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Resumo:
Oggetto della tesi di laurea è la riqualificazione energetica e funzionale dell’ex asilo Santarelli a Forlì. Il complesso sorge su un area al margine del tracciato delle mura storiche della città dove erano collocati gli orti medievali. Promosso dalla collettività e da numerosi enti caritatevoli come primo asilo laico della città, l’edificio venne progettato nel 1934 dall’ing Guido Savini, secondo i caratteri stilistici e compositivi dell’architettura razionalista e inaugurato da donna Rachele Mussolini nel 1937. L’edificio, di proprietà dell’O.A.S.I. A.S.P., ha svolto la sua attività educativa fino alla sua chiusura avvenuta a giugno 2012, a causa degli gli elevati costi di gestione e per l’inidoneità della struttura alle attuali necessità. L’amministrazione comunale ha manifestato l’intenzione di recuperare l’immobile, soggetto al parere della soprintendenza, prevedendo di ospitare nuove funzioni didattiche, a conferma della sua destinazione storica, ma organizzate in base alle esigenze attuali, secondo il principio dell’economicità. Dalle analisi urbane è emerso che il quartiere dispone di servizi quali il museo San Domenico, la casa di riposo e il parco Franco Agosto, ma che al contempo la sua posizione marginale e la struttura della viabilità lo rendono un punto di passaggio automobilistico tra la periferia e il centro storico. Per la formulazione di un programma funzionale si è condotta un’indagine sia sugli attuali servizi didattici che gli indirizzi di sviluppo sociale offerti dall’amministrazione, ha fatto emergere una carenza degli spazi verdi all’interno delle scuole e la presenza di un programma di sviluppo degli orti urbani nelle aree di proprietà comunali. Al fine di rispondere alle esigenze della pubblica amministrazione si è deciso di formulare una proposta di intervento su due livelli. Il primo mediante una ridefinizione fisica del rapporto tra l’edificio, il quartiere e il sistema della mobilità. Il secondo attraverso una proposta funzionale che potesse coinvolgere non solo gli studenti ma tutta la cittadinanza. Per la ridefinizione del rapporto tra l’edificio e il quartiere si è deciso di eliminare l’isolamento dell’edificio imposto dalla recinzione esistente, mediante la 8 realizzazione di nuovi varchi di accesso. Diventa così possibile proporre un nuovo percorso pedonale inserito all’interno dell’area verde dell’edificio. In prossimità dell’accesso su via Val Verde, è stato realizzato un ambiente filtro a relazione tra la città e il verde privato.Per migliorare l’accessibilità, favorire il coinvolgimento del pubblico e promuovere l’interazione con le aree verdi circostanti, si sono definiti dei concetti chiave: chiusura, connessione tra le preesistenze, varco, permeabilità visiva, organicità. La tensostruttura, caratteristica per sua flessibilità, leggerezza e trasparenza, è stato l’elemento scelto per rispondere alle esigenze, permettendo al contempo di distinguere l’intervento dalle preesistenze. Il nuovo programma funzionale suddivide l’edificio in tre zone autonome, così da affiancare alla didattica, una zona pubblica per offrire uno spazio a disposizione della comunità e una commerciale per garantire una quota di risorse finanziarie alla gestione dell’immobile. Nello specifico, la didattica è stata specializzata per l‘insegnamento dell’orticultura, al fine di promuovere l’educazione della sostenibilità ambientale, la valorizzazione degli spazi verdi e la promozione dei prodotti del territorio. L’ispirazione scaturisce dal primo orto didattico nato in America a metà degli anni ‘90 ad opera dello chef Alice Waters, precursore degli attuali sviluppi didattici e sociali all’interno delle scuole. Il recupero di alcune funzioni originali ha favorito la tripartizione dell’edificio, inoltre la disponibilità di più accessi esistenti ha garantito la possibilità di rendere autonoma le tre zone. Le aule sono state collegate direttamente con l’esterno ed il problema del dislivello con il giardino, è stato risolto realizzando un porticato coperto, che dilata lo spazio didattico sull’esterno. Il solarium, nonostante fosse abbandonato da anni, grazie alla sua posizione privilegiata per l’osservazione del parco e della città è stato recuperando inserendolo come nuovo punto di sosta nel sistema dei percorsi pubblici. Per questo è stato necessario progettare un corpo scale esterno per rendere accessibile ed autonomo l’ambiente. L’ultimo aspetto affrontato è l’intervento di retrofit energetico, pensato in varie fasi per essere il meno invasivo possibile sull’immobile, prevede l’installazione di un sistema di ventilazione meccanica, un isolamento termico interno di 10cm in lana di roccia montata 9 meccanicamente e la sostituzione di tutti gli infissi non originali con soluzioni più performanti. Per raggiungere la classe A è stato necessario intervenire anche sugli impianti, introducendo un sistema autonomo per la zona commerciale e la sostituzione di tutti i terminali radianti. Considerando l’elevato fabbisogno di energia primaria si è integrata una parte questa mediante l’utilizzo di fonti rinnovabili quali fotovoltaico e solare termico. patrimonio storico, adattandolo alle nuove necessità e dimostrando come sia possibile la trasformazione di un edificio fortemente energivoro in una con ridotto fabbisogno energetico senza stravolgere la struttura e aggiungendo qualità e valore.
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Oggetto di questa tesi di Laurea è la riqualificazione della Scuola d’Infanzia Diana a Reggio nell’Emilia (RE), svolta con particolare attenzione al comfort ambientale interno e alla ricerca di una relazione con il contesto urbano e sociale circostante. I soggetti interessati al progetto sono due: l’Istituzione Scuole e Nidi d’Infanzia del comune di Reggio Emilia, che dal 2003 si occupa dei servizi educativi comunali, e la società “Reggio Children”, che opera al fine di “esportare” all’estero gli esempi delle scuole reggiane. L’interesse nei confronti di questo asilo nasce dalla notevole importanza che esso ricopre nel panorama nazionale e mondiale in riferimento al modello educativo applicato. L’edificio presenta inoltre alcuni interessanti caratteri: collocato in una posizione strategica rispetto alla città, si trova nel cuore dei Giardini Pubblici, circondato da alcuni dei principali monumenti. Tuttavia, un’analisi approfondita ha evidenziato alcune criticità, che questo lavoro ha cercato di risolvere. La problematica principale rilevata, che la tesi ha affrontato, riguarda il benessere degli utenti. Dal punto di vista della fruibilità degli spazi, poi, si riscontra il sottodimensionamento del grande-atelier in relazione alle esigenze del modello pedagogico, nonché la necessità di una riorganizzazione degli arredi, al fine di rendere gli ambienti più vivibili. A ciò si affiancano, infine, l’inefficienza energetica dell’involucro, la vulnerabilità sismica dell’edificio e la mancanza di adeguate connessioni tra asilo, verde di pertinenza e parco pubblico. Al centro delle strategie progettuali c’è il bambino, che diventa il “vero committente”, ossia il soggetto di cui soddisfare esigenze e desideri. Si è cercato quindi di realizzare un ambiente confortevole e sicuro, agendo sull’involucro, sul sistema impiantistico, e rinforzando la struttura dell’edificio. A scala architettonica la complessità del progetto è stata quella di dotare l’asilo degli spazi necessari. Si è quindi prevista la realizzazione di un ampliamento, puntando a conseguire prestazioni energetiche più elevate rispetto agli standard fissati dalla dalla normativa, cercando di non alterare i caratteri del luogo e di interagire con il contesto. Durante tutto l’iter progettuale si è dunque operato verificando contestualmente ogni scelta dal punto di vista architettonico, tecnologico ed energetico e puntando ad una soluzione attuabile per fasi.
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L’idea di creare un museo diffuso a scala urbana è dettata dalle grandi potenzialità che ha la città di Verucchio, sia in termini storico – culturali che paesaggistiche. L’intera città viene quindi considerata come oggetto di studio di progetto, ma a due scale differenti: una scala urbana nella sua interezza ed una riferita più precisamente alla nuova espansione di Pian del Monte. La prima cerca di soddisfare tutte quelle mancanze di collegamento o di valorizzazione dei percorsi o dei singoli manufatti che attualmente sono isolati dal contesto paesaggistico. L’idea di museo diffuso a scala urbana è giustificata proprio dalla volontà di non dare un’immagine settorizzata della storia, ma piuttosto dell’evolversi della città in tutte le sue parti. Si cerca quindi di dare un’idea storica di continua evoluzione e stratificazione fino ai giorni nostri e con i nostri interventi progettuali. La seconda, si riferisce allo studio dell’area di Pian del Monte, zona che ospitava l’antico insediamento abitativo villanoviano e poi etrusco. Proprio in quest’area cerchiamo di approfondire il tema del museo e parco archeologico all’interno del sistema urbano. L’obbiettivo principale del progetto di tesi è stato quello di riuscire a riconciliare due parti di città che allo stato attuale non dialogano più fra loro ma in modo indipendente ed isolato. Quindi il primo obbiettivo è stato quello di ricucire quella frattura creata col tempo che è presente oltrepassando le mura antiche ed entrando in Pian del Monte; si tratta perciò prima di tutto di cercare di dare una soluzione ad un problema a scala urbana e poi successivamente concentrarsi sui singoli elementi che compongono il progetto. I temi del progetto sono quindi rivolti al consolidamento della città nella sua interezza e non nell’addizione di più parti che creano un intero. Proprio per questo abbiamo cercato di ridare voce ai resti archeologici attraverso una musealizzazione puntuale e contemporaneamente dare importanza ad una zona che ospitava l’abitato villanoviano rendendola parte integrante della città. L’approccio tenuto è quello di un progetto di architettura per la città, volto a risolvere la frattura fra le due parti di città creando in Pian del Monte un centro alternativo a quello storico.
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Il tumore del polmone rappresenta la prima causa di morte nei paesi industrializzati. Le possibilità di trapianto ed intervento chirurgico risultano molto limitate pertanto lo standard di cura risulta essere la radioterapia, a volte abbinata alla chemioterapia. Sebbene trattando radioterapicamente il tumore si ottengano ottimi risultati, attualmente non esistono solide linee guida per la personalizzazione del trattamento al paziente. Il poter eseguire in laboratorio test radioterapici su un elevato numero di campioni risulterebbe un valido approccio sperimentale d’indagine, ma la carenza di materiale su cui poter condurre gli esperimenti limita questa possibilità. Tipicamente, per ovviare al problema vengono utilizzati sferoidi multicellulari tridimensionali creati in laboratorio partendo da singole cellule del tumore in esame. In particolare, l’efficacia del trattamento viene tipicamente correlata alla riduzione volumetrica media stimata utilizzando un set di sferoidi teoricamente identici. In questo studio vengono messe in discussione la validità delle affermazioni tipicamente sostenute attraverso l’analisi di volumi medi. Abbiamo utilizzando un set di circa 100 sferoidi creati in laboratorio partendo da singole cellule di carcinoma epidermoidale polmonare e trattati secondo sette differenti modalità di trattamento radioterapico (variando intensità di radiazione e numero di frazioni). In una prima fase abbiamo analizzato le singole immagini, acquisite al microscopio ottico circa ogni 48 ore, per identificare features morfometriche significative da affiancare all’analisi volumetrica. Sulla base dell’andamento temporale di queste features abbiamo suddiviso gli sferoidi in sottoclassi con evoluzioni completamente differenti che fanno supporre un differente “stato” biologico. Attraverso algoritmi di estrazione di features e classificazione e analizzando riduzione volumetrica, grado di frastagliatura del bordo e quantità di cellule liberate nel terreno di coltura abbiamo definito un protocollo per identificare in maniera automatica le sottopopolazioni di sferoidi. Infine, abbiamo ricercato con successo alcune features morfometriche in grado di predire, semplicemente analizzando immagini acquisite nei giorni seguenti all’ultimo trattamento, lo “stato di salute” del tumore a medio/lungo periodo. Gli algoritmi realizzati e le features identificate se opportunamente validate potrebbero risultare un importante strumento non invasivo di ausilio per il radioterapista per valutare nel breve periodo gli effetti a lungo periodo del trattamento e quindi poter modificare parametri di cura al fine di raggiungere uno stato desiderato del tumore.
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Il lavoro di tesi, svolto presso l’Istituto di Scienza e Tecnologia dei Materiali Ceramici (ISTEC-CNR, Faenza, RA), ha affrontato la produzione e la caratterizzazione di ceramici a base di boruro di zirconio (ZrB2) con lo scopo di valutare l’efficacia delle fibre corte di carbonio come potenziale rinforzo. Il boruro di zirconio appartiene a una famiglia di materiali noti come UHTC (Ultra-High Temperature Ceramics) caratterizzati da elevato punto di fusione e in grado di mantenere la resistenza meccanica e operare con limitata ossidazione a temperature superiori ai 2000°C. Il principale ostacolo nella produzione dei materiali a base di ZrB2 è il processo di sintesi, infatti, a causa della loro elevata temperatura di fusione, per ottenere un materiale completamente denso è necessario utilizzare processi a temperatura e pressione elevati (T > 2000°C e P > 30 MPa), condizioni che vanno ad influenzare la microstruttura della matrice e delle fibre e di conseguenza le proprietà meccaniche del materiale. L’aggiunta di additivi di sinterizzazione idonei permette di ottenere materiali perfettamente densi anche a temperature e pressioni inferiori. Tuttavia lo ZrB2 non viene ampiamente utilizzato per applicazioni strutturali a causa della sua fragilità, per far fronte alla sua bassa tenacità il materiale viene spesso rinforzato con una fase allungata (whiskers o fibre). È già oggetto di studi l’utilizzo di fibre corte e whiskers di SiC per tenacizzare lo ZrB2, tuttavia la forte interfaccia che viene a crearsi tra fibra e matrice, che non permette il pull-out delle fibre, ci porta a credere che una fibra che non tenda a reagire con la matrice, presentando un’interfaccia più debole, possa portare ad una tenacizzazione più efficace. Per questo scopo sono stati realizzati mediante pressatura a caldo due materiali rinforzati con fibre corte di carbonio: ZrB2 + 5% vol MoSi2 + 8% vol fibre di carbonio e [ZrB2 + 2 % peso C] + 8% vol fibre di carbonio, indicati rispettivamente con Z5M_Cf e Z2C_Cf. Sono stati analizzati e discussi diversi aspetti del materiale rinforzato tra cui: il comportamento di densificazione durante la pressatura a caldo, l’evoluzione della microstruttura della matrice, la distribuzione e la morfologia delle fibre, l’influenza del rinforzo sulle proprietà meccaniche di durezza e tenacità e sulla resistenza all’ossidazione. L’elaborato è strutturato come segue: inizialmente sono state introdotte le caratteristiche generali dei ceramici avanzati tra cui le proprietà, la produzione e le applicazioni; successivamente è stata approfondita la descrizione dei materiali a base di boruro di zirconio, in particolare i processi produttivi e l’influenza degli additivi di sinterizzazione sulla densificazione e sulle proprietà; ci si è poi concentrati sull’effetto di una seconda fase allungata per il rinforzo del composito. Per quanto riguarda la parte sperimentale vengono descritte le principali fasi della preparazione e caratterizzazione dei materiali: le materie prime, disperse in un solvente, sono state miscelate mediante ball-milling, successivamente è stato evaporato il solvente e la polvere ottenuta è stata formata mediante pressatura uniassiale. I campioni, dopo essere stati sinterizzati mediante pressatura uniassiale a caldo, sono stati tagliati e lucidati a specchio per poter osservare la microstruttura. Quest’ultima è stata analizzata al SEM per studiare l’effetto dell’additivo di sinterizzazione (MoSi2 e carbonio) e l’interfaccia tra matrice e fase rinforzante. Per approfondire l’effetto del rinforzo sulle proprietà meccaniche sono state misurate la durezza e la tenacità del composito; infine è stata valutata la resistenza all’ossidazione mediante prove in aria a 1200°C e 1500°C. L’addizione di MoSi2 ha favorito la densificazione a 1800°C mediante formazione di una fase liquida transiente, tuttavia il materiale è caratterizzato da una porosità residua di ~ 7% vol. L’addizione del carbonio ha favorito la densificazione completa a 1900°C grazie alla reazione dall’additivo con gli ossidi superficiali dello ZrB2. La microstruttura delle matrici è piuttosto fine, con una dimensione media dei grani di ~ 2 μm per entrambi i materiali. Nel caso del materiale con Z5M_Cf sono presenti nella matrice particelle di SiC e fasi MoB derivanti dalla reazione dell’additivo con le fibre e con la matrice; invece nel materiale Z2C_Cf sono presenti grani di carbonio allungati tra i bordi grano, residui delle reazioni di densificazione. In entrambi i materiali le fibre sono distribuite omogeneamente e la loro interfaccia con la matrice è fortemente reattiva. Nel caso del materiale Z5M_Cf si è formata una struttura core-shell con lo strato più esterno formato da SiC, formato dalla reazione tra il siliciuro e la fibra di C. Nel caso del materiale Z2C_Cf non si forma una vera e propria interfaccia, ma la fibra risulta fortemente consumata per via dell’alta temperatura di sinterizzazione. I valori di durezza Vickers dei materiali Z5M_Cf e Z2C_Cf sono rispettivamente 11 GPa e 14 GPa, valori inferiori rispetto al valore di riferimento di 23 GPa dello ZrB2, ma giustificati dalla presenza di una fase meno dura: le fibre di carbonio e, nel caso di Z5M_Cf, anche della porosità residua. I valori di tenacità dei materiali Z5M_Cf e Z2C_Cf, misurati con il metodo dell’indentazione, sono rispettivamente 3.06 MPa·m0.5 e 3.19 MPa·m0.5. L’osservazione, per entrambi i materiali, del fenomeno di pull-out della fibra, sulla superficie di frattura, e della deviazione del percorso della cricca, all’interno della fibra di carbonio, lasciano supporre che siano attivi questi meccanismi tenacizzanti a contributo positivo, unitamente al contributo negativo legato allo stress residuo. La resistenza all’ossidazione dei due materiali è confrontabile a 1200°C, mentre dopo esposizione a 1500°C il materiale Z5M_Cf risulta più resistente rispetto al materiale Z2C_Cf grazie alla formazione di uno strato di SiO2 protettivo, che inibisce la diffusione dell’ossigeno all’interno della matrice. Successivamente, sono stati considerati metodi per migliorare la densità finale del materiale e abbassare ulteriormente la temperatura di sinterizzazione in modo da minimizzare la degenerazione della fibra. Da ricerca bibliografica è stato identificato il siliciuro di tantalio (TaSi2) come potenziale candidato. Pertanto è stato prodotto un terzo materiale a base di ZrB2 + Cf contenente una maggiore quantità di siliciuro (10% vol TaSi2) che ha portato ad una densità relativa del 96% a 1750°C. Questo studio ha permesso di approcciare per la prima volta le problematiche legate all’introduzione delle fibre di carbonio nella matrice di ZrB2. Investigazioni future saranno mirate alla termodinamica delle reazioni che hanno luogo in sinterizzazione per poter analizzare in maniera più sistematica la reattività delle fibre nei confronti della matrice e degli additivi. Inoltre riuscendo ad ottenere un materiale completamente denso e con fibre di carbonio poco reagite si potrà valutare la reale efficacia delle fibre di carbonio come possibili fasi tenacizzanti.
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La dissertazione affronterà il tema del controllo qualità nei progetti, applicando conoscenze, tecniche e strumenti propri del Project e del Multiproject Management. L’analisi partirà svolgendo, nel primo capitolo, considerazioni introduttive riguardo le due discipline citate. Lo scopo ultimo sarà quello di elaborare un sistema di controllo integrato della qualità, indirizzato principalmente al Project Management che è presente in una qualsiasi organizzazione che opera per progetti. Nel secondo capitolo verrà illustrato il metodo denominato Multidimensional Project control System sul quale il modello sviluppato in seguito si basa. La progettazione di un sistema di controllo è una parte importante dello sforzo di gestione di un progetto. Tale sistema è basato su una serie di obiettivi di progetto e sulla loro importanza relativa e fonda la sua natura su una sistematica valutazione in corso d’opera dello stato di conformità del progetto, sia a livello di processo che a livello di output. Nel capitolo conclusivo si affronta l’obiettivo principale di questo elaborato. Sono stati forniti dati e documenti dall’azienda Despar Italia c.r.l. ed è stato chiesto di sviluppare un metodo di controllo che il Project Management potesse utilizzare per implementare un processo di verifica della qualità di progetto. Viene quindi descritta l’azienda, come il Management pianifica, gestisce e controlla i progetti e quali necessità devono essere soddisfatte. Si procede poi con l’illustrazione e spiegazione del metodo sviluppato, chiarito da un esempio esplicativo. L’elaborato si concluderà con delle riflessioni finali, proponendo critiche e spunti per eventuali sviluppi futuri.
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Il presente elaborato ha ad oggetto la direttiva PED (Pressure Equipment Directive) relativa agli apparecchi a pressione. Tale norma è stata recepita in Italia con il D.Lgs. n. 93/2000 ed è entrata in vigore definitivamente nel 2002. Essa è finalizzata alla libera circolazione delle attrezzature a pressione nella comunità europea e ne disciplina la progettazione, la costruzione, l'equipaggiamento e l'installazione in sicurezza, definendo per ciascuna delle fasi sopra elencate quali siano i documenti da presentare, gli accorgimenti da rispettare e i controlli a cui sottostare. Il presente lavoro di tesi, svolto presso lo stabilimento di Ravenna di ENI Versalis, ha avuto l’obiettivo di individuare i punti di contatto fra quanto richiesto dalla direttiva PED e quanto solitamente emerge dall’applicazione delle tecniche per l’analisi di rischio, degli standard internazionali e aziendali e delle norme di buona tecnica. Il risultato del lavoro consiste nella definizione di un iter tecnico-procedurale standardizzato ad uso dell’utilizzatore delle attrezzature a pressione tramite la quale l’azienda possa procedere alla compilazione delle Note Tecniche destinate al fabbricante delle attrezzature stesse, secondo quanto richiesto dalla direttiva. Tali Note Tecniche devono contenere le indicazioni relative ai valori progettuali di temperatura e pressione e ai Requisiti Essenziali di Sicurezza (RES) che devono essere soddisfatti, permettendo così al fabbricante di poter svolgere una corretta analisi di rischio e all’utilizzatore di ottenere la massima sicurezza negli impianti. L’elaborato è strutturato come segue. Dopo il Capitolo 1, avente carattere introduttivo, nel Capitolo 2 vengono illustrate le principali novità introdotte dalla direttiva PED e descritti i punti cardine della procedura di valutazione della conformità richiesta per le attrezzature a pressione. Nel Capitolo 3 viene esaminata l’integrazione della direttiva PED con la direttiva Macchine e la direttiva ATEX. Nel Capitolo 4 sono descritte le principali tecniche di analisi di rischio che possono essere utilizzate per rispondere ai Requisiti Essenziali di Sicurezza (RES) richiesti in fase di compilazione della Nota Tecnica. Nel Capitolo 5 si fornisce una descrizione dettagliata dell’iter tecnico-procedurale messo a punto per la valutazione di conformità delle attrezzature e degli insiemi a pressione. Nel Capitolo 6 vengono illustrati ad uno ad uno i punti che devono essere presenti in una Nota Tecnica, ciascuno dei quali costituisce un Requisito Essenziale di Sicurezza. Nel Capitolo 7 viene approfondito uno dei Requisiti più critici, l’incendio esterno. Infine nel Capitolo 8 sono riportate le considerazioni conclusive.
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Il progetto di valorizzazione dell’area del parco archeologico dell’anfiteatro romano di Ancona affronta il problema del recupero delle zone lacerate del centro antico della città, di quelle aree che in seguito ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e del terremoto del 1972 hanno perso la loro identità. Dopo aver analizzato le fasi evolutive della struttura urbana della città e il sistema di relazioni sociali che la caratterizza, il progetto ha individuato nella zona dell’ex convento di Santa Palazia, sul versante ovest del colle Guasco e attigua al parco archeologico dell’anfiteatro romano, il sito idoneo per la localizzazione di un nuovo complesso architettonico. È prevista la realizzazione di residenze, spazi per la didattica e per la cultura, attività di servizio e commerciale e la realizzazione della sede del nuovo Museo d’Arte Contemporanea della Regione Marche. Il progetto definisce un macrosistema in grado di mettere ordine e porre in relazione, attraverso spazi condivisi, edifici primari (come l’anfiteatro, la chiesa dei SS Pellegrino e Teresa e il Museo Archeologico), siti archeologici, edifici pubblici legati alla archeologia, ed edifici privati, prevalentemente ad uso residenziale. Ridisegna la città facendo della misura dell’eccellenza del passato di Ancona, la misura del nuovo progetto per recuperare l’identità perduta.
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Studio e dimensionamento di un compressore assiale da inserire in un gruppo turbofan in cui la camera di combustione verrebbe sostituita da un motore diesel ad alte prestazioni che a sua volta andrebbe, tramite un riduttore, a trascinare il gruppo delle eliche; inoltre i gas combusti fornirebbero energia ad una turbina per il funzionamento del compressore assiale stesso.
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Questa tesi è una panoramica di alcuni concetti base su cui si fonda la dinamica delle galassie. Nel primo capitolo vengono messi in evidenza i concetti più generali dal punto di vista morfologico- strutturale attraverso la classificazione di Hubble. Nel secondo capitolo si mette in evidenza come un sistema possa essere definito non collisionale (attraverso la stima del tempo di rilassamento ai due corpi) e le conseguenze che ne derivano come, per esempio, l' anisotropia dello stesso sistema che conferisce alla galassia la sua classica forma “schiacciata”. Vengono poi descritti la collisional Boltzmann equation (CBE) e il teorema del viriale in forma tensoriale . Integrando la CBE nello spazio delle velocità otteniamo tre equazioni note come equazioni di Jeans: queste hanno una struttura del tutto identica a quelle della fluidodinamica ma con alcune eccezioni significative che non permettono di descrivere completamente la dinamica delle galassie attraverso la fluidodinamica. Il terzo capitolo è un excursus generale sulle galassie ellittiche: dalla loro struttura alla loro dinamica. Dall' applicazione del teorema del viriale ad un sistema ellittico si può notare come la forma “schiacciata” delle galassie sia una conseguenza dell' anisotropia del sistema e sia dovuta solo in minima parte alla rotazione. Successivamente viene presentato un modello galattico (quello di Jeans), che ci permette di calcolare una distribuzione di massa del sistema attraverso un' equazione che purtroppo non ha soluzione unica e quindi ci rende impossibile calcolare il rapporto massa- luminosità. Infine viene descritto il fundamental plane che è una relazione empirica tale per cui ad ogni galassia viene associato un determinato valore di raggio effettivo, dispersione di velocità e luminosità. Nel quarto ed ultimo capitolo viene trattata la dinamica delle parti più esterne di una galassia: disco e bracci. La dinamica del disco è descritta attraverso la curva di rotazione che, come vedremo, ha delle caratteristiche abbastanza diverse da una curva di rotazione di tipo kepleriano (quella che ad esempio descrive l' andamento della velocità in funzione della distanza nel nostro sistema solare). Infine viene descritta la dinamica dei bracci e la teoria delle onde di densità di Lin e Shu, due astronomi americani, che riesce a descrivere compiutamente la nascita e l' evoluzione dei bracci a spirale.
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Nell’autunno del 2011 due eventi meteorologici estremi caratterizzati da intense precipitazioni hanno interessato la Liguria. Nella giornata del 25 ottobre si è verificato sul Levante ligure un evento alluvionale di rilevante entità, determinato dalla formazione di un intenso sistema convettivo che ha coinvolto l’area compresa tra il Tigullio, le Cinque Terre ed il bacino del Magra. Un altro episodio di forte maltempo si è verificato tra il 3 e il 9 novembre 2011, e in particolare il forte sistema convettivo che ha interessato Genova la mattina del 4 novembre, in cui avvenne l’esondazione in alcuni punti del torrente Bisagno e del rio Fereggiano. Tuttavia, nel corso del lungo periodo perturbato si sono registrati vari episodi di esondazione, localizzati principalmente in zone golenali agricole, anche sui versanti padani della regione, oltre a numerosi casi di smottamenti e frane. I casi sopra citati sono stati studiati facendo innanzitutto un’accurata analisi meteorologica a scala sinottica e alla mesoscala, esaminando in particolar modo i meccanismi che hanno portato l’innesco dei due sistemi temporaleschi. In secondo luogo, utilizzando anche dati osservativi disponibili, si è voluto mettere in evidenza la reale e significativa evoluzione nel tempo e nello spazio dei dati pluviometrici delle stazioni al suolo, e dei parametri fisici più importanti, come ad esempio la direzione e l’intensità del vento. Infine, utilizzando simulazioni numeriche dei modelli sviluppati all’ISAC-CNR di Bologna (BOLAM e MOLOCH), ci si è posti l’obiettivo di verificare la loro sensibilità alla risoluzione e ad altri aspetti numerici e fisici, in particolare per quanto riguarda i dati relativi alla precipitazione. I modelli, oltre a riprodurre la dinamica degli eventi in maniera fisicamente coerente anche se non del tutto accurata, sono stati utilizzati, previo confronto con le osservazioni, per verificare alcune ipotesi formulate relative ai processi fisici responsabili dell’intensità della precipitazione, come ad esempio la presenza del flusso (outflow) di aria fredda proveniente dalla cold pool in relazione con le correnti caldo-umide negli strati più bassi (Low Level Jet, LLJ), e la formazione di una zona di convergenza nella quale è più alta la probabilità che si sviluppino sistemi convettivi organizzati.
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Il raffreddamento stratosferico associato alla riduzione dell’ozono nelle regioni polari induce un rafforzamento dei venti occidentali nella bassa stratosfera, uno spostamento verso il polo e un’intensificazione del jet troposferico delle medie latitudini. Si riscontra una proiezione di questi cambiamenti a lungo termine sulla polarità ad alto indice di un modo di variabilità climatica, il Southern Annular Mode, alla superficie, dove i venti occidentali alle medie latitudini guidano la Corrente Circumpolare Antartica influenzando la circolazione oceanica meridionale e probabilmente l’estensione del ghiaccio marino ed i flussi di carbonio aria-mare nell’Oceano Meridionale. Una limitata rappresentazione dei processi stratosferici nei modelli climatici per la simulazione del passato e la previsione dei cambiamenti climatici futuri, sembrerebbe portare ad un errore nella rappresentazione dei cambiamenti troposferici a lungo termine nelle rispettive simulazioni. In questa tesi viene condotta un’analisi multi-model mettendo insieme i dati di output derivati da diverse simulazioni di modelli climatici accoppiati oceano-atmosfera, che partecipano al progetto CMIP5, con l'obiettivo di comprendere come le diverse rappresentazioni della dinamica stratosferica possano portare ad una differente rappresentazione dei cambiamenti climatici alla superficie. Vengono utilizzati modelli “High Top” (HT), che hanno una buona rappresentazione della dinamica stratosferica, e modelli “Low Top” (LT), che invece non ne hanno. I risultati vengono confrontati con le reanalisi meteorologiche globali disponibili (ERA-40). Viene mostrato come la rappresentazione e l’intensità del raffreddamento radiativo iniziale e di quello dinamico nella bassa stratosfera, nei modelli, siano i fattori chiave che controllano la successiva risposta troposferica, e come il raffreddamento stesso dipenda dalla rappresentazione della dinamica stratosferica. Si cerca inoltre di differenziare i modelli in base alla loro rappresentazione del raffreddamento radiativo e dinamico nella bassa stratosfera e alla risposta del jet troposferico. Nei modelli, si riscontra che il trend del jet nell'intera troposfera è significativamente correlato linearmente al raffreddamento stesso della bassa stratosfera.
Resumo:
L’elaborato descrive la progettazione di un prototipo per misure spettroscopiche di desorbimento termico e i primi esperimenti effettuati con esso. Vengono descritti in dettaglio gli strumenti peculiari di tale apparato, come lo spettrometro di massa quadrupolo e la pompa a diffusione e le parti costruite ad hoc per tale dispositivo, ovvero la struttura del portacampione e del sostegno al forno utilizzato per il riscaldamento delle sostanze analizza- te. Particolare importanza `e posta nella descrizione della parte software del prototipo, che utilizza la tecnologia del DDE (Dynamic Data Exchange) per comunicare i dati tra due programmi diversi operanti su una medesima piattaforma; viene quindi illustrato il funzionamento del software comunicante direttamente con lo spettrometro e del programma LabView creato per il monitoraggio e il salvataggio dei dati raccolti da tale apparato. L’ultima parte dell’elaborato riguarda i primi esperimenti di spettroscopia di desorbimento termico effettuati, comprendendo sia quelli preliminari per testare la qualità del prototipo sia quelli da cui `e possibile ottenere una curva di desorbimento termico per i vari gas analizzati in camera, come ad esempio idrogeno.
Resumo:
Il presente lavoro di tesi inizia da un’indagine svolta durante il Laboratorio di Sintesi Finale sulla città di Bogotá. Nello specifico ci si è occupati dello studio di una parte ristretta della città: la CUB, la città universitaria di Bogotá. Sì è in primo luogo analizzato gli aspetti salienti di quella parte di città, mettendone in evidenza sia gli elementi caratteristici che le criticità. Questo studio ha condotto alla definizione di alcune problematiche che, per importanza, sono state il centro del progetto successivamente proposto. La sintesi preliminare ha così prodotto una prima ipotesi progettuale che è stata il punto di partenza dello studio successivo. Nella fase successiva invece si è operato per un ulteriore approfondimento, passando sul piano reale e affrontando i temi scelti per l’area della Ciudad Universitaria de Bogotá. La CUB rappresenta il fulcro dell’offerta universitaria statale di Bogotá e i piani di sviluppo per il futuro la vedranno assoggettata ad un processo di forte saturazione delle aree ancora libere. Visto la dimensione di questo luogo, si è optato per la definizione di una possibile metodologia di intervento, più soddisfare il desiderio (a volte irrinunciabile) di ridefinizione della sua struttura interna, oggi particolarmente degradata. L’idea trova il suo senso anche nel desiderio di potere generare una maggiore integrazione tra l’uso degli spazi della CUB e i cittadini, che attualmente sono esclusi, primariamente per ragioni di sicurezza, dalla possibilità di godere di questo luogo. Il testo mette in evidenza, mediante un processo per tappe, il percorso intellettuale che ha portato alla definizione delle scelte progettuali rappresentate nelle tavole finali.
Resumo:
In questa tesi ho trattato l'argomento dei Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA), in particolar modo mi sono interessata alla Discalculia e a come si potrebbe affrontare a livello di Scuola Secondaria di II Grado. Ho approfondito in particolar modo l'argomento dell'algebra alla base dei curricula di matematica nel biennio, attraverso il supporto del software Aplusix.