3 resultados para John Dare
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Resumo:
This paper contrasts finite and non-finite complement constructions containing the matrix verb promise. Using data from the British National Corpus, I show that when no explicit mention is made of the promissee the non-finite form of complement is overwhelmingly preferred to its finite counterparts. The exact opposite is the case when the promissee is mentioned between the matrix verb and the complement clause. In addition, the promiser in the x promise y to infinitive construction is almost always pronominal. I suggest that these two facts, the dispreference for the to infinitive form of complement when the promissee is mentioned and the pronominal encoding of the promiser in such cases, are both related to the very rarity of this form of construction in English. Data is adduced showing that another rare construction, the so-called possessive -ing construction, also occurs with a disproportionate number of pronominal subjects. It is suggested that the preference for pronominal subjects in these constructions may be related to a wish to reduce the overall processing complexity of the predications in question.
Resumo:
Partendo dal concetto di 'regionalismo' oppure d' identità regionale nell'interpretazione che ne ha dato Fernand Braudel ci rendiamo conto che il modo di guardare Venezia e l'arte veneziana con una certa ottica si forma a partire del romanticismo. Sono autori quali John Ruskin e Hippolyte Taine che sulla base della teoria del 'milieu' hanno dato inizio a un metodo della storia dell'arte ottocentesca che identifica il carattere del luogo e della sua gente con l'arte che vi viene prodotta. Il concetto teorico che sta alla base di questo modo di interpretare la pittura, deriva però dal Vasari e si riferiva all'opposizione artistica tra Venezia e Firenze, e al loro antagonismo che secondo Vasari vedeva vincitore il disegno. Dopo Vasari questo concetto viene ripreso da altri teorici italiani, ma all'inizio del Settecento il dibattito si sposta in Francia dove de Piles sulla scia del 'debat des anciens et modernes' dando la palma a Rubens invece di Poussin, prende la parte del colore. Grazie alla diffusione del nuovo gusto per il colore che si diffonde dalla Francia per tutta l'Europa, l'arte veneziana acquista una grandissima riputazione dalla quale approfittano soprattutto i pittori moderni veneziani attivi all'estero, durante il Settecento. Davanti questo sfondo viene sottolineata l'importanza di Venezia per il giovane Mengs che deve il suo primo successo al 'ritratto a pastelli', seguendo il gusto del sovrano sassone Augusto III. A causa dell'incarico per il quadro della chiesa cattolica di Dresda il pittore si porta a Venezia dove studia l'Assunta di Tiziano che si rispecchia nel quadro per Dresda. Dall'incontro con l'arte di Tiziano nasce un intenso dialogo teorico con la sua pittura di modo che Tiziano viene incluso da Mengs nella 'trias' dei tre primi pittori della storia della pittura per la perfezione del suo colore. Tale rivalutazione di Tiziano, pubblicata nei suoi scritti, porta alla revisione generale dei pregiudizi accademici verso la scuola veneziana sul livello teorico e pratico. A Venezia è Andrea Memmo, basandosi sui scritti di Mengs, a dare con la sua 'Orazione' davanti l'Accademia nel 1787 una nuova visione quando abbandona la tradizionale gerarchia 'disegno, colore e chiaroscuro' e con essa anche la tradizionale classifica delle scuole. Angelika Kauffmann che ritrae Memmo durante il suo soggiorno veneziano rappresenta forse il tipo di pittura che Memmo intese come ideale ed è una pittura che riunisce le qualità dei grandi maestri del passato facendolo confluire in un gusto universale. Spetterà poi al Lanzi di introdurre l'idea di una nuova pittura di carattere nazionale che si verifica durante l'Ottocento con i 'Macchiaioli' che danno la prevalenza al colore e non al disegno.
Resumo:
One could be seduced into a critique of this volume that focuses on its potential to overstate the momentum for a shift in Western social work ideology when faced with the conundrum of cultural difference. One could posit that the discussion is too broad, the topics covered too numerous, the opportunity for detail missed, the urgency of the messages unnecessarily exaggerated, the “proof” not beyond anecdote and so forth. I reject this temptation to conform to the dominant professional dynamic most emphatically and offer that what Gray, Coates and Yellow Bird have presented to the social work field in this volume is the first tangible step towards an alternative paradigm for an occupation afflicted with unsustainable hypocrisy and thus at the brink of irrelevancy.