960 resultados para Epcidina,ferritina,ferro,atassia di Friedreich (FRDA),cardiomiociti,cellule staminali pluripotenti indotte umane (hiPSCs),ipossia intermittente (IH),legatura coronarica (LAD)
Resumo:
L’epcidina (HAMP) è un ormone peptidico coinvolto nella regolazione sistemica dell’omeostasi del ferro e risulta essere espresso anche a livello cardiaco. Questo studio è stato condotto per approfondire le conoscenze riguardo al ruolo dell’epcidina e dei geni regolatori del ferro e il loro coinvolgimento nella patologie cardiache. Sono stati condotti studi sull’atassia di Friedreich (FRDA), una patologia neurodegenerativa caratterizzata dallo sviluppo di una cardiomiopatia da sovraccarico di ferro. A tale scopo, sono stati derivati cardiomiociti da cellule staminali pluripotenti indotte umane (hiPSCs) di un paziente affetto da FRDA e da un soggetto sano (Ctr) e in queste cellule è stata analizzata l’espressione del gene HAMP. I risultati ottenuti hanno evidenziato un aumento significativo dell’espressione genica di HAMP nei cardiomiociti FRDA rispetto ai controlli. Parallelamente, l’espressione genica di HAMP e di altri geni regolatori del ferro è stata analizzata in un modello animale murino sottoposto a ipossia intermittente (IH) e a un danno ischemico indotto dalla legatura coronarica (LAD). Nel gruppo di topi normossici sottoposti alla legatura coronarica (Normo LAD) è stata evidenziato un aumento dell’espressione genica di HAMP simile a quello riscontrato nei cardiomiociti FRDA, suggerendo che questo gene potrebbe essere indotto in presenza di un danno cardiaco. Inoltre, l’espressione della ferritina, una proteina coinvolta nello storage del ferro con attività antiossidante, rimane invariata nei topi sottoposti a un danno cardiaco come la LAD, mentre risulta essere aumentata nei topi sottoposti a IH. Pertanto, l’aumento di espressione della ferritina potrebbe contribuire ai meccanismi di cardioprotezione indotti dall’ipossia intermittente. I risultati di espressione genica ottenuti in questo studio saranno validati mediante studi di espressione proteica.
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I cardiomiociti derivanti da cellule staminali pluripotenti indotte (hiPSC-CMs) costituiscono un nuovo approccio per lo studio delle proprietà delle cellule cardiache sia degli individui sani che di quelli affetti da malattie ereditarie e possono rappresentare inoltre una piattaforma in vitro per la scoperta di nuovi farmaci e terapie rigenerative. Il grande impatto delle hiPSC-CMs nell’ambito della ricerca si deve soprattutto alle loro proprietà elettrofisiologiche: queste cellule non solo esprimono fenotipi genici e proprietà delle correnti ioniche tipiche delle cellule cardiache, ma sono anche in grado di riprodurre fenomeni aritmici, come le EAD, a seguito della somministrazione di farmaci. Grazie anche alla grande potenza di calcolo oggi disponibile è possibile supportare la pratica in vitro con modelli in silico, abbattendo sia i costi che i tempi richiesti dagli esperimenti in laboratorio. Lo scopo di questo lavoro è quello di simulare il comportamento delle hiPSC-CMs di tipo ventricolare in risposta alla somministrazione di farmaci che interagiscono con la corrente di potassio IKr, principale responsabile della ripolarizzazione cardiaca. L’assunzione di certi farmaci può comportare infatti una riduzione della IKr, con conseguente prolungamento della fase di ripolarizzazione del potenziale d’azione cardiaco. Questo meccanismo è causa dell’insorgenza della sindrome del QT lungo di tipo 2, che in casi estremi può degenerare in aritmie gravi. Ciò suggerisce che queste cellule rappresentano un importante strumento per la valutazione del rischio pro-aritmico che può essere facilitata da simulazioni in silico effettuate utilizzando modelli computazionali basati su dati fisiologici.
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Le cellule staminali/stromali mesenchimali umane (hMSC) sono attualmente applicate in diversi studi clinici e la loro efficacia è spesso legata alla loro capacità di raggiungere il sito d’interesse. Poco si sa sul loro comportamento migratorio e i meccanismi che ne sono alla base. Perciò, questo studio è stato progettato per comprendere il comportamento migratorio delle hMSC e il coinvolgimento di Akt, nota anche come proteina chinasi B. L’espressione e la fosforilazione della proteinchinasi Akt è stata studiata mediante Western blotting. Oltre al time-lapse in vivo imaging, il movimento cellulare è stato monitorato sia mediante saggi tridimensionali, con l’uso di transwell, che mediante saggi bidimensionali, attraverso la tecnica del wound healing. Le prove effettuate hanno rivelato che le hMSC hanno una buona capacità migratoria. E’ stato osservato che la proteinchinasi B/Akt ha elevati livelli basali di fosforilazione in queste cellule. Inoltre, la caratterizzazione delle principali proteine di regolazione ed effettrici, a monte e a valle di Akt, ha permesso di concludere che la cascata di reazioni della via di segnale anche nelle hMSC segue un andamento canonico. Specifici inibitori farmacologici sono stati utilizzati per determinare il potenziale meccanismo coinvolto nella migrazione cellulare e nell'invasione. L’inibizione della via PI3K/Akt determina una significativa riduzione della migrazione. L’utilizzo di inibitori farmacologici specifici per le singole isoforme di Akt ha permesso di discriminare il ruolo diverso di Akt1 e Akt2 nella migrazione delle hMSC. E’ stato infatti dimostrato che l'inattivazione di Akt2, ma non quella di Akt1, diminuisce significativamente la migrazione cellulare. Nel complesso i risultati ottenuti indicano che l'attivazione di Akt2 svolge un ruolo critico nella migrazione della hMSC; ulteriori studi sono necessari per approfondire la comprensione del fenomeno. La dimostrazione che l’isoforma Akt2 è necessaria per la chemiotassi diretta delle hMSC, rende questa chinasi un potenziale bersaglio farmacologico per modulare la loro migrazione.
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Cavagna 5787: Program announcement, with "Casa Borgizzi" in ms. on verso, laid in, removed to item folder.
Il nucleotide extracellulare UTP: induzione della migrazione di cellule staminali emopoietiche CD34+
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La letteratura scientifica degli ultimi anni si è arricchita di un numero sempre crescente di studi volti a chiarire i meccanismi che presiedono ai processi di homing di cellule staminali emopoietiche e del loro attecchimento a lungo termine nel midollo osseo. Tali fenomeni sembrano coinvolgere da un lato, l’interazione delle cellule staminali emopoietiche con la complessa architettura e componente cellulare midollare, e dall’altro la riposta ad un’ampia gamma di molecole regolatrici, tra le quali chemochine, citochine, molecole di adesione, enzimi proteolitici e mediatori non peptidici. Fanno parte di quest’ultimo gruppo anche i nucleotidi extracellulari, un gruppo di molecole-segnale recentemente caratterizzate come mediatori di numerose risposte biologiche, tra le quali l’allestimento di fenomeni flogistici e chemiotattici. Nel presente studio è stata investigata la capacità dei nucleotidi extracellulari ATP ed UTP di promuovere, in associazione alla chemochina CXCL12, la migrazione di cellule staminali umane CD34+. E’ così emerso che la stimolazione con UTP è in grado di incrementare significativamente la migrazione dei progenitori emopoietici in risposta al gradiente chemioattrattivo di CXCL12, nonché la loro capacità adesiva. Le analisi citofluorimetriche condotte su cellule migranti sembrano inoltre suggerire che l’UTP agisca interferendo con le dinamiche di internalizzazione del recettore CXCR4, rendendo così le cellule CD34+ maggiormente responsive, e per tempi più lunghi, al gradiente attrattivo del CXCL12. Saggi di homing competitivo in vivo hanno parallelamente mostrato, in topi NOD/SCID, che la stimolazione con UTP aumenta significativamente la capacità dei progenitori emopoeitci umani di localizzarsi a livello midollare. Sono state inoltre indagate alcune possibili vie di trasduzione del segnale attivate dalla stimolazione di recettori P2Y con UTP. Esperimenti di inibizione in presenza della tossina della Pertosse hanno evidenziato il coinvolgimento di proteine Gαi nella migrazione dipendente da CXCL12 ed UTP. Ulteriori indicazioni sono provenute dall’analisi del profilo trascrizionale di cellule staminali CD34+ stimolate con UTP, con CXCL12 o con entrambi i fattori contemporaneamente. Da questa analisi è emerso il ruolo di proteine della famiglia delle Rho GTPasi e di loro effettori a valle (ROCK 1 e ROCK 2) nel promuovere la migrazione UTP-dipendente. Questi dati sono stati confermati successivamente in vitro mediante esperimenti con Tossina B di C. Difficile (un inibitore delle Rho GTPasi) e con Y27632 (in grado di inibire specificatamente le cinasi ROCK). Nel complesso, i dati emersi in questo studio dimostrano la capacità del nucleotide extracellulare UTP di modulare la migrazione in vitro di progenitori emopoietici umani, nonché il loro homing midollare in vivo. L’effetto dell’UTP su questi fenomeni si esplica in concerto con la chemochina CXCL12, attraverso l’attivazione concertata di vie di trasduzione del segnale almeno parzialmente condivise da CXCR4 e recettori P2Y e attraverso il reclutamento comune di proteine ad attività GTPasica, tra le quali le proteine Gαi e i membri della famiglia delle Rho GTPasi.
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In the era of monoclonal antibodies the role of autologous stem cell transplantation (ASCT) in the management of follicular lymphoma (FL) is still debated. To evaluate the safety and efficacy of myeloablative therapy with rescue of purged or unpurged harvests in FL pts. At our institution form 1997 to 2007 28 pts with refractory/resistant FL were eligible for ASCT. Before high dose therapy they received 2-3 cycles of CHOP-like regimen (ACOD), followed by Cyclophosphamide 4g/mq to mobilize the stem cells (SC). After SC collection the pts underwent 3 cycles of subcutaneous Cladribine at a daily dose of 0,14-0,10 mg/Kg for Day 1-5 every 3-4 weeks. The conditioning regimen was based on Mitoxantrone 60mg/mq + Melphalan 180 mg/mq, followed by SC re-infusion 24-hours later and G-CSF starting 24 hours after re-infusion. In 19 pts the SC underwent purging: in 10 harvests the CD34+ were selected by immunomagnetic beads, while in the other 9 pts, only Rituximab was used as “purging in vivo” agent. The remaining 9 pts received unpurged SC. Before ASCT 11 pts were in complete response (CR), 9 in partial response (PR) and 2 in stable disease. Two pts were not eligible for ASCT because of progressive disease (PD). The remaining 25 pts were eligible for ASCT. The engraftment was at a median of 11 days for leucocytes and 14 days for platelets (>20.000/mmc), with a delay of one day in the pts, who received purged SC. Grade 3-4 mucositis was described in 8 pts. During aplasia a 48% infection rate was reported, without differences between pts with purged or unpurged SC. One patient in CR presented myelodysplastic syndrome at 18 months from ASCT. After ASCT 22 pts were in CR, 2 in PR and one patient were not valuable, because died before response assessment. Nine pts in CR showed PD at a median time of 14 months from ASCT. With a median follow up of 5 years (range 2 months -10 years), 22 pts are alive and 11 (44%) in CR. Ten pts died, 5 for progressive disease and 5 for treatment-related causes; in particular 7 of them received in-vitro purged SC. Conclusions: Our chemotherapy regimen, which included the purine analogue Cladribine in the induction phase, seems safe and feasible. The high rate of CR reported and the sustained freedom from progression up to now, makes such modality of treatment a valid option principally in relapsing FL patients. In our experience, the addition of a monoclonal antibody as part of treatment confirms its role “in vivo purging” without observing an increased incidence of infection.
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The cytotoxicity of dental composites has been attributed to the release of residual monomers from polymerized adhesive systems due to degradation processes or the incomplete polymerization of materials. 2-Hydroxyethyl methacrylate (HEMA) is one of the major components released from dental adhesives. Cytotoxic effects due to high concentrations of HEMA have already been investigated, but the influence of minor toxic concentrations for long-term exposition on specific proteins such as type I collagen and tenascin has not been studied in depth. The objective of this project was to study the effect of minor toxic concentrations of HEMA on human gingival fibroblasts (HGFs) and human pulp fibroblasts (HPFs), investigating modification in cell morphology, cell viability, and the influence on type I collagen and tenascin proteins. Different concentrations of the resin monomer and different times of exposition were tested on both cell lines. The cell vitality was determined by MTT assay, and high-resolution scanning electron microscopy analysis was performed to evaluate differences in cell morphology before and after treatment. To evaluate the variability in the expression and synthesis of procollagen α1 type I and tenascin proteins on HGFs and HPFs treated with HEMA at different concentrations immunofluorescence, RT-PCR and western blot analysis, were carried out. The treatments on HGFs with 3mmol/L HEMA, showed a strong reduction of procollagen α1 type I protein at 72h and 96h, demonstrating that HEMA interferes both with the synthesis of the procollagen α1 type I protein and its mRNA expression. The results obtained on HPFs treated with different concentrations of HEMA ranging from 0,5mmol/L to 3mmol/L and for different exposition times showed a strong reduction in cell viability in specimens treated for 96h and 168h, while immunofluorescence and western blotting analysis demonstrated a reduction of procollagen α1 type I and an overexpression of tenascin protein. In conclusion, our results showed that the concentrations of HEMA we tested, effect the normal cell production and activity, such as the synthesis of some dental extracellular matrix proteins.
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Background. Mesenchymal stem cells (MSC) may be of value in regeneration of renal tissue after damage, however lack of biological knowledge and variability of results in animal models limit their utilization. Methods. We studied the effects of MSC on podocytes ‘in vitro’ and ‘in vivo’ utilizing adriamycin (ADR) as a model of renal toxicity. The ‘in vivo’ experimental approach was carried out in male Sprague Dawley rats (overall 60 animals) treated with different ADR schemes to induce acute and chronic nephrosis. MSC were given a) concomitantly to ADR in tail vein or b) in aorta and c) in tail vein 60 days after ADR. Homing was assessed with PKH26-MSC. Results. MSC rescued podocytes from apoptosis induced by ADR ‘in vitro’. The maximal effect (80% rescue) was obtained with MSC/Podocytes co-culture ratio of 1:1 for 72 hours. All rats treated with ADR developed nephrosis. In no case MSC modified the clinical parameters (i.e. proteinuria, serum creatinine, lipids) but protected the kidney from severe glomerulosclerosis when given concomitantly to ADR. Rats given MSC 60 days after ADR developed the same severe renal damage. Only few MSC were found in renal tubule-interstitial areas after 1-24 hours from injection and no MSC was detected in glomeruli. Conclusions. MSC reduced apoptosis of podocytes treated with ADR ‘in vitro’. Early and repeated MSC infusion blunted glomerular damage in chronic ADR nephropathy. MSC did not modify proteinuria and progression to renal failure, that implies lack of regenerative potential in this model.
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Aims: We aimed to quantify the release of bio-markers of myocardial damage in relation to direct intramyocardial injections of genes and stem cells in patients with severe coronary artery disease. Methods and Results: We studied 71 patients with “no-option” coronary artery disease. Patients had, via the percutaneous transluminal route, a total of 11±1 (mean ± SD) intramyocardial injections of vascular endothelial growth factor genes (n=56) or mesenchymal stromal cells (n=15). Injections were guided to an ischemic area by electromechanical mapping, using the NOGA™/Myostar™ catheter system. ECG was monitored continuously until discharge. Plasma CKMB (upper normal laboratory limit=5 μg/l) was 2 μg/l (2-3) at baseline; increased to 6 (5-9) after 8 hours (p < 0.0001) and normalized to 4 (3-5) after 24 hours. A total of 8 patients (17%), receiving a volume of 0.3 ml per injection, had CKMB rises exceeding 3 times the upper limit, whereas no patient in the group receiving 0.2 ml had a more than two fold CKMB increase. No patient developed new ECG changes. There were no clinically important ventricular arrhythmias and no death. Conclusion: Direct Intramyocardial injections of stem cells or genes lead to measurable release of cardiac bio-markers, which was related to the injected volume.
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Over the past few years, in veterinary medicine there has been an increased interest in understanding the biology of mesenchymal stem cells (MSCs). This interest comes from their potential clinical use especially in wound repair, tissue engineering and application in therapeutics fields, including regenerative surgery. MSCs can be isolated directly from bone marrow aspirates, adipose tissue, umbilical cord and various foetal tissues. In this study, mesenchymal stem cells were isolated from equine bone marrow, adipose tissue, cord blood, Wharton’s Jelly and, for the first time, amniotic fluid. All these cell lines underwent in vitro differentiation in chondrocytes, osteocytes and adipocytes. After molecular characterization, cells resulted positive for mesenchymal markers such as CD90, CD105, CD44 and negative for CD45, CD14, CD34 and CD73. Adipose tissue and bone marrow mesenchymal stem cells were successfully applied in the treatment of tendinitis in race horses. Furthermore, for the first time in the horse, skin wounds of septicemic foal, were treated applying amniotic stem cells. Finally, results never reported have been obtained in the present study, isolating mesenchymal stem cells from domestic cat foetal fluid and membranes. All cell lines underwent in vitro differentiation and expressed mesenchymal molecular markers.