205 resultados para D-glucosio schiuma metallica di Ni ossidazione elettrochimica acido gluconico acido glucarico
Resumo:
Il grafene, allotropo del carbonio costituito da un reticolo bidimensionale, è uno dei nanomateriali più promettenti allo stato attuale della ricerca nei campi della Fisica e della Chimica, ma anche dell'Ingegneria e della Biologia. Isolato e caratterizzato per la prima volta nel 2004 dai ricercatori russi Andre Geim e Konstantin Novoselov presso l'Università di Manchester, ha aperto la via sia a studi teorici per comprendere con gli strumenti della Meccanica Quantistica gli effetti di confinamento in due dimensioni (2D), sia ad un vastissimo panorama di ricerca applicativa che ha l'obiettivo di sfruttare al meglio le straordinarie proprietà meccaniche, elettriche, termiche ed ottiche mostrate da questo materiale. Nella preparazione di questa tesi ho personalmente seguito presso l'Istituto per la Microelettronica e i Microsistemi (IMM) del CNR di Bologna la sintesi mediante Deposizione Chimica da Fase Vapore (CVD) di grafene "tridimensionale" (3D) o "poroso" (denominato anche "schiuma di grafene", in inglese "graphene foam"), ossia depositato su una schiuma metallica dalla struttura non planare. In particolare l'obiettivo del lavoro è stato quello di misurare le proprietà di conduttività elettrica dei campioni sintetizzati e di confrontarle con i risultati dei modelli che le descrivono teoricamente per il grafene planare. Dopo un primo capitolo in cui descriverò la struttura cristallina, i livelli energetici e la conduzione dei portatori di carica nel reticolo ideale di grafene 2D (utilizzando la teoria delle bande e l'approssimazione "tight-binding"), illustrerò le differenti tecniche di sintesi, in particolare la CVD per la produzione di grafene poroso che ho seguito in laboratorio (cap.2). Infine, nel capitolo 3, presenterò la teoria di van der Pauw su cui è basato il procedimento per eseguire misure elettriche su film sottili, riporterò i risultati di conduttività delle schiume e farò alcuni confronti con le previsioni della teoria.
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Il mondo della produzione enologica è fortemente interessato all'individuazione di possibili alternative all'anidride solforosa, antiossidante usato in enologia che presenta problematiche di carattere allergenico ed igenico-sanitario. Tuttavia, il problema del controllo dell'ossidazione dei vini privi di anidride solforosa è una sfida tecnologica di grande complessità poichè i meccanismi ossidativi dipendono da numerosi fattori, tra i quali, la disponibilità d'ossigeno, la presenza di molecole polifenoliche, di metalli (Fe e/o Cu) ed altri composti costituvi dei vini. In questo lavoro si è voluto valutare l'effetto della combinazione tra l'approccio iperossidativo dei mosti e l'uso di chitosano, un polisaccaride di origine fungina, sull'evoluzione dei composti fenolici e fissi e dei paramentri ossidatividi vini ottenuti in assenza di SO₂. A tal fine, uve cv Sangiovese sono state ammostate secondo la tecnica della vinificazione in bianco e sottoposte a flottazione con aria in presenza di 80 g/HL di chitosano. Una tesi testimone è stata approntata predisponendo una vinificazione convenzionale, anch'essa flottata, aggiunta di 60 mg/L di SO₂ in cantina. In base ai dati ottenuti il KT ha mostrato un significativo effetto sul colore sia a seguito della flottazione che durante la stabilizzione e conservazione, attraverso due probabili meccanismi principali: 1. azione chelante sui metalli, che permette di proteggere il mosto durante la conservazione 2. effetto adsorbente del chitosano in grado di sequestrare i composti colorati bruni allontanandoli dalla massa. La flottazione tramite ossigeno e KT, ha permesso di influenzare considerevolmente il contenuto degli acidi organici. Attraverso le analisi condotte dei risultati ottenuti il chitosano dimostra di essere un potenziale valido sostituto all'anidride solforosa in enologia.
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L’interesse della ricerca scientifica sta crescendo sempre più tra i materiali a base tiofenica, spinta dalle loro sorprendenti proprietà funzionali e semiconduttive. Gli oligotiofeni trovano infatti applicazione in molti campi interdisciplinari, in particolare nei dispositivi fotovoltaici organici. In questo studio è stato sintetizzato un nuovo eptamero T7-Bz-TSO2 con sequenza D-A1-D-A-D-A1-D grazie alla reazione di cross-coupling Suzuki-Miyaura catalizzata da un complesso di palladio e assistita da microonde. Questo lavoro si è incentrato sull’introduzione di una nuova unità tiofenica S,S-diossidata lungo la catena oligomerica principale e sullo studio delle diverse proprietà ottiche ed elettrochimiche del nuovo materiale, utilizzato come strato fotattivo in una cella solare organica di tipo bulk heterojunction (BHJ). Lo studio dei parametri di cella ha rivelato una promettente natura ambipolare del T7-Bz-TSO2, non comune in questa classe di composti e di grande interesse per lo sviluppo di dispositivi fotovoltaici organici.
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L’uso di molecole stabilizzanti (polimeri, surfattanti o leganti organici) nel corso della sintesi di nanoparticelle in sospensione è fondamentale per permettere il controllo della dimensione della fase attiva e per evitare l’aggregazione dei colloidi nella fase di sintesi e deposizione del sol metallico sul supporto. Nonostante questo, molto spesso, l’effetto dello stabilizzante non è solo quello di modificare le proprietà morfologiche (ad esempio la dimensione) delle nanoparticelle supportata ma anche di cambiare l’interazione della fase attiva con i reagenti dal punto di vista elettronico e diffusionale. La messa a punto di metodologie di sintesi controllate ed efficaci è molto importante. Le tecniche di sintesi utilizzate per la preparazione di catalizzatori a base di metalli nanostrutturati sono innumerevoli, ma una metodologia particolarmente interessante, che garantisce piccole dimensioni delle nanoparticelle ed un’elevata distribuzione del metallo sul supporto, è la tecnica della sol-immobilization. In questo lavoro di tesi è stato studiato come il tipo e la quantità di stabilizzante influisce sulla dimensione della nanoparticella e sull’attività catalitica del catalizzatore, usando come reazione modello l’ossidazione selettiva dell’5-idrossimetilfurfurale (HMF) ad acido 2,5 furandicarbossilico (FDCA).
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L’obiettivo di questo studio è quello di valutare la stabilità foto-ossidativa di oli vegetali esposti a luce ultravioletta di bassa intensità per tempi brevi (da 5 min a 8 ore); lo scopo è quello di monitorare le prime fasi di ossidazione. Per la realizzazione di questo studio, è stato messo a punto un sistema di foto-ossidazione al fine di poter adottare condizioni di analisi le più ripetibili possibili e al fine di poter escludere il possibile effetto della temperatura. I campioni di olio analizzati nel presente lavoro di ricerca, tre oli raffinati e un olio extravergine di oliva, sono stati posti in provette di vetro trasparente da 20 ml, caricati poi all’interno della camera di ossidazione in gruppi di quattro e lasciati sotto l’effetto della luce ultravioletta per diversi tempi ovvero 0, 5, 10, 20, 30, 60, 240 e 480 minuti. Sono stati presi in considerazione i seguenti parametri qualitativi di analisi per valutare lo stato ossidativo dei nostri campioni, e cioè il numero di perossido, la concentrazione di esanale e il valore di p-anisidina. Dai risultati ottenuti è stato possibile osservare che complessivamente, a livelli di insaturazione e di presenza di antiossidanti naturali differenti, l’impatto dell’esposizione alla luce è stato piuttosto simile. I tre oli raffinati hanno mostrato valori ossidativi più contenuti, mentre per l’olio EVO sono state rilevate concentrazioni più alte sia per i perossidi che per l’esanale. Questo è dovuto alla presenza di alcuni composti ad azione pro-ossidante e composti aromatici che permangono nel prodotto in quanto questo olio non subisce il processo di raffinazione. La p-anisidina per tutte e quattro gli oli testati è rimasta piuttosto costante e lineare nel tempo senza subire considerevoli variazioni. Questo sottolinea il fatto che le condizioni di stress foto-ossidativo impiegate non sono state sufficienti a determinare un aumento significativo dei prodotti di ossidazione secondaria.
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I metodi utilizzati per la stima delle portate fluviali in bacini idrografici non strumentati fanno uso di tecniche di regionalizzazione con l’obiettivo di stimare i parametri, attraverso dei bacini di riferimento, da implementare nei modelli idrologici. Risulta, quindi, di fondamentale importanza la selezione dei bacini idrografici donatori. La scelta dei bacini di riferimento avviene tramite delle misure di somiglianza che tengono conto di caratteristiche del territorio. Il limite principale di tali approcci è la mancata considerazione della struttura della rete idrografica e del loro eventuale annidamento. Si definiscono bacini idrografici annidati due o più bacini i cui le stazioni idrometriche sono posizionate lungo la stessa ascissa fluviale oppure presentano un'area comune drenata da entrambi i bacini. Skøien et al. (2006) afferma che i bacini a valle e a monte del bacino preso in esame dovrebbero essere trattati differentemente. Il presente lavoro intende contribuire a superare detto limite. È stata stabilita, un’equazione empirica a due parametri che attraverso la distanza interbacino d e il grado di annidamento NI, definisce la differenza di portata idrica ∆Q in una coppia di bacini annidati. I valori dei parametri α e λ sono stati definiti mediante calibrazione con set di dati relativi a portate massime annuali di medie giornaliere e massimi annuali istantanei. Sono stati analizzati i corsi d’acqua in Italia, Austria e Polonia mentre a scala di bacino il Fiume Po, il Fiume Danubio, il Fiume Reno e il Fiume Oder. Attraverso la massimizzazione di una funzione obiettivo di tipo quadratico sono state verificate le prestazioni del metodo proposto. La differenza di portate ∆Q ricavata è possibile definirla come una misura di somiglianza la quale potrebbe, attraverso caratteristiche geospaziali facilmente reperibili, definire i bacini di riferimento da utilizzare nei metodi di regionalizzazione dei deflussi fluviali.
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Le reti di distribuzione idrica conservano un ruolo importante ed irrinunciabile nella sicurezza antincendio, ma diversi fattori sul piano normativo e strutturale limitano la loro potenzialità nelle fasi di estinzione dell'incendio. Ma in che modo si è evoluta in Italia negli ultimi anni la lotta all'incendio? E' ormai noto che non esistono incendi standard, quelli per i quali è possibile definire procedure d'intervento e modalità di estinzione; non è quindi banale identificare le portate antincendio necessarie (Needed Fire Flow) e il tempo per il quale esse devono essere garantite. In certi contesti è possibile ipotizzare un certo standard d'incendio ma ciò presuppone che edifici, strutture e tutto ciò che è sottoposto ad incendio, possano essere considerati fabbricati a "regola d'arte", ovvero realizzati attraverso procedure esecutive aventi standard di qualità certificata. Ciò è stato affrontato nei criteri di realizzazione delle nuove costruzioni, ma le vecchie costruzioni, soprattutto gli edifici presenti nei centri storici, sono evidentemente più vulnerabili e sfuggono alla possibilità di identificare affidabili valori del NFF. Il quadro che si presenta coinvolge quindi carenze normative, contesti urbani con differente vulnerabilità e una sostanziale disomogeneità prestazionale delle reti di distribuzione idrica presenti nel territorio nazionale, legata non solo alla disponibilità idrica ma, anche e soprattutto, alla conformazione della rete, ai livelli di pressione ed alla specifica capacità della rete nel sostenere incrementi di flusso dovuto al prelievo dagli idranti stradali. La scarsa conoscenza di questi aspetti, piuttosto che tradursi in miglioramenti della rete idrica e della sua efficienza ai fini antincendio, ha portato nel tempo ad adottare soluzioni alternative che agiscono principalmente sulle modalità operative di utilizzo dei mezzi dei VV.F. e sul fronte dei dispositivi antincendio privati, quali una migliore protezione passiva, legata all'uso di materiali la cui risposta all'incendio fosse la minore possibile, e protezioni attive alternative, quali impianti sprinkler, di tipo aerosol o misti. Rimangono tutte le problematiche legate alla caratterizzazione nell'area urbanizzata in termini di risposta al prelievo per incendio dagli idranti pubblici sui quali la normativa vigente non impone regole circa le prestazioni e la loro dislocazione sul territorio. Questa incertezza spesso si traduce in un maggiore dispiego di mezzi rispetto all'entità dell'incendio ed ad una scarsa possibilità di ottimizzare l'allocazione delle unità operative dei VV.F., con un evidente incremento del rischio nel caso in cui si verifichino più eventi di incendio contemporaneamente. La simulazione numerica avanzata, su modelli opportunamente calibrati delle reti di distribuzione, può consentire una maggiore comprensione quantitativa del livello di sicurezza antincendio offerto da una rete di distribuzione idrica.
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La maggiore richiesta energetica di questi anni, associata alla diminuzione delle riserve di combustibile fossile e ai problemi di inquinamento ambientale hanno spinto il settore scientifico verso la ricerca di nuovi dispositivi che presentino elevata efficienza e quantità di emissioni ridotta. Tra questi, le celle a combustibile (fuel cells) alimentate con idrogeno o molecole organiche come etanolo, acido formico e metanolo, hanno particolare rilevanza anche se attualmente risultano particolarmente costose. Una delle principali sfide di questi ultimi anni è ridurne i costi e aumentarne l'efficienza di conversione in energia. Per questo scopo molti sforzi vengono condotti verso l'ottimizzazione dei catalizzatori a base di Pt spostando l’attenzione verso sistemi nanostrutturati ad elevata attività catalitica e buona stabilità. Durante questo lavoro di tesi si è affrontato lo studio relativo alla preparazione di elettrodi modificati con PtNPs ottenute per elettrodeposizione, un metodo semplice ed efficace per poterne controllare i parametri di deposizione e crescita e per ottenere direttamente le nanoparticelle sulla superficie dell’elettrodo. Come materiale elettroattivo si è utilizzato un foglio di grafite, denominato (Pure Graphite Sheet = PGS). Tale superficie elettrodica, meno costosa e più conduttiva rispetto all’ITO, si presenta sotto forma di fogli flessibili resistenti ad alte temperature e ad ambienti corrosivi e quindi risulta conveniente qualora si pensi ad un suo utilizzo su scala industriale. In particolare è stato studiato come la variazione di alcuni parametri sperimentali quali: i) il tempo di elettrodeposizione e ii) la presenza di stabilizzanti tipo: KI, acido dodecil benzene sulfonico (DBSA), poli vinil pirrolidone (PVP) o poliossietilene ottilfenil etere (Triton-X100) e iii) la concentrazione degli stessi stabilizzanti, potessero influire sulle dimensioni ed eventualmente sulla morfologia delle PtNPs. in fase di elettrodeposizione. L’elettrosintesi è stata effettuata per via cronoamperometria. I film di PtNPs sono stati caratterizzati utilizzando tecniche di superficie quali microscopia a scansione elettronica (SEM) e Voltammetria Ciclica (CV). Al fine di valutare le capacità elettrocatalitiche delle diverse PtNPs ottenute si è studiata la reazione di ossidazione del metanolo in ambiente acido.
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Nel presente elaborato è trattato l'innesco di un sistema di recupero ambientale di energia da sorgenti a radiofrequenza, captate tramite rectenna, nell'ambito di un sistema completamente autonomo dal punto di vista energetico, quindi non dotato di batteria ricaricabile interna. Dopo un'analisi dei problemi da affrontare e delle possibili soluzioni tecniche per gestire le micropotenze restituite dalla rectenna, ci si concentra in modo preferenziale sul ruolo del condensatore posto sulla porta d'ingresso dell'oscillatore di Meissner, che è utilizzato come elevatore di tensione per attivare gli stadi successivi. Sfruttando le esperienze con lo stesso oscillatore pilotato da altri sensori di energy harvesting, è possibile determinare approssimativamente se il circuito si presta o meno all'utilizzo con le rectenne nei campi RF, suggerendo eventuali migliorie da apportare per facilitarne il funzionamento.
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L’acido adipico (AA) è un importante intermedio chimico prodotto in quantità pari a circa tre milioni di tonnellate annue, i cui usi riguardano principalmente la produzione di Nylon-6,6. Tutti i processi industriali odierni per la produzione dell’AA hanno in comune lo stadio finale di ossidazione con acido nitrico dell’ultimo intermedio di sintesi, che in genere è una miscela di cicloesanolo e cicloesanone (KA Oil). Esistono diversi problemi riguardanti questo processo, come la pericolosità che deriva dall’uso di acido nitrico concentrato. Dal punto di vista ambientale, il problema principale riguarda la produzione di protossido di azoto e di altri ossidi di azoto durante l’ultima fase di ossidazione con HNO3, per questo motivo, tutte le aziende che producono AA devono essere munite per legge di sistemi di abbattimento quantitativi o di recupero degli ossidi di azoto, che però risultano essere molto incisivi sul costo del processo. A livello industriale, quindi, il problema riguarda principalmente la sostenibilità economica, ma poiché queste procedure hanno un prezzo in termini di materiali ed energia, si ha anche un forte legame con la sostenibilità ambientale. Gli studi riguardanti nuovi processi per la produzione di AA sono numerosi; alcuni hanno portato a vie più “green”, ma solo pochi esempi sono veramente sostenibili dal punto di vista sia ambientale che economico. Il presente lavoro di tesi è diviso in due parti, entrambe riguardanti vie di sintesi alternative per la produzione di AA. La prima parte riguarda lo studio del secondo passaggio di una via di sintesi in due step che parte da cicloesene e che ha come intermedio l’1,2-cicloesandiolo.Sono stati provati catalizzatori eterogenei a base di nanoparticelle di Au supportate su MgO per il cleavage ossidativo in fase liquida del diolo con O2 in ambiente basico. La seconda parte invece riguarda il processo di sintesi dell’AA a partire da cicloesanone mediante l’ossidazione con perossido di idrogeno a e- caprolattone e la successiva ossidazione ad AA. Nello specifico, è stato studiato il meccanismo di reazione del primo passaggio in quanto evidenze sperimentali ottenute nel corso di lavori precedenti avevano dimostrato la presenza di un cammino di reazione differente da quello tipico per un’ossidazione di Baeyer-Villiger. In questa parte, si è studiato l’effetto di alcuni catalizzatori eterogenei a base di acidi di Lewis sui prodotti ottenuti nel primo stadio ossidativo.
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La tesi si occupa di tematiche legate alla rigenerazione e riqualificazione urbana, nello specifico viene approfondita la "metodologia" d'intervento dei "Contratti di Quartiere II" istituiti con la Lg. 21/2001. Viene poi studiato e analizzato il progetto del Contratto di Quartiere "San Donato" a Bologna nel quale vengono affrontate in maniera alquanto incisiva tutte le prerogative dello strumento di legge.
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Modellazione numerica di corsi d'acqua in moto vario con manufatti, casse d'espansione, ponti . Studio di scenari critici di brecce ariginali
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Da oltre mezzo secolo i parchi di divertimento sono strutture complesse e altamente organizzate, entro cui si muovono migliaia di persone quotidianamente; in cui l'elettrificazione, la manutenzione, la sicurezza (sia come safety sia come security) non possono essere lasciate all'improvvisazione. Fra i diversi modelli matematici con cui è possibile rappresentare un parco di divertimenti i grafi si adattano bene a rappresentare l'organizzazione "geografica" delle attrazioni e dei sentieri che le collegano. Fortunatamente la teoria dei grafi si presta anche molto bene all'impostazione e risoluzione dei problemi di ottimizzazione, fornendo quindi uno strumento privilegiato per miglioramenti strutturali nella direzione sia del risparmio economico, sia della fruizione ottimale delle strutture. In questa tesi ho analizzato un aspetto particolare dei grafi associati a quattro parchi d'attrazione: le distanze reciproche tra attrazioni e in particolare la collocazione dei "centri", cioè di vertici del grafo per cui la massima distanza da altri vertici sia minima. I calcoli sono stati eseguiti adattando un'implementazione esistente in Matlab dell'algoritmo di Dijkstra, utilizzando in ingresso le matrici di adiacenza dei grafi. Dopo un capitolo dedicato ai richiami essenziali di teoria dei grafi, il capitolo due traccia una breve storia dei parchi d'attrazione concentrandosi sui quattro che sono l'oggetto di questo studio. Il terzo capitolo, fulcro teorico della tesi, descrive la sperimentazione riportata nel capitolo quattro.