116 resultados para anfiteatro, archeologia, restauro

em AMS Tesi di Laurea - Alm@DL - Università di Bologna


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Tema principale del progetto è il restauro di questo luogo (in particolare l’anfiteatro): restauro inteso sia come conservazione della materia esistente, sia come progettazione di “nuovo”, costruito in stretta relazione con i resti antichi, per dare significato e soprattutto continuare l’uso di questo edificio. Il riuso dell’anfiteatro con funzione di “contenitore” di attività teatrali è diretta conseguenza della volontà di continuare ad utilizzare un edificio per lo stesso motivo per cui è stato costruito in antichità, chiaramente considerando le differenze e le evoluzioni che lo spazio teatrale ha avuto nel corso dei secoli. Il restauro dell’anfiteatro non può prescindere da una più ampia progettazione del parco archeologico, elemento fondamentale per la fruizione della città dal punto di vista didattico e ricreativo. Il progetto, quindi, cerca di studiare il sottile rapporto tra tempo e luogo, attraversando la storia, l’analisi, le potenzialità e i vincoli che danno forma al nuovo.

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La tesi si inserisce nell'odierno dibattito sulla vegetazione all'interno delle aree archeologiche. L'anfiteatro dell'antica Urbisaglia nelle Marche costituisce un eclatante esempio di quanto sia rilevante considerare anche la vegetazione all'interno di un progetto di conservazione. Cercando di affrontare in maniera sistematica il problema dell'interazione tra le strutture vegetali ed il manufatto, il progetto è stato concepito sulla base di un piano di manutenzione programmata per la salvaguardia della struttura archeologica ma anche della particolare vegetazione presente nel parco. Il tutto inserito in un ampio progetto di valorizzazione dell'intera area archeologica.

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La mia tesi propone un progetto di restauro e rifunzionalizzazione dell’Ex Stabilimento SITA di Forli costruito nel 1935. Attualmente l’edificio, al confine fra centro storico e tessuto urbano moderno, crea un grande vuoto urbano. L’obiettivo principale del progetto è il restauro e il consolidamento del manufatto, nonché una sua successiva rifunzionalizzazione. L’obbiettivo è la creazione di un centro culturale pubblico, di aggregazione e di incontro, che stimoli un nuovo impulso vitale ed economico nella zona circostante. La nuova funzione è quella di un centro culturale polifunzionale, gestito da una fondazione che fornisca spazi di utilizzo ampi, flessibili ed intercambiabili. Nello specifico si intende: spazi per conferenze cittadine, spettacoli teatrali temporanei, fiere, mercatini, mostre con particolari esigenze di dimensioni, concerti e festival organizzati sia dal privato che dalla pubblica amministrazione. Concludendo la parola chiave e il fine di questa tesi sono il restauro e la conservazione, e gli strumenti che si utilizzeranno per raggiungerli sono il consolidamento e la rifunzionalizzazione. Per questo motivo gli spazi e la struttura subiscono i minimi cambiamenti necessari per le nuove funzioni, seppur nei limiti imposti dal preesistente.

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Il mio percorso universitario presso la Facoltà di Architettura di Cesena ha inizio nell’anno accademico 2006-2007. Il titolo della tesi “Conoscere per conservare3, conservare per conoscere” sintetizza l’importanza di offrire una spiegazione della tematica della conoscenza e della sua necessità, la quale risulta essere indispensabile per ottenere un buon progetto di restauro. Progettare un edificio senza conoscerlo appare una scelta ingiustificabile, è tuttavia necessario che la raccolta di dati analitici non sia fine a se stessa e solo finalizzata a donare una facciata di rispettabilità all’architetto e alle sue operazioni progettuali. A partire da questa riflessione si arriva inevitabilmente a parlare di “ricerca della metodologia del restauro” e delle tecniche con il quale questo deve venire affrontato in termini di “piccolo restauro” (ossia restauro delle superfici). Nonostante infatti ogni cantiere di restauro abbia una sua particolare storia è comunque necessario un metodo chiaro e ordinato, di procedure collaudate e di tecniche ben sperimentate. Alla luce di tali osservazioni i temi di seguito proposti sono occasione di una riflessione nel contempo teorica e pratica, con particolare riferimento al restauro e alla conservazione delle superfici; gli edifici scelti appartengono a temi molto differenti l’uno dell’altro e per entrambi verrà proposta una ipotesi di conservazione e restauro delle superfici. Il primo, Palazzo Guidi, è un palazzo settecentesco sito all’interno del centro storico della città di Cesena; il secondo, la Rocca Malatestiana, costruita a partire dal 1100 dalla famiglia dei Malatesta trova la sua ubicazione in cima a una roccia nella alta Valmarecchia. Il progetto per la conservazione ed il restauro di Palazzo Guidi risulta essere la sintesi degli apprendimenti ricevuti nei precedenti anni accademici in due diverse discipline quali: “Rilievo architettonico” e “Laboratorio di restauro architettonico”. Per quanto concerne la Rocca Malatestiana il tema proposto nasce invece a partire dal progetto del “LSF. Archeologia e progetto di architettura” il quale è stato maggiormente approfondito riguardo le tematiche del restauro con la collaborazione del Prof. Arch. Andrea Ugolini e con l’ausilio del corso di “Conservazione e trattamento dei materiali” seguito presso la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali di Ravenna.

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Il progetto di valorizzazione dell’area del parco archeologico dell’anfiteatro romano di Ancona affronta il problema del recupero delle zone lacerate del centro antico della città, di quelle aree che in seguito ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e del terremoto del 1972 hanno perso la loro identità. Dopo aver analizzato le fasi evolutive della struttura urbana della città e il sistema di relazioni sociali che la caratterizza, il progetto ha individuato nella zona dell’ex convento di Santa Palazia, sul versante ovest del colle Guasco e attigua al parco archeologico dell’anfiteatro romano, il sito idoneo per la localizzazione di un nuovo complesso architettonico. È prevista la realizzazione di residenze, spazi per la didattica e per la cultura, attività di servizio e commerciale e la realizzazione della sede del nuovo Museo d’Arte Contemporanea della Regione Marche. Il progetto definisce un macrosistema in grado di mettere ordine e porre in relazione, attraverso spazi condivisi, edifici primari (come l’anfiteatro, la chiesa dei SS Pellegrino e Teresa e il Museo Archeologico), siti archeologici, edifici pubblici legati alla archeologia, ed edifici privati, prevalentemente ad uso residenziale. Ridisegna la città facendo della misura dell’eccellenza del passato di Ancona, la misura del nuovo progetto per recuperare l’identità perduta.

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VILLA “CAPELLO - MORA”: PROGETTO DI RESTAURO E RIFUNZIONALIZZAZIONE Il restauro è da intendere come un intervento diretto sull’opera, e anche come sua eventuale modifica, condotta sempre sotto un rigoroso controllo tecnico-scientifico e storico-critico, se parliamo di conservazione, intendiamo l’operare in un intento di salvaguardia e di prevenzione, da attuare proprio per evitare che si debba poi intervenire con il restauro, che comprende un evento traumatico per il manufatto. Un seconda parola chiave in questo discorso è la “materia” il restauro interviene sulla materia di un monumento e questa costituisce il tramite dei valori culturali antichi, la sua conservazione e il suo restauro garantisce la trasmissione anche dei significati estetici, storici simbolici del costruito. Ma certamente influisce il tempo sulle cose per cui il progetto di restauro non può astenersi dall’intervenire, in una logica di minimo intervento, di reversibilità, di facile lettura. Il concetto di nuovo in un opera antica, concetto che a parere personale, pare centrare in pieno il problema. Il nuovo infatti “deve avere carattere di autonomia e di chiara leggibilità: come l’<> di Boito deve essere inequivocabilmente opera nuova, come prodotto figurativo e materiale autonomo, chiara ed inequivocabile espressione <>”. Ne deriva riassumendo che oggi l’obbiettivo deve essere quello di conservare da un lato senza non sotrarre altra materia alla fabbrica e di valorizzare, ossia aggiungere, nuove “presenze” di cultura contemporanea. Per questo si parlerà di progetto di restauro e rifunzionalizzazione. La fabbrica ha subito nel corso dell’ultimo decennio una serie di “rovinose” manomissioni, che a differenza di quelle operate in tempi più antichi (coincidenti con esigenze funzionali corrispondenti alla logica dell’adattare) appaiano ben più gravi, e contribuiscono a peggiorare la lettura del fabbricato. Il Veneto e soprattutto la zona intorno a Bassano del Grappa presenta una infinità di dimore padronali casini di caccia, resti di antiche residenze (colombare, oratori, ecc.) risalenti al periodo di maggior fioritura della residenza di “Villa” della Serenissima. Nel caso specifico di studio , quindi della rifunzionalizzazione dell’edificio, la domanda sorge spontanea; Come ristabilire un senso a questi spazi? E nell’ipotesi di poter realmente intervenire che cosa farne di questi oggetti?. E ultimo ma non ultimo in che modo poter ristabilire un “dialogo” con l’edificio in una lettura corretta del suo significato non solo per quel che riguarda la materia ma anche per ciò che ci trasmette nel “viverlo”, nell’usufruirne nel fatto stesso di poterlo vedere, passandoci davanti. tà. Lidea si forma prima ancora da un esigenza del territorio, il comune di Cassola dove ha sede la Villa,pur avendo un discreto numero di abitanti e collocandosi in posizione nevralgica in quanto molto vicino al centro diBasssano (ne è quasi la promulgazione), non possiede uno spazio espositivo /rappresentativo, un edificio a carattere pubblico, sede di “eventi” culturali locali e non. Villa Capello –Mora, potrebbe rispondere bene a questo tipo di utilizzo. Si è deciso di pensare ad un luogo a carattere espositivo che possa funzionare durante tutto l’anno e nei periodi etsivi includa anche il giardino esterno. Il progetto muove da due principi il principio di “reversibilità” e quello del “minimo intervento” sottolinenando volutamente che siano gli ogetti esposti e lo spazio dei locali a fare da protagonisti, Punti chiave nell’interpretazione degli spazi sono stati i percorsi, la “narrazione” degli oggetti esposti avviene per momenti e viene rimarcata nell’allestimento tramite i materiali i colori e le superfici espositive, perché nel momento in cui visito una mostra o un museo, è come se stessi vivendo la narrazione di un qualcosa, oggetto semplice od opera complessa che sia inteso nell’ambito museale-espositivo esso assume una capacità di trasmissione maggiore rispetto a qundo lo stesso ogetto si trova in un contesto differente, la luce e la sua disposizione nello spazio, fanno sì che il racconto sia narrato, bene o male, ancora più importante è lo sfondo su cui si staglia l’opera, che può essere chiuso, come una serie di scatole dentro la scatola (edificio) oppure aperto, con singole e indipendenti pannellature dove l’edificio riveste il carattere proprio di sfondo. Scelta la seconda delle due ipotesi, si è voluto rimarcare nella composizione degli interni i momenti della narrazione, così ad esempio accedendo dall’ingresso secondario (lato nord-ovest) al quale si è dato l’ingresso alla mostra, -superata la prima Hall- si viene, catapultati in uno spazio porticato in origine aperto e che prevediamo chiuso da una vetrata continua, portata a debita distanza dal colonnato. Questo spazio diventa la prima pagina del testo, una prima pagina bianca, uno spazio libero, di esposizione e non di relax e di presentazione dell’evento, uno spazio distributivo non votato solo a questo scopo, ma passibile di trasformazione. A rimarcare il percorso una pavimentazione in cemento lisciato, che invita l’accesso alle due sale espositive a sinista e a destra dell’edificio. Nell’ala a sinistra (rispetto al nord) si apre la stanza con camino seicentesco forse un tempo ad uso cucina? Sala che ospita dei pannelli a sospesi a muro e delle teche espositive appese a soffitto. L’ala di destra, diametralmente opposta, l’unica che al piano terra mantiene la pavimentazione originale, stabiliva il vero atrio d’entrata, nel XVII sec. riconoscibile da quattro colonne tuscaniche centrali a reggere un solaio ligneo, in questa stanza il percorso segnato a terra torna nella disposizione dei pannelli espositivi che si dispongono in un a formare un vero corridoio, tra uno e l’atro di questi pannelli degli spazi sufficienti a intravedere le colonne centrali, i due lati dello stretto percorso non sono paralleli e aprono in senso opposto a due restanti spazi dell’intero salone, La sala suddivisa così in queste tre parti - una di percorrenza due di esposizione - , risulta modificata nella lettura che ne annulla l’originale funzione. Questa nuova “forma”, non vuole essere permanente infatti i pannelli non sono fissi. la narrazione avviene così per momenti, per parti, , che non devono necessariamente far comprendere il “tutto”, ma suggerirlo. Così come per il percorso che non è obbligato ma suggerito. A terminare il piano altre due sale di minore dimensione e di modesto carattere, nelle quali sono presenti pannellature a parete come nella prima sala. L’allestimento prosegue al piano primo a cui si accede tramite due rampe, trattate nel progetto difformemente, in base al loro stato e al loro significato, la rampa più recente (XIX sec) rompe lo spazio al piano nobile stravolgendo l’ingresso a questo salone, che originariamente avveniva salendo dalla scala principale e oltrepassando un disimpegno. La scala ottocentesca introduce direttamente all’ambiente che ora risulta liberato dalle superfetazioni dello scorso secolo, mostrandosi come era stato previsto in origine. Questa rottura dello spazio viene marcata nel progetto da un volume che “imprigiona” la rampa e segna l’inizio della sala espositiva, la sala delle architetture. Al centro della sala in un gioco di pieni e vuoti i pannelli, espositivi, distaccati di poco gli uni dagli altri questa volta non a incorniciare delle colonne ma a richiamo delle pitture murali che raffiguranti una loggia alludono ad una lettura per “parti” e scandiscono lo spazio in una “processione” di eventi. A seguito del “gioco” sono presenti in senso ortogonale ai pannelli sopradescritti ulteriori pannellature appese ad una struttura metallica indipendente dalle capriate lignee. Tale struttura assume ad una duplice funzione, funge sia da irrigidimento della struttura (edificio) che da supporto alla pannellatura, ad essa infatti è collegata una fune, che entrerà in tensione, quando il pannello verrà ad appendersi. Infine questa fune passante da due puleggie permetterà al pannello di traslare da un lato all’altro dell’edificio, bloccandosi nella posizione desiderata tramite freno interno, azionato manualmente.

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Il progetto di percorso urbano ‘S’intende per restauro qualsiasi intervento volto a conservare e a trasmettere al futuro, facilitandone la lettura e senza cancellarne le tracce del passaggio nel tempo, le opere d’interesse storico, artistico e ambientale; esso si fonda sul rispetto della sostanza antica e delle documentazioni autentiche costituite da tali opere, proponendosi, inoltre, come atto d’interpretazione critica non verbale ma espressa nel concreto operare’ (G.Carbonara) Celate all’interno di edifici privati, ritrovate quasi sempre fortuitamente, ai più sconosciute, le pitture murali del Trecento riminese necessitano un processo di valorizzazione. Si tratta di portarle alla luce una seconda volta creando un percorso di riscoperta di queste opere nascoste, di cui raramente si è più sentito parlare dopo il clamore sollevato dalla mostra del 1935 organizzata da Brandi. Si parla quindi di un percorso conoscitivo. Un percorso urbano che tocchi i luoghi dove queste sono ancora conservate: l’antica chiesa di San Michelino in foro (oggi divisa tra più proprietari privati), la chiesa di Sant’Agostino, la cappella del campanile della chiesa di Santa Maria in Corte, la cappella del Crocifisso in San Nicolò al porto. Le chiese costituiranno le tappe di un percorso che si articolerà attraverso le strade medievali della città. Si verrà a creare quindi un percorso non solo alla scoperta delle pitture murali del XIII e XIV secolo, ma alla scoperta della Rimini del Trecento, delle sue vie, del suo sviluppo urbano. Si affronterà il problema del restauro delle pitture murali, ma sempre preoccupandosi della buona conservazione e del mantenimento del monumento nel suo insieme. Pittura murale e architettura sono, come sostiene Philippot, inscindibili: trattando una pittura murale, il restauratore tratta sempre e solo una parte di un insieme più vasto, che costituisce il tutto al quale egli si dovrà riferire, tanto dal punto di vista estetico e storico, quanto dal punto di vista tecnico . Per ogni chiesa si prevederà quindi, oltre al progetto di restauro della pittura, anche un progetto di fruizione dello spazio architettonico e di riconfigurazione dello stesso, quando necessario, ragionando caso per caso. Si è deciso di porre come origine del percorso l’antica chiesa di San Michelino. La motivazione di questa scelta risiede nel fatto che in questo edificio si è individuato il luogo adatto ad ospitare uno spazio espositivo dove raccontare la Rimini del Trecento. Uno spazio espositivo al servizio della città, con la progettazione del quale si cercherà di restituire unità agli ambienti dell’antica chiesa, oggi così frazionati tra troppi proprietari. Da San Michelino si continuerà verso la chiesa di Sant’Agostino, dove si trovano affreschi del Trecento riminese già molto noti e studiati. Ciò che si rende necessario in questo caso è la riconfigurazione architettonica e spaziale degli affreschi della parte bassa della cappella del campanile, staccati e trasferiti su pannelli negli anni ’70, oltre alla previsione di un sistema di monitoraggio degli affreschi stessi. La terza tappa del percorso sarà la chiesa di Santa Maria in Corte. Il ciclo di affreschi si trova all’interno della cappella del campanile, oggi chiusa al pubblico ed esclusa dallo spazio della chiesa dopo gli interventi barocchi. Abbiamo quindi pensato di proporre una soluzione che permetta una più agevole fruizione della cappella, progettando un’illuminazione e un percorso d’accesso adeguati. Più complesso è il caso di San Nicolò al porto, individuata come ultima tappa del percorso. Si tratta in questo caso della riconfigurazione di un intero isolato, che nel tempo ha perso totalmente il suo significato urbano riducendosi ad una sorta di spartitraffico. Qui si rendeva necessaria inoltre la progettazione di una nuova chiesa, presentando quella attuale seri problemi statici.

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Il progetto di percorso urbano ‘S’intende per restauro qualsiasi intervento volto a conservare e a trasmettere al futuro, facilitandone la lettura e senza cancellarne le tracce del passaggio nel tempo, le opere d’interesse storico, artistico e ambientale; esso si fonda sul rispetto della sostanza antica e delle documentazioni autentiche costituite da tali opere, proponendosi, inoltre, come atto d’interpretazione critica non verbale ma espressa nel concreto operare’ (G.Carbonara) Celate all’interno di edifici privati, ritrovate quasi sempre fortuitamente, ai più sconosciute, le pitture murali del Trecento riminese necessitano un processo di valorizzazione. Si tratta di portarle alla luce una seconda volta creando un percorso di riscoperta di queste opere nascoste, di cui raramente si è più sentito parlare dopo il clamore sollevato dalla mostra del 1935 organizzata da Brandi. Si parla quindi di un percorso conoscitivo. Un percorso urbano che tocchi i luoghi dove queste sono ancora conservate: l’antica chiesa di San Michelino in foro (oggi divisa tra più proprietari privati), la chiesa di Sant’Agostino, la cappella del campanile della chiesa di Santa Maria in Corte, la cappella del Crocifisso in San Nicolò al porto. Le chiese costituiranno le tappe di un percorso che si articolerà attraverso le strade medievali della città. Si verrà a creare quindi un percorso non solo alla scoperta delle pitture murali del XIII e XIV secolo, ma alla scoperta della Rimini del Trecento, delle sue vie, del suo sviluppo urbano. Si affronterà il problema del restauro delle pitture murali, ma sempre preoccupandosi della buona conservazione e del mantenimento del monumento nel suo insieme. Pittura murale e architettura sono, come sostiene Philippot, inscindibili: trattando una pittura murale, il restauratore tratta sempre e solo una parte di un insieme più vasto, che costituisce il tutto al quale egli si dovrà riferire, tanto dal punto di vista estetico e storico, quanto dal punto di vista tecnico . Per ogni chiesa si prevederà quindi, oltre al progetto di restauro della pittura, anche un progetto di fruizione dello spazio architettonico e di riconfigurazione dello stesso, quando necessario, ragionando caso per caso. Si è deciso di porre come origine del percorso l’antica chiesa di San Michelino. La motivazione di questa scelta risiede nel fatto che in questo edificio si è individuato il luogo adatto ad ospitare uno spazio espositivo dove raccontare la Rimini del Trecento. Uno spazio espositivo al servizio della città, con la progettazione del quale si cercherà di restituire unità agli ambienti dell’antica chiesa, oggi così frazionati tra troppi proprietari. Da San Michelino si continuerà verso la chiesa di Sant’Agostino, dove si trovano affreschi del Trecento riminese già molto noti e studiati. Ciò che si rende necessario in questo caso è la riconfigurazione architettonica e spaziale degli affreschi della parte bassa della cappella del campanile, staccati e trasferiti su pannelli negli anni ’70, oltre alla previsione di un sistema di monitoraggio degli affreschi stessi. La terza tappa del percorso sarà la chiesa di Santa Maria in Corte. Il ciclo di affreschi si trova all’interno della cappella del campanile, oggi chiusa al pubblico ed esclusa dallo spazio della chiesa dopo gli interventi barocchi. Abbiamo quindi pensato di proporre una soluzione che permetta una più agevole fruizione della cappella, progettando un’illuminazione e un percorso d’accesso adeguati. Più complesso è il caso di San Nicolò al porto, individuata come ultima tappa del percorso. Si tratta in questo caso della riconfigurazione di un intero isolato, che nel tempo ha perso totalmente il suo significato urbano riducendosi ad una sorta di spartitraffico. Qui si rendeva necessaria inoltre la progettazione di una nuova chiesa, presentando quella attuale seri problemi statici.

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Data la forte prolificazione culturale, sbocciata a Faenza all’inizio del XIX secolo, nasce intorno al 1830, nel pieno centro storico della città, un giardino di stampo romantico. Si affacciano a questo piccolo parco due edifici: uno è il convento di Santa Caterina, l’altro è il palazzo più importante per il neoclassicismo in Romagna, palazzo Milzetti. La sua forte caratteristica è un nucleo centrale costituito da ponticelli, vasche e una particolarissima piccola costruzione di legno con tetto in paglia, affrescata all’interno con tempere di Romolo Liverani, risalente al 1851. Nel passare degli anni il parco subirà notevoli modifiche e nel 1947 sarà incautamente diviso a metà, tramite una recinzione. In questo modo il complesso romantico rimarrà di proprietà non più di palazzo Milzetti, ma del circolo del Dopo Lavoro Ferroviario. Attorno a questo nucleo all’inglese verranno nel tempo costruiti molte strutture a servizio del circolo, e demolite le aiuole e il verde che un tempo caratterizzavano questo luogo. Anche il capanno di legno rimarrà per anni abbandonato e senza la manutenzione necessaria per la sua sopravvivenza. Solo nel 1981 saranno condotti i primi lavori di restauro, con l’intento di recuperare il manufatto e il suo intorno. Ma solo un decennio dopo, una grossa nevicata crea grossi danni alla copertura del capanno, il quale verrà poi protetto da una struttura in tubi metallici, esteticamente poco congrua al carattere del sito. Il progetto di restauro, che viene qui presentato, riguarda in primo luogo il recupero dell’assetto originario del giardino, eliminando quindi la barriera che separa le due parti, per far acquisire una ritrovata spazialità e una originaria interezza. Dopo un rilievo dell’area, sono state quindi esaminate, una ad una, le piante del giardino e catalogate per capirne l’importanza estetica, storica o progettuale. In questo modo è stata scelta la vegetazione che dovrà essere rimossa per creare un ambiente più lineare, pulito e organizzato. Anche per gli elementi artificiali che sono stati incautamente aggiunti, è stata pensata la rimozione: pavimentazioni, palco, campo coperto da bocce, servizi igienici. L’area è stata risarcita tenendo in considerazione il tessuto originario dell’Ottocento, caratterizzato da aiuole verdi sinuose e sentieri in ghiaia. Sono stati utilizzati materiali conformi e già presenti nel parco, come la ghiaia, pavimentazione in ciottolato e aiuole erbose, ma al tempo stesso gli elementi di nuova costruzione non si vogliono del tutto mimetizzare con il resto ma denunciare, anche se sottovoce, la loro contemporaneità. Come secondo passo, si è pensato al restauro del capanno rustico. La prima necessaria operazione è stata quella di compiere il rilievo del manufatto e capire così in che modo fosse possibile intervenire. Il lavoro è stato quindi condotto su due registri: il primo quello dell’analisi dello stato di conservazione dei materiali, l’altro per capire la sua resistenza strutturale. Grazie ad un restauratore del legno, si è compreso quali trattamenti fossero più idonei, a seconda dell’essenza, dell’età e della collocazione. Per quanto riguarda la verifica strutturale si è giunti alla conclusione che l’edificio non è in uno stato di rischio e che quindi è necessaria la sola sostituzione degli elementi della copertura, ormai deteriorata. Proprio lo stato terminale del tetto, in paglia, è in condizioni precarie ed è necessario sostituirlo. Per quel che riguarda il complesso romantico, vengono ristuccate e impermeabilizzate le vasche e vengono poi sostituiti i parapetti lignei con altri che si avvicinano maggiormente alle forme riprodotte nella tela di Tancredi Liverani (1851) dove immortala l’edificio subito dopo la sua costruzione. Il nuovo progetto non vuole essere un intervento invasivo, ma desidera invece riprendere le linee e i punti di vista di un parco in stile romantico. Come infatti è noto, sono gli scorci, le pause e i percorsi le fondamenta del progetto, che vuole ridare a Faenza un’ area verde nel suo pieno centro storico.

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Obiettivo del progetto di tesi è ritrovare un percorso urbano, riguardante un tratto della città di Cesena, che oggi non è più leggibile nella sua originaria identità. La cinta muraria di Cesena è da sempre motivo di vanto della città. Esso è dovuto anche al fatto che gran parte di tale cinta è stato oggetto di restauri puntuali. Vi è un tratto di esse però dove non risulta più immediata la sua l’appartenenza ad un tutto più ampio e finito che è quello dell’intero perimetro fortificato. Il nostro progetto vuole suggerire nuovamente quale fosse il suo andamento, e il suo rapporto con il resto della città quindi proponiamo il restauro e la valorizzazione degli elementi significativi che s’incontrano percorrendo il suddetto tratto di città. Precisamente si tratta dei manufatti della porta d’accesso del torrente Cesuola detta Portaccia e di porta Fiume, due delle antiche porte delle mura cesenati. Si propone per questi un riuso degli ambienti che saranno adibiti a punto informativo, piuttosto che aree espositive, museali. Saranno aperte al pubblico e rese visibili per portare un esempio le antiche cannoniere. Si è progettata anche la sistemazione dell’area esterna direttamente prospiciente gli edifici in questione, al fine di renderli maggiormente visibili e riconoscibili all’interno del panorama cittadino. Questi due edifici vogliono essere importanti poli per i turisti o per chiunque voglia immergersi nella storia della città di Cesena. S’incontra poi in questa passeggiata, un’area archeologica. La si raggiunge partendo per esempio dalla Portaccia e seguendo quello che era il tracciato delle antiche mura. Tale area testimonia l’esistenza di tratti di antiche fortificazioni e ci racconta i caratteri costruttivi delle abitazioni del tempo e dell’impianto urbano, oltre ad aver riportato alla luce antichi manufatti e reperti archeologici importanti. Questo spazio verrà opportunamente valorizzato e reso noto ai visitatori. Si sceglie di non portare alla luce gli elementi trovati nel sottosuolo per non variare le loro condizioni termo-igrometriche, e di suggerire la dimensione degli stessi attraverso la progettazione fedele fuori terra di elementi in alzato cavi contenenti vegetazione. Il visitatore potrà girovagare fra questi nel “giardino archeologico”. Un altro elemento di fondamentale importanza proseguendo nel percorso è la presenza dei suggestivi ruderi della rocca Vecchia, che hanno resistito allo scorrere inesorabile del tempo e che sono ancora in grado di testimoniare di un passato ormai distante e sfocato. Sarà la vegetazione a fare da protagonista in quest’area poiché attraverso la scelta di alcune piante che, con le loro radici sono in grado di aiutare i ruderi a sopravvivere, verrà dato nuova veste a ciò che resta della rocca Vecchia. Contestualmente a ciò, si è deciso di riproporre nella zona retrostante i ruderi, il sistema degli antichi terrazzamenti di cui il colle è stato dotato in passato. Essi sono importanti a livello strutturale per ovviare alle problematiche conseguenti al dilavamento del terreno verso valle, ma non solo. Si vuole sì riproporre questi terrazzamenti come citazione storica, ma essa vuole essere un’emulazione non un’imitazione, pertanto, verranno trattati come una sorta di “giardino botanico”. La discesa del colle verso porta Fiume sarà certamente più piacevole se si potranno ammirare le specie autoctone presenti in questo luogo ben organizzate lungo la passeggiata. L’obiettivo del progetto è rendere palesi le importanti caratteristiche architettoniche che contraddistinguono l’eccezionale valore dei beni oggetto di analisi, migliorando le condizioni di conservazione ed assicurando una fruizione degli ambienti, ove sia possibile, e donando una nuova destinazione d’uso agli stessi.

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Fin dai primi approcci alla città dell'Aquila, quando ancora non la conoscevamo e attraverso libri e articoli in rete cercavamo di capire la sua storia e la sua identità, abbiamo riconosciuto chiaramente quanto fosse importante la sua università. Le testimonianze precedenti il sisma parlavano di una città universitaria con quasi 30000 iscritti in continua crescita, viva e attiva, una città giovane; quelle posteriori il 6 aprile 2009 invece erano le richieste di aiuto da parte di docenti e fuorisede che si rifiutavano di abbandonare quello che per loro era diventato un importante punto di riferimento per la loro vita e la loro formazione. Forse anche perchè noi stesse studentesse, abbiamo fin da subito sentito il dovere di occuparci di questo angoscioso problema, da un lato per essere solidali verso i nostri sfortunati colleghi, dall'altro per non permettere un ulteriore abbandono dell'ateneo aquilano da parte di altri studenti. Lo slogan apparso sui cartelloni di alcuni studenti aquilani durante una manifestazione fatta per sensibilizzare la popolazione sulla loro situazione palesa il loro attaccamento alla città e la loro volontà di continuare a farne parte e partecipare alla sua ricostruzione: "Noi siamo il cuore de L'Aquila". L’Università dell’Aquila vuole tornare nel centro storico. A confermare questa volontà, più volte espressa, c’è l’acquisizione della vecchia struttura dell’ospedale San Salvatore nei pressi della Fontana Luminosa, dove verrà realizzato il nuovo polo umanistico. La nuova sede di Lettere e filosofia, situata nella parte più nuova dell’ex complesso ospedaliero sarà aperta per il prossimo anno accademico e nell'ultima porzione di struttura acquistata si insedierà anche la facoltà di Scienze della formazione. “L’Università deve tornare nel centro storico - ha affermato il rettore Ferdinando di Orio nella conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa - perché deve tornare a rappresentare ciò che L’Aquila è, ovvero una città universitaria”. Da qui un percorso di studio che partendo dalla storia della città e della sua università ci ha portato fino alla scelta dell'area, secondo noi la più adatta ad ospitare servizi per gli studenti universitari e permettere un tempestivo approccio al problema. Un'area che si è rivelata piena di potenzialità e per noi possibile punto di riferimento per la rinascita del centro storico aquilano. Dagli studi preliminari svolti è infatti emerso che l'area di progetto è attualmente poco sfruttata benchè la sua posizione sia assolutamente favorevole. Importante è per esempio la vicinanza alla stazione ferroviaria, usata da studenti fuori sede soprattutto della conca aquilana, professori e ospiti che devono raggiungere la città. Il piazzale della stazione ferroviaria, assieme alla via XX Settembre sono poi importanti fermate del servizio urbano ed extraurbano pubblico che collegano l'area con l'università, l'ospedale, e l'autostazione di Collemaggio. Altrettanto rilevante è parsa la prossimità dell'area al centro storico ed il fatto che si presenti agibile nella quasi sua totalità il che permette di poter pensare ad un intervento di ricostruzione tempestivo. Oltre alle mura storiche, la zona di progetto si trova nelle immediate vicinanze di altre due importanti emergenze: la Fontana delle 99 cannelle, uno dei più importanti e più significativi monumenti dell’Aquila e l'edificio dell'ex-mattatoio, struttura di archeologia industriale nella quale il Comune ha scelto di localizzare temporaneamente il Museo Nazionale d'Abruzzo. Attraverso la realizzazione di questo importante spazio espositivo insieme con il restauro della Fontana delle novantanove Cannelle e della Porta Rivera a cura del FAI, sarà possibile ripristinare un polo di attrazione culturale e monumentale. L’operazione assume inoltre un valore simbolico, poiché viene effettuato in un luogo di primaria importanza, legato all’origine stessa della città, che farà da battistrada per la riappropriazione del centro storico. Noi ci affianchiamo quindi a questo importante intervento e alle ultime direttive segnalate dal Comune e dall'Ateneo che dimostrano la loro volontà di riappropriarsi del centro storico, localizzando nell'area i servizi che dopo il sisma risultano necessari affinché gli studenti possano continuare i loro studi nella città e andando a potenziare il sistema museale già presente per creare un importante polo didattico e culturale.

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La Rocca delle Caminate nella coscienza e nell’immaginario Ben volentieri mi sono occupato dell’ambizioso progetto di restauro e recupero funzionale della Rocca delle Caminate, perché se è vero che il complesso ha rivestito un’importanza rilevante sotto il profilo storico e politico di questa parte di Romagna, è pur vero che vive nei miei ricordi fin dall’epoca dell’infanzia, ed è venuto acquistando nel tempo un preciso valore nella mia coscienza e nel mio immaginario. Questa rocca, questa fortificazione, questa torre che si staglia all’orizzonte dominando con austerità le amene vallate, l’ho sempre veduta e ha sempre sollevato in me suggestioni e interrogativi che però non mi ero mai preoccupato di chiarire: ero, per così dire, rimasto fedele alla mia emotività e mi erano bastati i racconti di nonna che andava spesso rammentando di quando, durante il ventennio fascista, insieme alle sorelle percorreva a piedi i sentieri che dalla vicina Dogheria conducevano alle Caminate, in occasione di una tal festa o di una tal funzione religiosa. Le sue parole e i suoi racconti continuano a donarmi un po’ del profumo dell’epoca, e fa specie notare come ancora oggi – in un tempo che fa dello sfavillio delle luci sfoggio di opulenza e miraggio di benessere – vengano puntualmente traditi dall’ammirazione per un faro che all’epoca ruotava emanando luce verde, bianca e rossa: quella del tricolore italiano. La Rocca delle Caminate – dicevo – è sempre stata una veduta familiare e fin troppo consuetudinaria, nei cui riguardi ero quasi giunto a una sorta d’indolenza intellettuale. Eppure, alla vigilia di decidere l’oggetto di questa tesi, ho volto lo sguardo ancora verso la “torre che domina a meraviglia il circostante paese”, ma in questa circostanza trovandomi cambiato: non più solo emozionato dal racconto nella memoria degli anziani, bensì spinto a una sfida anche per onorare il loro attaccamento verso questa fortificazione. È un popolo, quello che ho trovato, che mi ha stupito alquanto per la capacità di ricordare. Voglio dire ricordo, non trasognata visione; sottolineo fulgida testimonianza, non di rado animata dalla fierezza di chi sente fortemente il radicamento a una terra e rivendica il diritto di poter un giorno rivedere la ‘propria’ Rocca come l’ha veduta un tempo, poterla finalmente visitare e toccare, al di là di ogni colore politico, al di là di ogni vicenda passata, bella o brutta che sia. Poterla, in concreto, vivere. Così, un giorno ho varcato il limite dell’ingresso della Rocca e ho iniziato a camminare lungo il viale che conduce al castello; mi sono immerso nel parco e ho goduto della frescura dei pini, dei frassini e dei cipressi che fanno da contorno alla fortificazione. Certamente, ho avvertito un po’ di soggezione giunto ai piedi dell’arce, e mi è sorto spontaneo pormi alcune domande: quanti fanti e cavalieri saranno giunti a questa sommità in armi? Quanti ne saranno morti travolti nella furia della battaglia? Quanti uomini avranno provveduto alla sicurezza di questi bastioni oggi privati per sempre delle originarie mura difensive? Quanti castellani avranno presieduto alla difesa del castro? Ma più che a ogni altra cosa, il mio pensiero è andato a un protagonista della storia recente, a Benito Mussolini, che fra la fine degli anni venti e l’inizio degli anni trenta aveva eletto questo luogo a dimora estiva. Camminando lungo i corridoi della residenza e visitando le ampie stanze, nel rimbombo dei miei passi è stato pressoché impossibile non pensare a quest’uomo che si riconosceva in un duce e che qui ha passato le sue giornate, qui ha indetto feste, qui ha tenuto incontri politici e ha preso importanti decisioni. Come dimenticare quel mezzobusto, quella testa, quella postura impettita? Come dimenticare quello sguardo sempre un po’ accigliato e quei proclami che coglievano il plauso delle masse prima ancora di essere compiutamente formulati? In questo clima, fra castellani, capitani, cavalieri e duces di ogni epoca, sono entrato in punta di piedi, procedendo ai rilevamenti e ai calcoli per la realizzazione di questo progetto. È vero, non è stato facile muoversi nel silenzio che avvolge questo posto magico senza romperne l’incanto, e se a volte, maldestramente, ho fatto più rumore del solito, me ne rammarico. Sono sicuro che questi illustri signori sapranno scusarmene.

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Il mio elaborato finale si chiama “Restauro tra storia e progetto”, in cui rimetto a sistema, quanto appreso nelle materie di restauro, partendo dal laboratorio di restauro, dove la Prof. Antonella Ranaldi ci ha fatto trattare il complesso monumentale dell’ex convento di Sant’ Agostino a Cesena. Partendo da una lunga ricerca bibliografica, abbiamo individuato gli interventi da effettuare sul prospetto lungo via delle Mura di Sant’ Agostino ed effettuato il rilievo che ci ha permesso l’elaborazione del progetto. Gli interventi realizzati nel corso dei secoli costituiscono un esempio inquietante perchè se pure con esiti diversi ed in parte anche positivi, hanno però complessivamente portato alla situazione attuale, ormai compromessa per la definitiva perdita di molte interessanti tracce storiche. Data l'impossibilità di restituire al prospetto la sua immagine originaria abbiamo deciso di effettuare la sagramatura, che ha cancellato le stratificazioni che si sono succedute nei vari periodi storici. Abbiamo dato al prospetto una nuova immagine, riportando il prospetto ad un periodo storico non esattamente datato. L'illuminazione di questa preziosa facciata ha voluto essere un elemento discreto, capace di porre in risalto gli elementi architettonici e consentire, anche al calare del sole, un'intensa esperienza emotiva. In ogni caso si vuole evitare una scenografia serale eccessiva o artificiosa , e illuminare la facciata in maniera uniforme. Per fare questo si sono scelti apparecchi di illuminazione dotati di ottica asimmetrica, in modo da indirizzare il fascio di luce solo sulle superfici da illuminare e di ridurre così al minimo l'inquinamento luminoso. L'illuminazione omogenea della facciata in mattoni avviene attraverso riflettori con ottica larga, vetro allungante in verticale e schermo antiabbagliamento, posizionati su appositi pali (due pezzi per palo, paralleli alla facciata) situati dall'altra parte della strada di via delle mura. Mentre le lesene e il basamento sono illuminati da riflettori con condensatore ottico incassati nel terreno o nascosti nella parte superiore della cornice, con distribuzione della luce per un'altezza di circa 7 metri. Si è scelto di utilizzare sorgenti a luce bianca per mettere in risalto i materiali della facciata, senza alterarne i colori già di per se saturi. Abbiamo previsto nonostante lo stato di degrado, di recuperare il portone e le porte. Le parti mancanti vengono integrate con parti in legno della stessa essenza. Tutte le forature verranno poi tamponate con adeguati stucchi. Si ritiene fondamentale, in termini di restauro conservativo, mantenere ogni elemento che ancora sia in grado di svolgere la sua funzione. E' evidente in facciata il filo dell'impianto elettrico. E' stato pensato di farlo scorrere all'interno di una canalina, di dimensioni 4,5 x 7 cm, posizionata sopra il cornicione, nascosta alla vista del prospetto. Le gronde e i pluviali sono stati sostituiti durante l'ultimo intervento di rifacimento delle coperture, tuttavia non è stato studiato un posizionamento adeguato dei pluviali. Infatti, alcuni di questi, sopratutto quelli del prospetto principale sono posizionati senza alcun ordine. In alcuni casi i pluviali risultano essere scarsi con conseguente allagamento delle gronde e colate di acqua piovana sul muro. Nel nostro progetto si prevede di posizionare gli scarichi delle gronde sui lati, in maniera tale da non ostruire la facciata, inoltre vengono aumentati i pluviali per la gronda più alta. La seconda parte riguarda il restauro del borgo di Castelleale, che abbiamo trattato con il Prof. Andrea Ugolini nel laboratorio di sintesi finale. Il tema del corso ha previsto una prima fase di studio comprendente la ricerca storica e bibliografica, l’inquadramento dell’oggetto nel contesto urbano, la redazione delle piante di fase e ricostruzioni planivolumetriche nelle varie fasi storiche. Nella seconda fase abbiamo effettuato il rilievo, fatto foto esterne e interne di dettaglio per l’inquadramento del tema e delle sue caratteristiche architettoniche, studiato le principali cause di degrado e alterazione dei materiali da costruzione redigendo le tavole del degrado e dello stato di conservazione. Nella fase progettuale abbiamo deciso di effettuare un minimo intervento sul rudere, ripristinando la copertura crollata attraverso una copertura moderna sostenuta da pilastri, che vanno a costituire una struttura staccata rispetto al rudere. La terza parte riguarda l’efficienza energetica, il tema che ho affrontato sotto la guida del Prof. Kristian Fabbri in occasione dell’elaborato finale.