13 resultados para Cultura del Místissismo

em AMS Tesi di Laurea - Alm@DL - Università di Bologna


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Questo progetto, maturato in seguito a profonde riflessioni basate sull’analisi e la valutazione della situazione territoriale, è scaturito dalla volontà di fornire una risposta alle carenze funzionali e strutturali di un’area dalle molteplici potenzialità. La fascia costiera di Platamona è stata al centro di progetti di lottizzazione che, invece di tutelare l’aspetto naturalistico e unificare un sistema costiero che si estende per circa otto chilometri, hanno inserito strutture prevalentemente ricettive e turistiche in maniera piuttosto arbitraria e senza tener conto della possibilità di organizzare il progetto d’intervento tramite un apposito strumento urbanistico. Il risultato, un tessuto edilizio disomogeneo e disorganizzato, non contribuisce certo alla volontà di attribuire un carattere e un’identità al luogo; anzi, la frequenza di aree in stato di abbandono, che rischiano di diventare discariche a cielo aperto fa quasi pensare ad una situazione di stallo e di incuria sia da parte delle amministrazioni che dei privati. L’idea del progetto deriva da un approccio che ha come obiettivo il massimo sfruttamento delle risorse locali e il minor impatto possibile sul paesaggio e sul sistema attuale. La volontà è quella di riorganizzare e riqualificare gli spazi più significativi, inserendoli all’interno di un sistema di percorsi e connessioni che vogliono unificare e rendere fruibile l’intero sistema costiero fra Platamona e Marina di Sorso. Inoltre è da rivalutare l’aspetto naturalistico del SIC dello Stagno e Ginepreto di Platamona, un’oasi naturalistica che ha tutte le potenzialità per essere posta al centro di un’attività di ricerca e diventare la meta di un turismo mirato. Nel Piano di gestione dello stagno sono già stati previsti e realizzati percorsi su passerelle in legno che si snodano fra i canneti e la pineta limitrofa, con alcune torrette di avvistamento, attualmente posizionate nella zona a sud. Uno degli obiettivi è dunque quello di completare questi percorsi per gran parte del perimetro dello stagno e di stabilire un percorso ciclo-pedonale ad anello che circondi e renda fruibile l’intera area del SIC. A livello di percorsi e connessioni, oltre alla nuova pista ciclabile che correrà parallelamente alla SP 81, si cercherà di fornire nuovi collegamenti anche all’ambito della spiaggia. L’idea è di costruire una passeggiata sul fronte mare che si articoli con leggere passerelle in legno fra le dune irregolari. Si snoderebbe dalla rotonda di Platamona fino alla piazza di Marina di Sorso, per una lunghezza di circa otto chilometri. Il suo scopo è di rendere fruibile l’intera fascia di spiaggia in modo da evitare un eccessivo calpestio del sistema dunario, che purtroppo risente della forte presenza antropica dei mesi estivi. Nel ripensare questi collegamenti e percorsi, si rende necessaria la creazione di aree di sosta attrezzate che si presentano con una certa periodicità, dettata dai pettini e dalle discese a mare. Vi saranno punti di sosta ombreggiati con alberature, aiuole, sedute, fontane e giochi per bambini. Diventa dunque prioritario il fatto di rendere evidente il concetto di unitarietà del sistema costiero in questione, rendendolo riconoscibile tramite l’organizzazione di spazi, episodi e percorsi. Infine il tentativo che riguarda nello specifico il Lido Iride, è quello relativo al suo recupero. L’intento è di restaurarlo e destinarlo a nuove funzioni ricreative-culturali. La struttura principale è mantenuta invariata, soprattutto le stecche che costituivano le cabine sulla spiaggia (elementi alquanto evocativi e radicati nella memoria del luogo). Il complesso sarà riorganizzato in previsione di ospitare workshop e corsi formativi riguardanti la cultura del mare e della salvaguardia dell’ambiente. Molto attuale e sempre più emergente anche in Sardegna risulta l’archeologia subacquea, a cui sono già state dedicate apposite strutture nelle zone di Cagliari e di Orosei. Dunque si riadatteranno le cabine con lo scopo di farle divenire alloggi temporanei per coloro che seguiranno tali corsi, mentre gli altri edifici del complesso fungeranno da supporto per delle lezioni all’aperto (l’arena e la piscina) e per il ristoro o l’allestimento di spazi espositivi (l’edificio centrale del lido). A causa della posizione del complesso balneare (a ridosso della spiaggia) si presuppone che il suo utilizzo sarà prevalentemente stagionale; perciò si è pensato di fornire una struttura di supporto e d’ausilio, la cui fruizione sia auspicabile anche nei mesi invernali: il Nuovo Centro Studi di Platamona. Questo nuovo complesso consiste in una struttura dotata di laboratori, aule conferenze, alloggi e ristorante. Si attesterà sul fronte mare, seguendo la direttrice del nuovo camminamento e innalzandosi su piattaforme e palafitte per non essere eccessivamente invasivo sul sistema dunario. Consisterà in due edifici di testata alti rispettivamente tre e quattro piani, ed entrambi avranno la peculiarità di avere il basamento aperto, attraversato dall’asse della passeggiata sul mare. L’edificio a tre piani ospiterà i laboratori, l’altro il ristorante. Dietro l’edificio dei laboratori si svilupperà una corte porticata che permetterà di giungere alla sala conferenza. Nella parte retrostante i due edifici di testata saranno distribuiti delle stecche di alloggi su palafitte immerse nel verde, caratterizzate da coperture con volte a botte. Lo stile architettonico del nuovo complesso si rifà all’architettura mediterranea, che s’identifica tramite l’utilizzo di basamenti e piccole aperture in facciata, l’uso di pietre e materiali da costruzioni locali, le bianche superfici che riflettono la luce e il forte segno architettonico dei muri che marcano il terreno seguendone l’orografia fino a diventare un tutt’uno.

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L’idea di realizzare questo lavoro di ricerca sulla traduzione nell’ambito pubblicitario sorge da un interesse nell’analisi del linguaggio della pubblicità, sia nelle sue componenti psicologiche e persuasive che in quelle linguistiche. La pubblicità è oggi uno dei principali motori dell’economia, un canale di comunicazione diffuso in maniera sempre più capillare ed uno strumento estetico ed ideologico di massa, che condiziona il modo di guardare le cose in maniera decisiva. Con la globalizzazione e la necessità di esportare i prodotti di ogni paese a livello mondiale, ha assunto un’importanza fondamentale la traduzione degli annunci di promozione di questi prodotti finalizzata alla localizzazione dei messaggi pubblicitari, in contrasto alla tendenza alla globalizzazione linguistica. Questo lavoro si propone di analizzare proprio questo contrasto tra la necessità di adattare il testo al paese e alla cultura del destinatario e, d’altra parte, l’internazionalizzazione e standardizzazione dei messaggi, la situazione in cui questo contrasto sorge ed il modo in cui viene risolto. Partendo dalla descrizione delle origini del termine “pubblicità” nel tentativo di definirne il concetto, passando attraverso la descrizione dei suoi obiettivi e funzioni e descrivendo il processo persuasivo ed i diversi modi in cui la pubblicità può essere classificata, vengono spiegate le strategie traduttive del messaggio pubblicitario, le situazioni particolari in cui tali strategie sono applicate ed i loro fini. Vengono descritte le tecniche di traduzione applicate al nome del marchio, il modo in cui i riferimenti culturali presenti nell’annuncio vengono adattati ai diversi paesi e le tecniche traduttive adattate al mezzo di comunicazione e ai vari recettori. In seguito si descrive l’importanza della forza appellativa ed espressiva di ogni testo e della struttura testuale nella traduzione degli annunci e il modo in cui vengono adattati gli elementi grafici e la grafia durante la traduzione, terminando con alcuni esempi concreti di errori di traduzione di annunci pubblicitari.

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Abbiamo più volte ribadito all’interno di questa tesi che una delle più importanti azioni che Borges compie con la sua scrittura è quella di riportare in vita, attraverso le memorie passate, la città di Buenos Aires, e in particolare il sobborgo. Il poeta si riappropria della sua città d’infanzia con un processo di allontanamento da quei tratti che oggi contraddistinguono Buenos Aires (come ad esempio la rumorosità assordante della vita metropolitana) a favore di quei connotati che un tempo rendevano la città mitica. Questo è il tentativo di elevare e recuperare l’aspetto autoctono del “suo” quartiere, valorizzando gli elementi caratterizzanti il sobborgo, che portano alla scoperta delle bellezze dei “quartieri amici” come scritto nel prologo di Fervore di Buenos Aires. Un altro elemento fondamentale che ha guidato questo lavoro è il tango. Borges opera in un‘epoca in cui non esiste un’identità argentina chiara e definita. Il processo di immigrazione ha fatto sì che la mescolanza di culture provenienti dall’estero, soprattutto dall’Europa, frammentasse quelli che erano le abitudini e i costumi primordiali del paese. Dunque Borges affronta questo tema facendo del tango il mezzo per la riconquista di un’identità che con il tempo si è perduta; questo perché il tango è uno dei pochi elementi, forse l’unico, che permane nella cultura argentina, nonostante le diverse vicissitudini che il paese attraversa nel corso della sua storia. Sono numerose le questioni che Borges tratta all’interno delle sue opere, come ad esempio il tema del sobborgo, del recinto, del patio e del rapporto che le architetture domestiche hanno con la luce e con lo spazio esterno ad esse. Nella sua opera più matura intervengono temi quali il labirinto, lo specchio e il sogno, che avvicinano la sua dimensione letteraria più ad un immaginario idealizzato che alla realtà percepita. Lo scopo di questo lavoro è quello di fare una trasposizione di tutti questi elementi attraverso un processo di trasfigurazione della letteratura in un progetto architettonico-compositivo. Un punto fermo e imprescindibile è la ricerca dell’identità, dunque, si è cercato di arrivare ad un progetto di architettura chiaro e riconoscibile per Buenos Aires; un edificio nel quale il cittadino possa identificare sé stesso e la città che egli abita. Il sistema con il quale si intende affrontare questo processo è quello di legare la cultura letteraria argentina e la cultura del tango in un complesso architettonico, affinché il sobborgo, tanto amato da Borges, possa essere “riconquistato”.

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Negli ultimi cinquant’anni, in particolare dal 1956 al 2010, grazie a miglioramenti di tipo economico e sociale, il territorio urbanizzato italiano è aumentato di circa 600 mila ettari, cioè una superficie artificializzata pari quasi a quella dell’intera regione Friuli Venezia Giulia, con un aumento del 500% rispetto agli anni precedenti. Quando si parla di superfici “artificializzate” ci si riferisce a tutte quelle parti di suolo che perdono la propria caratteristica pedologica per essere asportate e divenire urbanizzate, cioè sostituite da edifici, spazi di pertinenza, parcheggi, aree di stoccaggio, strade e spazi accessori. La costruzione di intere periferie e nuclei industriali dagli anni ’50 in poi, è stata facilitata da un basso costo di mano d’opera e da una supposta presenza massiccia di risorse disponibili. Nonché tramite adeguati piani urbanistico-territoriali che hanno accompagnato ed assecondato questo orientamento. All’oggi, è evidente come questa crescita tumultuosa del tessuto urbanizzato non sia più sostenibile. Il consumo del suolo provoca infatti vari problemi, in particolare di natura ecologica e ambientale, ma anche sanitaria, economica e urbana. Nel dettaglio, secondo il dossier Terra Rubata1, lanciato all’inizio del 2012 dal FAI e WWF gli aspetti che vengono coinvolti direttamente ed indirettamente dalla conversione urbana dei suoli sono complessivamente i seguenti. Appartenenti alla sfera economico-energetica ritroviamo diseconomie dei trasporti, sperperi energetici, riduzione delle produzioni agricole. Per quanto riguarda la sfera idro-geo-pedologica vi è la possibilità di destabilizzazione geologica, irreversibilità d’uso dei suoli, alterazione degli assetti idraulici ipo ed epigei. Anche la sfera fisico-climatica non è immune a questi cambiamenti, ma può invece essere soggetta ad accentuazione della riflessione termica e dei cambiamenti 1 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 2 climatici, ad una riduzione della capacità di assorbimento delle emissioni, ad effetti sul sequestro del carbonio e sulla propagazione spaziale dei disturbi fisico-chimici. In ultimo, ma non per importanza, riguardo la sfera eco-biologica, ritroviamo problemi inerenti l’erosione fisica e la distruzione degli habitat, la frammentazione eco sistemica, la distrofia dei processi eco-biologici, la penalizzazione dei servizi ecosistemici dell’ambiente e la riduzione della «resilienza» ecologica complessiva. Nonostante ci sia ancora la speranza che questo orientamento possa “invertire la rotta”, non è però possibile attendere ancora. È necessario agire nell’immediato, anche adottando adeguati provvedimenti normativi e strumenti pianificatori ed operativi nell’azione delle pubbliche amministrazioni analogamente a quanto, come evidenziato nel dossier sopracitato2, hanno fatto altri paesi europei. In un recente documento della Commissione Europea3 viene posto l’anno 2050 come termine entro il quale “non edificare più su nuove aree”. Per fare ciò la Commissione indica che nel periodo 2000-2020 occorre che l’occupazione di nuove terre sia ridotta in media di 800 km2 totali. È indispensabile sottolineare però, che nonostante la stabilità demografica della situazione attuale, se non la sua leggera decrescenza, e la società attuale ha necessità di spazi di azione maggiori che non nel passato e possiede una capacità di spostamento a velocità infinitamente superiori. Ciò comporta una variazione enorme nel rapporto tra le superfici edificate (quelle cioè effettivamente coperte dal sedime degli edifici) e le superfici urbanizzate (le pertinenze pubbliche e private e la viabilità). Nell’insediamento storico, dove uno degli obiettivi progettuali era quello di minimizzare i tempi di accesso tra abitazioni e servizi urbani, questo rapporto varia tra il 70 e il 90%, mentre nell’insediamento urbano moderno è quasi sempre inferiore al 40-50% fino a valori anche inferiori al 20% in taluni agglomerati commerciali, 2 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 3 Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse, settembre 2011 3 industriali o direzionali nei quali il movimento dei mezzi o le sistemazioni paesaggistiche di rappresentanza richiedono maggiori disponibilità di spazi. Come conciliare quindi la necessità di nuovi spazi e la necessità di non edificare più su nuove aree? Dai dati Istat il 3% del territorio Italiano risulta occupato da aree dismesse. Aree che presentano attualmente problemi di inquinamento e mancata manutenzione ma che potrebbero essere la giusta risorsa per rispondere alle necessità sopracitate. Enormi spazi, costruiti nella precedente epoca industriale, che possono essere restituiti al pubblico sotto forma di luoghi destinati alla fruizione collettiva come musei, biblioteche, centri per i giovani, i bambini, gli artisti. Allo stesso tempo questi spazi possono essere, completamente o in parte, rinaturalizzati e trasformati in parchi e giardini. La tematica, cosiddetta dell’archeologia industriale non si presenta come una novità, ma come una disciplina, definita per la sua prima volta in Inghilterra nel 1955, che vanta di esempi recuperati in tutta Europa. Dagli anni ’60 l’opinione pubblica cominciò ad opporsi alla demolizione di alcune strutture industriali, come ad esempio la Stazione Euston a Londra, riconoscendone l’importanza storica, culturale ed artistica. Questo paesaggio industriale, diviene oggi testimonianza storica di un’epoca e quindi per questo necessita rispetto e attenzione. Ciò non deve essere estremizzato fino alla esaltazione di questi immensi edifici come rovine intoccabili, ma deve invitare l’opinione pubblica e i progettisti a prendersene cura, a reintegrarli nel tessuto urbano donando loro nuove funzioni compatibili con la struttura esistente che andrà quindi lasciata il più possibile inalterata per mantenere una leggibilità storica del manufatto. L’Europa presenta vari casi di recupero industriale, alcuni dei quali presentano veri e propri esempi da seguire e che meritano quindi una citazione ed un approfondimento all’interno di questo saggio. Tra questi l’ex stabilimento FIAT del Lingotto a Torino, 4 la celebre Tate Modern di Londra, il Leipzig Baumwollspinnerei, il Matadero Madrid e la Cable Factory a Elsinky. Questi edifici abbandonati risultano all’oggi sparsi in maniera disomogenea anche in tutta Italia, con una maggiore concentrazione lungo le linee ferroviarie e nei pressi delle città storicamente industrializzate. Essi, prima di un eventuale recupero, risultano come rifiuti abbandonati. Ma come sopradetto questi rifiuti urbani possono essere recuperati, reinventati, riabilitati, ridotati di dignità, funzione, utilità. Se questi rifiuti urbani possono essere una nuova risorsa per le città italiane come per quelle Europee, perché non provare a trasformare in risorse anche i rifiuti di altra natura? Il problema dei rifiuti, più comunemente chiamati come tali, ha toccato direttamente l’opinione pubblica italiana nel 2008 con il caso drammatico della regione Campania e in particolare dalla condizione inumana della città di Napoli. Il rifiuto è un problema dovuto alla società cosiddetta dell’usa e getta, a quella popolazione che contrariamente al mondo rurale non recupera gli scarti impiegandoli in successive lavorazioni e produzioni, ma li getta, spesso in maniera indifferenziata senza preoccuparsi di ciò che ne sarà. Nel passato, fino agli anni ’60, il problema dello smaltimento dei rifiuti era molto limitato in quanto in genere gli scatti del processo industriale, lavorativo, costruttivo venivano reimpiegati come base per una nuova produzione; il materiale da riciclare veniva di solito recuperato. Il problema degli scarti è quindi un problema moderno e proprio della città, la quale deve quindi farsene carico e trasformarlo in un valore, in una risorsa. Se nell’equilibrio ecologico la stabilità è rappresentata dalla presenza di cicli chiusi è necessario trovare una chiusura anche al cerchio del consumo; esso non può terminare in un oggetto, il rifiuto, ma deve riuscire a reinterpretarlo, a trovare per 5 esso una nuova funzione che vada ad attivare un secondo ciclo di vita, che possa a sua volta generare un terzo ciclo, poi un quarto e cosi via. Una delle vie possibili, è quella di riciclare il più possibile i nostri scarti e quindi di disassemblarli per riportare alla luce le materie prime che stavano alla base della loro formazione. Uno degli ultimi nati, su cui è possibile agire percorrendo questa strada è il rifiuto RAEE4. Esso ha subito un incremento del 30,7% negli ultimi 5 anni arrivando ad un consumo di circa 19 kilogrammi di rifiuti all’anno per abitante di cui solo 4 kilogrammi sono attualmente smaltiti nelle aziende specializzate sul territorio. Dismeco s.r.l. è una delle aziende sopracitate specializzata nello smaltimento e trattamento di materiale elettrico ed elettronico, nata a Bologna nel 1977 come attività a gestione familiare e che si è poi sviluppata divenendo la prima in Italia nella gestione specifica dei RAEE, con un importante incremento dei rifiuti dismessi in seguito all'apertura del nuovo stabilimento ubicato nel Comune di Marzabotto, in particolare nel lotto ospitante l’ex-cartiera Rizzoli-Burgo. L’azienda si trova quindi ad operare in un contesto storicamente industriale, in particolare negli edifici in cui veniva stoccato il caolino e in cui veniva riciclata la carta stampata. Se la vocazione al riciclo è storica dell’area, grazie all’iniziativa dell’imprenditore Claudio Tedeschi, sembra ora possibile la creazione di un vero e proprio polo destinato alla cultura del riciclo, all’insegnamento e all’arte riguardanti tale tematica. L’intenzione che verrà ampliamente sviluppata in questo saggio e negli elaborati grafici ad esso allegati è quella di recuperare alcuni degli edifici della vecchia cartiera e donane loro nuove funzioni pubbliche al fine di rigenerare l’area. 4 RAEE: Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, in lingua inglese: Waste of electric and electronic equipment (WEEE) o e-waste). Essi sono rifiuti di tipo particolare che consistono in qualunque apparecchiatura elettrica o elettronica di cui il possessore intenda disfarsi in quanto guasta, inutilizzata, o obsoleta e dunque destinata all'abbandono. 6 Il progetto, nello specifico, si occuperà di riqualificare energeticamente il vecchio laboratorio in cui veniva riciclata la carta stampata e di dotarlo di aree per esposizioni temporanee e permanenti, sale conferenze, aule didattiche, zone di ristoro e di ricerca. Per quanto riguarda invece l’area del lotto attualmente artificializzata, ma non edificata, vi è l’intenzione di riportarla a zona verde attraverso la creazione di un “Parco del Riciclo”. Questa zona verde restituirà al lotto un collegamento visivo con le immediate colline retrostanti, accoglierà i visitatori e li ospiterà nelle stagioni più calde per momenti di relax ma al tempo stesso di apprendimento. Questo perché come già detto i rifiuti sono risorse e quando non possono essere reimpiegati come tali vi è l’arte che se ne occupa. Artisti del calibro di Picasso, Marinetti, Rotella, Nevelson e molti altri, hanno sempre operato con i rifiuti e da essi sono scaturite opere d’arte. A scopo di denuncia di una società consumistica, semplicemente come oggetti del quotidiano, o come metafora della vita dell’uomo, questi oggetti, questi scarti sono divenuti materia sotto le mani esperte dell’artista. Se nel 1998 Lea Vergine dedicò proprio alla Trash Art una mostra a Rovereto5 significa che il rifiuto non è scarto invisibile, ma oggetto facente parte della nostra epoca, di una generazione di consumatori frugali, veloci, e indifferenti. La generazione dell’”usa e getta” che diviene invece ora, per necessita o per scelta generazione del recupero, del riciclo, della rigenerazione. L’ipotesi di progetto nella ex-cartiera Burgo a Lama di Reno è proprio questo, un esempio di come oggi il progettista possa guardare con occhi diversi queste strutture dismesse, questi rifiuti, gli scarti della passata società e non nasconderli, ma reinventarli, riutilizzarli, rigenerarli per soddisfare le necessità della nuova generazione. Della generazione riciclo.

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La Lean Production è un tema di estrema attualità per tutte le aziende che abbiano compreso l’importanza di produrre di più, con le risorse che si hanno a disposizione, eliminando sistematicamente tutte le attività che non creano valore aggiunto. La Produzione Snella è diventato un metodo per incrementare la competitività, riducendo l’incertezza e aumentando il servizio fornito al cliente. Nella realtà attuale vi è ancora una scarsa diffusione dei concetti Lean. Le cause di questo problema sono imputabili soprattutto alla cultura del management aziendale, alla mancanza di efficaci strumenti tecnologici a supporto, e in alcuni casi, la scarsa disponibilità delle imprese ad abbracciare la filosofica “snella”. La presente tesi, dopo una panoramica introduttiva su l’origine e l’evoluzione del Pensiero Snello e l’analisi di tutti i tools disponibili per combattere lo spreco; si propone di analizzare l’applicazione degli stessi in Gambro Dasco, multinazionale biomedicale leader nella vendita delle sue apparecchiature per dialisi.

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Questa tesi di laurea curriculare si propone come una lettura critica del percorso personale formativo universitario, attraverso l’analisi di tre specifiche e diverse esperienze progettuali, che hanno affrontato con varie accezioni il tema del “Riciclaggio” in architettura. Perché questa ricerca? Il riuso e la rivitalizzazione di materiali, edifici e intere parti di città si pone in stretta connessione con i principi di sviluppo sostenibile, perché concretizza un approccio conservativo di risorse, materiali o ambientali che hanno concluso un loro ciclo di vita; questi devono essere reinventati per essere re-immessei in un nuovo ciclo, producendo nuovo valore e vantaggi importanti in termini di risparmio e sostenibilità per la collettività. La notevole quantità di edifici e aree costruite non utilizzate presenti sul nostro territorio, insieme all’avanzamento della cultura del riciclo e delle tecnologie di recupero, impongono ad un architetto di ripensare un futuro per edifici e porzioni di città che hanno esaurito una fase del loro ciclo di vita, trovando un punto di equilibrio fra conservazione della memoria, adeguamento delle funzioni e innovazione delle tecniche. Oggi tutti i processi di produzione, tra cui quello dell’edilizia, sono tenuti al rispetto di norme e disposizioni per la riduzione dell’impatto ambientale, il risparmio e il recupero delle risorse: per questo i progettisti che nella scena mondiale hanno affrontato nelle loro opere la pratica del riciclo e del riuso si pongono come importanti riferimenti. La prima parte della tesi si compone di tre capitoli: nel primo viene introdotto il tema del consumo delle risorse. A questo proposito il riciclaggio di risorse, che in passato è stato considerato solo un modo per attenuare gli effetti negativi indotti dal nostro modello di sviluppo consumistico, oggi si presenta come un’opportunità di riflessione per molte attività di progettazione di oggetti, da quelli di consumo alle architetture, impegnate nella ricerca di soluzioni più sostenibili; nel secondo capitolo viene delineato il concetto di riciclo delle risorse come risposta allo sviluppo incontrollato e alla insostenibilità dello stile di vita indotto da un modello economico basato sulla pratica “usa e getta”. Nel terzo capitolo verrà esaminato il concetto di riciclo a varie scale d’intervento, dal riuso e riordino del territorio e della città, al riciclo degli edifici fino al riciclaggio di materiale. Saranno presentati alcuni casi studio significativi nel panorama mondiale. Nella seconda parte la tesi si propone una lettura critica di tre progetti realizzati durante la carriera universitaria, tutti caratterizzati dalla necessità di rapportarsi con importanti preesistenze, mediante strategie di rivitalizzazione dell’edificio o della porzione di città interessata dal progetto.

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La possibilità di avere accesso alle piattaforme streaming consente all’utente di avere a disposizione un vasto catalogo pieno di contenuti multimediali provenienti da ogni parte del mondo. I prodotti audiovisivi, di cui cresce costantemente il numero di consumatori, sono diventati uno dei mezzi principali della globalizzazione e dello scambio tra i popoli: un film o una serie televisiva sono portatori di elementi originari e tipici della cultura del paese che li produce. In questo contesto, risulta evidente l’importanza della traduzione audiovisiva: il compito dei traduttori è tentare di facilitare il contatto tra le culture e la comprensione degli elementi che le caratterizzano, nel passaggio da una lingua a un’altra. Tuttavia, a causa dei limiti derivanti dalla natura audiovisiva di questi testi, non è sempre possibile ottenere un risultato che rispetti il testo di partenza e che allo stesso tempo sia comprensibile allo spettatore. Per questi motivi, i traduttori si trovano spesso costretti a valutare, a seconda della vicinanza tra le due culture, se mantenere, eliminare o gestire con strategie adatte i termini culturospecifici. Dopo aver contestualizzato brevemente le origini e le caratteristiche della traduzione audiovisiva, l’elaborato in oggetto si propone di descrivere gli adattamenti in italiano e in spagnolo di alcune espressioni, collocate in uno specifico contesto culturale, della serie tv statunitense The Marvelous Mrs. Maisel (Amy Sherman-Palladino, 2017), con l’obiettivo di identificare le tecniche di traduzione e il principale approccio, source-oriented o target-oriented, adottato.

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Questo lavoro mi ha dato la possibilità di unire tre grandi passioni: l’architettura, la storia e il teatro. Tali elementi hanno caratterizzato nel passato, come nel presente, vicissitudini e cambiamenti della città di Pesaro, scenario nel quale si alternano l’architettura a carattere nazionale e quella locale, la storia d’Italia e quella della comunità cittadina, gli spettacoli teatrali di richiamo internazionale a quelli di filodrammatica e dialettali. Con le dovute eccezioni, i cittadini pesaresi della mia generazione poco o nulla sanno della storia della città e della sua evoluzione, perché sono nati e cresciuti in anni in cui questa è rimasta pressoché invariata nella sua struttura urbana e nelle caratteristiche morfologiche; unico elemento visibile del continuo evolversi della città è l’espansione dell’area abitata verso la periferia, la progressiva saturazione dello spazio tra l’espansione urbana del dopoguerra e le zone periferiche. La memoria storica riguardante modifiche importanti che la città ha subìto è, come spesso accade, riposta in chi ha vissuto quei cambiamenti, nonché in qualche giornalista o studioso locale che per lavoro o passione indaga quegli avvenimenti. Tralasciando le controversie meramente politiche, Pesaro ha vissuto in passato una stagione di forti dibattiti sulle vicende architettoniche ed urbanistiche della città, tale fu il coinvolgimento e a volte l’ostruzionismo dell’opinione pubblica a tali trasformazioni; basti citare le discussioni e i dubbi sollevati dal Piano Particolareggiato del Centro Storico nel 1974 elaborato dagli architetti dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia - Carlo Aymonino, Costantino Dardi, Gianni Fabbri, Raffaele Panella, Gianugo Polesello, Luciano Semerani e Mauro Lena - nonostante negli anni seguenti solo pochi elementi del Piano vennero attuati e neanche compiutamente. Di questi dibattiti, negli anni seguenti, ve ne saranno pochi e limitati alla sfera politica, con scarso interesse e coinvolgimento da parte dei cittadini. Contrariamente, nell’ultimo periodo, si assiste parallelamente a due condizioni: un rinnovato interesse da parte dei cittadini per la storia della città, promosso anche dal moltiplicarsi di eventi, mostre, conferenze, pubblicazioni sull’argomento, e un’attenzione nuova per quelli che sono i temi legati alla qualità degli interventi architettonici ed urbanistici, da parte dell’amministrazione comunale. Primaria importanza nella promozione di questo interesse riveste l’Istituto di Storia Contemporanea della Provincia di Pesaro e Urbino e la Biblioteca–Archivio “Vittorio Bobbato”, i quali congiuntamente a diversi autori hanno realizzato vari studi e pubblicazioni su tali argomenti. Il Comune si è fatto promotore di diversi interventi, in attuazione di un Piano Regolatore Generale che, nelle intenzioni, mette al centro la qualità architettonica ed urbana degli interventi, puntando su nuove opere e, per quanto riguarda principalmente il Centro Storico, anche sul recupero dell’esistente. I presupposti dell’intervento progettuale si inseriscono in questo dibattito basandosi sull’idea, attualmente in discussione presso i diversi livelli istituzionali coinvolti, della realizzazione di un nuovo polo ospedaliero congiunto con la città di Fano; quando ciò si realizzerà, l’area ora occupata dall’ospedale pesarese verrà progressivamente liberata, interamente o in parte, determinando un grande vuoto urbano proprio alle porte del centro storico. Questo sito, di notevole privilegio sotto il profilo morfologico e posizionale rispetto alle infrastrutture, è assolutamente appropriato per insediarvi un polo culturale legato al teatro, essendo l’area confinante con quella sulla quale sorge il principale teatro cittadino, il Teatro Rossini. L’area di progetto è una testimonianza della storia urbana della città: presenta uno dei due esempi superstiti di quelli che furono i bastioni della cinta muraria cittadina, nella sua massima espansione, sotto il dominio dei Della Rovere ed il fatto che tale opera sia in parte arrivata ai giorni nostri, più che della scelta degli amministratori locali passati, fu il risultato di vicissitudini politiche, del caso e della centenaria presenza dell’ospedale che di fatto ha vincolato l’area preservandola da trasformazioni non idonee come accaduto per altre parti del centro storico. Se la storia urbana di Pesaro è la base per poter pensare il suo futuro, non meno importanza ricoprono le manifestazioni e le istituzioni che hanno fatto di Pesaro un punto d’incontro culturale a carattere internazionale, elementi anch’essi che testimoniano la qualità della città. La città ospita principalmente due eventi internazionali: la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema e il Rossini Opera Festival, ai quali si legano altre importanti manifestazioni e istituzioni culturali. Strutturalmente indipendente, ma legato indissolubilmente alla figura del grande compositore pesarese a cui è dedicato il festival, vi è il Conservatorio Statale di Musica “Gioachino Rossini”, anch’esso un punto di riferimento nel panorama culturale e musicale internazionale. Uno degli elementi caratterizzanti del festival rossiniano è quello di essere un evento che letteralmente coinvolge l’intera città, poiché le varie rappresentazioni sceniche, i concerti, gli eventi collaterali, trovano spazio in diversi luoghi del centro storico e non solo, arrivando ad utilizzare anche l’Adriatic Arena (palazzo dello sport), ubicato in periferia. L’allestimento di una struttura sportiva al fine di potervi svolgere spettacoli teatrali è un onere ulteriore per l’organizzazione dell’evento che viene ripagato solo dalla grande affluenza di pubblico che è capace di garantire tale struttura, allontanandosi però dall’intuizione iniziale dell’evento che voleva nel centro cittadino il fulcro stesso della manifestazione. Sviluppare un progetto per un centro culturale legato al teatro e alla musica, oltre ad essere un argomento di elevato interesse personale, è un tema ricorrente da oltre un decennio nei dibattiti cittadini, che però non ha trovato fino ad ora la possibilità di essere realizzato. Le motivazioni possono essere molteplici, dalla mancanza di una struttura univoca con cui la pubblica amministrazione possa confrontarsi, alla cronica mancanza di fondi pubblici che la obbligherebbero a ricercare figure private in grado di co-finanziare l’intervento e, non meno importante, la mancanza, fino ad ora, di un’area idonea. Al di là dell’utilizzo a cui sarà destinata l’area di progetto, è di primaria importanza per l’amministrazione comunale aprire un tavolo di confronto con la proprietà dell’area ospedaliera, in modo da non lasciare nulla al caso nelle scelte che condizioneranno la trasformazione. Questa tesi è un’opportunità di confronto personale con la città di oggi, le trasformazioni passate e quelle future; l’architettura, la storia della città ed il teatro possono essere tre elementi cardine per una crescita ed una consapevolezza nuova delle potenzialità di Pesaro nel panorama culturale. La progettazione di un luogo per la cultura e lo spettacolo si fonda su tutte queste premesse, sulla necessità per la città di dotarsi di luoghi idonei che possano finalmente accogliere al meglio tutte le manifestazioni legate al teatro e alla musica e che possa inserirsi quale ulteriore spunto di dibattito nella preparazione del dossier che punta a far riconoscere Pesaro quale “Città della Musica”, inserita nella rete delle città creative dell’UNESCO.

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Il lavoro svolto si concentra sulla città di Mirandola, dopo il terremoto del 2012. Viene svolto uno studio storico della città, e un'analisi sullo stato di fatto. Riflessioni sul limite tra città contemporanea e città storica. Viene proposta la ricostruzione del segno delle mura come limite, in modo da restituire un'identità alla città. Infine, il progetto si concentra sull'area dell'ex convento di San Francesco, complesso abbandonato dopo il sisma. La volontà è quella di riuscire a restituirlo alla cittadini di Mirandola, come nuovo centro culturale. Il progetto si impegna a mantenere l'esistente, aggiungendo un nuovo volume, che verrà occupata da una sala conferenze e da una parte della biblioteca.

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“L’assistenza fornita da Pechino in termini di investimenti e opere di soccorso è mossa dalla sincerità più profonda e non sarà vincolata all’esistenza di particolari condizioni politiche”. Questo è quanto ha dichiarato il primo ministro cinese Wen Jiabao durante la seconda riunione del Forum per la cooperazione tra Cina ed Africa, tenutasi ad Addis Abeba nel 2003. Il contenuto della dichiarazione potrebbe sembrare di trascurabile rilevanza, al contrario invece esso mette in luce uno degli aspetti chiave che hanno contribuito al successo cinese in Africa: l’assenza di condizioni politiche e sociali cui legare l’operato del governo e delle imprese nel territorio

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Entrare all'interno del carattere cinese, definito sinogramma, per capire come esso si comporta in relazione agli aspetti storico-culturali e, soprattutto, filosofici.

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Il lavoro è suddiviso in tre parti, tutte e tre con la cucina come filo conduttore. La prima parte è un'analisi del rapporto tra cucina e cultura e delle caratteristiche comuni a cucina e linguaggio in quanto elementi fondamentali di una cultura. La seconda è un'introduzione alla cucina slovacca, con una visione d'insieme delle sue basi, dei suoi piatti principali e ingredienti base, e delle ragioni storiche e geografiche che hanno influenzato tale tradizione culinaria. La terza parte è un'analisi traduttologica del testo culinario e delle sue caratteristiche peculiari, con commento traduttologico alla traduzione effettuata dal candidato di testi culinari (ricette) dallo slovacco in italiano.