757 resultados para Psycho-Social Attention Centers


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Este estudo teve como intuito investigar o impacto do contexto de trabalho e da resiliência sobre o bem-estar no trabalho em profissionais dos Centros de Atenção Psicossocial (CAPS). Os CAPS são serviços públicos substitutivos ao modelo asilar para tratamento de pessoas em sofrimento psíquico, preconizado e fundamentado na Política Nacional de Saúde Mental (PNSM). Para medir o contexto de trabalho utilizou-se a Escala de Avaliação do Contexto de Trabalho (EACT) que investiga as condições de trabalho, a organização do trabalho e as relações sócio profissionais. Já o instrumento utilizado para medir a capacidade dos trabalhadores em manter o nível de desempenho no trabalho mesmo em situações complexas e desgastantes foi a Escala de Avaliação de Resiliência no Trabalho (EART). Por último, investigou-se o nível de bem-estar do público pesquisado através do Inventário de Bem- Estar no Trabalho (IBET-13). O bem-estar no trabalho tem sido considerado como um construto psicológico resultado de vínculos positivos com o trabalho e com a organização. Participaram 81 profissionais dos CAPS das cidades de Petrolina PE e São Bernardo do Campo SP, com idade média de 37 anos (DP= 10,45), em sua maioria do sexo feminino (65,4%), com níveis de escolaridade acima do ensino superior e pós-graduação completa (ambos com 29%), que se declararam casados ou em união estável (39%). Neste estudo, considerou-se bem-estar no trabalho como variável critério e resiliência no trabalho e contexto de trabalho como preditores. Foram realizadas análises estatísticas exploratórias e descritivas, análises de regressão e análises de variância (ANOVA) para descrever participantes, variáveis e testar o modelo. Os resultados apoiaram parcialmente o modelo de predição, pois apenas o fator relações sócio profissionais se confirmou como preditor significativo de Bem-estar no Trabalho, e não houve predição significativa com as demais variáveis (Condições de Trabalho, Organização do Trabalho e Resiliência no Trabalho). Estes dados podem revelar que boas relações sócio profissionais tendem a aumentar o nível de satisfação e comprometimento organizacional afetivo com a instituição, bem como o aumento do nível de envolvimento desses profissionais com seu trabalho.

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The present study by the researcher focuses attention on the problem of performance effectiveness among managers operating in one of the critical and socially important sectors of our economy namely commercial banking. The banking sector is selected for the study due to two reasons. Firstly, commercial banking plays an important role in the country's development. Secondly, for improving the efficiency of the banking system, we need to know more about the performance dynamics of the executives in our banking organizations

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INTRODUZIONE: L’integrazione mente-corpo applicata ad un ambito patologico predominante in questi tempi, come il cancro, è il nucleo di questa tesi. Il background teorico entro cui è inserita, è quello della Psiconeuroendocrinoimmunologia (Bottaccioli, 1995) e Psico-Oncologia. Sono state identificate, nella letteratura scientifica, le connessioni tra stati psicologici (mente) e condizioni fisiologiche (corpo). Le variabili emerse come potenzialmente protettive in pazienti che si trovano ad affrontare il cancro sono: il supporto sociale, l’immagine corporea, il coping e la Qualità della Vita, insieme all’indice fisiologico Heart Rate Variability (HRV; Shaffer & Venner, 2013). Il potenziale meccanismo della connessione tra queste variabili potrebbe essere spiegato dall’azione del Nervo Vago, come esposto nella Teoria Polivagale di Stephen Porges (2007; 2009). OBIETTIVI: Gli obiettivi principali di questo studio sono: 1. Valutare l’adattamento psicologico alla patologia in termini di supporto sociale percepito, immagine corporea, coping prevalente e qualità della vita in donne con cancro ovarico; 2. Valutare i valori di base HRV in queste donne; 3. Osservare se livelli più elevati di HRV sono associati ad un migliore adattamento psicologico alla patologia; 4. Osservare se una peggiore percezione dell’immagine corporea e l’utilizzo di strategie di coping disadattive sono associate ad una Qualità della Vita più scarsa. METODO: 38 donne affette da cancro ovarico, al momento della valutazione libere da patologia, sono state reclutate presso la clinica oncologica del reparto di Ginecologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, Italia. Ad ogni partecipante è stato chiesto di compilare una batteria di test composta da: MSPSS, per la valutazione del supporto sociale percepito; DAS-59, per la valutazione dell’immagine corporea; MAC, per la valutazione delle strategie di coping prevalenti utilizzate verso il cancro; EORTC-QLQ30, per la valutazione della Qualità della Vita. Per ogni partecipante è stato registrato HRV di base utilizzando lo strumento emWave (HeartMath). RISULTATI PRINCIPALI: Rispondendo agli obiettivi 1 e 2, in queste donne si è rilevato una alto tasso di supporto sociale percepito, in particolare ricevuto dalla persona di riferimento. L’area rivelatasi più critica nel supporto sociale è quella degli amici. Per quanto riguarda l’immagine corporea, la porzione di campione dai 30 ai 61 anni, ha delle preoccupazioni globali legate all’immagine corporea paragonabili ai dati provenienti dalla popolazione generale con preoccupazioni riguardo l’aspetto corporeo. Invece, nella porzione di campione dai 61 anni in su, il pattern di disagio verso l’aspetto fisico sembra decisamente peggiorare. Inoltre, in questo campione, si è rilevato un disagio globale verso l’immagine corporea significativamente più alto rispetto ai valori normativi presenti in letteratura riferiti a donne con cancro al seno con o senza mastectomia (rispettivamente t(94)= -4.78; p<0.000001; t(110)= -6.81;p<0.000001). La strategia di coping più utilizzata da queste donne è lo spirito combattivo, seguito dal fatalismo. Questo campione riporta, inoltre, una Qualità della Vita complessivamente soddisfacente, con un buon livello di funzionamento sociale. L’area di funzionalità più critica risulta essere il funzionamento emotivo. Considerando i sintomi prevalenti, i più riferiti sono affaticamento, disturbi del sonno e dolore. Per definire, invece, il pattern HRV, sono stati confrontati i dati del campione con quelli presenti in letteratura, riguardanti donne con cancro ovarico. Il campione valutato in questo studio, ha un HRV SDNN (Me=28.2ms) significativamente più alto dell’altro gruppo. Tuttavia, confrontando il valore medio di questo campione con i dati normativi sulla popolazione sana (Me=50ms), i nostri valori risultano drasticamente più bassi. In ultimo, donne che hanno ricevuto diagnosi di cancro ovarico in età fertile, sembrano avere maggiore HRV, migliore funzionamento emotivo e minore sintomatologia rispetto alle donne che hanno ricevuto diagnosi non in età fertile. Focalizzando l’attenzione sulla ricerca di relazioni significative tra le variabili in esame (obiettivo 3 e 4) sono state trovate numerose correlazioni significative tra: l’età e HRV, supporto percepito , Qualità della Vita; Qualità della Vita e immagine corporea, supporto sociale, strategie di coping; strategie di coping e immagine corporea, supporto sociale; immagine corporea e supporto sociale; HRV e supporto sociale, Qualità della Vita. Per verificare la possibile connessione causale tra le variabili considerate, sono state applicate regressioni lineari semplici e multiple per verificare la bontà del modello teorico. Si è rilevato che HRV è significativamente positivamente influenzata dal supporto percepito dalla figura di riferimento, dal funzionamento di ruolo, dall’immagine corporea totale. Invece risulta negativamente influenzata dal supporto percepito dagli amici e dall’uso di strategie di coping evitanti . La qualità della vita è positivamente influenzata da: l’immagine corporea globale e l’utilizzo del fatalismo come strategia di coping prevalente. Il funzionamento emotivo è influenzato dal supporto percepito dalla figura di riferimento e dal fatalismo. DISCUSSIONI E CONCLUSIONI: Il campione Italiano valutato, sembra essere a metà strada nell’adattamento dello stato psicologico e dell’equilibrio neurovegetativo al cancro. Sicuramente queste donne vivono una vita accettabile, in quanto sopravvissute al cancro, ma sembra anche che portino con sé preoccupazioni e difficoltà, in particolare legate all’accettazione della loro condizione di sopravvissute. Infatti, il migliore adattamento si riscontra nelle donne che hanno avuto peggiori condizioni in partenza: stadio del cancro avanzato, più giovani, con diagnosi ricevuta in età fertile. Pertanto, è possibile suggerire che queste condizioni critiche forzino queste donne ad affrontare apertamente il cancro e la loro situazione di sopravvissute al cancro, portandole ad “andare avanti” piuttosto che “tornare indietro”. Facendo riferimento alle connessioni tra variabili psicologiche e fisiologiche in queste donne, si è evidenziato che HRV è influenzata dalla presenza di figure significative ma, in particolare, è presumibile che sia influenzata da un’appropriata condivisione emotiva con queste figure. Si è anche evidenziato che poter continuare ad essere efficaci nel proprio contesto personale si riflette in un maggiore HRV, probabilmente in quanto permette di preservare il senso di sé, riducendo in questo modo lo stress derivante dall’esperienza cancro. Pertanto, HRV in queste donne risulta associato con un migliore adattamento psicologico. Inoltre, si è evidenziato che in queste donne la Qualità della Vita è profondamente influenzata dalla percezione dell’immagine corporea. Si tratta di un aspetto innovativo che è stato rilevato in questo campione e che, invece, nei precedenti studi non è stato indagato. In ultimo, la strategia di coping fatalismo sembra essere protettiva e sembra facilitare il processo di accettazione del cancro. Si spera sinceramente che le ricerche future possano superare i limiti del presente studio, come la scarsa numerosità e l’uso di strumenti di valutazione che, per alcuni aspetti come la scala Evitamento nel MAC, non centrano totalmente il target di indagine. Le traiettorie future di questo studio sono: aumentare il numero di osservazioni, reclutando donne in diversi centri specialistici in diverse zone d’Italia; utilizzare strumenti più specifici per valutare i costrutti in esame; valutare se un intervento di supporto centrato sul miglioramento di HRV (come HRV Biofeedback) può avere una ricaduta positiva sull’adattamento emotivo e la Qualità della Vita.

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Imperatives to improve the sustainability of cities often hinge upon plans to increase urban residential density to facilitate greater reliance on sustainable forms of transport and minimise car use. However there is ongoing debate about whether high residential density land use in isolation results in sustainable transport outcomes. Findings from surveys with residents of inner-urban high density dwellings in Brisbane, Australia, suggest that solo car travel accounts for the greatest modal share of typical work journeys and attitudes toward dwelling and neighbourhood transport-related features, residential sorting factors and socio-demographics, alongside land use such as public transport availability, are significantly associated with work travel mode choice. We discuss the implications of our findings for transport policy and management including encouraging relatively sustainable intermodal forms of transport for work journeys.

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Background: Deliberate self-harm (DSH) is common among adolescents in Ireland and internationally. Psychological factors, negative life events and lifestyle factors have been found to be associated with self-harm in this group. However, large scale population-based studies of adolescent selfharm and its correlates have been lacking, and internationally a standardised methodology was needed to facilitate comparative studies. The focus on vulnerability which has been prevalent in this field has meant that research has failed to examine resilient adaptation among at-risk adolescents. Method: Data were obtained from a cross-sectional school-based study conducted in Ireland and in each of the six other centres which participated in the Child and Adolescent Self-harm in Europe (CASE) study. In Ireland, 3,881 adolescents in 39 schools in completing the anonymous questionnaire, while across all 7 centres, over 30,000 young people participated. Data were gathered on health and lifestyle, self-harm thoughts and behaviour, a wide range of life events, psychological characteristics (anxiety and depressive symptoms, self-esteem, impulsivity and coping style), and support available to young people. Results: This thesis reports the findings of the Irish CASE centre as well as one international study. The factors associated with DSH among Irish adolescents differed by gender, but among both genders drug use and knowing a friend who had engaged in self-harm were associated with DSH. Among Irish boys, strong associations were found between bullying and poor mental health and DSH. Among boys who had been bullied, psychological and school factors were associated with DSH, while family support was protective. Links between stressful life events, psychological characteristics and DSH within the international CASE sample were examined. Increased history of self-harm thoughts and acts was associated with greater depression, anxiety and impulsivity, lower self esteem and an increased prevalence of ten different negative life events, supporting the hypothesis of a “dose-response” relationship between these risk factors and the self-harm process. Associations between coping style, mental health factors (depressive symptoms, anxiety and self-esteem) and self-harm were examined among Irish adolescents. Emotion-oriented coping was strongly associated with poorer mental health and self-harm thoughts and acts. A mediating effect of emotion-oriented coping on associations between mental health factors and DSH was found for both genders and between problem-oriented coping and mental health factors for girls. Similar mediating effects of coping style were found when risk of self-harm thoughts was examined. Resilient adaptation among adolescents exposed to suicidal behaviour of others was examined. Self-harm thoughts were common in these adolescents. Among those exposed to suicidal behaviour of others, vulnerability factors were drug use and higher levels of anxiety among boys, while for girls drug use, bullying and abuse were vulnerability factors, while resilience was associated with higher self-esteem and use of problem-oriented coping. Conclusion: These findings can aid in the identification of young people at risk of self-harm in the school setting and highlight the importance of mental health, peer-related and lifestyle factors in the development of DSH. High-risk groups of young people such as bullying victims and those exposed to suicidal behaviour of others have distinctive profiles of risk factors which differ from those of their peers. Findings relating to the importance of positive coping skills can inform positive mental health programmes, many of which aim to enhance life skills and build resilience among young people. Knowledge of the factors associated with positive adaptation among at-risk adolescents can inform prevention efforts among this group.

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The control of social attention during early infancy was investigated in two studies. In both studies, an adult turned towards one of two targets within the infant's immediate visual field. We tested: (a) whether infants were able to follow the direction of the adult's head turn; and (b) whether following a head turn was accompanied by further gaze shifts between experimenter and target. In the first study, 1-month-olds did not demonstrate attention following at the group level. In addition, those infants who turned towards the same target remained fixed on it and did not shift attention again. In Study 2, we tested infants longitudinally at 2-4 months. At the group level, infants followed the adult's head turn at 3 and 4 months but not at 2 months. Those infants who turned towards the same target at 3 and 4 months also shifted gaze back and forth between experimenter and target. By 3 months, infants seem able to capitalize on the social environment to disengage and distribute attention more flexibly. The results support the claim that the control of social attention begins in early infancy, and are consistent with the hypothesis that following the attention of other people is dependent on the development of disengagement skills.

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This paper is based on research into the transition of young people leaving public care in Romania. Using this specific country example, the paper aims to contribute to present understandings of the psycho-social transition of young people from care to independent living by introducing the use of Bridges (2002) to build on existing theories and literature. The research discussed involved mixed methods design and was implemented in three phases: semi-structured interviews with 34 care leavers, focus groups with 32 professionals, and a professional-service user working group. The overall findings confirmed that young people experience two different, but interconnected transitions - social and psychological - which take place at different paces. A number of theoretical perpectives are explored to make sense of this transition including attachment theory, focal theory and identity. In addition, a new model for understanding the complex process of transitions was adapted from Bridges’ (2002) to capture the clear complexity of transition which the findings demonstrated in terms of their psycho-social transition. The paper concludes with messages for leaving and after care services with an emphasis on managing the psycho-social transition from care to independent living.

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Autism is a neuro-developmental disorder defined by atypical social behaviour, of which atypical social attention behaviours are among the earliest clinical markers (Volkmar et al., 1997). Eye tracking studies using still images and movie clips have provided a method for the precise quantification of atypical social attention in ASD. This is generally characterised by diminished viewing of the most socially pertinent regions (eyes), and increased viewing of less socially informative regions (body, background, objects) (Klin et al., 2002; Riby & Hancock, 2008, 2009). Ecological validity within eye tracking studies has become an increasingly important issue. As of yet, however, little is known about the precise nature of the atypicalities of social attention in ASD in real-life. Objectives: To capture and quantify gaze patterns for children with an ASD within a real life setting, compared to two Typically Developing (TD) comparison groups. Methods: Nine children with an ASD were compared to two age matched TD groups – a verbal (N=9) and a non-verbal (N=9) comparison group. A real-life scenario was created involving an experimenter posing as a magician, and consisted of 3 segments: a conversation segment; a magic trick segment; and a puppet segment. The first segment explored children’s attentional preferences during a real-life conversation; the magic trick segment explored children’s use of the eyes as a communicative cue, and the puppet segment explored attention capture. Finally, part of the puppet section explored children’s use of facial information in response to an unexpected event. Results: The most striking difference between the groups was the diminished viewing of the eyes by the ASD group in comparison to both control groups. This was found particularly during the conversation segment, but also during the magic trick segment, and during the puppet segment. When in conversation, participants with ASD were found to spend a greater proportion time looking off-screen, in comparison to TD participants. There was also a tendency for the ASD group to spend a greater proportion of time looking to the mouth of the experimenter. During the magic trick segment, despite the fact that the eyes were not predictive of a correct location, both TD comparison groups continued to use the eyes as a communicative cue, whereas the ASD group did not. In the puppet segment, all three groups spent a similar amount of time looking between the puppet and regions of the experimenter’s face. However, in response to an unexpected event, the ASD group were significantly slower to fixate back on the experimenter’s face. Conclusions: The results demonstrate the reduced salience of socially pertinent information for children with ASD in real life, and they provide support for the findings from previous eye tracking studies involving scene viewing. However, the results also highlight a pattern looking off-screen for both the TD and ASD groups. This eye movement behaviour is likely to be associated specifically with real-life interaction, as it has functional relevance (Doherty-Sneddon et al., 2002). However, the fact that it is significantly increased in the ASD group has implications for their understanding of real life social interactions.

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This monograph develops a model of reflexivity for social workers based on the work of Derek Layder. It examines psycho-biographical, interactional, institutional, cultural and economic factors and how they enable and constrain social work practice.