469 resultados para ADPKD,PKD,alimentazione,attività fisica,qualità di vita,malattia policistica epatorenale
Resumo:
La mobilità nelle aree urbane di medie e grandi dimensioni risente di molte criticità e spesso è causa di numerose discussioni. L'utilizzo sempre crescente del mezzo di trasporto privato ha prodotto conseguenze negative: l'aumento del traffico e degli incidenti stradali, dell'inquinamento atmosferico e del rumore sono accompagnati da un forte spreco energetico. Dall'altra parte, il trasporto pubblico locale (TPL) non è riuscito a costruirsi canali preferenziali all'interno dell'immaginario cittadino, poiché sottomesso da un modello economico e un mercato fortemente dipendenti dall'automobile. Una via d'uscita dalla mobilità non sostenibile basata sull'utilizzo di combustibili fossili porta a concepire un trasporto pubblico locale gratuito, fruibile dal cittadino in qualsiasi momento della giornata. Attraverso un'analisi dell'azienda del trasporto pubblico bolognese (ATC) e dei dati provenienti dalla sanità regionale, questa tesi intende mostrare che vi sarà un miglioramento della qualità di vita in aree urbane nel momento in cui la teoria della decrescita venga condivisa da tutti i cittadini. Così sarà possibile liberare i centri urbani dai mezzi privati e quindi dagli alti livelli di inquinamento acustico e atmosferico, e dare ai cittadini la vera libertà di movimento. Mobility in medium and large sized urban areas is critical and often a cause for numerous debates. The use of private transport is in constant increase and has generated negative consequences: congestion and road accidents, air and noise pollutio as well as a considerable waste of energy. On the other hand, the local public transport (LPT) has not succeeded in representing the preferred choice by citizens in the urban imaginary. Its potential has been subdued by economic models and markets that are largely dependant on the production of vehicles. An alternative to the current non sustainable mobility based on the combustion of fossil fuels could be the provision of a free local transport network available to the citizen from anywhere at any time. This dissertation's objective is to show how an improvement of the quality of life in urban areas is connected to a collective awareness on the degrowth theory. I intend to achieve this by analysing thoroughly the system of the public transportation agency in Bologna (ATC) and considering data from the local health department. Only then we will be able to limit private vehicles from city centres and as a result of that drastically decrease air and noise pollution whilst providing a true service for a free moving citizen.
Resumo:
Con Brain-Computer Interface si intende un collegamento diretto tra cervello e macchina, che essa sia un computer o un qualsiasi dispositivo esterno, senza l’utilizzo di muscoli. Grazie a sensori applicati alla cute del cranio i segnali cerebrali del paziente vengono rilevati, elaborati, classificati (per mezzo di un calcolatore) e infine inviati come output a un device esterno. Grazie all'utilizzo delle BCI, persone con gravi disabilità motorie o comunicative (per esempio malati di SLA o persone colpite dalla sindrome del chiavistello) hanno la possibilità di migliorare la propria qualità di vita. L'obiettivo di questa tesi è quello di fornire una panoramica nell'ambito dell'interfaccia cervello-computer, mostrando le tipologie esistenti, cercando di farne un'analisi critica sui pro e i contro di ogni applicazione, ponendo maggior attenzione sull'uso dell’elettroencefalografia come strumento per l’acquisizione dei segnali in ingresso all'interfaccia.
Resumo:
La tecnica di Diffusion Weighted Imaging (DWI) si basa sullo studio del moto diffusivo delle molecole d’acqua nei tessuti biologici ed è in grado di fornire informazioni sulla struttura dei tessuti e sulla presenza di eventuali alterazioni patologiche. Il più recente sviluppo della DWI è rappresentato dal Diffusion Tensor Imaging (DTI), tecnica che permette di determinare non solo l’entità, ma anche le direzioni principali della diffusione. Negli ultimi anni, grazie ai progressi nella tecnica di risonanza magnetica, l’imaging di diffusione è stato anche applicato ad altri distretti anatomici tra cui quello renale, per sfruttarne le potenzialità diagnostiche. Tuttavia, pochi sono ancora gli studi relativi all’applicazione delle metodiche di diffusione per la valutazione della malattia policistica renale autosomica dominante (ADPKD). ADPKD è una delle malattie ereditarie più comuni ed è la principale causa genetica di insufficienza renale dell’adulto. La caratteristica principale consiste nella formazione di cisti in entrambi i reni, che progressivamente aumentano in numero e dimensioni fino a causare la perdita della funzionalità renale nella metà circa dei pazienti. Ad oggi non sono disponibili terapie capaci di arrestare o rallentare l’evoluzione di ADPKD; è possibile controllare le complicanze per evitare che costituiscano componenti peggiorative. Il lavoro di tesi nasce dalla volontà di indagare se la tecnica dell’imaging di diffusione possa essere utile per fornire informazioni sullo stato della malattia e sul suo grado di avanzamento. L’analisi di studio è concentrata sul calcolo del coefficiente di diffusione apparente (ADC), derivato dalle immagini DWI e valutato nella regione della midollare. L’obiettivo di questo lavoro è verificare se tale valore di ADC sia in grado di caratterizzare la malattia policistica renale e possa essere utilizzato in ambito clinico-diagnostico come indicatore prognostico nella progressione di questa patologia.
Resumo:
Background: Il dolore pelvico cronico viene definito dall’associazione europea di urologia (EAU) come un dolore persistente, non ciclico, percepito nelle strutture connesse alla pelvi che dura più di 6 mesi. Nella maggior parte dei casi si parla di un dolore non specifico per cui è raccomandato un approccio bio-psico-sociale. Obiettivo: L’obiettivo di questa revisione sistematica è quello di individuare l’efficacia del trattamento fisioterapico nel dolore pelvico cronico femminile. Metodi: Per rispondere al quesito diagnostico è stata effettuata una ricerca nelle banche dati PubMed e PEDro. I criteri di inclusione sono stati i seguenti: incluse tutte le donne, tutte le varie tipologie e tecniche fisioterapiche, il PICOS è soddisfatto dall’articolo, il full-text dell’articolo è reperibile, la lingua di pubblicazione è in italiano o inglese, non ci sono limiti sulla data di pubblicazione ed infine vengono inclusi RCT con qualità metodologica medio-alta. Il rischio di bias è stato valutato tramite l’applicazione della PEDro Scale. Risultati: Dalla selezione degli studi sono stati trovati 11 articoli eleggibili. Il campione negli studi varia da 22 a 212 partecipanti; le dimensioni dei gruppi variano da 11 a 107 pazienti; l’età media varia da 22 a 52 anni. I gruppi di intervento prevedono differenti opzioni di tecniche fisioterapiche (educazione, PFME, rilascio miofasciale, terapia manuale, TENS, IVES, biofeedback, laser, esercizi di rilassamento, desensibilizzazione con focus sul pavimento pelvico, manipolazione dei tessuti e massaggio full body). Tutti gli studi hanno almeno un gruppo di controllo. I risultati ottenuti analizzando l’outcome principale (dolore) e gli outcome secondari (qualità del dolore, qualità di vita e indice delle funzioni sessuali) mostrano un cambiamento positivo in tutti gli studi. Conclusione: Il trattamento fisioterapico si è rivelato efficace nell’approccio al dolore pelvico cronico femminile.
Resumo:
Il presente lavoro di tesi ha avuto lo scopo di valutare l’effetto della deplezione dietetica della lisina, in concomitanza o meno della supplementazione di due diverse tipologie di integratori alimentari, sui principali tratti qualitativi e sulle proprietà tecnologiche della carne di petto di pollo. Pertanto, 1620 polli maschi sono stati allevati e suddivisi in 4 gruppi sperimentali in funzione dei trattamenti dietetici che prevedevano la deplezione del contenuto di lisina nella dieta con l’aggiunta o meno di 2 diversi tipi di integratori nella fase starter. Al termine della prova (50gg), 12 muscoli pettorali/gruppo sono stati destinati all’analisi del pH, colore, drip e cooking loss e sforzo di taglio. I risultati ottenuti hanno evidenziato che la deplezione della lisina insieme all’aggiunta dell’integratore 2 (contenente un precursore della creatina) ha determinato una significativa modificazione del colore della carne in termini di luminosità e indice di rosso (a*) e un aumento del cooking loss rispetto al gruppo di controllo. Tuttavia, le modificazioni ottenute sono di lieve entità e non determinano un eventuale peggioramento qualitativo della carne. Infatti, la deplezione della lisina non ha fatto rilevare alcuna modificazione significativa nei confronti dei parametri qualitativi e tecnologici presi in esame. Considerata la limitata disponibilità di studi presenti in letteratura riguardo la restrizione dietetica della quota di lisina, questo studio suggerisce come la sua deplezione nel primo periodo di vita dell’animale possa rappresentare una strategia efficace per ridurre i costi di alimentazione e migliorare la sostenibilità del sistema di produzione senza influenzare negativamente la qualità della carne. Infatti, è noto che la riduzione della concentrazione di alcuni componenti della dieta possa determinare una minore escrezione di azoto e fosforo, migliorando così la sostenibilità ambientale del sistema produttivo.
Resumo:
Il presente studio riguarda l’applicazione della metodologia Life Cycle Assessment (LCA) ad una bottiglia di Passito di Pantelleria, prodotta dall’Azienda vitivinicola “Donnafugata” localizzata nel comune di Marsala in Sicilia. L’obiettivo di tale studio consiste nel quantificare e valutare le prestazioni energetico-ambientali derivanti dall’intero ciclo di vita del processo produttivo, nonché le fasi di produzione che presentano il maggiore impatto. Lo studio è stato ulteriormente approfondito effettuando una comparazione tra la produzione della singola bottiglia di Passito nei diversi anni 2007, 2008 e 2009 con lo scopo di determinare quali tra questi risulta avere il maggiore impatto ambientale. Gli impatti ambientali di un’Azienda vitivinicola risultano avere la loro particolare importanza in quanto la produzione di vino è un processo di natura complessa. Di conseguenza tali impatti possono compromettere le componenti fondamentali del processo produttivo, a partire dalle uve coltivate in vigna fino ad arrivare in cantina, dove avviene la trasformazione dell’uva in mosto e la successiva fase di vinificazione che determina il prodotto finale messo in commercio. Proprio attraverso il fluire delle seguenti fasi di trasformazione, in che misura queste consumano energia e producono emissioni? È importante sottolineare che lo studio del ciclo di vita di un prodotto può essere considerato come un supporto fondamentale allo sviluppo di schemi di etichettatura ambientale attraverso i quali è possibile indirizzare il consumatore finale verso beni più rispettosi dell’ambiente e fornire informazioni chiare e trasparenti sulle prestazioni ambientali del prodotto stesso. Allo stesso tempo tale strumento può essere adoperato dall’azienda per fornire garanzia delle credenziali ambientali del prodotto acquisendo così un vantaggio competitivo rispetto alle aziende concorrenti. Infatti, nell’ambito delle politiche comunitarie di prodotto, una delle applicazioni più significative della valutazione del ciclo di vita si ha nella dichiarazione ambientale di prodotto o EPD (Environmental Product Declaration). L’EPD è uno schema di certificazione volontaria che rappresenta un marchio di qualità ecologica per i prodotti, permettendo di comunicare informazioni oggettive, confrontabili e credibili relative alla prestazione ambientale degli stessi. Per essere convalidabili, le prestazioni ambientali presenti nelle EPD devono rispettare i requisiti stabiliti dal PCR- Product Category Rules, un documento nel quale sono presenti le regole per lo studio di una certa categoria di prodotto. Il presente lavoro può essere suddiviso in cinque step successivi. Il primo prevede la descrizione della metodologia LCA, adottata per la quantificazione dell’impatto ambientale, analizzandone singolarmente le quattro fasi principali che la caratterizzano; il secondo presenta la descrizione dell’Azienda vitivinicola e del Passito di Pantelleria, oggetto della valutazione, mettendo in evidenza anche le particolarità ambientali del territorio Pantesco in cui il prodotto prende vita; il terzo fornisce una descrizione delle caratteristiche principali dello strumento applicativo utilizzato per l’analisi, SimaPro nella versione 7.3; il quarto descrive le diverse attività di lavorazione svolte nel complesso processo di produzione della bottiglia di Passito, focalizzando l’attenzione sui componenti primari dell’oggetto di valutazione ed il quinto riguarda la descrizione dell’analisi LCA applicata alla singola bottiglia di Passito.
Resumo:
La dieta, nell’antica medicina greca, rappresentava il complesso delle norme di vita, come l’alimentazione, l’attività fisica, il riposo, atte a mantenere lo stato di salute di una persona. Al giorno d’oggi le si attribuisce un significato fortemente legato all’alimentazione, puo` riferirsi al complesso di cibi che una persona mangia abitualmente oppure, con un messaggio un po' più moderno, ad una prescrizione di un regime alimentare da parte di un medico. Ogni essere umano mangia almeno tre volte al giorno, ognuno in base al proprio stile di vita, cultura, età, etc. possiede differenti abitudini alimentari che si ripercuotono sul proprio stato di salute. Inconsciamente tutti tengono traccia degli alimenti mangiati nei giorni precedenti, chi più chi meno, cercando di creare quindi una pianificazione di cosa mangiare nei giorni successivi, in modo da variare i pasti o semplicemente perchè si segue un regime alimentare particolare per un certo periodo. Diventa quindi fondamentale tracciare questa pianificazione, in tal modo si puo' tenere sotto controllo la propria alimentazione, che è in stretta relazione con il proprio stato di salute e stress, e si possono applicare una serie di aggiustamenti dove necessario. Questo è quello che cerca di fare il “Menu Planning”, offrire una sorta di guida all’alimentazione, permettendo così di aver sotto controllo tutti gli aspetti legati ad essa. Si pensi, ad esempio, ai prezzi degli alimenti, chiunque vorrebbe minimizzare la spesa, mangiare quello che gli piace senza dover per forza rinunciare a quale piccolo vizio quotidiano. Con le tecniche di “Menu Planning” è possibile avere una visione di insieme della propria alimentazione. La prima formulazione matematica del “Menu Planning” (allora chiamato diet problem) nacque durante gli anni ’40, l’esercito Americano allora impegnano nella Seconda Guerra Mondiale voleva abbassare i costi degli alimenti ai soldati mantenendo però inalterata la loro dieta. George Stingler, economista americano, trovò una soluzione, formulando un problema di ottimizzazione e vincendo il premio Nobel in Economia nel 1982. Questo elaborato tratta dell’automatizzazione di questo problema e di come esso possa essere risolto con un calcolatore, facendo soprattutto riferimento a particolari tecniche di intelligenza artificiale e di rappresentazione della conoscenza, nello specifico il lavoro si è concentrato sulla progettazione e sviluppo di un ES case-based per risolvere il problema del “Menu Planning”. Verranno mostrate varie tecniche per la rappresentazione della conoscenza e come esse possano essere utilizzate per fornire supporto ad un programma per elaboratore, partendo dalla Logica Proposizionale e del Primo Ordine, fino ad arrivare ai linguaggi di Description Logic e Programmazione Logica. Inoltre si illustrerà come è possibile raccogliere una serie di informazioni mediante procedimenti di Knowledge Engineering. A livello concettuale è stata introdotta un’architettura che mette in comunicazione l’ES e un Ontologia di alimenti con l’utilizzo di opportuni framework di sviluppo. L’idea è quella di offrire all’utente la possibilità di vedere la propria pianificazione settimanale di pasti e dare dei suggerimenti su che cibi possa mangiare durante l’arco della giornata. Si mostreranno quindi le potenzialità di tale architettura e come essa, tramite Java, riesca a far interagire ES case-based e Ontologia degli alimenti.
Resumo:
Negli ultimi cinquant’anni, in particolare dal 1956 al 2010, grazie a miglioramenti di tipo economico e sociale, il territorio urbanizzato italiano è aumentato di circa 600 mila ettari, cioè una superficie artificializzata pari quasi a quella dell’intera regione Friuli Venezia Giulia, con un aumento del 500% rispetto agli anni precedenti. Quando si parla di superfici “artificializzate” ci si riferisce a tutte quelle parti di suolo che perdono la propria caratteristica pedologica per essere asportate e divenire urbanizzate, cioè sostituite da edifici, spazi di pertinenza, parcheggi, aree di stoccaggio, strade e spazi accessori. La costruzione di intere periferie e nuclei industriali dagli anni ’50 in poi, è stata facilitata da un basso costo di mano d’opera e da una supposta presenza massiccia di risorse disponibili. Nonché tramite adeguati piani urbanistico-territoriali che hanno accompagnato ed assecondato questo orientamento. All’oggi, è evidente come questa crescita tumultuosa del tessuto urbanizzato non sia più sostenibile. Il consumo del suolo provoca infatti vari problemi, in particolare di natura ecologica e ambientale, ma anche sanitaria, economica e urbana. Nel dettaglio, secondo il dossier Terra Rubata1, lanciato all’inizio del 2012 dal FAI e WWF gli aspetti che vengono coinvolti direttamente ed indirettamente dalla conversione urbana dei suoli sono complessivamente i seguenti. Appartenenti alla sfera economico-energetica ritroviamo diseconomie dei trasporti, sperperi energetici, riduzione delle produzioni agricole. Per quanto riguarda la sfera idro-geo-pedologica vi è la possibilità di destabilizzazione geologica, irreversibilità d’uso dei suoli, alterazione degli assetti idraulici ipo ed epigei. Anche la sfera fisico-climatica non è immune a questi cambiamenti, ma può invece essere soggetta ad accentuazione della riflessione termica e dei cambiamenti 1 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 2 climatici, ad una riduzione della capacità di assorbimento delle emissioni, ad effetti sul sequestro del carbonio e sulla propagazione spaziale dei disturbi fisico-chimici. In ultimo, ma non per importanza, riguardo la sfera eco-biologica, ritroviamo problemi inerenti l’erosione fisica e la distruzione degli habitat, la frammentazione eco sistemica, la distrofia dei processi eco-biologici, la penalizzazione dei servizi ecosistemici dell’ambiente e la riduzione della «resilienza» ecologica complessiva. Nonostante ci sia ancora la speranza che questo orientamento possa “invertire la rotta”, non è però possibile attendere ancora. È necessario agire nell’immediato, anche adottando adeguati provvedimenti normativi e strumenti pianificatori ed operativi nell’azione delle pubbliche amministrazioni analogamente a quanto, come evidenziato nel dossier sopracitato2, hanno fatto altri paesi europei. In un recente documento della Commissione Europea3 viene posto l’anno 2050 come termine entro il quale “non edificare più su nuove aree”. Per fare ciò la Commissione indica che nel periodo 2000-2020 occorre che l’occupazione di nuove terre sia ridotta in media di 800 km2 totali. È indispensabile sottolineare però, che nonostante la stabilità demografica della situazione attuale, se non la sua leggera decrescenza, e la società attuale ha necessità di spazi di azione maggiori che non nel passato e possiede una capacità di spostamento a velocità infinitamente superiori. Ciò comporta una variazione enorme nel rapporto tra le superfici edificate (quelle cioè effettivamente coperte dal sedime degli edifici) e le superfici urbanizzate (le pertinenze pubbliche e private e la viabilità). Nell’insediamento storico, dove uno degli obiettivi progettuali era quello di minimizzare i tempi di accesso tra abitazioni e servizi urbani, questo rapporto varia tra il 70 e il 90%, mentre nell’insediamento urbano moderno è quasi sempre inferiore al 40-50% fino a valori anche inferiori al 20% in taluni agglomerati commerciali, 2 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 3 Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse, settembre 2011 3 industriali o direzionali nei quali il movimento dei mezzi o le sistemazioni paesaggistiche di rappresentanza richiedono maggiori disponibilità di spazi. Come conciliare quindi la necessità di nuovi spazi e la necessità di non edificare più su nuove aree? Dai dati Istat il 3% del territorio Italiano risulta occupato da aree dismesse. Aree che presentano attualmente problemi di inquinamento e mancata manutenzione ma che potrebbero essere la giusta risorsa per rispondere alle necessità sopracitate. Enormi spazi, costruiti nella precedente epoca industriale, che possono essere restituiti al pubblico sotto forma di luoghi destinati alla fruizione collettiva come musei, biblioteche, centri per i giovani, i bambini, gli artisti. Allo stesso tempo questi spazi possono essere, completamente o in parte, rinaturalizzati e trasformati in parchi e giardini. La tematica, cosiddetta dell’archeologia industriale non si presenta come una novità, ma come una disciplina, definita per la sua prima volta in Inghilterra nel 1955, che vanta di esempi recuperati in tutta Europa. Dagli anni ’60 l’opinione pubblica cominciò ad opporsi alla demolizione di alcune strutture industriali, come ad esempio la Stazione Euston a Londra, riconoscendone l’importanza storica, culturale ed artistica. Questo paesaggio industriale, diviene oggi testimonianza storica di un’epoca e quindi per questo necessita rispetto e attenzione. Ciò non deve essere estremizzato fino alla esaltazione di questi immensi edifici come rovine intoccabili, ma deve invitare l’opinione pubblica e i progettisti a prendersene cura, a reintegrarli nel tessuto urbano donando loro nuove funzioni compatibili con la struttura esistente che andrà quindi lasciata il più possibile inalterata per mantenere una leggibilità storica del manufatto. L’Europa presenta vari casi di recupero industriale, alcuni dei quali presentano veri e propri esempi da seguire e che meritano quindi una citazione ed un approfondimento all’interno di questo saggio. Tra questi l’ex stabilimento FIAT del Lingotto a Torino, 4 la celebre Tate Modern di Londra, il Leipzig Baumwollspinnerei, il Matadero Madrid e la Cable Factory a Elsinky. Questi edifici abbandonati risultano all’oggi sparsi in maniera disomogenea anche in tutta Italia, con una maggiore concentrazione lungo le linee ferroviarie e nei pressi delle città storicamente industrializzate. Essi, prima di un eventuale recupero, risultano come rifiuti abbandonati. Ma come sopradetto questi rifiuti urbani possono essere recuperati, reinventati, riabilitati, ridotati di dignità, funzione, utilità. Se questi rifiuti urbani possono essere una nuova risorsa per le città italiane come per quelle Europee, perché non provare a trasformare in risorse anche i rifiuti di altra natura? Il problema dei rifiuti, più comunemente chiamati come tali, ha toccato direttamente l’opinione pubblica italiana nel 2008 con il caso drammatico della regione Campania e in particolare dalla condizione inumana della città di Napoli. Il rifiuto è un problema dovuto alla società cosiddetta dell’usa e getta, a quella popolazione che contrariamente al mondo rurale non recupera gli scarti impiegandoli in successive lavorazioni e produzioni, ma li getta, spesso in maniera indifferenziata senza preoccuparsi di ciò che ne sarà. Nel passato, fino agli anni ’60, il problema dello smaltimento dei rifiuti era molto limitato in quanto in genere gli scatti del processo industriale, lavorativo, costruttivo venivano reimpiegati come base per una nuova produzione; il materiale da riciclare veniva di solito recuperato. Il problema degli scarti è quindi un problema moderno e proprio della città, la quale deve quindi farsene carico e trasformarlo in un valore, in una risorsa. Se nell’equilibrio ecologico la stabilità è rappresentata dalla presenza di cicli chiusi è necessario trovare una chiusura anche al cerchio del consumo; esso non può terminare in un oggetto, il rifiuto, ma deve riuscire a reinterpretarlo, a trovare per 5 esso una nuova funzione che vada ad attivare un secondo ciclo di vita, che possa a sua volta generare un terzo ciclo, poi un quarto e cosi via. Una delle vie possibili, è quella di riciclare il più possibile i nostri scarti e quindi di disassemblarli per riportare alla luce le materie prime che stavano alla base della loro formazione. Uno degli ultimi nati, su cui è possibile agire percorrendo questa strada è il rifiuto RAEE4. Esso ha subito un incremento del 30,7% negli ultimi 5 anni arrivando ad un consumo di circa 19 kilogrammi di rifiuti all’anno per abitante di cui solo 4 kilogrammi sono attualmente smaltiti nelle aziende specializzate sul territorio. Dismeco s.r.l. è una delle aziende sopracitate specializzata nello smaltimento e trattamento di materiale elettrico ed elettronico, nata a Bologna nel 1977 come attività a gestione familiare e che si è poi sviluppata divenendo la prima in Italia nella gestione specifica dei RAEE, con un importante incremento dei rifiuti dismessi in seguito all'apertura del nuovo stabilimento ubicato nel Comune di Marzabotto, in particolare nel lotto ospitante l’ex-cartiera Rizzoli-Burgo. L’azienda si trova quindi ad operare in un contesto storicamente industriale, in particolare negli edifici in cui veniva stoccato il caolino e in cui veniva riciclata la carta stampata. Se la vocazione al riciclo è storica dell’area, grazie all’iniziativa dell’imprenditore Claudio Tedeschi, sembra ora possibile la creazione di un vero e proprio polo destinato alla cultura del riciclo, all’insegnamento e all’arte riguardanti tale tematica. L’intenzione che verrà ampliamente sviluppata in questo saggio e negli elaborati grafici ad esso allegati è quella di recuperare alcuni degli edifici della vecchia cartiera e donane loro nuove funzioni pubbliche al fine di rigenerare l’area. 4 RAEE: Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, in lingua inglese: Waste of electric and electronic equipment (WEEE) o e-waste). Essi sono rifiuti di tipo particolare che consistono in qualunque apparecchiatura elettrica o elettronica di cui il possessore intenda disfarsi in quanto guasta, inutilizzata, o obsoleta e dunque destinata all'abbandono. 6 Il progetto, nello specifico, si occuperà di riqualificare energeticamente il vecchio laboratorio in cui veniva riciclata la carta stampata e di dotarlo di aree per esposizioni temporanee e permanenti, sale conferenze, aule didattiche, zone di ristoro e di ricerca. Per quanto riguarda invece l’area del lotto attualmente artificializzata, ma non edificata, vi è l’intenzione di riportarla a zona verde attraverso la creazione di un “Parco del Riciclo”. Questa zona verde restituirà al lotto un collegamento visivo con le immediate colline retrostanti, accoglierà i visitatori e li ospiterà nelle stagioni più calde per momenti di relax ma al tempo stesso di apprendimento. Questo perché come già detto i rifiuti sono risorse e quando non possono essere reimpiegati come tali vi è l’arte che se ne occupa. Artisti del calibro di Picasso, Marinetti, Rotella, Nevelson e molti altri, hanno sempre operato con i rifiuti e da essi sono scaturite opere d’arte. A scopo di denuncia di una società consumistica, semplicemente come oggetti del quotidiano, o come metafora della vita dell’uomo, questi oggetti, questi scarti sono divenuti materia sotto le mani esperte dell’artista. Se nel 1998 Lea Vergine dedicò proprio alla Trash Art una mostra a Rovereto5 significa che il rifiuto non è scarto invisibile, ma oggetto facente parte della nostra epoca, di una generazione di consumatori frugali, veloci, e indifferenti. La generazione dell’”usa e getta” che diviene invece ora, per necessita o per scelta generazione del recupero, del riciclo, della rigenerazione. L’ipotesi di progetto nella ex-cartiera Burgo a Lama di Reno è proprio questo, un esempio di come oggi il progettista possa guardare con occhi diversi queste strutture dismesse, questi rifiuti, gli scarti della passata società e non nasconderli, ma reinventarli, riutilizzarli, rigenerarli per soddisfare le necessità della nuova generazione. Della generazione riciclo.
Resumo:
La congestione del traffico è un fenomeno molto familiare, con il quale si ha a che fare nelle più svariate occasioni. Dal punto di vista fisico, il flusso del traffico rappresenta un sistema di particelle interagenti (i ve- icoli) in condizione di non equilibrio. L’effetto complessivo di un sistema composto da molte particelle interagenti è la creazione di una instabil- ità, osservata empiricamente, nello stato di free flow (scorrimento libero), causata dall’aumentare delle fluttuazioni. In questi casi di parla di phan- tom traffic jam, ovvero una congestione che ha origine senza cause appar- enti, come incidenti o lavori in corso. Sarà dimostrato come la condizione di stop & go si verifichi spontaneamente se la densità media dei veicoli eccede un certo valore critico. L’importanza di poter predire una congestione stradale non è un problema puramente matematico, ma ha risvolti socio-economici non indifferenti. Infatti, le caratteristiche della mobilità e dei sistemi di trasporto sono strettamente legate alla struttura della comunità e alla qualità della vita. Con il seguente studio si cercherà di trovare un osservabile facilmente calcolabile, che potrebbe essere un predittore della formazione di uno stato congestionato con un intervallo di tempo sufficientemente adeguato. A tal fine sono state prese in considerazione misure relative alle condizioni del traffico su strade provinciali dell’Emilia-Romagna, tramite un sistema MTS composto da 3509 spire che registra i passaggi delle macchine; in seguito, per poter avere una comprensione maggiore dei fenomeni che si manifestano durante la transizione a stato congestionato, si è provveduto a creare un modello matematico utilizzato per le simulazioni al computer. I risultati ottenuti dalle simulazioni, poi, sono stati utilizzati per trovare l’osservabile cercato nei dati pervenuti dalle strade campione.
Progetto di Sistemi di Regolazione dell'Alimentazione ad Alta Affidabilità per Processori Multi-Core
Resumo:
Quasi tutti i componenti del FIVR (regolatore di tensione Buck che fornisce l'alimentazione ai microprocessori multi-core) sono implementati sul die del SoC e quindi soffrono di problemi di affidabilità associati allo scaling della tecnologia microelettronica. In particolare, la variazione dei parametri di processo durante la fabbricazione e i guasti nei dispostivi di switching (circuiti aperti o cortocircuiti). Questa tesi si svolge in ambito di un progetto di ricerca in collaborazione con Intel Corporation, ed è stato sviluppato in due parti: Inizialmente è stato arricchito il lavoro di analisi dei guasti su FIVR, svolgendo un accurato studio su quelli che sono i principali effetti dell’invecchiamento sulle uscite dei regolatori di tensione integrati su chip. Successivamente è stato sviluppato uno schema di monitoraggio a basso costo in grado di rilevare gli effetti dei guasti più probabili del FIVR sul campo. Inoltre, lo schema sviluppato è in grado di rilevare, durante il tempo di vita del FIVR, gli effetti di invecchiamento che inducono un incorretto funzionamento del FIVR. Lo schema di monitoraggio è stato progettato in maniera tale che risulti self-checking nei confronti dei suoi guasti interni, questo per evitare che tali errori possano compromettere la corretta segnalazione di guasti sul FIVR.
Resumo:
L’autonomia è una competenza imprescindibile per poter vivere nella società in maniera attiva e partecipativa. Tuttavia, l’apprendimento di questa abilità non è per nulla scontato, soprattutto quando sono coinvolte persone con disabilità intellettive: infatti, un’attività di vita quotidiana relativa all’ambito dell’autonomia è composta da un certo numero di azioni che devono essere eseguite in una sequenza precisa da memorizzare. Questo può rappresentare uno scoglio complesso da superare, con il risultato che spesso il compito viene portato a termine solo ed esclusivamente in presenza di una persona di supporto, come un caregiver o un genitore, che si occupa di guidare l’assistito durante l’attività. Nasce quindi l’esigenza di fornire un supporto ed un sostegno all’acquisizione di alcune competenze di autonomia, il quale si sostituisca gradualmente all’aiuto di persone terze, compatibilmente al grado di abilità degli individui. In questo scenario si colloca il lavoro di tesi, che consiste nella progettazione, sviluppo e testing di una tecnologia assistiva che permetta di creare scenari di apprendimento per l’acquisizione di alcune competenze relative all’ambito dell’autonomia della vita quotidiana. Il documento ha l’obiettivo di presentare il contesto di partenza del progetto per poi illustrare tutte le fasi di design e progettazione, motivando le scelte implementative. Tutto il lavoro è stato fortemente condizionato dai principi del Design Thinking, ovvero metodologie di design che puntano a sviluppare soluzioni inclusive e accessibili, incentrate sui reali bisogni degli individui. Per questo motivo è stato indispensabile coinvolgere diversi utenti e stakeholder sin dagli inizi del progetto. I test presentati dimostrano che l’applicazione si può considerare una buona base per diventare una tecnologia assistiva accessibile e che possa rispondere a diversi bisogni educativi nell’ambito dell’acquisizione delle autonomie di vita quotidiana.
Resumo:
Il surriscaldamento globale è un fenomeno preoccupante ed è accertato che le attività umane sono responsabili di questa crisi climatica causata dall’aumento dei gas serra immessi nell’atmosfera. L’agricoltura contribuisce per il 23% delle emissioni planetarie di gas serra, che derivano per quasi l’80% dalla gestione degli allevamenti. L’allevamento è responsabile di diversi impatti ambientali, quali le emissioni enteriche delle bovine, le emissioni dalla fase di gestione delle deiezioni, e quelle che avvengono nella fase di coltivazione dei terreni aziendali, quali le emissioni di protossido di azoto dovute alle fertilizzazioni azotate e le emissioni derivanti dall’uso dei combustibili per le macchine agricole utilizzate per la gestione del bestiame, il consumo idrico, il consumo di energia per la climatizzazione estiva dell’allevamento e la produzione e lo smaltimento dei rifiuti plastici. Il rapporto però tra produzione di bestiame e cambiamento climatico è bilaterale. Infatti, i cambiamenti climatici influiscono negativamente sulla produzione zootecnica, con effetti diretti sulla salute animale e sull'efficienza riproduttiva, ma anche effetti indiretti derivanti dai cambiamenti nella qualità e quantità dei mangimi, disponibilità di acqua, alterazioni dell'ecosistema che portano a cambiamenti nella distribuzione di agenti patogeni e malattie. Proprio alla relazione, biunivoca, tra allevamento del bestiame ed impatto ambientale è dedicata la presente tesi. È stato infatti condotto uno studio con l'obiettivo di valutare gli impatti ambientali degli allevamenti di bovini da latte, sulla base di un modello di valutazione del ciclo di vita (Life Cycle Assessment) per un allevamento campione di un’azienda emiliana. I risultati emersi mostrano la possibilità di identificare gli impatti più rilevanti nell'allevamento bovino nei mangimi, negli imballaggi in plastica, nel consumo di energia e carburante.
Resumo:
La presente tesi mostra l’evoluzione del workplace e la sua trasformazione da semplice postazione di lavoro a modern workplace o workplace 4.0, inteso come luogo che va oltre il mero spazio fisico. Dopo avere indagato il nuovo contesto lavorativo e definito i relativi modelli di lavoro a distanza, si è mirato ad esporre i benefici - per i lavoratori, per le aziende e per l’ambiente - e gli svantaggi di tali modelli con particolare riferimento alla reperibilità/connessione costante e quindi al carico di lavoro degli smart worker. In seguito, si sono analizzati sia la struttura aziendale, l’organigramma, il modello di business del gruppo societario di consulenza Lipari People (presso il quale la scrivente ha svolto il tirocinio curriculare) ed in particolare i workplaces della sede di Milano, di cui si sono indagate le caratteristiche di differenziazione, riconfigurabilità, abitabilità ed intelligence; sia la gestione organizzativa smart adottata dall’azienda durante la pandemia da Covid-19 ed in particolare la relativa piattaforma digitale SmaO, progettata da un team del gruppo Lipari con la collaborazione della scrivente laureanda, per la gestione di processi e attività. Inoltre, nell’ottica di migliorare la gestione organizzativa dei workplaces di Lipari People è stata condotta un’indagine, sul modello Forbes e Great Place to Work, che ha raccolto i giudizi dei dipendenti. Da tale indagine, come vedremo, si è evinto che è consigliabile per l’azienda da un lato differenziare maggiormente gli spazi per andare incontro alle diverse esigenze lavorative emerse e per favorire la concentrazione delle risorse umane e dall’altro adottare strategie per migliorare la qualità dei rapporti tra colleghi, anche in modalità ibrida. La tesi si conclude con alcune proposte di miglioramento, nate da una riflessione in merito alla strategia di branding, alla sostenibilità ambientale e al wellness aziendale, che l’azienda Lipari People potrebbe adottare per un futuro upgrade di SmaO.
Resumo:
Il Parmigiano Reggiano è un formaggio a Denominazione d’Origine Protetta (DOP), a pasta dura, cotta, granulosa, a lunga stagionatura, prodotto con latte crudo, parzialmente scremato, proveniente da vacche alimentate prevalentemente con foraggi della zona d’origine. La trasformazione del latte in questo formaggio DOP è ancora basata su una tecnologia artigianale legata all’esperienza empirica dei casari e tutelata dal Consorzio del Parmigiano Reggiano. L’obiettivo della tesi è stato quello di analizzare l’attività dell’acqua e la texture di 14 punte di formaggio “Parmigiano Reggiano”, provenienti da diverse realtà casearie nelle provincie di Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna alla sinistra del fiume Reno e Mantova, alla destra del fiume Po aderenti al consorzio di tutela; al fine di trarre conclusioni sulla struttura di tali campioni. In dettaglio, per valutare in modo sistematico e comprensivo la texture dei campioni è stata valutata mediante i test di Taglio, Texture Profile Analysis (TPA) e Three Point Bending. Al fine di valutare l’effetto della temperatura, le medesime analisi di texture sono state anche effettuate su alcuni campioni di formaggio condizionati alle temperature di 8, 20, 25 e 30°C. I campioni di Parmigiano Reggiano provenienti da diversi caseifici hanno presentato alcune differenze significative in termini di attività dell’acqua, durezza di taglio, elasticità, coesività, gommosità, forza massima, distanza lineare e fratturabilità. Queste variabilità potrebbero essere attribuite a diversità e peculiarità nel processo produttivo e nell’esperienza dei singoli caseari. Inoltre, è stato evidenziato un ruolo significativo delle temperature dei campioni alla quale si effettuano le analisi di texture. In particolare, i campioni condizionati a 8°C rispetto alle altre temperature hanno presentato differenze significative in tutti i parametri di texture analizzati eccetto che per quelli di elasticità e gommosità determinati con il test TPA.
Resumo:
Il presente studio ha avuto l’obiettivo di indagare la produzione di bioetanolo di seconda generazione a partire dagli scarti lignocellulosici della canna da zucchero (bagassa), facendo riscorso al processo enzimatico. L’attività di ricerca è stata svolta presso il Dipartimento di Ingegneria Chimica dell’Università di Lund (Svezia) all’interno di rapporti scambio con l’Università di Bologna. Il principale scopo è consistito nel valutare la produzione di etanolo in funzione delle condizioni operative con cui è stata condotta la saccarificazione e fermentazione enzimatica (SSF) della bagassa, materia prima che è stata sottoposta al pretrattamento di Steam Explosion (STEX) con aggiunta di SO2 come catalizzatore acido. Successivamente, i dati ottenuti in laboratorio dalla SSF sono stati utilizzati per implementare, in ambiente AspenPlus®, il flowsheet di un impianto che simula tutti gli aspetti della produzione di etanolo, al fine di studiarne il rendimento energetico dell’intero processo. La produzione di combustibili alternativi alle fonti fossili oggigiorno riveste primaria importanza sia nella limitazione dell’effetto serra sia nel minimizzare gli effetti di shock geopolitici sulle forniture strategiche di un Paese. Il settore dei trasporti in continua crescita, consuma nei paesi industrializzati circa un terzo del fabbisogno di fonti fossili. In questo contesto la produzione di bioetanolo può portare benefici per sia per l’ambiente che per l’economia qualora valutazioni del ciclo di vita del combustibile ne certifichino l’efficacia energetica e il potenziale di mitigazione dell’effetto serra. Numerosi studi mettono in risalto i pregi ambientali del bioetanolo, tuttavia è opportuno fare distinzioni sul processo di produzione e sul materiale di partenza utilizzato per comprendere appieno le reali potenzialità del sistema well-to-wheel del biocombustibile. Il bioetanolo di prima generazione ottenuto dalla trasformazione dell’amido (mais) e delle melasse (barbabietola e canna da zucchero) ha mostrato diversi svantaggi: primo, per via della competizione tra l’industria alimentare e dei biocarburanti, in secondo luogo poiché le sole piantagioni non hanno la potenzialità di soddisfare domande crescenti di bioetanolo. In aggiunta sono state mostrate forti perplessità in merito alla efficienza energetica e del ciclo di vita del bioetanolo da mais, da cui si ottiene quasi la metà della produzione di mondiale di etanolo (27 G litri/anno). L’utilizzo di materiali lignocellulosici come scarti agricolturali e dell’industria forestale, rifiuti urbani, softwood e hardwood, al contrario delle precedenti colture, non presentano gli svantaggi sopra menzionati e per tale motivo il bioetanolo prodotto dalla lignocellulosa viene denominato di seconda generazione. Tuttavia i metodi per produrlo risultano più complessi rispetto ai precedenti per via della difficoltà di rendere biodisponibili gli zuccheri contenuti nella lignocellulosa; per tale motivo è richiesto sia un pretrattamento che l’idrolisi enzimatica. La bagassa è un substrato ottimale per la produzione di bioetanolo di seconda generazione in quanto è disponibile in grandi quantità e ha già mostrato buone rese in etanolo se sottoposta a SSF. La bagassa tal quale è stata inizialmente essiccata all’aria e il contenuto d’acqua corretto al 60%; successivamente è stata posta a contatto per 30 minuti col catalizzatore acido SO2 (2%), al termine dei quali è stata pretrattata nel reattore STEX (10L, 200°C e 5 minuti) in 6 lotti da 1.638kg su peso umido. Lo slurry ottenuto è stato sottoposto a SSF batch (35°C e pH 5) utilizzando enzimi cellulolitici per l’idrolisi e lievito di birra ordinario (Saccharomyces cerevisiae) come consorzio microbico per la fermentazione. Un obiettivo della indagine è stato studiare il rendimento della SSF variando il medium di nutrienti, la concentrazione dei solidi (WIS 5%, 7.5%, 10%) e il carico di zuccheri. Dai risultati è emersa sia una buona attività enzimatica di depolimerizzazione della cellulosa che un elevato rendimento di fermentazione, anche per via della bassa concentrazione di inibitori prodotti nello stadio di pretrattamento come acido acetico, furfuraldeide e HMF. Tuttavia la concentrazione di etanolo raggiunta non è stata valutata sufficientemente alta per condurre a scala pilota un eventuale distillazione con bassi costi energetici. Pertanto, sono stati condotti ulteriori esperimenti SSF batch con addizione di melassa da barbabietola (Beta vulgaris), studiandone preventivamente i rendimenti attraverso fermentazioni alle stesse condizioni della SSF. I risultati ottenuti hanno suggerito che con ulteriori accorgimenti si potranno raggiungere gli obiettivi preposti. E’ stato inoltre indagato il rendimento energetico del processo di produzione di bioetanolo mediante SSF di bagassa con aggiunta di melassa in funzione delle variabili più significative. Per la modellazione si è fatto ricorso al software AspenPlus®, conducendo l’analisi di sensitività del mix energetico in uscita dall’impianto al variare del rendimento di SSF e dell’addizione di saccarosio. Dalle simulazioni è emerso che, al netto del fabbisogno entalpico di autosostentamento, l’efficienza energetica del processo varia tra 0.20 e 0.53 a seconda delle condizioni; inoltre, è stata costruita la curva dei costi energetici di distillazione per litro di etanolo prodotto in funzione delle concentrazioni di etanolo in uscita dalla fermentazione. Infine sono già stati individuati fattori su cui è possibile agire per ottenere ulteriori miglioramenti sia in laboratorio che nella modellazione di processo e, di conseguenza, produrre con alta efficienza energetica bioetanolo ad elevato potenziale di mitigazione dell’effetto serra.