424 resultados para Basilica di San Pietro in Vaticano-Grabado


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Prima di procedere con il progetto sono state fatte sezioni storiche dell’area, in epoche indicative, per comprendere quelle che sono le invarianti e le caratteristiche di tale tessuto. Da qui si è dedotto lo schema generatore dell’insediamento che parte dall’identificazione degli assi viari (pedonali e carrabili) già presenti nell’area, che fanno diretto riferimento allo schema cardo-decumanico generatore dell’impianto angioino della città. Con il tracciamento si individuano gli isolati base, che con variazioni formali e tipologiche hanno originato gli edifici di progetto. I corpi di fabbrica generatori della planimetria, dialogano e rimangono a stretto contatto con i pochi edifici agibili, per i quali sono previsti consolidamenti e ristrutturazioni, qualora necessari. Inevitabile è stato il confronto con l’orografia, prestando particolare attenzione a non annullare con l’inserimento degli edifici il dislivello presente, ma lasciarlo percepire chiaramente: l’attacco a terra di ogni edificio avviene gradualmente, passando dai due piani fuori terra a monte ai tre, quattro a valle. Ovviamente non tutti gli assi sono stati trattati allo stesso modo, ma conseguentemente alla loro funzione e carattere di utilizzo. Analizzando la struttura viaria dell’intera area, si presentano schematicamente due anelli di circonvallazione del centro urbano: uno più esterno, di più recente costruzione, rappresentato da via XX Settembre, e uno più vecchio, che rimane rasente al centro storico, costituito dal viale Duca Degli Abruzzi, che prosegue in viale Giovanni XXIII e termina nel viadotto Belvedere. Quest’ultimo asse rappresenta sicuramente un importante collegamento cittadino, sia per la vicinanza al centro, sia per le porzioni di città messe in comunicazione; nonostante ciò il viadotto ha subito, all’altezza di viale Nicolò Persichetti, uno smottamento dopo il 6 aprile, ed essendo un elemento di scarso valore architettonico e spaziale, la sua presenza è stata ripensata. Compiendo una deviazione su via XX Settembre al termine di viale Duca Degli Abruzzi, che va a sfruttare la già presente via Fonte Preturo, non si va a rivoluzionante l’odierno assetto, che confluisce comunque, qualche centinaio di metri dopo, in via XX Settembre è si eliminano le connotazioni negative che il viadotto avrebbe sul rinnovato ingresso al centro storico. La vivibilità tende a favorire così collegamento e all’eterogeneità degli spazi più che la separazione fisica e psicologica: il concetto di città fa riferimento alla vita in comune; per favorirla è importante incentivare i luoghi di aggregazione, gli spazi aperti. Dalle testimonianze degli aquilani la vita cittadina vedeva il centro storico come principale luogo d’incontro sociale. Esso era animato dal numeroso “popolo” di studenti, che lo manteneva attivo e vitale. Per questo nelle intenzioni progettuali si pone l’accento su una visione attiva di città con un carattere unitario come sostiene Ungers3. La funzione di collegamento, che crea una struttura di luoghi complementari, può essere costituita dal sistema viario e da quello di piazze (luoghi sociali per eccellenza). Via Fontesecco ha la sua terminazione nell’omonima piazza: questo spazio urbano è sfruttato, nella conformazione attuale, come luogo di passaggio, piuttosto che di sosta, per questo motivo deve essere ricalibrato e messo in relazione ad un sistema più ampio di quello della sola via. In questo sistema di piazze rientra anche la volontà di mettere in relazione le emergenze architettoniche esistenti nell’area e nelle immediate vicinanze, quali la chiesa e convento dell’Addolorata, Palazzo Antonelli e la chiesa di San Domenico (che si attestano tutte su spazi aperti), e la chiesa di San Quinziano su via Buccio di Ranallo. In quest’ottica l’area d’intervento è intesa come appartenente al centro storico, parte del sistema grazie alla struttura di piazze, e allo stesso tempo come zona filtro tra centro e periferia. La struttura di piazze rende l’area complementare alla trama di pieni e vuoti già presente nel tessuto urbano cittadino; la densità pensata nel progetto, vi si accosta con continuità, creando un collegamento con l’esistente; allontanandosi dal centro e avvicinandosi quindi alle più recenti espansioni, il tessuto muta, concedendo più spazio ai vuoti urbani e al verde. Via Fontesecco, il percorso che delimita il lato sud dell’area, oltre ad essere individuata tra due fronti costruiti, è inclusa tra due quinte naturali: il colle dell’Addolorata (con le emergenze già citate) e il colle Belvedere sul quale s’innesta ora il viadotto. Questi due fronti naturali hanno caratteri molto diversi tra loro: il colle dell’Addolorata originariamente occupato da orti, ha un carattere urbano, mentre il secondo si presenta come una porzione di verde incolto e inutilizzato che può essere sfruttato come cerniera di collegamento verticale. Lo stesso declivio naturale del colle d’Addolorata che degrada verso viale Duca Degli Abruzzi, viene trattato nel progetto come una fascia verde di collegamento con il nuovo insediamento universitario. L’idea alla base del progetto dell’edilizia residenziale consiste nel ricostruire insediamenti che appartengano parte della città esistente; si tratta quindi, di una riscoperta del centro urbano e una proposta di maggior densità. Il tessuto esistente è integrato per ottenere isolati ben definiti, in modo da formare un sistema ben inserito nel contesto. Le case popolari su via Fontesecco hanno subito con il sisma notevoli danni, e dovendo essere demolite, hanno fornito l’occasione per ripensare all’assetto del fronte, in modo da integrarlo maggiormente con il tessuto urbano retrostante e antistante. Attualmente la conformazione degli edifici non permette un’integrazione ideale tra i percorsi di risalita pedonale al colle dell’Addolorata e la viabilità. Le scale terminano spesso nella parte retrostante gli edifici, senza sfociare direttamente su via Fontesecco. Si è quindi preferito frammentare il fronte, che rispecchiasse anche l’assetto originario, prima cioè dell’intervento fascista, e che consentisse comunque una percezione prospettica e tipologica unitaria, e un accesso alla grande corte retrostante. Il nuovo carattere di via Fontesecco, risultante dalle sezioni stradali e dalle destinazioni d’uso dei piani terra degli edifici progettuali, è quello di un asse commerciale e di servizio per il quartiere. L’intenzione, cercando di rafforzare l’area di progetto come nuovo possibile ingresso al centro storico, è quella di estendere l’asse commerciale fino a piazza Fontesecco, in modo da rendere tale spazio di aggregazione vitale: “I luoghi sono come monadi, come piccoli microcosmi, mondi autonomi, con tutte le loro caratteristiche, pregi e difetti, inseriti in un macrocosmo urbano più grande, che partendo da questi piccoli mondi compone una metropoli e un paesaggio”.4[...] Arretrando verso l’altura dell’Addolorata è inserita la grande corte del nuovo isolato residenziale, anch’essa con servizi (lavanderie, spazi gioco, palestra) ma con un carattere diverso, legato più agli edifici che si attestano sulla corte, anche per l’assenza di un accesso carrabile diretto; si crea così una gerarchia degli spazi urbani: pubblico sulla via e semi-pubblico nella corte pedonale. La piazza che domina l’intervento (piazza dell’Addolorata) è chiusa da un edificio lineare che funge da “quinta”, il centro civico. Molto flessibile, presenta al suo interno spazi espositivi e un auditorium a diretta disposizione del quartiere. Sempre sulla piazza sono presenti una caffetteria, accessibile anche dal parco, che regge un sistema di scale permettendo di attraversare il dislivello con la “fascia” verde del colle, e la nuova ala dell’Hotel “Duca degli Abruzzi”, ridimensionata rispetto all’originale (in parte distrutto dal terremoto), che si va a collegare in maniera organica all’edificio principale. Il sistema degli edifici pubblici è completo con la ricostruzione del distrutto “Istituto della Dottrina Cristiana”, adiacente alla chiesa di San Quinziano, che va a creare con essa un cortile di cui usufruiscono gli alunni di questa scuola materna ed elementare. Analizzando l’intorno, gran parte dell’abitato è definito da edifici a corte che, all’interno del tessuto compatto storico riescono a sopperire la mancanza di spazi aperti con corti, più o meno private, anche per consentire ai singoli alloggi una giusta illuminazione e areazione. Nel progetto si passa da due edifici a corti semi-private, chiusi in se stessi, a un sistema più grande e complesso che crea un ampio “cortile” urbano, in cui gli edifici che vi si affacciano (case a schiera e edifici in linea) vanno a caratterizzare gli spazi aperti. Vi è in questa differenziazione l’intenzione di favorire l’interazione tra le persone che abitano il luogo, il proposito di realizzare elementi di aggregazione più privati di una piazza pubblica e più pubblici di una corte privata. Le variazioni tipologiche degli alloggi poi, (dalla casa a schiera e i duplex, al monolocale nell’edilizia sociale) comportano un’altrettanta auspicabile mescolanza di utenti, di classi sociali, età e perché no, etnie diverse che permettano una flessibilità nell’utilizzo degli spazi pubblici.

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Lo studio effettuato verte sulla ricerca delle cave storiche di pietra da taglio in provincia di Bologna, facendo partire la ricerca al 1870 circa, data in cui si hanno le prime notizie cartacee di cave bolognesi. Nella ricerca si è potuto contare sull’aiuto dei Dott. Stefano Segadelli e Maria Tersa De Nardo, geologi della regione Emilia-Romagna, che hanno messo a disposizione la propria conoscenza e le pubblicazioni della regione a questo scopo. Si è scoperto quindi che non esiste in bibliografia la localizzazione di tali cave e si è cercato tramite l’utilizzo del software ArcGIS , di georeferenziarle, correlandole di informazioni raccolte durante la ricerca. A Bologna al momento attuale non esistono cave di pietra da taglio attive, così tutte le fonti che si sono incontrate hanno fornito dati parziali, che uniti hanno permesso di ottenere una panoramica soddisfacente della situazione a inizio secolo scorso. Le fonti studiate sono state, in breve: il catasto cave della regione Emilia-Romagna, gli shape preesistenti della localizzazione delle cave, le pubblicazioni “Uso del Suolo”, oltre ai dati forniti dai vari Uffici Tecnici dei comuni nei quali erano attive le cave. I litotipi cavati in provincia sono quattro: arenaria, calcare, gesso e ofiolite. Per l’ofiolite si tratta di coltivazioni sporadiche e difficilmente ripetibili dato il rischio che può esserci di incontrare l’amianto in queste formazioni; è quindi probabile che non verranno più aperte. Il gesso era una grande risorsa a fine ‘800, con molte cave aperte nella Vena del Gesso. Questa zona è diventata il Parco dei Gessi Bolognesi, lasciando alla cava di Borgo Rivola il compito di provvedere al fabbisogno regionale. Il calcare viene per lo più usato come inerte, ma non mancano esempi di formazioni adatte a essere usate come blocchi. La vera protagonista del panorama bolognese rimane l’arenaria, che venne usata da sempre per costruire paesi e città in provincia. Le cave, molte e di ridotte dimensioni, sono molto spesso difficili da trovare a causa della conseguente rinaturalizzazione. Ci sono possibilità però di vedere riaprire cave di questo materiale a Monte Finocchia, tramite la messa in sicurezza di una frana, e forse anche tramite la volontà di sindaci di comunità montane, sensibili a questo argomento. Per avere una descrizione “viva” della situazione attuale, sono stati intervistati il Dott. Maurizio Aiuola, geologo della Provincia di Bologna, e il Geom. Massimo Romagnoli della Regione Emilia-Romagna, che hanno fornito una panoramica esauriente dei problemi che hanno portato ad avere in regione dei poli unici estrattivi anziché più cave di modeste dimensioni, e delle possibilità future. Le grandi cave sono, da parte della regione, più facilmente controllabili, essendo poche, e più facilmente ripristinabili data la disponibilità economica di chi la gestisce. Uno dei problemi emersi che contrastano l’apertura di aree estrattive minori, inoltre, è la spietata concorrenza dei materiali esteri, che costano, a parità di qualità, circa la metà del materiale italiano. Un esempio di ciò lo si è potuto esaminare nel comune di Sestola (MO), dove, grazie all’aiuto e alle spiegazioni del Geom. Edo Giacomelli si è documentato come il granito e la pietra di Luserna esteri utilizzati rispondano ai requisiti di resistenza e non gelività che un paese sottoposto ai rigori dell’inverno richiede ai lapidei, al contrario di alcune arenarie già in opera provenienti dal comune di Bagno di Romagna. Alla luce di questo esempio si è proceduto a calcolare brevemente l’ LCA di questo commercio, utilizzando con l’aiuto dell’ Ing. Cristian Chiavetta il software SimaPRO, in cui si è ipotizzato il trasporto di 1000 m3 di arenaria da Shanghai (Cina) a Bologna e da Karachi (Pakistan) a Bologna, comparandolo con le emissioni che possono esserci nel trasporto della stessa quantità di materiale dal comune di Monghidoro (BO) al centro di Bologna. Come previsto, il trasporto da paesi lontani comporta un impatto ambientale quasi non comparabile con quello locale, in termini di consumo di risorse organiche e inorganiche e la conseguente emissione di gas serra. Si è ipotizzato allora una riapertura di cave locali a fini non edilizi ma di restauro; esistono infatti molti edifici e monumenti vincolati in provincia, e quando questi devono essere restaurati, dove si sceglie di cavare il materiale necessario e rispondente a quello già in opera? Al riguardo, si è passati attraverso altre due interviste ai Professori Francesco Eleuteri, architetto presso la Soprintendenza dei Beni Culturali a Bologna e Gian Carlo Grillini, geologo-petrografo e esperto di restauro. Ciò che è emerso è che effettivamente non esiste attualmente una panoramica soddisfacente di quello che è il patrimonio lapideo della provincia, mancando, oltre alla georeferenziazione, una caratterizzazione minero-petrografica e fisico-meccanica adeguata a poter descrivere ciò che veniva anticamente cavato; l’ipotesi di riapertura a fini restaurativi potrebbe esserci, ma non sembra essere la maggiore necessità attualmente, in quanto il restauro viene per lo più fatto senza sostituzioni o integrazioni, tranne rari casi; è pur sempre utile avere una carta alla mano che possa correlare l’edificio storico con la zona di estrazione del materiale, quindi entrambi i professori hanno auspicato una prosecuzione della ricerca. Si può concludere dicendo che la ricerca può proseguire con una migliore e più efficace localizzazione delle cave sul terreno, usando anche come fonte il sapere della popolazione locale, e di procedere con una parte pratica che riguardi la caratterizzazione minero-petrografica e fisico-meccanica. L’utilità di questi dati può esserci nel momento in cui si facciano ricerche storiche sui beni artistici presenti a Bologna, e qualora si ipotizzi una riapertura di una zona estrattiva.

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Il Protocollo di Montreal, che succede alla Convenzione di Vienna per la protezione dello strato di ozono richiede l’eliminazione di idrocarburi contenenti cloro (CFC). Nel corso degli ultimi decenni ha quindi assunto importanza la reazione di idrodeclorurazione di clorofluorocarburi, in particolare rivolta alla produzione di idrocarburi fluorurati che sono risultati interessanti per la produzione di polimeri con specifiche caratteristiche di resistenza meccanica, termica e chimica. In questo lavoro di tesi, svolto in collaborazione con SOLVAY SPECIALTY POLYMERS ITALY, sono stati studiati catalizzatori innovativi per la produzione di perfluorometilviniletere (MVE), mediante idrodeclorurazione di perfluorometilcloroviniletere (AM). Attualmente la reazione di produzione industriale dell’MVE, condotta con l'utilizzo di quantità stechiometriche di Zn e dimetilformammide (DMF), presenta il notevole problema dello smaltimento di grandi quantità di zinco cloruro e di DMF. La reazione studiata, condotta in catalisi eterogenea, in presenta di H2, presenta una forte dipendenza dalla natura dei metalli utilizzati oltre che dal tipo di sintesi dei catalizzatori impiegati. Nell'ambito di questo lavoro è stato sviluppato un metodo, a basso impatto ambientale, per la sintesi si nanoparticelle preformate da utilizzare per la preparazione di catalizzatori supportati si TiO2 e SiO2. Le nanosospensioni ed i sistemi catalitici prodotti sono stati caratterizzati utilizzando diverse metodologie di analisi quali: XRD, XRF, TEM, TPR-MS, che hanno permesso di ottimizzare le diverse fasi della preparazione. Allo scopo di osservare effetti sinergici tra le specie utilizzate sono stati confrontati sistemi catalitici monometallici con sistemi bimetallici, rivelando interessanti implicazioni derivanti dall’utilizzo di fasi attive nanoparticellari a base di Pd e Cu. In particolare, è stato possibile apprezzare miglioramenti significativi nelle prestazioni catalitiche in termini di selettività a perfluorometilviniletere all’aumentare del contenuto di Cu. La via di sintesi ottimizzata e impiegata per la produzione di nanoparticelle bimetalliche è risultata una valida alternativa, a basso impatto ambientale, ai metodi di sintesi normalmente usati, portando alla preparazione di catalizzatori maggiormente attivi di quelli preparati con i metalli standard.

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Lo scopo di questo progetto di ricerca è principalmente l’elaborare un’analisi socio-comportamentale di Grampus griseus all’interno di un gruppo sociale di Tursiops truncatus in ambiente controllato. In questo studio è stato inoltre monitorato l’uso dell’habitat da parte del soggetto all’interno della vasca. L’esemplare di grampo oggetto della ricerca rappresenta una risorsa unica per approfondire le conoscenze riguardo a una specie su cui le informazioni in letteratura risultano scarse. Si tratta inoltre dell’unico esemplare di Grampus griseus proveniente dal Mar Adriatico e mantenuto in ambiente controllato in tutta Europa, perciò si è ritenuto irrinunciabile raccogliere il maggior numero di dati relativi alla sua biologia. Il progetto si è quindi focalizzato anche su altri aspetti, oltre alla parte etologica. È stato elaborato un programma di fotografie sequenziali sul corpo del soggetto al fine di monitorare le cicatrici o graffi cutanei (scarring) che si accumulano nel corso del tempo sulla superficie corporea. Ben poco è stato pubblicato sull’insorgenza di questi segni cutanei. Infine una parte della ricerca si è occupata, grazie alla collaborazione con i veterinari della struttura, dell’analisi dei dati ematologici raccolti su questo esemplare di Grampus griseus.

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È ormai noto che numerosi organismi marini, dalle alghe unicellulari ai pesci coabitino con diverse specie di spugne, con un rapporto che varia, secondo i casi, dal semplice inquilinismo facoltativo alle più complesse simbiosi obbligate. All’interno di molte spugne si trovano degli endobionti, alcuni organismi rappresentano degli ospiti puramente occasionali, altri manifestano una notevole costanza e l’esistenza in associazione alla spugna sembra rappresenti la norma. In Adriatico settentrionale, nell’area compresa tra Grado ed il delta del fiume Po, sono presenti degli affioramenti rocciosi organogeni carbonatici che prendono il nome di tegnùe. In questi affioramenti è stata riscontrata una grande varietà di specie macrobentoniche sia sessili che vagili. Tra queste specie, è presente con elevate abbondanze e grandi dimensioni, fuori dal comune, la spugna massiva Geodia cydonium, oggetto del nostro studio. Lo scopo del presente lavoro è di caratterizzare la diversità della fauna associata alla demospongia Geodia cydonium, cercando di mettere in evidenza l’importante ruolo ecologico legato proprio all’elevato numero di inquilini che ospita. Sono stati prelevati campioni di spugna, con la relativa fauna associata, da tre siti presenti all’interno della Zona di Tutela Biologica di Chioggia. Date le grandi dimensioni degli esemplari e per non danneggiare la popolazione naturale di questa rara specie protetta, sono stati prelevati in immersione delle porzioni di spugna, incidendo verticalmente gli esemplari. Nei campioni sono stati riscontrati 28 taxa, tra cui prevalgono per abbondanza i policheti come Ceratonereis costae e Sphaerosyllis bulbosa e piccoli crostacei come Apseudopsis acutifrons e Leptochelia savignyi. Per molte specie prevalgono individui giovanili rispetto agli adulti. L’abbondanza e la ricchezza dei popolamenti associati alla spugna non risultano variare ne tra i siti di campionamento ne in relazione alle dimensioni degli esemplari da cui provengono i campioni. Questo fa supporre che la spugna crei un ambiente ideale per alcune specie, almeno nelle fasi giovanili, creando così associazioni relativamente stabili, più di quanto non sia la naturale variabilità dei popolamenti circostanti. Queste relazioni meritano di essere approfondite, investigando i cicli vitali e i comportamenti delle singole specie.

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L’obiettivo di questa tesi è il progetto di un convertitore di potenza di tipo low power da applicare a sorgenti fotovoltaiche in regime di basso irraggiamento. Il convertitore implementa un controllo con inseguimento del punto di massima potenza (maximum power point tracking) della caratteristica della sorgente fotovoltaica. Una prima parte è dedicata allo studio delle possibilità esistenti in materia di convertitori e di algoritmi di MPPT. Successivamente, in base alle specifiche di progetto è stata selezionata una combinazione ottimale per l'architettura del convertitore di potenza in grado di bilanciare efficienza dell'algoritmo di controllo e requisiti intrinseci di potenza.

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Protocolli e metodologie di caratterizzazione di un sistema di misura di segnali fluorescenti in microscopia ottica

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Il Cor-Ten è un acciaio micro-legato, detto anche acciaio patinabile, che garantisce una buona resistenza alla corrosione da agenti atmosferici. Proprio grazie a questa sua peculiare caratteristica sta conoscendo un vasto impiego in particolare nel campo dell’edilizia e delle infrastrutture. La corrosione infatti interessa tutti i settori produttivi e non, provocando ingenti danni economici. Stime effettuate negli ultimi 40anni da diversi enti internazionali indicano che l’entità di questi danni, pur variando da settore a settore, risulta compresa per i paesi industrializzati tra il 3 e il 4% del PIL. Da questi dati si evince la necessità di proteggere i materiali dalla corrosione; in genere per questo scopo si ricorre a trattamenti superficiali o a rivestimenti protettivi. Queste tecniche non rappresentano però l’unica strada, è possibile infatti agire sulla composizione della lega, come nel caso del Cor-Ten, in modo che l’interazione metallo-ambiente porti alla formazione di una patina protettiva di prodotti di corrosione relativamente stabili. La formazione di questo strato, cosiddetto passivante, protegge il metallo da un’ulteriore attacco corrosivo. Scopo di questo lavoro di tesi è studiare il comportamento di questo materiale in ambiente urbano-costiero in tre differenti stati di finitura in cui è commercialmente disponibile: grezzo, pre-patinato e pre-patinato cerato, focalizzando l’attenzione sugli aspetti ambientali legati al suo utilizzo e cercando di valutare in particolare il rilascio dei metalli di lega nell’ambiente, aspetto fino ad ora non considerato in letteratura. I risultati ottenuti indicano che sembrerebbe preferibile l’utilizzo del materiale grezzo rispetto ai pre-patinati, almeno per quanto riguarda il rilascio di metalli in ambiente. Sulla base dei risultati ottenuti è possibile fornire una stima, per i tre stati di finitura di Cor-Ten A considerati, del quantitativo totale (solubile + estraibile) dei metalli rilasciati in ambiente nei sette mesi di esposizione durante la stagione primaverile-estiva della sperimentazione condotta in questo studio. La quantità rilasciata stimata per il Fe oscilla tra i 0,5 g/m2 per i provini light e i 0,7 g/m2 per i provini dark e grezzi, per il Ni il range è compreso tra i 3,6 mg/m2 dei provini grezzi e i 5 mg/m2 per i light, nel caso del Mn il quantitativo varia dai 6,8 mg/m2 per i light ai 10 mg/m2 per i grezzi. Per il Cr la stima per i provini pre-patinati è simile e si attesta intorno a 1,7 mg/m2, risultando minore (anche se in maniera non rilevate) per i grezzi.

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Il territorio di Ferrara è caratterizzata da un’area ad elevata concentrazione di stabilimenti a rischio di incidente rilevante e dalla movimentazione di ingenti quantitativi di sostanze pericolose sulla rete stradale, ferroviaria ed in condotta. Basti pensare che nel solo Comune di Ferrara sono ben 5 le aziende che, per tipologia e quantità di sostanze presenti, rientrano nel campo di applicazione del D.Lgs. 334/99 (“Attuazione delle direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose”). Per questo motivo, il 24 febbraio 2012 è stato sottoscritto a Ferrara il protocollo d’intesa per l’avvio dello Studio di Sicurezza Integrato d’Area (SSIA) del polo chimico ferrarese da parte della Regione Emilia Romagna, dell’Agenzia Regionale di Protezione Civile, del Comune e della Provincia di Ferrara, dell’Ufficio Territoriale del Governo, della Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco, dell’Agenzia Regionale Prevenzione e Ambiente e delle stesse aziende del polo chimico. L’Università di Bologna, tramite il Dipartimento di Ingegneria Chimica, Mineraria e delle Tecnologie Ambientali presso il quale è stato svolto il presente lavoro di tesi, prende parte al Consiglio Scientifico ed al Comitato Tecnico del SSIA, aventi funzioni di direzione e di gestione operativa della ricerca. Il progetto è modellato sulla precedente esperienza realizzata in regione per il polo industriale di Ravenna (progetto ARIPAR), la cui validità è stata ampiamente riconosciuta a livello nazionale ed internazionale. L’idea alla base dello studio deriva dal fatto che per avere un quadro della situazione in un’area così complessa, è necessario non solo valutare l’insieme dei rischi presenti, ma anche le loro correlazioni e le conseguenze sul territorio di riferimento. In un’analisi di rischio d’area risulta di primaria importanza l’analisi della vulnerabilità del territorio circostante il sito industriale, in quanto scenari attesi di danno di pari severità assumono una differente valenza in relazione all’effettiva presenza di bersagli nell’area di interesse. Per tale motivo il presente lavoro di tesi ha avuto l’obiettivo di istruire il censimento della vulnerabilità del territorio di Ferrara, con riferimento ai bersagli “uomo”, “ambiente” e “beni materiali”. In primo luogo si è provveduto, sulla base delle distanze di danno degli scenari incidentali attesi, a definire l’estensione dell’area in cui effettuare il censimento. Successivamente si è approfondito il censimento della vulnerabilità del bersaglio “uomo”, prendendo in considerazione sia la popolazione residente, sia i centri di vulnerabilità localizzati all’interno dell’area potenzialmente interessata da incidenti rilevanti. I centri di vulnerabilità non sono altro che luoghi ad elevata densità di persone (ad esempio scuole, ospedali, uffici pubblici, centri commerciali), spesso caratterizzati da una maggiore difficoltà di evacuazione, sia per l’elevato numero di persone presenti sia per la ridotta mobilità delle stesse. Nello specifico si è proceduto alla creazione di un database (grazie all’utilizzo del software ArcView GIS 3.2) di tutti i centri di vulnerabilità presenti, ai quali è stato possibile associare una precisa localizzazione territoriale ed altri dati di carattere informativo. In una fase successiva dello SSIA sarà possibile associare ai centri di vulnerabilità le relative categorie di popolazione, indicando per ciascuna il numero dei presenti. I dati inseriti nel database sono stati forniti in massima parte dal Comune di Ferrara e, in misura più limitata, dall’Agenzia Regionale di Protezione Civile e dalla Camera di Commercio. Presentando spesso tali dati un’aggregazione diversa da quella necessaria ai fini dello SSIA, è stato necessario un intenso lavoro di analisi, di depurazione e di riaggregazione allo scopo di renderli disponibili in una forma fruibile per lo SSIA stesso. Da ultimo si è effettuata una valutazione preliminare della vulnerabilità dei bersagli “ambiente” e “beni materiali”. Per quanto riguarda l’ambiente, si sono messe in luce le aree sottoposte a vincoli di tutela naturalistica e quindi particolarmente vulnerabili in caso di un rilascio accidentale di sostanze pericolose. Per il bersaglio “beni materiali”, non essendo stato possibile reperire dati, si è sono evidenziate le categorie di beni da censire. In conclusione, è possibile affermare che lo studio effettuato in questo lavoro di tesi, ha consentito non solo di conseguire l’obiettivo inizialmente stabilito – l’istruzione del censimento della vulnerabilità del territorio di Ferrara - ma ha contribuito anche alla definizione di una metodologia per il censimento di aree vaste che potrà essere utilmente applicata ad altre zone del territorio nazionale.

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Questa tesi tratta dell'ottimizzazione dei componenti di potenza di un convertitore flyback al fine di massimizzare l'efficienza di un caricabatteria per batterie al piombo. Le perdite vengono studiate all'interno di uno spazio di progetto che individua due variabili libere (rapporto spire e indice di ondulazione della corrente). Diverse mappe con le stime di dissipazione derivante da tutti i contributi, permettono l'individuazione del punto ottimo di progetto e consentono la corretta valutazione dei trade-off. Il risultato dell'analisi ha portato al progetto di un dimostratore in cui si è potuto verificare la correttezza del valore di efficienza predetta, in questo modo migliorando le performance di un prodotto esistente.

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La tesi tratta del progetto e della realizzazione di un riferimento in tensione simmetrico e stabile in temperatura, realizzato in tecnologia CMOS. Nella progettazione analogica ad alta precisione ha assunto sempre più importanza il problema della realizzazione di riferimenti in tensione stabili in temperatura. Nella maggior parte dei casi vengono presentati Bandgap, ovvero riferimenti in tensione che sfruttano l'andamento in temperatura dell'energy gap del silicio al fine di ottenere una tensione costante in un ampio range di temperatura. Tale architettura risulta utile nei sistemi ad alimentazione singola compresa fra 0 e Vdd essendo in grado di generare una singola tensione di riferimento del valore tipico di 1.2V. Nella tesi viene presentato un riferimento in tensione in grado di offrire le stesse prestazioni di un Bandgap per quanto riguarda la variazione in temperatura ma in grado di lavorare sia in sistemi ad alimentazione singola che ad alimentazione duale. Il circuito proposto e' in grado di generare due tensioni, simmetriche rispetto a un riferimento dato, del valore nominale di ±450mV. All'interno della tesi viene descritto il progetto di due diverse architetture, entrambe in grado di generare le tensioni con le specifiche richieste. Le due architetture sono poi state confrontate analizzando in particolare la stabilità in temperatura, la potenza dissipata, il PSRR (Power Supply Rejection Ratio) e la simmetria delle tensioni generate. Al termine dell'analisi è stato poi implementato su silicio il circuito che garantiva le prestazioni migliori. In sede di disegno del layout su silicio sono stati affrontati i problemi derivanti dall'adattamento dei componenti al fine di ottenere una maggiore insensibilità del circuito stesso alle incertezze legate al processo di realizzazione. Infine sono state effettuate le misurazioni attraverso una probe station a 4 sonde per verificare il corretto funzionamento del circuito e le sue prestazioni.

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Il patrimonio edilizio italiano è costituito in gran parte da costruzioni che utilizzano la muratura come struttura portante. Le conoscenze acquisite negli ultimi anni nel campo dell’ingegneria hanno reso evidente come le costruzioni in muratura siano state concepite, nel corso dei secoli, senza quegli accorgimenti che l’evoluzione delle tecniche moderne di analisi ha dimostrato essere necessari. Progettare un intervento edilizio su un edificio esistente, correlato anche alla valutazione di rischio sismico, e cercare di migliorare le prestazioni dello stesso edificio, richiede partire sempre dalla conoscenza delle caratteristiche statiche intrinseche che il materiale della muratura possiede. La conoscenza della patologia comporta l'indubbio vantaggio di mettere al corrente di cosa ci si può attendere nel futuro dal punto di vista strutturale, come ad esempio che il fenomeno non sarà eliminabile all'origine e che la fessura o lesione magari si riformerà sempre, a meno d’interventi statici rilevanti e di costi ingenti. Diventa quindi di fondamentale importanza eseguire uno studio approfondito dei fenomeni strutturali anomali di deterioramento, quali lesioni, fessurazioni e simili, legati spesso a fattori ambientali, attraverso specifiche indagini diagnostiche e di monitoraggio dello stato interno delle strutture, per definire le cause responsabili e il metodo più adeguato alla tutela dei beni storici [Mastrodicasa, 1993]. Il monitoraggio dei possibili parametri che influenzano tali processi può essere continuo nel tempo o per mezzo di metodologia discontinua che prevede l’utilizzo e la ripetizione di prove non distruttive. L’elevato costo di un eventuale processo continuo ha limitato significativamente la sua applicazione, riducendo lo studio all’analisi di pochi parametri derivanti dalle prove diagnostiche e spesso non del tutto adatti alla completa analisi della struttura. Il seguente lavoro di tesi è sviluppato all’interno del progetto SmooHS (Smart Monitoring of Historic Structures) nell’ambito del 7° Programma Quadro della Commissione Europea che si pone come obiettivo lo sviluppo di strumenti di monitoraggio innovativi ‘intelligenti’ e poco invasivi e modelli di degrado e la loro sperimentazione sul campo per verificarne l’effettiva efficacia attraverso il confronto con risultati di prove non distruttive. La normativa correlata a questo studio, “Norme Tecniche per le Costruzioni’ (D.M. 14/01/2008), evidenzia come ‘La conoscenza della costruzione storica in muratura è un presupposto fondamentale sia ai fini di un’attendibile valutazione della sicurezza sismica attuale sia per la scelta di un efficace intervento di miglioramento…. Si ha pertanto la necessità di affinare tecniche di analisi e interpretazione dei manufatti storici mediante fasi conoscitive dal diverso grado di attendibilità, anche in relazione al loro impatto. La conoscenza può, infatti, essere conseguita con diversi livelli di approfondimento, in funzione dell’accuratezza delle operazioni di rilievo, delle ricerche storiche, e delle indagini sperimentali. Tali operazioni saranno funzione degli obiettivi preposti e andranno a interessare tutto o in parte l’edificio, secondo la tipologia dell’intervento previsto’. L’utilizzo di ‘Tecniche diagnostiche non distruttive di tipo indiretto, quali prove soniche e ultrasoniche’ è preferibile poiché molto promettenti e hanno il pregio di poter essere utilizzate in modo diffuso con un relativo impatto sulla costruzione e costi relativamente contenuti. La non identificazione di una procedura univoca di prove non distruttive per ciascuna tipologia edilizia rende necessario uno studio di fattibilità di diverse tecniche per valutarne l’effettiva efficacia in base al risultato atteso. L’obiettivo di questo lavoro di tesi è stato lo studio sperimentale di valutazione dell’efficacia di alcune tecniche soniche in trasmissione, tomografia e prove soniche dirette, nel monitoraggio di provini precedentemente realizzati ad hoc nei laboratori LISG (Laboratorio di Ingegneria Strutturale e Geotecnica) del DICAM dell’Università di Bologna caratterizzati da presenze di discontinuità (vacui o inclusioni di polistirolo) o materiali differenti in determinate posizioni di geometria e localizzazione nota e diverse tessiture murarie (muratura di laterizio tradizionale, muratura a sacco, inclusioni lapidee). Il capitolo 1 presenta una descrizione generale delle murature, le cause principali di deterioramento e conseguenti dissesti. Presenta inoltre una finestra sulle prove diagnostiche. Nel capitolo 2 sono riportati alcuni esempi di applicazioni di tomografia e prove soniche e sviluppi di ricerca su strutture storiche lignee e murarie eseguite recentemente. Nel capitolo 3 sono presentati i provini oggetto di studio, la loro geometria, i difetti, le sezioni. Il capitolo 4 descrive i principi fisici delle prove soniche e grandezze caratteristiche e presenta la procedura di acquisizione e relative strumentazioni. I capitoli 5 e 6 riguardano lo studio sperimentale vero e proprio ottenuto attraverso l’utilizzo di tomografia sonica e prove dirette, con descrizione delle stazioni di prova, visualizzazione dei dati in tabelle per una semplice interpretazione, loro elaborazione e susseguente analisi approfondita, con valutazione dei risultati ottenuti e debite conclusioni. Il capitolo 7 presenta un confronto delle analisi comuni a entrambe le tipologie di prove soniche, visualizzazioni di istogrammi di paragone e considerazioni deducibili.

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Il web è cambiato! In questi ultimi anni internet ha subito grandi cambiamenti, è passato da un web formato da sole pagine ad un web fornitore di servizi. Questi servizi chiamati ‘Web Service’ vengono utilizzati ampiamente per sviluppare la maggior parte delle applicazioni web. A questo proposito, viene presentata brevemente la tecnologia dei Web Service, per passare successivamente ad analizzare due tipi di standard: quelli basati su SOAP con disegni strettamente accoppiati simili a chiamate di procedura e quelli basati su REST con disegni debolmente accoppiati, simili alla navigazione di link. Questa tesi si pone l’obiettivo di fornire informazioni sulle caratteristiche, l’interoperabilità, le differenze e l’implementazione dei due standard, descrivendo l’utilizzo di queste architetture in un contesto di informatica gestionale, nello specifico, lo scenario di Infor ERP LN.

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Negli ultimi anni, affianco ai succhi di frutta “classici” è sempre più importante la produzione di “nuovi succhi” che vengono formulati a partire da frutta non convenzionalmente utilizzata per la produzione di succo. Un esempio particolare è il melograno, ricco di sostanze come ellagitannini, antociani e altri derivati dell’acido gallico ed ellagico. Al melograno sono state attribuite differenti attività biologiche tra le quali effetti benefici a livello cardiovascolare ed intestinale, attività di prevenzione del cancro e altre patologie neurodegenarative. Non è ancora chiaro quali siano i costituenti che dimostrano avere tali proprietà. L’alto potere antiossidante degli ellagitannini ha fatto supporre che fossero essi stessi i responsabili di alcune attività benefiche. Tuttavia, è stato dimostrato che la loro biodisponibilità è molto bassa, in particolare, alcuni studi hanno dimostrato che essi vengono trasformati dalla flora batterica intestinale in urolitine, che, in quella forma, possono essere assorbiti nell’intestino. Per questo motivo si pensa che questi composti, formati a partire dai tannini, presenti nel melograno, siano i responsabili dell’attività. Questo lavoro sperimentale si colloca all’interno del progetto finanziato dalla Regione Emilia-Romagna; in particolare fa parte dell’OR4 “componenti alimentari che concorrano al mantenimento di uno stato di benessere fisico e riduca il rischio di contrarre malattie”. In questo lavoro sperimentale sono stati analizzati succhi di melograno ottenuti da arilli, i semi del melograno, di cultivar e provenienze geografiche diverse. Lo scopo è quello di mettere a punto metodiche analitiche strumentali avanzate (HPLC-ESI-TOF-MS) per la determinazione di antociani e altri composti fenolici nei succhi oggetto della sperimentazione e di identificare i composti presenti nei diversi campioni. La possibilità di utilizzare un analizzatore di massa come il TOF, infatti, permetterà di avere un’ottima accuratezza/sicurezza nell’identificazione dei composti fenolici nei campioni in esame. I metodi messi a punto verranno poi utilizzati per la determinazione dei composti fenolici nei diversi succhi di melograno.

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L’obiettivo del presente elaborato di tesi è stato quello di mettere a punto una metodica in estrazione in fase solida (SPE) per la determinazione dei composti polari, in alternativa alla metodica ufficiale prevista dalla Circ. Minisan 11.01.91 n.1. Durante la frittura avvengono diverse trasformazioni chimiche che portano alla formazione di composti polari come monogliceridi e digliceridi, acidi grassi liberi, acidi grassi dimeri e polimerizzati, trigliceridi dimeri e polimerizzati. Tali composti, dal punto di vista nutrizionale, sono quelli più importanti poiché rimangono nell’olio, sono assorbiti dall’alimento, e di conseguenza ingeriti. I composti polari hanno una notevole importanza a livello nutrizionale e fisiologico, infatti diversi studi hanno evidenziano come essi possano avere un impatto sull’organismo umano. In seguito a tutte queste motivazioni, per prevenire possibili rischi per il consumatore, derivanti dall’uso improprio o eccessivamente ripetuto di oli e grassi per frittura, l’Istituto Superiore di Sanità prevede che il tenore dei composti polari non debba essere superiore a 25 g/100 g, infatti i composti polari sono l’unico parametro sottoposto ad un controllo ufficiale negli oli da frittura. La metodica ufficiale per la determinazione dei composti polari negli oli da frittura, è descritta nella Circ. Minisan dell’11.1.91 n.1. Tuttavia, tale metodica presenta diverse problematiche, poiché richiede un’elevata manualità da parte dell’operatore ed elevati quantitativi di solventi, con il conseguente impatto economico ed ambientale. Nella fase di messa a punto della metodica SPE, sono stati considerati diversi parametri: tipo di fase stazionaria, quantità di olio, miscele eluenti (in diverse quantità e rapporti). E’ stata scelta l’oleina di palma come matrice di prova della messa a punto, perché è molto utilizzata in frittura e perché, tra gli oli da frittura, risulta essere quello con maggior contenuto in composti polari. I migliori risultati sono stati ottenuti con una colonnina SPE in gel di silice (55 µm, 70 A) avente una capacità di 5 g/20 mL, depositando 400 mg di olio ed eluendo il campione con 80 mL di esano: etere dietilico (90:10, v/v) (composti apolari), e 20 mL di etere dietilico (composti polari). L’efficienza separativa della SPE è stata verificata tramite gascromatografia. Per poter valutare la ripetibilità, efficienza ed attendibilità della metodica SPE, è stata utilizzata l’oleina di palma prima e dopo essere soggetta a diversi cicli di frittura (dopo il primo e quinto giorno di frittura), in modo da avere diversi livelli di composti polari sulla stessa matrice. La metodica SPE ha mostrato un’eccellente ripetibilità analitica intra-giorno, indipendentemente dal livello di composti polari rilevati nell’oleina di palma (14,1-25,5%); infatti, la ripetibilità intra-giorno non ha superato l’1,5%. Inoltre, la ripetibilità intra-giorno non ha subito modifiche in funzione del contenuto di composti polari. Di conseguenza, si è osservato anche un’ottima ripetibilità analitica inter-giorno, che è variata da 0,64% a l’1,18%. Entrambi valori di ripetibilità (intra ed inter-giorni) attestano che questa metodica in estrazione in fase solida può essere utilizzata per la valutazione dei composti polari negli oli da frittura. Confrontando i livelli medi di composti polari ottenuti tramite la metodica SPE e quella ufficiale applicate all’oleina di palma tal quale, dopo il primo e quinto giorno di frittura, sono state rilevate delle piccole differenze (non significative) tra le due metodiche, essendo i livelli di composti polari in tutti i casi leggermente superiori nei dati della SPE. Entrambe le metodiche hanno presentato un’ottima ripetibilità intra-giorno (< 1,5% e < 3,5% per la SPE e la metodica ufficiale, rispettivamente) e sono risultate comunque confrontabili tra loro. La metodica SPE e quella ufficiale sono state poi applicate anche su altri oli vegetali (extravergine di oliva, olio di girasole alto oleico: olio di palma (60:40, v/v) ed olio di palma: olio di girasole alto oleico (55:45, v/v) ) e confrontate. In effetti, è stato osservato che le percentuali dei composti polari rilevati nello stessa tipologia d’olio sono molto simili, indipendentemente dalla metodica con cui siano stati valutati; è stata infatti confermata un’eccellente correlazione lineare tra i dati. Questo stesso andamento è stato riscontrato negli oli sottoposti a diversi cicli di frittura, il che conferma che entrambe metodiche analitiche sono capaci di separare efficientemente ed in modo analogo i composti non polari da quelli polari. Negli oli analizzati, sono state trovate delle percentuali di composti polari diverse, strettamente correlate all’origine dell’olio, alla sua composizione ed al processo di estrazione. Per ultimo, l’analisi dei costi (che includeva materiali, solventi, personale, ed elettricità) di entrambe le metodiche analitiche ha confermato che l’analisi SPE costerebbe € 22-30, a differenza di quella ufficiale, il cui costo sarebbe di circa € 45. Tale differenza è dovuta principalmente ai costi legati all’operatore ed ai consumi di solventi e di elettricità. Pertanto, la metodica SPE è risultata essere più conveniente in termini economici, poiché porta ad un risparmio di ca. € 15-20 per analisi, oltre che ad un dimezzamento dei solventi. Un altro aspetto importante da sottolineare è il diverso tempo che ciascuna delle metodiche prevede per l’analisi dei composti polari, essendo nettamente più veloce la metodica SPE (circa 1,30 h) rispetto alla metodica ufficiale (circa 3 h). La metodica SPE qui sviluppata ha quindi dimostrato di avere un’efficienza separativa e ripetibilità simili a quella della metodica ufficiale, rendendo possibile una minore manipolazione da parte dell’operatore, tempi più brevi di analisi e l’impiego di bassi quantitativi di solventi, portando così ad una riduzione dell’impatto ambientale ed a costi inferiori di operazione. Pertanto, la metodica SPE può rappresentare una valida alternativa alla metodica ufficiale, prevista dalla Circ. Minisan 11.1.91 n.1.