las dificultades que acarreaba el ingreso y ser admitido era un hecho trascendente. Käthe Brachmann, agradecía en 1919 poder formar parte del alumnado: “Por lo tanto, nosotras las mujeres, también vinimos a esta escuela, porque cada una de nosotras encontró un trabajo que realizar aquí ¡que no nos atrevíamos a descuidar! ¡Puede que nadie envidiase nuestro trabajo! Gracias a todos aquellos que nos lo concedieron…” Somos nosotras, las siguientes generaciones de arquitectas, historiadoras, ingenieras, publicistas, diseñadoras… las que envidiamos y resaltamos su trabajo. Cuando Isabelle Anskombe contactó a principios de 1981, a través de Gunta Stölzl, con Marianne Brandt, ésta se encontraba en un asilo cercano a su lugar de nacimiento (antigua DDR) y quedó gratamente sorprendida del interés despertado. A lo largo de treinta años, hemos sido y continuamos siendo muchas mujeres, también algunos hombres, las que hemos impulsado y restituido el largo historial de méritos de las mujeres que estudiaron y trabajaron en la Bauhaus. Era una carencia que persistía desde el cierre de la escuela en 1933. Esta necesidad de restauración de la pequeña historia de la Bauhaus debe ser satisfecha por lo que esta tesis debe ser leída y entendida como una relectura desde sus orígenes en la que se incluyen dos aspectos fundamentales; el primero formado por los trabajos escolares de una parte importante del alumnado constituido por mujeres y el segundo en la consecución de una meta: lograr inscribirse en las clases de arquitectura y conseguir titularse como arquitectas. Este trabajo de investigación demuestra que la asociación de mujeres de la Bauhaus y el taller textil no fue exclusiva, existieron mujeres en otros talleres y lo más importante, hubo mujeres diplomadas en arquitectura. No se puede reducir el interés que despierta esta tesis sólo al ámbito femenino, porque no debemos olvidar que una tesis dedicada a un determinado maestro o alumno del mundo de la arquitectura se entiende que debe tener un interés global. De la misma manera, el estudio de una determinada maestra y de determinadas alumnas no se puede restringir a un determinado sector, debe ser de interés para toda la comunidad científica, no solo para las mujeres. Para que ello ocurra los trabajos de las alumnas deben tener una calidad mínima. Estudiando el fin de carrera de la alumna Vera Meyer-Waldeck y comparándolo con el de sus compañeros se puede afirmar que la complejidad arquitectónica de su trabajo no desmerece ante las dos propuestas ofrecidas por varones. La célebre frase de Marienne Brand en la que describe cuántas bolitas de alpaca tuvo que conformar hasta que por fin alguien le asignó una tarea mucho más gratificante, ilustra la paciencia y el tesón demostrado por ellas a lo largo del tiempo hasta ganarse el respeto entre los maestros y sus compañeros. La imposición inicial que supuso organizar a la mayorÍa de mujeres en el taller de tejidos influyó en un sentimiento femenino de autolimitación, algunas no se sentían capacitadas para la abstracción y el dominio espacial. Ello les llevó a reafirmarse como las más aptas en el campo bidimensional y por tanto convirtieron dicha limitación en un refugio. Se han explicado ejemplos de mujeres que no participaron en el taller textil (inicialmente establecido para ellas) y paulatinamente fueron dando pasos hacía un mayor compromiso con las relaciones espaciales y la arquitectura, a veces sin ser conscientes de ello. La propia Marianne Brandt tiene unas axonométricas fechadas en 1923 y su carnet de la Werkbund la acreditaba como arquitecta de interiores. Al mismo tiempo, Alma Buscher se sentía plena con sus célebres juguetes infantiles de madera en Weimar, pero sin embargo, ya en Dessau, redactó unos magníficos apuntes de construcción de edificios fechados en 1925. Incluso una alumna del taller textil, Benita Otte, sorprendió a sus maestros con una logradísima isométrica de la casa experimental Haus am Horn para la exposición del año 1923. Un ejemplo extraordinario fue el de la arquitecta Friedl Dicker. Una vez hubo abandonado sus estudios en Weimar, ejerció la profesión en Viena junto con su compañero de estudios Franz Singer, construyendo un club de tenis como trabajo más sobresaliente. El hecho de no existir ningún taller específico de arquitectura en Weimar, jugó a su favor, porque el nuevo profesor contratado para tal fin en Dessau era Hannes Meyer, un convencido de que la arquitectura y la vida debían ir a la par. El hijo de Paul Klee recordaba aquella época “Meyer (…) tenía ideas muy diferentes y la Bauhaus de Dessau llegó a estar muy regulada y agarrotada. Ahora todo el mundo estaba orientado hacía la arquitectura. Un estricto programa de 10 horas al día mantenía a la gente ocupada desde muy temprana la mañana hasta bien entrada la noche, y por si esto fuera poco, se enfatizaba la gimnasia y los deportes. Era un contraste muy fuerte respecto a las ideas fundacionales de la Bauhaus de Weimar…” La secuencia de los acontecimientos se ha detallado en el capítulo correspondiente, demostrándose que Gropius llamó conscientemente a Hannes Meyer porque era el hombre adecuado para este nuevo enfoque en Dessau. En el artículo del año 1926 que cautivó a Gropius, Die Neue Welt (los nuevos tiempos), Hannes Meyer colocaba en la misma página un trabajo de El Lissitzky con otro de Sophie Arp-Täuber. Su folleto de publicidad para ingresar en la escuela utilizaba como reclamo la pregunta, ¿buscas la verdadera igualdad como mujer estudiante? Convencido de que el “talento” no era tan importante como una buena predisposición, permitió eliminar el aura creadora que se suponía fundamentalmente masculina. Apasionado hombre político, cautivó a las jóvenes con su espíritu de justicia social, aunque su relación afectiva con Lotte Stam-Beese y con Hans Wittwer dejó al descubierto su temperamento y la dificultad de trabajar con él. El libro de Moholy Nagy titulado Von Material zu Architecktur (De lo material a la arquitectura) aparecido en 1929, impulsó a muchas mujeres a seguir avanzando y les sirvió como acicate, pues algunas se habían adaptado a un estado inferior al de sus plenas capacidades. Una voz autorizada y respetada les comunicaba que todo “ser humano debe tener la oportunidad de experimentar el espacio en la arquitectura”. Desgraciadamente, las teorías (Schopenhauer y posteriormente Freud … Gregorio Marañón) que primaban el sexo de la mujer por encima de su capacidad como persona , habían permitido crear en la opinión pública una cuantificación del grado de masculinidad o feminidad dependiendo de las actividades que se realizasen. Las relaciones espaciales, las ciencias puras, el proceso creador del artista, se habían considerado eminentemente masculinos en contraposición a la cerámica, las artesanías textiles y cualquier trabajo manual repetitivo que debían ser asignados a las mujeres. Betty Friedman denunciaba en 1962 lo que los educadores sexistas habían transmitido a lo largo del tiempo a sus alumnas : “A las mujeres les gusta la belleza tanto como a los hombres, pero quieren una belleza que esté relacionada con el proceso de la vida (…) La mano es tan admirable y digna de respeto como el cerebro.” En la Bauhaus, según avanzaba el tiempo, la integración ganaba terreno a los prejuicios por lo que la mano y el cerebro estaban conectados. Artista y artesano debían ser todo uno y los planes de estudio de la escuela, fieles a su origen de que el fin último era la arquitectura, ya permitían acceder a la sección de construcción (baulehre) a las personas que una vez terminadas las pruebas en el taller textil, quisieran seguir estudiando dentro de la Bauhaus. Las mujeres ya elegían libremente y se inscribían en los demás talleres según sus preferencias. La estudiante de carpintería y futura arquitecta Vera Meyer-Waldeck era entrevistada en la revista de la escuela y contestaba desinhibidamente que “para mí, es exactamente igual de interesante la literatura, el baile o la música, como las formas, el color, la matemáticas o cualquier problema de estática.” Numerosas alumnas estudiaron en la Bauhaus pero no consiguieron el diploma por no terminar todos los semestres requeridos. Fue el caso de Lotte Stam Beese que empezó en el taller textil con la maestra Gunta Stölzl, continuó en el departamento de construcción y, aunque no llega a diplomarse, si ejerció de arquitecta. Después de trabajar en diversos países, se titula en 1940 en la escuela VHBO de Ámsterdam. La entrada de Mies en la escuela cambia el planteamiento social y enfatiza aún más el estudio de la arquitectura. Unifica en su plan de estudios dos disciplinas que Hannes Meyer las tenía separadas: “construcción y acabados” (bau-ausbau) de manera que la pintura mural, la carpintería y todo lo referente al interior-exterior de un edificio se estudia en el mismo taller. Esta unificación presentaba una gran ventaja para las mujeres ya que se podían apuntar sin sentirse comprometidas ni apabulladas por las connotaciones que una carrera de ciencias tenía ya que en realidad, la palabra arquitectura con grandes letras no aparecía. Por supuesto, tal y como se ha detallado en el plan de estudios, existían todo tipo de asignaturas técnicas, pero el hecho de que la arquitectura de interiores, muy asumida en la opinión pública como actividad perfectamente factible para una mujer, se uniese a la actividad constructora, eminentemente masculina hasta entonces, ayudó a desembocar el final de los estudios de varias mujeres en el fin último de la Bauhaus: la arquitectura. Como ejemplo, Vera Meyer-Waldeck, había trabajado activamente en el edificio de Bernau en la creación de las mesas de estudio de los dormitorios dentro de la sección de carpintería (tischlerei), y gracias a la unificación de talleres, puede seguir ampliando conocimientos de construcción de forma gradual. Las alumnas Vera Meyer-Waldeck, María Müller, Hilde Reiss y Annemarie Wilke lograron de esta manera culminar sus estudios con un diploma que las permitía ejercer como arquitectas. Se ha dispuesto de los proyectos y trabajos profesionales en el campo de la arquitectura y el diseño de Vera y Annemarie. Desgraciadamente, de María y Hilde no se ha encontrado material de estudio. También se amplian datos sobre Annemarie Wimmer (Lange de casada), ella no finalizó sus estudios de Bau, pero se diplomó en ausbau (Ausbauabteilung), equivalente a arquitectura de interiores y escribió una guía de arquitectura de Berlín. Es conocido que la Bauhaus no era la única escuela donde las mujeres podían estudiar teoría de la construcción. Existían en la República de Weimar varias escuelas técnicas donde las mujeres estudiaban arquitectura , pero uno de los rasgos diferenciadores de esta escuela era el fuerte sentimiento de comunidad y la relación alumno-profesor. Las clases distendidas las recordaba el alumno Pius Pahl venido de un estricto instituto técnico: “(…) Durante el cuarto semestre intenté estudiar planeamiento urbano con Hilberseimer. Entré en la habitación donde se impartían las clases y me senté un poco apartado respecto a los demás. Ellos iban llegando uno a uno y encontraban sitios en las mesas, bancos, taburetes y alfeizares de las ventanas. Debatían entre ellos. Estaba esperando a Hilbs (Hilberserimer), pero en vano. Después de algún tiempo uno de los estudiantes veteranos apoyado en un radiador se presento como Hilbs. ¡Que sorpresa para un estudiante formado en la Höheres Staatliches Technikum!” Otro rasgo diferenciador frente a las escuelas técnicas era la posibilidad de acceder a la Bauhaus sin un bachillerato previo. Teniendo dotes artísticas y disponibilidad para el trabajo de diseño se podía ingresar en la Bauhaus. Estas condiciones beneficiaban a cierto número de mujeres que no habían tenido posibilidad de una instrucción académica. Como ejemplo, el currículo anterior de la alumna Lotte Burckhardt , matriculada en la sección de carpintería en el año 1928, consistía en haber trabajado en una sastrería, de secretaría y como trabajadora social. La Bauhaus no obstante, presentaba muchos rasgos comunes con otras escuelas surgidas en la República de Weimar. Varios profesores de la Bauhaus fueron contratados por otras escuelas. La escuela Reimann en Berlín (contrató al maestro de fotografía Peterhans una vez clausurada la Bauhaus de Berlín), la de Breslau (contrató a Schlemmer a partir de 1929) y especialmente la de Frankfurt (contrató a Adolf Meyer cuando éste se separa de Gropius) participaban de idearios similares. Esta última escuela estaba directamente relacionada con la oficina municipal de la construcción de Frankfurt, liderada por el arquitecto Ernst May. Bajo sus ordenes trabajó la arquitecta Margarete Schütte-Lihotzky. Ella, junto con un grupo de trabajo, realizaron para la exposición de la Werkbund de 1927- organizada por Mies y en parte por Lilly Reich- unas viviendas prefabricadas. Al igual que en la feria de Frankfurt, aquí también se ocupó del amueblamiento de las cocinas. Su posterior estancia en la Unión Soviética y sus proyectos son comparables con los realizados en la misma época por Lotte Stam-Beese. Estos proyectos se analizarán estableciéndose similitudes. Si bien hay características similares entre todas estas escuelas, un signo distintivo de la Bauhaus era la ausencia de un departamento o sección de modas que en cambio sí existían en las escuelas de Reimann y Frankfurt . La causa inicial era el riesgo de feminización que temía Gropius y que venía precedido por la escuela de Van de Velde. Posteriormente, en el curriculum de Hannes Meyer, que buscaba las necesidades del pueblo en lugar de ambicionar el lujo, no tenía justificación un taller dedicado a la moda. Cuando llegó Mies, la escuela ya estaba muy profesionalizada y las mujeres que estudiaban allí siempre comprendieron que su objetivo era la arquitectura y el diseño de objetos útiles. Curiosamente, Lilly Reich, la maestra de Ausbau (interiorismo), si venía del mundo de la moda. No hay constancia de que ninguna mujer denunciara un trato discriminatorio, así como tampoco parece que ellas sintieran que abrían nuevas vías a otras mujeres . Tenían un sentimiento de comunidad mixta, no se sentían especiales, creían firmemente en un mundo más justo y pensaban que trabajando en la Bauhaus podrían aportar algo nuevo a la sociedad junto con sus compañeros. Según palabras textuales de Walter Gropius: “La Bauhaus sintió el peso de una doble responsabilidad moral: hacer que sus alumnos tomaran plena conciencia de la época en que vivían, y prepararlos para que plasmaran su inteligencia natural y conocimientos adquiridos en diseños de prototipos que expresaran directamente esta conciencia.” La grave crisis económica y la guerra truncaron muchas esperanzas pero esos fuertes lazos duraron en el tiempo . Son incontables las parejas que se formaron en la Bauhaus, muchas de ellas duraderas en el tiempo. Eran numerosos los matrimonios formados por alumnos arquitectos y alumnas de otros talleres que ayudaban y aconsejaban. Quizás, el caso de Gertrud Arndt, llama la atención porque ella quiso originalmente ser arquitecta. Había estado como aprendiz en un estudio de arquitectura de Erfurt y a instancias de su jefe, empezó a documentar fotográficamente los edificios mientras se formaba. Al ver la primera exposición de la Bauhaus del año 1923 y con una beca de estudios, decidió trasladarse a Weimar para estudiar arquitectura. Cuando llegó allí descubrió que no existía tal departamento (solo alumnos aventajados disfrutaban de algunas clases semiparticulares) y después de aprobar el curso preliminar acabó en el taller de tejidos. Una vez hubo completado todos sus estudios, no volvió a trabajar en el diseño textil. Se casó con el arquitecto Alfred Arndt y cuando éste fue nombrado profesor, ella estuvo apoyando a su marido sin dejar de ocuparse de su otra pasión: la fotografía. Gertrud fue redescubierta como fotógrafa en los años 80 y en enero de 2013, el archivo Bauhaus le ha dedicado una exposición monográfica con sus obras textiles y fotográficas. Como anécdota, cabe reseñar la carta que le escribe Gertrud a su amiga Gunta Stölzl, animándola a emigrar a España ya que nuestro país se veía como una oportunidad para trabajar ante una Alemania deprimida económicamente. Tratamiento singular se merece también Hermine Luise Scheper- Berkenkamp, conocida como Lou. Alumna del taller de pintura mural, se casó con su compañero de estudios Hinnerk Scheper. Él terminó como profesor de la escuela y ella se dedicó a ayudarle al tiempo que ejercía de pintora e ilustradora de libros para niños. La prematura muerte de su marido en 1957 le impulsó a ejercer sus funciones. Se hizo cargo de las labores compositivas del color en la arquitectura de numerosos edificios en Berlín. Fue responsable del diseño de color del último proyecto ejecutado por Otto Bartning (un hogar infantil en Berlín), la Filarmónica de Hans Scharoun, el Museo Egipcio, varios edificios de Walter Gropius en los distritos de Berlín Britz, Buckow y Rudow así como el edificio del aeropuerto de Tegel. Cuando murió el 11-4-1976, Lou estaba trabajando en el esquema de color para la construcción de la biblioteca de Scharoun en Berlín. Es una evidencia que el trabajo de la escuela ha pasado a la posteridad fundamentalmente por la creación de objetos, telas, tipografías, fotografías, collages, pinturas, publicidad y técnicas de color. A excepción de sus tres directores, arquitectos de profesión, ni siquiera el arquitecto Breuer logra superar en reconocimiento al Breuer creador de sillas tubulares. Es por tanto mi intención mostrar el lado menos conocido de la escuela más famosa: el trabajo de las arquitectas que surgieron de la Bauhaus. Lamentablemente, el trabajo realizado por Peter Hahn en 1995 y recogido en el libro Bauten und projekte. Bauhaus in Berlín (Construcciones y proyectos. Bauhaus en Berlín) que editó el Bauhaus-archiv, sólo contiene los trabajos realizados por estudiantes y profesores de la escuela en el área metropolitana de Berlín, no aparece plano alguno ni fotografías de ninguna estudiante. Tan solo se citan las biografías de Lilly Reich y Vera Meyer-Waldeck. Con la colaboración del propio archivo Bauhaus, he podido contemplar los trabajos de las alumnas y compararlos con los de sus compañeros que sí figuran en dicho libro. Se analizarán dichos proyectos Por último, una imagen, que parece retroceder en el tiempo: Mies en América con sus estudiantes, solo hombres. Cuando Gropius emigró a Inglaterra, realizó con Maxwell Fry una escuela mixta que continuaba sus planteamientos ético-sociales traspuestos a la arquitectura. Sin embargo, al aceptar el puesto docente en Harvard (1937-1952), donde la educación estaba segregada por sexos -las mujeres aprendían en el Radcliffe College- no debió poder instruir prácticamente a ninguna mujer . La arquitecta Anne Thyn, colaboradora de Louis Kahn, fue una de las escasas alumnas. Empezó en 1944 y se licenció en 1949. ¿Coincidirían en alguna clase? Parece que la guerra hizo retroceder los espacios ganados por las mujeres, al menos en Estados Unidos. La feminista Bety Fridman denunciaba una vuelta de la mujer al hogar y a “ese malestar que no tiene nombre” denominado por ella la mística de la feminidad. En el año 1953, en América se publicaban manuales dirigidos a las mujeres en los siguientes términos: “En el momento histórico actual, la muchacha más adaptada probablemente sea la que es lo suficientemente inteligente como para tener buenas notas es la escuela pero no tan brillante como para sacar sobresaliente en todo (…); la que es competente, pero no en áreas relativamente nuevas para las mujeres; la que sabe ser independiente y ganarse la vida, pero no tanto como para competir con lo s varones; la que es capaz de hacer bien algún trabajo (en el supuesto de que no se case o si por otras razones no tiene más remedio que trabajar) pero no está tan identificada con una profesión como para necesitar ejercerla para ser feliz.” Afortunadamente, las protagonistas de esta tesis se sentían tan identificadas con su profesión que necesitaban ejercerla para ser personas, porque “ser mujer no es ni más ni menos que ser humana” ABSTRACT The Bauhaus was created in 1919 in a brand new government which looks for a rapprochement between the people and university elites. A new, modern and democratic perspective where the ideals of collectivism and individualism come together to serve the same cause: architecture, total construction. To access the Bauhaus previous studies were not necessary, just an artistic disposition. The Weimar period lasted until 1925, year in which were expelled finding a new headquarters in Dessau. The school appealed especially to young people wanting to learn and in need of change. For women marked a double jump, to acquire a profession and feel equal to their peers. Its founder, Walter Gropius, wanted to combine artistic creation of standardized design prototypes looking for a common goal around the architecture. Under the slogan "art and industry, a new unit," an exhibition from 15 August to 30 September 1923 where the pilot house called "Haus am Horn", executed and organized by all the school's workshops and in which some female students were able to demonstrate his extraordinary talent. When the Bauhaus moved to Dessau, Gropius invited architect Hannes Meyer to join them for the inauguration of the architecture section. No sooner had Meyer joint the Bauhaus when he became the new director. He advertised the school under the slogan “Come to the Bauhaus” with which he wanted to attract more female students. In his advertising papers, Mayer asked “Are you looking for a real equality as a female student?” During his mandate the Bauhaus sought predisposition for artistic talent to face a new and fairer world. “The needs of the people instead of a lust for luxury” were also reflected in the new architecture. The female students Lotte Gerson and Lotte Besse enrolled themselves in 1929 in the construction section. The destitution of Hannes Meyer in summer in 1930 made the designation of Mies van der Rohe, the school’s last director. Lilly Reich substituted master Gunta Stölzl. This well known couple of professionals with professor Hilberseimer formed a global section of construction-interior design (bau-ausbau) where edification and urbanism a quota of exigency not fewer than any other technical school in Germany. The Bauhaus, harassed by the Nazis, was obligated to leave their headquarters in Dessau, to move to Berlin, as a private institute in an abandoned factory. Before leaving Dessau, four women got their architect diplomas. These women were Hilde Reiss, Maria Müller, Annemarie Wilke and Wera Meyer Waldeck The closing of the Berlin headquarters in 1933 by the Nazi government, at the time the Weimar Republic ended with Hitler’s raise to the power. This made the Bauhaus a symbol of the sullied freedom by totalitarianism. The work and biography of the following female architects that represent the three headquarters of the school is analyzed here: -Friedl Dicker in Weimar -Wera Meyer-Waldeck in Dessau - Annemarie Wilke in Berlin.
Resumo:
"Publicación hecha por iniciativa y á expensas de S.M. la Reina Doña María Cristina de Austria..."--Port.
Resumo:
Esta pesquisa verifica a opinião da criança por meio do desenho sobre o Lar de Longa Permanência para Idosos, antes e depois de contato lúdico com idosos institucionalizados. Para melhor caracterizar a população idosa, traça seu perfil neuropsicológico. Desenvolve-se junto a 21 idosos institucionalizados e 61 crianças com idades entre 7 e 12 anos, do Ensino Fundamental público. Inicia-se por verificar a opinião destas crianças sobre Asilo, por meio de desenho. Em seguida, realiza intervenção lúdica com crianças e idosos, de 10 encontros com brincadeiras simbólicas e jogos de regras. A seguir, reavalia a opinião das crianças e faz avaliação neuropsicológica dos idosos, por meio de Mini-Exame do Estado Mental, da Escala de Depressão Geriátrica, do Short-Form Health Survey (SF-36) e do Índice de Katz. Para verificar a opinião das crianças expressa por meio do desenho, utiliza de um título em aberto Asilo é..., a ser completado. Eles são analisados com subsídios do teste projetivo House-Tree-Person (HTP). Os resultados demonstram que houve, de uma aplicação para outra, alteração na opinião de 67% das crianças, que manifestaram opinião mais positiva relativa a perceber os idosos mais interativos e o Asilo mais humanizado, por meio de desenhos mais coloridas, de casas com portas e janelas, de pessoas sorrindo e em movimento e de mensagens afetuosas. Como aspectos negativos, encontram-se maior número de grades e de pessoas desenhadas sem face, o que pode representar a percepção da criança da dificuldade de contato do idoso com o mundo externo. Na análise estatística, encontrou-se média geral de 0,34 e desvio padrão de 0,16, no primeiro desenho e, no segundo, média de 0,42 e desvio padrão de 0,19, com médias obtidas numa escala de 0 a 1, em que se considera positivo o valor próximo a 1. Na avaliação neuropsicológica dos idosos, no MEEM, 50% demonstram preservação cognitiva. Os demais instrumentos indicam que a maior parte deles não apresenta sintomas depressivos, emite opinião positiva com relação à própria saúde, participa das atividades lúdicas e é dependente. Este estudo ressalta contudo que as características da instituição pesquisada, juntamente com a realização de atividades lúdicas, podem ter favorecido a opinião das crianças após seu contato com o Asilo. O estudo indica a necessidade de novas pesquisas sobre interação criança-idoso institucionalizado
Resumo:
Esta pesquisa verifica a opinião da criança por meio do desenho sobre o Lar de Longa Permanência para Idosos, antes e depois de contato lúdico com idosos institucionalizados. Para melhor caracterizar a população idosa, traça seu perfil neuropsicológico. Desenvolve-se junto a 21 idosos institucionalizados e 61 crianças com idades entre 7 e 12 anos, do Ensino Fundamental público. Inicia-se por verificar a opinião destas crianças sobre Asilo, por meio de desenho. Em seguida, realiza intervenção lúdica com crianças e idosos, de 10 encontros com brincadeiras simbólicas e jogos de regras. A seguir, reavalia a opinião das crianças e faz avaliação neuropsicológica dos idosos, por meio de Mini-Exame do Estado Mental, da Escala de Depressão Geriátrica, do Short-Form Health Survey (SF-36) e do Índice de Katz. Para verificar a opinião das crianças expressa por meio do desenho, utiliza de um título em aberto Asilo é..., a ser completado. Eles são analisados com subsídios do teste projetivo House-Tree-Person (HTP). Os resultados demonstram que houve, de uma aplicação para outra, alteração na opinião de 67% das crianças, que manifestaram opinião mais positiva relativa a perceber os idosos mais interativos e o Asilo mais humanizado, por meio de desenhos mais coloridas, de casas com portas e janelas, de pessoas sorrindo e em movimento e de mensagens afetuosas. Como aspectos negativos, encontram-se maior número de grades e de pessoas desenhadas sem face, o que pode representar a percepção da criança da dificuldade de contato do idoso com o mundo externo. Na análise estatística, encontrou-se média geral de 0,34 e desvio padrão de 0,16, no primeiro desenho e, no segundo, média de 0,42 e desvio padrão de 0,19, com médias obtidas numa escala de 0 a 1, em que se considera positivo o valor próximo a 1. Na avaliação neuropsicológica dos idosos, no MEEM, 50% demonstram preservação cognitiva. Os demais instrumentos indicam que a maior parte deles não apresenta sintomas depressivos, emite opinião positiva com relação à própria saúde, participa das atividades lúdicas e é dependente. Este estudo ressalta contudo que as características da instituição pesquisada, juntamente com a realização de atividades lúdicas, podem ter favorecido a opinião das crianças após seu contato com o Asilo. O estudo indica a necessidade de novas pesquisas sobre interação criança-idoso institucionalizado