86 resultados para palazzo castello Sarsina Casalecchio restauro Bernardini


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L’attenzione dei pochi automobilisti che oggi passano velocemente per via Cavalli, nella frazione di Santa Maria Nuova, sotto il comune di Bertinoro (FC), non viene attirata dal palazzo settecentesco seminascosto dalla vegetazione che cresce incolta. L’edificio potrebbe passare per un casolare di campagna abbandonato, senza alcuna pretesa di bellezza, mutilato dei suoi terreni. Solo salendo lo scalone dissestato si può scoprire la ricchezza delle decorazione interne, stucchi baroccheggianti con maschere di volti provenienti da terre lontane e abbondanti cornucopie che circondano lo stemma della famiglia Cavalli. La piccola cappella della villa, in perfetto stato di conservazione, mostra, con un trionfo di stucchi, l’assunzione della Vergine al cielo, osservata dai santi Pietro e Paolo. Le quattro stanze centrali del piano nobile sono finemente dipinte con paesaggi marini e lacustri, stanze sepolcrali egizie e atrii di templi antichi. La ravennate famiglia dei marchesi Cavalli, una delle più ricche della zona nel XVIII e XIX secolo, utilizzava la villa come luogo di villeggiatura e come casino per la caccia. Testimonianze della loro presenza sono conservate nelle mappe storiche all’Archivio del Comune di Bertinoro e nell’Archivio parrocchiale di Santa Maria Nuova, dove si trovano descrizioni della ricchezza sia dell’edificio che delle terre possedute dai marchesi. Il complesso di villa Cavalli ha subito numerosi passaggi di proprietà dal 1900 ad oggi, è stato utilizzato come magazzino, pollaio, essiccatoio per il tabacco e le sue proprietà sono state frazionate fino a ridursi al piccolo parco presente oggi. Poiché gli attuali proprietari non possono garantire né la manutenzione ordinaria né quella straordinaria e il complesso è tutelato dal D. Lgs. 42/2004 Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio è stato messo all’asta per tre volte, l’ultima nel dicembre 2011, senza risultato. La tesi sviluppa un’analisi dello stato di fatto della villa e del parco, partendo dal suo inserimento nel territorio fino allo studio dei dettagli costruttivi, per giungere ad un’ipotesi di progetto che vede il complesso strettamente legato a Santa Maria Nuova e alla sua gente. L’edificio fungerà da centro culturale, con mostre permanenti e temporanee, laboratori didattici, ludoteca per bambini e ospiterà la sede distaccata della biblioteca del comune di Bertinoro, ora inserita in un edificio di Santa Maria Nuova ma con dimensioni estremamente limitate. Si intendono effettuare interventi di consolidamento strutturale su tutti i solai della villa, su volte e copertura, con un atteggiamento di delicatezza verso il piano nobile, agendo dal piano inferiore e da quello superiore. Capitoli specifici trattano il restauro delle finiture e delle superfici dipinte e stuccate, per finire con l’intervento di adeguamento impiantistico e di valorizzazione del parco.

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La Rocca di Pierle è un castello allo stato di rudere che si trova nel comune di Cortona(AR). Il nostro intervento parte dall'analisi dell'edificio, tramite il rilievo con la stazione totale e il laser scanner. Questa è stata la base per una progettazione diretta verso la messa in sicurezza del manufatto.

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Questa tesi affronta il tema di un possibile progetto di restauro e di valorizzazione del paesaggio per i ruderi del Castello di Pianetto. La tesi si confronta così con diversi temi (in primis la conservazione dei manufatti superstiti, gli interventi sulla struttura vegetale, il progetto di fruizione dell’area) che, dato lo stato prolungato e persistente di abbandono del castello, si presentano come correlati l’uno all’altro, ponendo una serie di interrogativi. Tra questi, uno dei più importanti deriva dal fatto che il castello non sia mai stato oggetto di una campagna di scavo archeologico tesa a esplorarne l’eventuale deposito sepolto: come, dunque, coniugare un progetto di fruizione e di interventi sulla struttura vegetale con l’eventualità futura che il sito venga sottoposto ad una campagna di indagine archeologica?

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Il Palazzo è un'architettura ben presente nell’immaginario collettivo soprattutto per il fatto che sia comunemente indicato come l’antica dimora dei Manfredi, signori della città. Tanto importante da sollevare sulla stampa locale periodiche ondate di indignazione per il suo stato di abbandono. Il recente studio di Lucio Donati dimostra come gli antichi proprietari fossero in realtà i Bazolini prima e i Viarani poi. A conclusione dell’articolo proponeva quindi di chiamare il fabbricato secondo il nome dei reali proprietari. In questa tesi ho deciso invece di chiamare il fabbricato con il nome di Casa Caldesi. Il precario stato di conservazione indica l’urgenza di un pronto intervento di restauro. Questa tesi propone una delle possibili ipotesi di progetto. Visto lo stato delle cose ho scelto un progetto di restauro che prevedesse una funzione mista residenziale e ad uffici. Mantenendo lungo via Manfredi le vetrine e quindi la funzione commerciale al dettaglio negli spazi che già una volta ospitavano i negozi. Il progetto si è soffermato in particolare nel disegno delle residenze. L’obiettivo di ripristinare i grandi ambienti decorati è stato rispettato attraverso un paziente lavoro di distribuzione capace di conservare e valorizzare la bellezza dei locali, senza perdere i requisiti di funzionalità e comodità adeguati alle moderne residenze. Questa scelta funzionale anche se può sembrare scontata e compatibile con un palazzo che da sempre è stata una residenza, presenta tuttavia alcune problematiche. L’ipotesi di restauro quindi si pone il problema di organizzare gli spazi del palazzo in appartamenti ed uffici, ripristinare la spazialità di tutti i grandi ambienti decorati e renderli compatibili con le esigenze abitative odierne.

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Sulle prime pendici collinari tra Cesena e Rimini, in un punto strategico per il controllo del territorio, sorge il piccolo paese di Montiano. Palazzo Cattoli, oggetto della seguente Tesi, è situato in prossimità dell’imbocco al borgo, ai piedi della Rocca, e si configura come rara opportunità per poter riconoscere e comprendere la storia del sito e le molteplici trasformazioni avvenute nel corso del tempo. Costruito agli inizi del XVII secolo dalla famiglia Guidi, casata illustre per la realtà del luogo e dell’epoca, esso subirà ampliamenti e modificazioni sino alla metà del XX secolo riuscendo tuttavia a mantenere i suoi caratteri identitari. Il manufatto come villino di campagna fu interessato da due grossi accrescimenti nel XVIII secolo prima e nel XIX secolo poi divenendo così un vero e proprio esempio di palazzo nobiliare inserito in un contesto rurale. Fino all’abbandono totale, avvenuto poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il manufatto ospitò al suo interno funzioni residenziali adattandosi ai mutamenti imposti dal passaggio del tempo e di proprietà.

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L’oggetto della tesi è la parte del Palazzo Comunale di Imola detta Palazzo Nuovo. L’intendo è quello di promuovere una serie di interventi volti alla valorizzazione del palazzo, all'adeguamento normativo e al miglioramento sismico della struttura. Nella produzione della tesi si sono quindi succedute varie fasi partendo dalla ricerca storica che ha interessato l’intero Palazzo Comunale. Si è poi proseguito con analisi tematiche mirate a determinare le caratteristiche meccaniche, geometriche e tipologiche della fabbrica. Sono stati valutati gli orizzontamenti, gli allineamenti murari, l’IQM, l’IQCM. Parallelamente è stato individuato il quadro fessurativo delle strutture e il degrado delle superfici. È stato poi elaborato un progetto delle campagna di indagini diagnostiche prima di svolgere l’analisi del comportamento sismico e la valutazione dei cinematismi attivabili. In conclusione è stata elaborata una proposta di progetto che permette l’adeguamento dell’edificio alla normativa vigente e gli interventi per migliorarne il comportamento sismico.

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Il lavoro svolto consiste inizialmente in una presentazione generale della situazione attuale della viabilità sul territorio casalecchiese. Su di esso si affronteranno un buon numero di problematiche che rendono le strade, presenti sul territorio, a rischio di incidentalità. Inerente a questo si è analizzato i dati degli incidenti dell’ultimo anno avvenuti sul territorio attraverso il lavoro di raccolta dati effettuato dall’Osservatorio dell’incidentalità stradale della Provincia di Bologna. Dai dati ottenuti e dai rilevamenti effettuati nell’arco di questi quattro mesi passati nell’Ufficio Traffico del comune di Casalecchio di Reno, sulle strade comunali si è riscontrato una serie di situazione a rischio che ho presentato in un capitolo apposito e si è discusso anche le relative soluzioni di intervento. Tali situazioni comprendono sia strade leggermente attempate che necessitano di interventi di sistemazione, sia intersezioni a raso di vario tipo che presentano un ampio ventaglio di problematiche per la sicurezza stradale, sia attraversamenti pedonali non a norma, con situazioni al limite della sicurezza che necessitano di immediati interventi di sistemazione e messa in sicurezza. In particolare si è approfondito lo studio degli attraversamenti pedonali, presentando tutti i possibili scenari che questa particolare situazione può avere, elencando tutti i possibili interventi che si possono adottare al fine di ottimizzare la sicurezza e ridurre al minimo i rischi, ovvero ridurre il più possibile la probabilità che un incidente accada e il danno subito dal pedone. Infine si è studiato nello specifico una situazione di pericolo, fra quelle presentate, che probabilmente rappresenta una delle situazioni più a rischio presenti sul territorio casalecchiese: un attraversamento pedonale sulla via Porrettana, nei pressi del parco Rodari, situato all’incirca a mezzavia fra l’incrocio tra via Porrettana e via Calzavecchio, e la rotonda Biagi. Tale attraversamento pedonale, in alcuni orari della giornata assai utilizzato dai residenti del limitrofo quartiere Calzavecchio che raggiungono il parco Rodari e nel giorno di mercoledì mattina il mercato rionale situato accanto al parco, presenta flussi pedonali abbastanza corposi ed è situato su una strada caratterizzata da un elevato flusso veicolare. Dopo aver presentato in maniera approfondita la situazione attuale di tale attraversamento pedonale, si sono infine proposte due diverse soluzione di intervento: una da poter essere attuata nell’immediato, l’altra subito dopo che si ottenga la declassazione di via Porrettana, cioè all’incirca fra cinque o sei anni. Si è allegato, infine, come appendice, la Normativa che si è utilizzata al fine di progettare tali soluzioni.

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Per migliorare la lettura del territorio, al fine di facilitare gli interventi di pronto intervento, in seguito a sopralluoghi sul territorio, sono stati eseguiti interventi di riqualificazione della segnaletica d'indicazione e di miglioramento dell'accessibilità in alcune zone di Casalecchio di Reno, in collaborazione con 118 e 115.

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La città di Ferrara può essere considerata un unicum che emerge rispetto ad altre realtà urbane, pur dotate di loro peculiarità storiche e morfologiche. La base per la formazione di questa unicità, fu gettata dagli Este, e da Biagio Rossetti, che, con l'addizione erculea, raddoppiarono la superficie della città medioevale. L'addizione, fu realizzata per una previsione di aumento della popolazione,che mai si concretizzò, se non, in parte, nel corso dell'ultimo secolo. Ciò, si tradusse in una notevole stabilità del rapporto pieni/vuoti, all'interno della città: vuoti che divennero spazi verdi urbani, e pieni che, nonostante le ristrutturazioni divenute necessarie nel corso dei secoli, mantennero prevalentemente le volumetrie e i sedimi storici. Infatti, il verde degli orti e dei giardini del tessuto storico, costituisce un sistema inscindibile con il costruito, e ne caratterizza la forma urbana dall'interno. Nel corso del Novecento, il centro storico, subì notevoli cambiamenti, anche se gli interventi riguardarono prevalentemente i vuoti urbani, mantenendo quasi intatto l'esistente. L'immobilismo dei secoli passati, ha mantenuto Ferrara una città a misura d'uomo, non tormentata dal caotico traffico automobilistico delle città attuali;per le sue peculiarità, storiche e morfologiche, Ferrara fu dichiarata "Patrimonio dell'Umanità" dall'Unesco, ponendo fine ad eventuali modifiche del centro storico, che avrebbero potuto intaccarne i caratteri. L'area della quale ci occupiamo, nonostante si trovi all'interno del tessuto medioevale consolidato, ha subito delle importanti trasformazioni nel secolo scorso; il duecentesco Convento agostiniano di San Vito, che occupava gran parte dell'isolato, assieme ai giardini di Palazzo Schifanoia, fu demolito per far posto ad una nuova caserma; probabilmente perché il convento stesso, dopo le conquiste napoleoniche e con vicende alterne, era già adibito a tale funzione. La nuova caserma mal si inserisce nel tessuto urbano, poiché rappresenta un "fuori scala", un evidente distacco dal rapporto verde/costruito della città medioevale circostante. Fin dalle analisi dei primi piani regolatori del secondo dopoguerra, la caserma fu considerata un elemento incongruo con il tessuto esistente, prevedendone quindi la possibilità di demolizione; dagli anni '90, inoltre, l'area militare è inutilizzata, e oggigiorno, versa in una condizione di avanzato degrado superficiale. L'area di progetto, ha una grande importanza storica, poiché rappresentava il terzo polo estense di amministrazione del potere, dopo il Castello Estense, e l'area del Palazzo dei Diamanti. I palazzi estensi che caratterizzavano l'area in epoca rinascimentale, Palazzo Schifanoia, Palazzo Bonacossi e Palazzina Marfisa d'Este, sono sopravissuti, anche se profondamente cambiati in particolar modo negli spazi verdi. Il progetto che ci proponiamo di realizzare, vuole stabilire, un nuovo rapporto tra pieni e vuoti, basandoci sulla lettura della città storica, delle sue tipologie e peculiarità. Impostando il progetto sulla realizzazione concreta del Polo dei Musei Civici di Arte Antica di Ferrara, oggi esistente solo a livello burocratico e amministrativo, ridefiniamo una parte di città, attribuendole quella centralità nel tessuto storico, che già la caratterizzava in passato.

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La città di Ferrara può essere considerata un unicum che emerge rispetto ad altre realtà urbane, pur dotate di loro peculiarità storiche e morfologiche. La base per la formazione di questa unicità, fu gettata dagli Este, e da Biagio Rossetti, che, con l'addizione erculea, raddoppiarono la superficie della città medioevale. L'addizione, fu realizzata per una previsione di aumento della popolazione,che mai si concretizzò, se non, in parte, nel corso dell'ultimo secolo. Ciò, si tradusse in una notevole stabilità del rapporto pieni/vuoti, all'interno della città: vuoti che divennero spazi verdi urbani, e pieni che, nonostante le ristrutturazioni divenute necessarie nel corso dei secoli, mantennero prevalentemente le volumetrie e i sedimi storici. Infatti, il verde degli orti e dei giardini del tessuto storico, costituisce un sistema inscindibile con il costruito, e ne caratterizza la forma urbana dall'interno. Nel corso del Novecento, il centro storico, subì notevoli cambiamenti, anche se gli interventi riguardarono prevalentemente i vuoti urbani, mantenendo quasi intatto l'esistente. L'immobilismo dei secoli passati, ha mantenuto Ferrara una città a misura d'uomo, non tormentata dal caotico traffico automobilistico delle città attuali; per le sue peculiarità, storiche e morfologiche, Ferrara fu dichiarata "Patrimonio dell'Umanità" dall'Unesco, ponendo fine ad eventuali modifiche del centro storico, che avrebbero potuto intaccarne i caratteri. L'area della quale ci occupiamo, nonostante si trovi all'interno del tessuto medioevale consolidato, ha subito delle importanti trasformazioni nel secolo scorso; il duecentesco Convento agostiniano di San Vito, che occupava gran parte dell'isolato, assieme ai giardini di Palazzo Schifanoia, fu demolito per far posto ad una nuova caserma; probabilmente perché il convento stesso, dopo le conquiste napoleoniche e con vicende alterne, era già adibito a tale funzione. La nuova caserma mal si inserisce nel tessuto urbano, poiché rappresenta un "fuori scala", un evidente distacco dal rapporto verde/costruito della città medioevale circostante. Fin dalle analisi dei primi piani regolatori del secondo dopoguerra, la caserma fu considerata un elemento incongruo con il tessuto esistente, prevedendone quindi la possibilità di demolizione; dagli anni '90, inoltre, l'area militare è inutilizzata, e oggigiorno, versa in una condizione di avanzato degrado superficiale. L'area di progetto, ha una grande importanza storica, poiché rappresentava il terzo polo estense di amministrazione del potere, dopo il Castello Estense, e l'area del Palazzo dei Diamanti. I palazzi estensi che caratterizzavano l'area in epoca rinascimentale, Palazzo Schifanoia, Palazzo Bonacossi e Palazzina Marfisa d'Este, sono sopravissuti, anche se profondamente cambiati in particolar modo negli spazi verdi. Il progetto che ci proponiamo di realizzare, vuole stabilire, un nuovo rapporto tra pieni e vuoti, basandoci sulla lettura della città storica, delle sue tipologie e peculiarità. Impostando il progetto sulla realizzazione concreta del Polo dei Musei Civici di Arte Antica di Ferrara, oggi esistente solo a livello burocratico e amministrativo, ridefiniamo una parte di città, attribuendole quella centralità nel tessuto storico, che già la caratterizzava in passato.

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VILLA “CAPELLO - MORA”: PROGETTO DI RESTAURO E RIFUNZIONALIZZAZIONE Il restauro è da intendere come un intervento diretto sull’opera, e anche come sua eventuale modifica, condotta sempre sotto un rigoroso controllo tecnico-scientifico e storico-critico, se parliamo di conservazione, intendiamo l’operare in un intento di salvaguardia e di prevenzione, da attuare proprio per evitare che si debba poi intervenire con il restauro, che comprende un evento traumatico per il manufatto. Un seconda parola chiave in questo discorso è la “materia” il restauro interviene sulla materia di un monumento e questa costituisce il tramite dei valori culturali antichi, la sua conservazione e il suo restauro garantisce la trasmissione anche dei significati estetici, storici simbolici del costruito. Ma certamente influisce il tempo sulle cose per cui il progetto di restauro non può astenersi dall’intervenire, in una logica di minimo intervento, di reversibilità, di facile lettura. Il concetto di nuovo in un opera antica, concetto che a parere personale, pare centrare in pieno il problema. Il nuovo infatti “deve avere carattere di autonomia e di chiara leggibilità: come l’<> di Boito deve essere inequivocabilmente opera nuova, come prodotto figurativo e materiale autonomo, chiara ed inequivocabile espressione <>”. Ne deriva riassumendo che oggi l’obbiettivo deve essere quello di conservare da un lato senza non sotrarre altra materia alla fabbrica e di valorizzare, ossia aggiungere, nuove “presenze” di cultura contemporanea. Per questo si parlerà di progetto di restauro e rifunzionalizzazione. La fabbrica ha subito nel corso dell’ultimo decennio una serie di “rovinose” manomissioni, che a differenza di quelle operate in tempi più antichi (coincidenti con esigenze funzionali corrispondenti alla logica dell’adattare) appaiano ben più gravi, e contribuiscono a peggiorare la lettura del fabbricato. Il Veneto e soprattutto la zona intorno a Bassano del Grappa presenta una infinità di dimore padronali casini di caccia, resti di antiche residenze (colombare, oratori, ecc.) risalenti al periodo di maggior fioritura della residenza di “Villa” della Serenissima. Nel caso specifico di studio , quindi della rifunzionalizzazione dell’edificio, la domanda sorge spontanea; Come ristabilire un senso a questi spazi? E nell’ipotesi di poter realmente intervenire che cosa farne di questi oggetti?. E ultimo ma non ultimo in che modo poter ristabilire un “dialogo” con l’edificio in una lettura corretta del suo significato non solo per quel che riguarda la materia ma anche per ciò che ci trasmette nel “viverlo”, nell’usufruirne nel fatto stesso di poterlo vedere, passandoci davanti. tà. Lidea si forma prima ancora da un esigenza del territorio, il comune di Cassola dove ha sede la Villa,pur avendo un discreto numero di abitanti e collocandosi in posizione nevralgica in quanto molto vicino al centro diBasssano (ne è quasi la promulgazione), non possiede uno spazio espositivo /rappresentativo, un edificio a carattere pubblico, sede di “eventi” culturali locali e non. Villa Capello –Mora, potrebbe rispondere bene a questo tipo di utilizzo. Si è deciso di pensare ad un luogo a carattere espositivo che possa funzionare durante tutto l’anno e nei periodi etsivi includa anche il giardino esterno. Il progetto muove da due principi il principio di “reversibilità” e quello del “minimo intervento” sottolinenando volutamente che siano gli ogetti esposti e lo spazio dei locali a fare da protagonisti, Punti chiave nell’interpretazione degli spazi sono stati i percorsi, la “narrazione” degli oggetti esposti avviene per momenti e viene rimarcata nell’allestimento tramite i materiali i colori e le superfici espositive, perché nel momento in cui visito una mostra o un museo, è come se stessi vivendo la narrazione di un qualcosa, oggetto semplice od opera complessa che sia inteso nell’ambito museale-espositivo esso assume una capacità di trasmissione maggiore rispetto a qundo lo stesso ogetto si trova in un contesto differente, la luce e la sua disposizione nello spazio, fanno sì che il racconto sia narrato, bene o male, ancora più importante è lo sfondo su cui si staglia l’opera, che può essere chiuso, come una serie di scatole dentro la scatola (edificio) oppure aperto, con singole e indipendenti pannellature dove l’edificio riveste il carattere proprio di sfondo. Scelta la seconda delle due ipotesi, si è voluto rimarcare nella composizione degli interni i momenti della narrazione, così ad esempio accedendo dall’ingresso secondario (lato nord-ovest) al quale si è dato l’ingresso alla mostra, -superata la prima Hall- si viene, catapultati in uno spazio porticato in origine aperto e che prevediamo chiuso da una vetrata continua, portata a debita distanza dal colonnato. Questo spazio diventa la prima pagina del testo, una prima pagina bianca, uno spazio libero, di esposizione e non di relax e di presentazione dell’evento, uno spazio distributivo non votato solo a questo scopo, ma passibile di trasformazione. A rimarcare il percorso una pavimentazione in cemento lisciato, che invita l’accesso alle due sale espositive a sinista e a destra dell’edificio. Nell’ala a sinistra (rispetto al nord) si apre la stanza con camino seicentesco forse un tempo ad uso cucina? Sala che ospita dei pannelli a sospesi a muro e delle teche espositive appese a soffitto. L’ala di destra, diametralmente opposta, l’unica che al piano terra mantiene la pavimentazione originale, stabiliva il vero atrio d’entrata, nel XVII sec. riconoscibile da quattro colonne tuscaniche centrali a reggere un solaio ligneo, in questa stanza il percorso segnato a terra torna nella disposizione dei pannelli espositivi che si dispongono in un a formare un vero corridoio, tra uno e l’atro di questi pannelli degli spazi sufficienti a intravedere le colonne centrali, i due lati dello stretto percorso non sono paralleli e aprono in senso opposto a due restanti spazi dell’intero salone, La sala suddivisa così in queste tre parti - una di percorrenza due di esposizione - , risulta modificata nella lettura che ne annulla l’originale funzione. Questa nuova “forma”, non vuole essere permanente infatti i pannelli non sono fissi. la narrazione avviene così per momenti, per parti, , che non devono necessariamente far comprendere il “tutto”, ma suggerirlo. Così come per il percorso che non è obbligato ma suggerito. A terminare il piano altre due sale di minore dimensione e di modesto carattere, nelle quali sono presenti pannellature a parete come nella prima sala. L’allestimento prosegue al piano primo a cui si accede tramite due rampe, trattate nel progetto difformemente, in base al loro stato e al loro significato, la rampa più recente (XIX sec) rompe lo spazio al piano nobile stravolgendo l’ingresso a questo salone, che originariamente avveniva salendo dalla scala principale e oltrepassando un disimpegno. La scala ottocentesca introduce direttamente all’ambiente che ora risulta liberato dalle superfetazioni dello scorso secolo, mostrandosi come era stato previsto in origine. Questa rottura dello spazio viene marcata nel progetto da un volume che “imprigiona” la rampa e segna l’inizio della sala espositiva, la sala delle architetture. Al centro della sala in un gioco di pieni e vuoti i pannelli, espositivi, distaccati di poco gli uni dagli altri questa volta non a incorniciare delle colonne ma a richiamo delle pitture murali che raffiguranti una loggia alludono ad una lettura per “parti” e scandiscono lo spazio in una “processione” di eventi. A seguito del “gioco” sono presenti in senso ortogonale ai pannelli sopradescritti ulteriori pannellature appese ad una struttura metallica indipendente dalle capriate lignee. Tale struttura assume ad una duplice funzione, funge sia da irrigidimento della struttura (edificio) che da supporto alla pannellatura, ad essa infatti è collegata una fune, che entrerà in tensione, quando il pannello verrà ad appendersi. Infine questa fune passante da due puleggie permetterà al pannello di traslare da un lato all’altro dell’edificio, bloccandosi nella posizione desiderata tramite freno interno, azionato manualmente.

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Il progetto di percorso urbano ‘S’intende per restauro qualsiasi intervento volto a conservare e a trasmettere al futuro, facilitandone la lettura e senza cancellarne le tracce del passaggio nel tempo, le opere d’interesse storico, artistico e ambientale; esso si fonda sul rispetto della sostanza antica e delle documentazioni autentiche costituite da tali opere, proponendosi, inoltre, come atto d’interpretazione critica non verbale ma espressa nel concreto operare’ (G.Carbonara) Celate all’interno di edifici privati, ritrovate quasi sempre fortuitamente, ai più sconosciute, le pitture murali del Trecento riminese necessitano un processo di valorizzazione. Si tratta di portarle alla luce una seconda volta creando un percorso di riscoperta di queste opere nascoste, di cui raramente si è più sentito parlare dopo il clamore sollevato dalla mostra del 1935 organizzata da Brandi. Si parla quindi di un percorso conoscitivo. Un percorso urbano che tocchi i luoghi dove queste sono ancora conservate: l’antica chiesa di San Michelino in foro (oggi divisa tra più proprietari privati), la chiesa di Sant’Agostino, la cappella del campanile della chiesa di Santa Maria in Corte, la cappella del Crocifisso in San Nicolò al porto. Le chiese costituiranno le tappe di un percorso che si articolerà attraverso le strade medievali della città. Si verrà a creare quindi un percorso non solo alla scoperta delle pitture murali del XIII e XIV secolo, ma alla scoperta della Rimini del Trecento, delle sue vie, del suo sviluppo urbano. Si affronterà il problema del restauro delle pitture murali, ma sempre preoccupandosi della buona conservazione e del mantenimento del monumento nel suo insieme. Pittura murale e architettura sono, come sostiene Philippot, inscindibili: trattando una pittura murale, il restauratore tratta sempre e solo una parte di un insieme più vasto, che costituisce il tutto al quale egli si dovrà riferire, tanto dal punto di vista estetico e storico, quanto dal punto di vista tecnico . Per ogni chiesa si prevederà quindi, oltre al progetto di restauro della pittura, anche un progetto di fruizione dello spazio architettonico e di riconfigurazione dello stesso, quando necessario, ragionando caso per caso. Si è deciso di porre come origine del percorso l’antica chiesa di San Michelino. La motivazione di questa scelta risiede nel fatto che in questo edificio si è individuato il luogo adatto ad ospitare uno spazio espositivo dove raccontare la Rimini del Trecento. Uno spazio espositivo al servizio della città, con la progettazione del quale si cercherà di restituire unità agli ambienti dell’antica chiesa, oggi così frazionati tra troppi proprietari. Da San Michelino si continuerà verso la chiesa di Sant’Agostino, dove si trovano affreschi del Trecento riminese già molto noti e studiati. Ciò che si rende necessario in questo caso è la riconfigurazione architettonica e spaziale degli affreschi della parte bassa della cappella del campanile, staccati e trasferiti su pannelli negli anni ’70, oltre alla previsione di un sistema di monitoraggio degli affreschi stessi. La terza tappa del percorso sarà la chiesa di Santa Maria in Corte. Il ciclo di affreschi si trova all’interno della cappella del campanile, oggi chiusa al pubblico ed esclusa dallo spazio della chiesa dopo gli interventi barocchi. Abbiamo quindi pensato di proporre una soluzione che permetta una più agevole fruizione della cappella, progettando un’illuminazione e un percorso d’accesso adeguati. Più complesso è il caso di San Nicolò al porto, individuata come ultima tappa del percorso. Si tratta in questo caso della riconfigurazione di un intero isolato, che nel tempo ha perso totalmente il suo significato urbano riducendosi ad una sorta di spartitraffico. Qui si rendeva necessaria inoltre la progettazione di una nuova chiesa, presentando quella attuale seri problemi statici.