508 resultados para strutture fragili, joint, sequenza di deformazione, fronte reattivo, diffusione, avvezione


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Le strutture caratterizzate da una non coincidenza tra il baricentro delle masse e quello delle rigidezze, chiamate strutture eccentriche, sviluppano degli effetti torsionali se soggette ad un’eccitazione dinamica. Un’accurata analisi delle equazioni del moto di sistemi lineari e non lineari di strutture ad un singolo piano ha portato allo sviluppo di un metodo, detto metodo ALPHA, che, attraverso un parametro, detto parametro “alpha”, permette di stimare gli spostamenti di rotazione in funzione dei soli spostamenti longitudinali. Il limite di questo metodo, tuttavia, è quello di essere riferito a strutture ad un singolo piano, non comuni nella pratica progettuale: si è reso quindi necessario uno studio per testarne la validità anche per strutture multi piano, partendo da strutture semplici a due e tre piani. Data la semplicità del metodo ALPHA, si è deciso di affrontare questo problema cercando di cogliere il comportamento dei diversi piani della struttura multipiano con delle strutture ad un singolo piano. Sono state svolte numerose analisi numeriche in cui sono stati fatti variare i parametri di rigidezza, massa, eccentricità e distribuzione delle rigidezze dei vari piani; come indice di validità della struttura mono piano scelta si è utilizzato il rapporto tra il parametro “psi” dell’i-esimo piano e quello della struttura mono piano scelta, dove “psi” rappresenta il rapporto tra “R” ed “alpha”; “R” è il rapporto tra la massima rotazione e il massimo spostamento longitudinale per una struttura eccentrica soggetta ad un’eccitazione dinamica. Dai risultati ottenuti si deduce che, nella maggioranza dei casi, la struttura mono piano che meglio rappresenta il comportamento di tutti i piani è caratterizzata da massa e rigidezza dell’intera struttura multipiano, da un’eccentricità pari alla minore tra quelle dei vari piani e presenta la peggiore distribuzione delle rigidezze tra quelle che si riscontrano nei vari piani.

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Il lavoro svolto, in collaborazione con “Ducati Motor Holding”, si propone l’analisi, mediante l’applicazione di un software FEM (HyperWorks 9.0), delle strutture rappresentate dall’assieme paracoppa-parasassi e dal silenziatore. Il primo obiettivo consiste nell’ottenimento di un modello agli elementi finiti della struttura. Le simulazioni di calcolo consistono in analisi di tipo dinamico per determinare i modi di vibrare delle strutture. Sulla base di ulteriori simulazioni sulla risposta al transitorio del sistema si è studiato il loro comportamento nelle condizioni di funzionamento. La finalità del lavoro risiede dunque nella determinazione delle criticità strutturali che i componenti hanno manifestato durante prove sperimentali verificandole attraverso calcolo numerico e applicazione delle potenzialità del software applicato, per l’analisi degli aspetti sopra esposti.

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Complice l'entrata a far parte dell'Unione Europea e del risultante recepimento delle sue normative e sopratutto dei suoi principi, nel nostro Paese si sta verificando un sostanziale incremento delle realtà territoriali attivate sul fronte della raccolta differenziata. L'intercettazione delle frazioni compostabili (umido e scarti verdi) sta assumendo un ruolo di sempre maggior rilevanza quantitativa nella raccolta differenziata. Infatti dal 1997 al 2007 si è passati da circa 604.000 ton di frazioni raccolte a 2.368.000 ton. Questo sistema di recupero degli scarti organici è attualmente il più diffuso nel nostro Paese. Esso presenta indubbi problemi tecnico-gestionali, sopratutto riconducibili alle emissioni odorigene che raramente risultano però nocive o addirittura tossiche per la salute dell'ambiente e delle persone. Nonostante questo dato gli impianti di compostaggio incontrano spesso una diffusa e forte avversione da quella parte di popolazione interessata ad accogliere l'impianto sul proprio territorio rispetto anche ad impianti di indubbia maggior pericolosità. Per via di questo generale atteggiamento in Italia risulta pertanto esistere una normativa particolarmente stringente sulle garanzie ambientali necessarie per la realizzazione di impianti di compostaggio confrontata con quella europea. Questa normativa però lascia inalterata la difficoltà nella diffusione di un'impiantistica adeguata a rispondere alle necessità della raccolta differenziata. Questo problema risulta ancor più rilevante come nel caso dell'impianto oggetto di studio situato in ambiente altamente urbanizzato. In questi territori ad alta densità abitativa spesso si assiste alla degenerazione del sistema dove protratte conflittualità con la popolazione interessata ostacolano l'esercizio o portano alla temporanea cessazione delle attività degli impianti esistenti. Ulteriore problema risulta essere il fatto che anche in impianti nuovi criteri corretti di progettazione e costruzione risultano essere alle volte non sufficienti per evitare le precedenti problematiche, diventa quindi oltremodo difficoltoso ottenere gli stessi risultati intervenendo su impianti già esistenti con misure di riqualificazione adeguate e compatibili con la sostenibilità economica dell'impianto. Per tanto questa tesi si propone di individuare le problematiche esistenti e proporre soluzioni efficaci al rilevante problema delle emissioni odorigene che sembra caratterizzare questo impianto, tramite uno studio dello stato di fatto e l'analisi delle criticità riscontrate, concentrandosi in modo particolare sul biofiltro e sulla biofiltrazione, che sembra essere il problema principale che influenza la qualità delle emissioni. Il caso oggetto di questa tesi riguarda un impianto avviato nel 2004 che, dopo un lungo periodo di esercizio caratterizzato da problematiche ambientali mai pienamente risolte, è stato sottoposto dalla seconda metà del 2008 ad una semplice e sistematica revisione delle procedure gestionali e mirati interventi tecnici ed impiantistici nell'ambito di un percorso di risanamento e riqualificazione. 5

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L’obiettivo della presente dissertazione è la valutazione della vulnerabilità sismica del nucleo storico del complesso di San Giovanni in Monte a Bologna, con i metodi indicati nelle “Linee Guida” del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, secondo i livelli di valutazione LV1 ed LV3. Gli edifici oggetto di studio si inseriscono all’interno di un aggregato storico unico nel suo genere che ha avuto come centro di sviluppo la Chiesa di San Giovanni in Monte e successivamente il complesso costituito da Chiesa e monastero adiacente.

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Nel periodo storico compreso tra la seconda metà dell’Ottocento ed il primo ventennio del Novecento, un’ondata di innovazioni tecnologiche e scientifiche, unitamente all’espansione dell’industria siderurgica e la conseguente diffusione del ferro come materiale da costruzione, portarono alla realizzazione di strutture metalliche grandiose. Ciò fu reso possibile grazie ad una fervida attività di ricerca che permise la risoluzione di problematiche tecniche di assoluto rilievo, come la progettazione di grandi coperture o di ponti destinati al traffico ferroviario in grado di coprire luci sempre maggiori. In questo contesto si sviluppò il sistema della chiodatura come metodo di unione per il collegamento rigido e permanente dei vari elementi che compongono la struttura portante metallica. Ad oggi il sistema della chiodatura è stato quasi completamente sostituito dalla bullonatura di acciaio ad alta resistenza e dalla saldatura, che garantendo gli stessi standard di affidabilità e sicurezza, offrono vantaggi in termini economici e di rapidità esecutiva. Tuttavia lo studio delle unioni chiodate continua a rivestire notevole importanza in tutti quei casi in cui il progettista debba occuparsi di restauro, manutenzione o adeguamento di strutture esistenti che in molti casi continuano ad assolvere le funzioni per le quali erano state progettate. La valutazione delle strutture esistenti, in particolare i ponti, ha assunto un’importanza sempre crescente. L’incremento della mobilità e del traffico sulle infrastrutture di trasporto ha portato ad un incremento contemporaneo di carichi e velocità sui ponti. In particolare nelle ferrovie, i ponti rappresentano una parte strategica della rete ferroviaria e in molti casi, essi hanno già raggiunto i loro limiti di capacità di traffico, tanto è vero che l’età media del sessanta percento dei ponti metallici ferroviari è di un centinaio di anni. Pertanto i carichi di servizio, i cicli di sforzo accumulati a causa dei carichi da traffico e il conseguente invecchiamento delle strutture esistenti, inducono la necessità della valutazione della loro rimanente vita a fatica. In questo contesto, la valutazione delle condizioni del ponte e le conseguenti operazioni di manutenzione o sostituzione diventano indispensabili. Negli ultimi decenni sono state effettuate numerose iniziative di ricerca riguardo il comportamento a fatica dei ponti ferroviari chiodati, poiché le passate esperienze hanno mostrato che tali connessioni sono suscettibili di rotture per fatica. Da uno studio dell’ASCE Committee on Fatigue and Fracture Reliability è emerso che l’ottanta, novanta percento delle crisi nelle strutture metalliche è da relazionarsi ai fenomeni di fatica e frattura. Il danno per fatica riportato dai ponti chiodati è stato osservato principalmente sulle unioni tra elementi principali ed è causato dagli sforzi secondari, che si possono sviluppare in diverse parti delle connessioni. In realtà riguardo la valutazione della fatica sui ponti metallici chiodati, si è scoperto che giocano un ruolo importante molti fattori, anzitutto i ponti ferroviari sono soggetti a grandi variazioni delle tensioni indotte da carichi permanenti e accidentali, così come imperfezioni geometriche e inclinazioni o deviazioni di elementi strutturali comportano sforzi secondari che solitamente non vengono considerati nella valutazione del fenomeno della fatica. Vibrazioni, forze orizzontali trasversali, vincoli interni, difetti localizzati o diffusi come danni per la corrosione, rappresentano cause che concorrono al danneggiamento per fatica della struttura. Per questo motivo si studiano dei modelli agli elementi finiti (FE) che riguardino i particolari delle connessioni e che devono poi essere inseriti all’interno di un modello globale del ponte. L’identificazione degli elementi critici a fatica viene infatti solitamente svolta empiricamente, quindi è necessario che i modelli numerici di cui si dispone per analizzare la struttura nei particolari delle connessioni, così come nella sua totalità, siano il più corrispondenti possibile alla situazione reale. Ciò che ci si propone di sviluppare in questa tesi è un procedimento che consenta di affinare i modelli numerici in modo da ottenere un comportamento dinamico analogo a quello del sistema fisico reale. Si è presa in esame la seguente struttura, un ponte metallico ferroviario a binario unico sulla linea Bologna – Padova, che attraversa il fiume Po tra le località di Pontelagoscuro ed Occhiobello in provincia di Ferrara. Questo ponte fu realizzato intorno agli anni che vanno dal 1945 al 1949 e tra il 2002 e il 2006 ha subito interventi di innalzamento, ampliamento ed adeguamento nel contesto delle operazioni di potenziamento della linea ferroviaria, che hanno portato tra l’altro all’affiancamento di un nuovo ponte, anch’esso a singolo binario, per i convogli diretti nella direzione opposta. Le travate metalliche del ponte ferroviario sono costituite da travi principali a traliccio a gabbia chiusa, con uno schema statico di travi semplicemente appoggiate; tutte le aste delle travi reticolari sono formate da profilati metallici in composizione chiodata. In particolare si è rivolta l’attenzione verso una delle travate centrali, della quale si intende affrontare un’analisi numerica con caratterizzazione dinamica del modello agli Elementi Finiti (FEM), in modo da conoscerne lo specifico comportamento strutturale. Ad oggi infatti l’analisi strutturale si basa prevalentemente sulla previsione del comportamento delle strutture tramite modelli matematici basati su procedimenti risolutivi generali, primo fra tutti il Metodo agli Elementi Finiti. Tuttavia i risultati derivanti dal modello numerico possono discostarsi dal reale comportamento della struttura, proprio a causa delle ipotesi poste alla base della modellazione. Difficilmente infatti si ha la possibilità di riscontrare se le ipotesi assunte nel calcolo della struttura corrispondano effettivamente alla situazione reale, tanto più se come nella struttura in esame si tratta di una costruzione datata e della quale si hanno poche informazioni circa i dettagli relativi alla costruzione, considerando inoltre che, come già anticipato, sforzi secondari e altri fattori vengono trascurati nella valutazione del fenomeno della fatica. Nel seguito si prenderanno in esame le ipotesi su masse strutturali, rigidezze dei vincoli e momento d’inerzia delle aste di parete, grandezze che caratterizzano in particolare il comportamento dinamico della struttura; per questo sarebbe ancora più difficilmente verificabile se tali ipotesi corrispondano effettivamente alla costruzione reale. Da queste problematiche nasce l’esigenza di affinare il modello numerico agli Elementi Finiti, identificando a posteriori quei parametri meccanici ritenuti significativi per il comportamento dinamico della struttura in esame. In specifico si andrà a porre il problema di identificazione come un problema di ottimizzazione, dove i valori dei parametri meccanici vengono valutati in modo che le caratteristiche dinamiche del modello, siano il più simili possibile ai risultati ottenuti da elaborazioni sperimentali sulla struttura reale. La funzione costo è definita come la distanza tra frequenze proprie e deformate modali ottenute dalla struttura reale e dal modello matematico; questa funzione può presentare più minimi locali, ma la soluzione esatta del problema è rappresentata solo dal minimo globale. Quindi il successo del processo di ottimizzazione dipende proprio dalla definizione della funzione costo e dalla capacità dell’algoritmo di trovare il minimo globale. Per questo motivo è stato preso in considerazione per la risoluzione del problema, l’algoritmo di tipo evolutivo DE (Differential Evolution Algorithm), perché gli algoritmi genetici ed evolutivi vengono segnalati per robustezza ed efficienza, tra i metodi di ricerca globale caratterizzati dall’obiettivo di evitare la convergenza in minimi locali della funzione costo. Obiettivo della tesi infatti è l’utilizzo dell’algoritmo DE modificato con approssimazione quadratica (DE-Q), per affinare il modello numerico e quindi ottenere l’identificazione dei parametri meccanici che influenzano il comportamento dinamico di una struttura reale, il ponte ferroviario metallico a Pontelagoscuro.

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Il lavoro svolto nella presente tesi di laurea si sviluppa all’interno del progetto di ricerca europeo SmooHs (Smart Monitoring of Historic Structures-Monitoraggio intelligente di edifici e strutture storiche) nell’ambito del 7 Programma Quadro della Commissione Europea. Gli edifici storici sono caratterizzati da elementi architettonici, materiali e soluzioni progettuali uniche e pertanto da valorizzare. Al fine si salvaguardare tali beni storici si richiede una conoscenza approfondita dei processi di deterioramento, legati spesso a fattori ambientali, e una loro rilevazione immediata. Il monitoraggio continuo dei possibili parametri che influenzano i suddetti processi può contribuire significativamente, ma un’applicazione estesa di questa tecnica è finora fallita a causa dei costi elevati di sistemi completi di monitoraggio; per questo sono stati osservati solitamente pochi parametri. L’obiettivo del progetto prevede lo sviluppo di strumenti di monitoraggio e diagnostica competitivi per gli specialisti nel settore che vada al di là del mero accumulo di dati. La normativa, in particolare le Linee Guida per l’applicazione al patrimonio culturale della normativa tecnica di cui all’Ordinanza PCM-3274 del 2005, evidenziano l’importanza di raggiungere un elevato livello di informazione dell’oggetto e del suo comportamento strutturale attraverso un percorso conoscitivo pluriramificato. “Si ha pertanto la necessità di affinare tecniche di analisi ed interpretazione dei manufatti storici mediante fasi conoscitive dal diverso grado di attendibilità, anche in relazione al loro impatto. La conoscenza può infatti essere conseguita con diversi livelli di approfondimento, in funzione dell’accuratezza delle operazioni di rilievo, delle ricerche storiche e delle indagini sperimentali” (Linee guida per l’applicazione all patrimonio culturale della normativa tecnica di cui all’ordinanza PCM-3274, 2005). Per quanto riguarda la caratterizzazione meccanica dei materiali, la normativa cita “Tecniche diagnostiche non distruttive di tipo indiretto, quali prove soniche ed ultrasoniche, consentono di valutare l’omogeneità dei parametri meccanici nelle diverse parti della costruzione, ma non forniscono stime quantitative attendibili dei loro valori, in quanto essi vengono desunti dalla misura di altre grandezze”. Non viene identificata una procedura univoca di prove non distruttive per ciascuna tipologia edilizia, pertanto ci domandiamo quale sia la procedura più idonea da utilizzare, considerando il tipo di risultato che si vuole ottenere. Si richiedono quindi degli studi di fattibilità di diverse tecniche non distruttive, soprattutto tecniche per immagini che diano un risultato più immediato da comprendere. Per questo scopo è stato impostato un programma di ricerca per valutare l’efficacia di una tecnica non distruttiva, la tomografia sonica, su provini in muratura costruiti nei laboratori del LaRM (Laboratorio di Resistenza dei Materiali del DISTART dell’Università di Bologna), reputando questa la strada da percorrere verso una diagnostica strutturale sempre più dettagliata. I provini in muratura di laterizio PNDE e PNDF, presentano al loro interno dei difetti (in polistirolo espanso) di geometria e posizione nota e diverse tessiture murarie (muratura di laterizio tradizionale e muratura a sacco). Nel capitolo 2 vengono descritte le caratteristiche e le basi teoriche delle prove soniche e di altre tecniche non distruttive, al fine di poterne fare un confronto. La tomografia sonica è definita e sono illustrate le sue peculiarità; vengono inoltre riportati alcuni esempi di applicazioni della stessa su strutture storiche lignee e murarie. Nel capitolo 3 sono presentati i provini oggetto di studio ed introdotto qualche accenno sulla natura delle murature di laterizio. Sono specificati i corsi e le sezioni verticali sui quali viene sperimentata la tomografia; essi hanno precise caratteristiche che permettono di eseguire una sperimentazione mirata all’individuazione di anomalie in una sezione e al riconoscimento di diverse tessiture murarie. Nel capitolo 4 è illustrata la procedura di acquisizione dei dati in laboratorio e di rielaborazione degli stessi nella fase di post-processing. Dopo aver scelto, in base alla risoluzione, la distanza che intercorre tra le stazioni di misura, sono stati progettati i vari percorsi uscenti da ogni stazione trasmittente, andando a definire i ray-paths delle sezioni sia orizzontali che verticali. I software per il calcolo dei tempi di volo (in ambiente LabView) e per l’inversione degli stessi (Geotom) sono presentati e vengono definite le istruzioni per l’utilizzo. Il capitolo 5 assieme al capitolo 6, mostra i risultati ottenuti dall’inversione dei tempi di volo. Per i diversi corsi orizzontali e sezioni verticali sono riportate le mappe di velocità ottenute al variare di diversi parametri di settaggio impostati nel software tomografico. Le immagini tomografiche evidenziano le caratteristiche interne delle sezioni studiate, in base alla risoluzione geometrica della tecnica. Nel capitolo 7 e 8 sono mostrati i risultati delle prove soniche dirette applicate sia sui corsi verticali sia sulle sezioni verticali. Le stazioni di misura considerate sono le stesse utilizzate per la tomografia. Il capitolo 9 riporta il confronto tra le mappe di velocità prodotte dalla tomografia sonica e gli istogrammi delle velocità registrate nelle prove soniche dirette. Si evidenziano le differenze nell’individuazione di difetti tra due metodologie differenti. Infine sono riportate le conclusioni sul lavoro svolto. I limiti e i vantaggi della tecnica tomografica vengono desunti dai risultati ottenuti per varie tipologie di sezioni, a confronto anche con risultati di prove soniche dirette. Ciò ci porta a definire la fattibilità di utilizzo della tomografia sonica nella diagnosi delle strutture in muratura.

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Le aree costiere hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo economico, sociale e politico della maggior parte dei paesi; esse supportano infatti diversi ecosistemi produttivi che rendono disponibili beni e servizi. L'importanza economica delle aree costiere è destinata a una considerevole crescita a causa del costante aumento delle popolazioni, delle industrie e delle attività  ricreazionali che si concentrano sempre di più sulle coste e ciò può provocare un'alterazione delle linee di costa, imputabile a più fattori e un deterioramento delle condizioni naturali. E' necessario anche tenere da conto dei processi erosivi, sia imputabili a cause naturali (correnti oceaniche, movimenti di marea; azione del vento) sia a cause antropiche (subsidenza del terreno indotta dall'uomo, dragaggio al largo, riduzione del rifornimento di sedimento dai fiumi, distruzione di letti algali, paludi e dune sabbiose). A questo panorama va poi aggiunto il problema dell'innalzamento del livello del mare e dell'aumento delle frequenze di tempeste, come conseguenza del cambiamento climatico globale. In questo contesto quindi, le strutture rigide di difesa contro l'erosione e le mareggiate sono diventate molto comuni nelle aree costiere, coinvolgendo in alcune regioni più della metà della linea di costa. Il meccanismo di difesa attuato dalle barriere consiste nel provocare una riduzione dell'energia delle onde e conseguentemente in una limitazione della quantità di sedimento che viene da loro rimosso dalla spiaggia. La presenza di strutture rigide di difesa generalmente comporta una perdita di habitat di fondale molle e, a causa delle variazioni idrodinamiche che la loro presenza comporta, anche delle comunità ad esso associate, sia su scala locale, che su scala regionale. Uno dei problemi che tali strutture possono indurre è l'eccessiva deposizione di detrito prodotto dalle specie che si insediano sul substrato duro artificiale, che normalmente non fanno parte delle comunità "naturali" di fondo molle circostanti le strutture. Lo scopo di questo studio è stato quello di cercare di evidenziare gli effetti che la deposizione di tale detrito potesse avere sulle comunita meiobentoniche di fondale molle. A tale fine è stata campionata un'area antistante la località di Lido di Dante (RA), la quale è protetta dal 1996 da una struttura artificiale, per fronteggiare il problema dell'erosione della zona, in aumento negli ultimi decenni. La struttura è costituita da una barriera semisoffolta e tre pennelli, di cui uno completamente collegato alla barriera. A circa 50 m dalla barriera, e alla profondidi 4 m circa, è stato allestito un esperimento manipolativo in cui è stato valutato l'effetto della deposizione delle due specie dominanti colonizzanti la barriera, Ulva sp. e Mitili sp. sull'ambiente bentonico, e in particolare sulla comunità  di meiofauna. Ulva e Mitili sono stati posti in sacche di rete che sono state depositate sul fondo al fine di simulare la deposizione naturale di detrito, e tali sacche hanno costituito i trattamenti dell'esperimento, i quali sono stati confrontati con un Controllo, costituito da sedimento non manipolato, e un Controllo Procedurale, costituito da una sacca vuota. Il campionamento è stato fatto in tre occasioni nel giugno 2009 (dopo 2 giorni, dopo 7 giorni e dopo 21 giorni dall'allestimento dell'esperimento) per seguire la dinamica temporale degli effetti del detrito. Per ogni combinazione tempo/trattamento sono state prelevate 4 repliche, per un totale di 48 campioni. Successivamente sono stati prelevati ulteriori campioni di meiofauna in condizioni naturali. In particolare sono stati raccolti in due Posizioni diverse, all'Interno e all'Esterno del pennello posto più a Sud, e su due substrati differenti, rispettivamente Ulva proveniente dalle barriere e sedimento privo di detrito. Per ogni combinazione Posizione/Substrato sono state prelevate 3 repliche, ottenendo un totale di 12 campioni. Tutti i campioni prelevati sono stati poi trattati in laboratorio tramite la procedura di filtratura, pulizia e centrifuga indicata dal protocollo. A questa fase è seguito il sorting al microscopio, durante il quale la meiofauna è stata identificata ed enumerata a livello di taxa maggiori. Per quanto riguarda il taxon più abbondante, quello dei Nematodi, si è proceduto anche all'analisi della distribuzione della biomassa per classi di taglia, in quanto descrittore funzionale delle comunità. Per la costruzione degli spettri di biomassa per classi di taglia sono state misurate la lunghezza e larghezza dei primi 100 Nematodi presenti nei campioni. A partire da tali valori dimensionali è stata calcolata la biomassa di ogni individuo, usata poi per la costruzione dei size spectra, tramite tre metodiche messe a confronto: "Nematode Biomass Spectra" (NBS), "Normalised Nematode Biomass Spectra"(NNBS), "Mean Cumulative Biomass Spectra" (MC-NBS). Successivamente la composizione e la struttura della comunità meiobentonica, in termini di consistenza numerica e di rapporti reciproci di densità degli organismi che la compongono e variabili dimensionali, sono state analizzate mediante tecniche di analisi univariate e multivariate. Ciò che emerge generalmente dai risultati dell'esperimento è la mancanza di interazione significativa tra i due fattori, tempi e trattamenti, mentre sono risultati significativi i due fattori principali, considerati singolarmente. Tali esiti sono probabilmente imputabili all'elevata variabilità fra campioni dei trattamenti e delle patches di controllo. Nonostante ciò l'analisi dei risultati ottenuti permette di effettuare alcune considerazioni interessanti. L'analisi univariata ha mostrato che nel confronto tra trattamenti non ci sono differenze significative nel numero medio di taxa rinvenuti, mentre il livello di diversità e di equidistribuzione degli individui nei taxa differisce in maniera significativa, indicando che la struttura delle comunità varia in funzione dei trattamenti e non in funzione del tempo. Nel trattamento Ulva si osservano le densità più elevate della meiofauna totale imputabile prevalentemente alla densità dei Nematodi. Tuttavia, i valori di diversità e di equiripartizione non sono risultati più elevati nei campioni di Ulva, bensì in quelli di Mitili. Tale differenza potrebbe essere imputabile all'inferiorità numerica dei Nematodi nei campioni di Mitili. Questo andamento è stato giustificato dai differenti tempi di degradazione di Mitili e Ulva posti nelle sacche durante l'esperimento, dai quali emerge una più rapida degradazione di Ulva; inoltre la dimensione ridotta della patch analizzata, i limitati tempi di permanenza fanno sì che l'Ulva non rappresenti un fattore di disturbo per la comunità analizzata. Basandosi su questo concetto risulta dunque difficile spiegare l'inferiorità numerica dei Nematodi nei campioni del trattamento Mitili, in quanto i tempi di degradazione durante l'esperimento sono risultati più lenti, ma è anche vero che è nota l'elevata resistenza dei Nematodi ai fenomeni di ipossia/anossia creata da fenomeni di arricchimento organico. E' possibile però ipotizzare che la presenza delle valve dei Mitili aumenti la complessità dell'habitat e favorisca la colonizzazione da parte di più specie, tra cui specie predatrici. Tale effetto di predazione potrebbe provocare la riduzione dell'abbondanza media dei Nematodi rispetto a Ulva e al Controllo, in quanto i Nematodi costituiscono circa l'85% della meiofauna totale rinvenuta nei campioni. A tale riduzione numerica, però, non corrisponde un decremento dei valori medi di biomassa rilevati, probabilmente a causa del fatto che l'arricchimento organico dovuto ai Mitili stessi favorisca la permanenza degli individui più facilmente adattabili a tali condizioni e di dimensioni maggiori, oppure, la colonizzazione in tempi successivi delle patches a Mitili da parte di individui più grandi. Anche i risultati dell'analisi multivariata sono in accordo con quanto rilevato dall'analisi univariata. Oltre alle differenze tra tempi si evidenzia anche un'evoluzione della comunità nel tempo, in particolar modo dopo 7 giorni dall'allestimento dell'esperimento, quando si registrano il maggior numero di individui meiobentonici e il maggior numero di taxa presenti. Il taxon che ha risentito maggiormente dell'influenza dei tempi è quello degli Anfipodi, con densità maggiori nei campioni prelevati al secondo tempo e sul trattamento Ulva. E'importante considerare questo aspetto in quanto gli Anfipodi sono animali che comprendono alcune specie detritivore e altre carnivore; le loro abitudini detritivore potrebbero quindi aumentare il consumo e la degradazione di Ulva, spiegando anche la loro abbondanza maggiore all'interno di questo trattamento, mentre le specie carnivore potrebbero concorrere al decremento del numero medio di Nematodi nei Mitili. Un risultato inatteso della sperimentazione riguarda l'assenza di differenze significative tra trattamenti e controlli, come invece era lecito aspettarsi. Risultati maggiormente significativi sono emersi dall'analisi del confronto tra sedimento privo di detrito e sedimento contenente Ulva provenienti dal contesto naturale. Relativamente all'area esterna alla barriera, sono stati confrontati sedimento privo di detrito e quello sottostante l'Ulva, nelle condizioni sperimentali e naturali. Globalmente notiamo che all'esterno della barriera gli indici univariati, le densità totali di meiofauna, di Nematodi e il numero di taxa, si comportano in maniera analoga nelle condizioni sperimentali e naturali, riportando valori medi maggiori nei campioni prelevati sotto l'Ulva, rispetto a quelli del sedimento privo di detrito. Differente appare invece l'andamento delle variabili e degli indici suddetti riguardanti i campioni prelevati nell'area racchiusa all'interno della barriera, dove invece i valori medi maggiori si rilevano nei campioni prelevati nel sedimento privo di detrito. Tali risultati possono essere spiegati dall'alterazione dell'idrodinamismo esercitato dalla barriera, il quale provoca maggiori tempi di residenza del detrito con conseguente arricchimento di materia organica nell'area interna alla barriera. Le comunità dei sedimenti di quest'area saranno quindi adattate a tale condizioni, ma la deposizione di Ulva in un contesto simile può aggravare la situazione comportando la riduzione delle abbondanze medie dei Nematodi e degli altri organismi meiobentonici sopracitata. Per quel che riguarda i size spectra la tecnica che illustra i risultati in maniera più evidente è quella dei Nematode Biomass Spectra. I risultati statistici fornitici dai campioni dell'esperimento, non evidenziano effetti significativi dei trattamenti, ma a livello visivo, l'osservazione dei grafici evidenzia valori medi di biomassa maggiori nei Nematodi rilevati sui Mitili rispetto a quelli rilevati su Ulva. Differenze significative si rilevano invece a livello dei tempi: a 21 giorni dall'allestimento dell'esperimento infatti, le biomasse dei Nematodi misurati sono più elevate. Relativamente invece ai size spectra costruiti per l'ambiente naturale, mostrano andamento e forma completamente diversi e con differenze significative tra l'interno e l'esterno della barriera; sembra infatti che la biomassa nella zona interna sia inibita, portando a densità maggiori di Nematodi, ma di dimensioni minori. All'esterno della barriera troviamo invece una situazione differente tra i due substrati. Nel sedimento prelevato sotto l'Ulva sembra infatti che siano prevalenti le classi dimensionali maggiori, probabilmente a causa del fatto che l'Ulva tende a soffocare le specie detritivore, permettendo la sopravvivenza delle specie più grosse, composte da predatori poco specializzati, i quali si cibano degli organismi presenti sull'Ulva stessa. Nel sedimento privo di detrito, invece, la distribuzione all'interno delle classi segue un andamento completamente diverso, mostrando una forma del size spectra più regolare. In base a questo si può ipotizzare che la risposta a questo andamento sia da relazionarsi alla capacità di movimento dei Nematodi: a causa della loro conformazione muscolare i Nematodi interstiziali di dimensioni minori sono facilitati nel movimento in un substrato con spazi interstiziali ridotti, come sono nel sedimento sabbioso, invece Nematodi di dimensioni maggiori sono più facilitati in sedimenti con spazi interstiziali maggiori, come l'Ulva. Globalmente si evidenzia una risposta della comunità  bentonica all'incremento di detrito proveniente dalla struttura rigida artificiale, ma la risposta dipende dal tipo di detrito e dai tempi di residenza del detrito stesso, a loro volta influenzati dal livello di alterazione del regime idrodinamico che la struttura comporta. Si evince inoltre come dal punto di vista metodologico, le analisi univariate, multivariate e dei size spectra riescano a porre l'accento su diverse caratteristiche strutturali e funzionali della comunità. Rimane comunque il fatto che nonostante la comunità scientifica stia studiando metodiche "taxonomic free" emerge che, se da un lato queste possono risultare utili, dall'altro, per meglio comprendere l'evoluzione di comunità, è necessaria un'analisi più specifica che punti all'identificazione almeno delle principali famiglie. E'importante infine considerare che l'effetto riscontrato in questo studio potrebbe diventare particolarmente significativo nel momento in cui venisse esteso alle centinaia di km di strutture artificiali che caratterizzano ormai la maggior parte delle coste, la cui gestione dovrebbe tenere conto non soltanto delle esigenze economico-turistiche, e non dovrebbe prescindere dalla conoscenza del contesto ambientale in cui si inseriscono, in quanto, affiancati a conseguenze generali di tali costruzioni, si incontrano molti effetti sitospecifici.

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Lo studio riportato in questa tesi ha come scopo l’osservazione e la comprensione dei processi molecolari associati alla deposizione di CaCO3 nei polimorfi di calcite e aragonite nel mollusco gasteropode Haliotis rufescens. In particolare l’attenzione si è focalizzata sullo strato glicoproteico (green layer) che si trova inserito all’interno dell’ipostraco o strato madreperlaceo. Studi precedenti suggeriscono l’ipotesi che il green layer sia una struttura polifunzionale che svolge un ruolo attivo nell’induzione di crescita dei cristalli di carbonato di calcio nella conchiglia. All’analisi microscopica il green layer si presenta come un foglietto trilaminato. Sugli strati esterni è depositata aragonite nella forma prismatica da una parte e sferulitica dall’altra. All’interno è racchiuso un core proteico, formato da glicoproteine e ricco di chitina. Questa struttura tripartita conferisce al guscio calcareo nuove proprietà meccaniche, come la resistenza alle fratture molto maggiore rispetto al minerale naturale. Il green layer è stato trattato in ambiente alcalino, l’unico in grado di solubilizzarlo. È stato ottenuto del materiale proteico che è stato caratterizzato utilizzando SDS-PAGE, colorato con Blu Comassie e all’argento per visualizzarne la componente peptidica. Il green layer è fluorescente, sono state quindi eseguite analisi spettroscopiche sull’estratto peptidico per determinarne le proprietà chimo fisiche (dipendenza dal pH dell’intensità di fluorescenza). Sono stati eseguiti esperimenti di crescita dei cristalli di CaCO3 in ambiente saturo di CaCl2 in assenza e presenza del peptide e in assenza e presenza di Mg++. I cristalli sono stati osservati al microscopio elettronico a scansione (SEM) e al microscopio confocale. Da un punto di vista spettroscopico si osserva che, eccitando l’estratto alcalino del green layer a 280 nm e 295 nm, lunghezze d’onda caratteristiche degli aminoacidi aromatici, si ottiene uno spettro di emissione che presenta una forte banda centrata a 440 nm e una spalla a circa 350 nm, quest’ultima da ascrivere all’emissione tipica di aminoacidi aromatici. L’emissione di fluorescenza dell’estratto dal green layer dipende dal pH per tutte le bande di emissione; tale effetto è particolarmente visibile per lo spettro di emissione a 440 nm, la cui lunghezza d’onda di emissione e l’intensità dipendono dalla ionizzazione di aminoacidi acidi (pKa = 4) e dell’istidina (pKa = 6.5 L’emissione a 440 nm proviene invece da un’eccitazione il cui massimo di eccitazione è centrato a 350 nm, tipica di una struttura policiclica aromatica. Poiché nessun colorante estrinseco viene isolato dalla matrice del green layer a seguito dei vari trattamenti, tale emissione potrebbe derivare da una modificazione posttraduzionale di aminoacidi le cui proprietà spettrali suggeriscono la formazione di un prodotto di dimerizzazione della tirosina: la ditirosina. Questa struttura potrebbe essere la causa del cross-link che rende resistente il green layer alla degradazione da parte di agenti chimici ed enzimatici. La formazione di ditirosina come fenomeno post-traduzionale è stato recentemente acquisito come un fenomeno di origine perossidativa attraverso la formazione di un radicale Tyr ed è stato osservato anche in altri organismi caratterizzati da esoscheletro di tipo chitinoso, come gli insetti del genere Manduca sexta. Gli esperimenti di cristallizzazione in presenza di estratto di green layer ne hanno provato l’influenza sulla nucleazione dei cristalli. In presenza di CaCl2 avviene la precipitazione di CaCO3 nella fase calcitica, ma la conformazione romboedrica tipica della calcite viene modificata dalla presenza del peptide. Inoltre aumenta la densità dei cristalli che si aggregano a formare strutture sferiche di cristalli incastrati tra loro. Aumentando la concentrazione di peptide, le sfere a loro volta si uniscono tra loro a formare strutture geometriche sovrapposte. In presenza di Mg++, la deposizione di CaCO3 avviene in forma aragonitica. Anche in questo caso la morfologia e la densità dei cristalli dipendono dalla concentrazione dello ione e dalla presenza del peptide. È interessante osservare che, in tutti i casi nei quali si sono ottenute strutture cristalline in presenza dell’estratto alcalino del green layer, i cristalli sono fluorescenti, a significare che il peptide è incluso nella struttura cristallina e ne induce la modificazione strutturale come discusso in precedenza. Si osserva inoltre che le proprietà spettroscopiche del peptide in cristallo ed in soluzione sono molto diverse. In cristallo non si ha assorbimento alla più corta delle lunghezze d’onda disponibili in microscopia confocale (405 nm) bensì a 488 nm, con emissione estesa addirittura sino al rosso. Questa è un’indicazione, anche se preliminare, del fatto che la sua struttura in soluzione e in cristallo è diversa da quella in soluzione. In soluzione, per un peptide il cui peso molecolare è stimato tra 3500D (cut-off della membrana da dialisi) e 6500 D, la struttura è, presumibilmente, totalmente random-coil. In cristallo, attraverso l’interazione con gli ioni Ca++, Mg++ e CO3 -- la sua conformazione può cambiare portando, per esempio, ad una sovrapposizione delle strutture aromatiche, in modo da formare sistemi coniugati non covalenti (ring stacking) in grado di assorbire ed emettere luce ad energia più bassa (red shift).

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Questa tesi si propone di presentare e classificare per caratteristiche simili i protocolli di routing che ad oggi sono utilizzati nelle Cognitive Radio Ad Hoc Networks. Pertanto dapprima nel Capitolo 1 si introdurranno le radio cognitive con i concetti che sono alla base di questa tecnologia e le principali motivazioni che hanno portato alla loro nascita e poi al loro sviluppo. Nel Capitolo 2 si parlerà delle cognitive networks o meglio delle cognitive radio networks, e delle loro peculiarità. Nel terzo e nel quarto capitolo si affronteranno le CRAHNs e in particolare quali sono le sfide a cui devono far fronte i protocolli di routing che operano su di essa, partendo dall'esaminare quali sono le differenze che distinguono questa tipologia di rete da una classica rete wireless ad hoc con nodi in grado di muoversi nello spazio (una MANET). Infine nell'ultimo capitolo si cercherà di classificare i protocolli in base ad alcune loro caratteristiche, vedendo poi più nel dettaglio alcuni tra i protocolli più usati.

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Prima di procedere con il progetto sono state fatte sezioni storiche dell’area, in epoche indicative, per comprendere quelle che sono le invarianti e le caratteristiche di tale tessuto. Da qui si è dedotto lo schema generatore dell’insediamento che parte dall’identificazione degli assi viari (pedonali e carrabili) già presenti nell’area, che fanno diretto riferimento allo schema cardo-decumanico generatore dell’impianto angioino della città. Con il tracciamento si individuano gli isolati base, che con variazioni formali e tipologiche hanno originato gli edifici di progetto. I corpi di fabbrica generatori della planimetria, dialogano e rimangono a stretto contatto con i pochi edifici agibili, per i quali sono previsti consolidamenti e ristrutturazioni, qualora necessari. Inevitabile è stato il confronto con l’orografia, prestando particolare attenzione a non annullare con l’inserimento degli edifici il dislivello presente, ma lasciarlo percepire chiaramente: l’attacco a terra di ogni edificio avviene gradualmente, passando dai due piani fuori terra a monte ai tre, quattro a valle. Ovviamente non tutti gli assi sono stati trattati allo stesso modo, ma conseguentemente alla loro funzione e carattere di utilizzo. Analizzando la struttura viaria dell’intera area, si presentano schematicamente due anelli di circonvallazione del centro urbano: uno più esterno, di più recente costruzione, rappresentato da via XX Settembre, e uno più vecchio, che rimane rasente al centro storico, costituito dal viale Duca Degli Abruzzi, che prosegue in viale Giovanni XXIII e termina nel viadotto Belvedere. Quest’ultimo asse rappresenta sicuramente un importante collegamento cittadino, sia per la vicinanza al centro, sia per le porzioni di città messe in comunicazione; nonostante ciò il viadotto ha subito, all’altezza di viale Nicolò Persichetti, uno smottamento dopo il 6 aprile, ed essendo un elemento di scarso valore architettonico e spaziale, la sua presenza è stata ripensata. Compiendo una deviazione su via XX Settembre al termine di viale Duca Degli Abruzzi, che va a sfruttare la già presente via Fonte Preturo, non si va a rivoluzionante l’odierno assetto, che confluisce comunque, qualche centinaio di metri dopo, in via XX Settembre è si eliminano le connotazioni negative che il viadotto avrebbe sul rinnovato ingresso al centro storico. La vivibilità tende a favorire così collegamento e all’eterogeneità degli spazi più che la separazione fisica e psicologica: il concetto di città fa riferimento alla vita in comune; per favorirla è importante incentivare i luoghi di aggregazione, gli spazi aperti. Dalle testimonianze degli aquilani la vita cittadina vedeva il centro storico come principale luogo d’incontro sociale. Esso era animato dal numeroso “popolo” di studenti, che lo manteneva attivo e vitale. Per questo nelle intenzioni progettuali si pone l’accento su una visione attiva di città con un carattere unitario come sostiene Ungers3. La funzione di collegamento, che crea una struttura di luoghi complementari, può essere costituita dal sistema viario e da quello di piazze (luoghi sociali per eccellenza). Via Fontesecco ha la sua terminazione nell’omonima piazza: questo spazio urbano è sfruttato, nella conformazione attuale, come luogo di passaggio, piuttosto che di sosta, per questo motivo deve essere ricalibrato e messo in relazione ad un sistema più ampio di quello della sola via. In questo sistema di piazze rientra anche la volontà di mettere in relazione le emergenze architettoniche esistenti nell’area e nelle immediate vicinanze, quali la chiesa e convento dell’Addolorata, Palazzo Antonelli e la chiesa di San Domenico (che si attestano tutte su spazi aperti), e la chiesa di San Quinziano su via Buccio di Ranallo. In quest’ottica l’area d’intervento è intesa come appartenente al centro storico, parte del sistema grazie alla struttura di piazze, e allo stesso tempo come zona filtro tra centro e periferia. La struttura di piazze rende l’area complementare alla trama di pieni e vuoti già presente nel tessuto urbano cittadino; la densità pensata nel progetto, vi si accosta con continuità, creando un collegamento con l’esistente; allontanandosi dal centro e avvicinandosi quindi alle più recenti espansioni, il tessuto muta, concedendo più spazio ai vuoti urbani e al verde. Via Fontesecco, il percorso che delimita il lato sud dell’area, oltre ad essere individuata tra due fronti costruiti, è inclusa tra due quinte naturali: il colle dell’Addolorata (con le emergenze già citate) e il colle Belvedere sul quale s’innesta ora il viadotto. Questi due fronti naturali hanno caratteri molto diversi tra loro: il colle dell’Addolorata originariamente occupato da orti, ha un carattere urbano, mentre il secondo si presenta come una porzione di verde incolto e inutilizzato che può essere sfruttato come cerniera di collegamento verticale. Lo stesso declivio naturale del colle d’Addolorata che degrada verso viale Duca Degli Abruzzi, viene trattato nel progetto come una fascia verde di collegamento con il nuovo insediamento universitario. L’idea alla base del progetto dell’edilizia residenziale consiste nel ricostruire insediamenti che appartengano parte della città esistente; si tratta quindi, di una riscoperta del centro urbano e una proposta di maggior densità. Il tessuto esistente è integrato per ottenere isolati ben definiti, in modo da formare un sistema ben inserito nel contesto. Le case popolari su via Fontesecco hanno subito con il sisma notevoli danni, e dovendo essere demolite, hanno fornito l’occasione per ripensare all’assetto del fronte, in modo da integrarlo maggiormente con il tessuto urbano retrostante e antistante. Attualmente la conformazione degli edifici non permette un’integrazione ideale tra i percorsi di risalita pedonale al colle dell’Addolorata e la viabilità. Le scale terminano spesso nella parte retrostante gli edifici, senza sfociare direttamente su via Fontesecco. Si è quindi preferito frammentare il fronte, che rispecchiasse anche l’assetto originario, prima cioè dell’intervento fascista, e che consentisse comunque una percezione prospettica e tipologica unitaria, e un accesso alla grande corte retrostante. Il nuovo carattere di via Fontesecco, risultante dalle sezioni stradali e dalle destinazioni d’uso dei piani terra degli edifici progettuali, è quello di un asse commerciale e di servizio per il quartiere. L’intenzione, cercando di rafforzare l’area di progetto come nuovo possibile ingresso al centro storico, è quella di estendere l’asse commerciale fino a piazza Fontesecco, in modo da rendere tale spazio di aggregazione vitale: “I luoghi sono come monadi, come piccoli microcosmi, mondi autonomi, con tutte le loro caratteristiche, pregi e difetti, inseriti in un macrocosmo urbano più grande, che partendo da questi piccoli mondi compone una metropoli e un paesaggio”.4[...] Arretrando verso l’altura dell’Addolorata è inserita la grande corte del nuovo isolato residenziale, anch’essa con servizi (lavanderie, spazi gioco, palestra) ma con un carattere diverso, legato più agli edifici che si attestano sulla corte, anche per l’assenza di un accesso carrabile diretto; si crea così una gerarchia degli spazi urbani: pubblico sulla via e semi-pubblico nella corte pedonale. La piazza che domina l’intervento (piazza dell’Addolorata) è chiusa da un edificio lineare che funge da “quinta”, il centro civico. Molto flessibile, presenta al suo interno spazi espositivi e un auditorium a diretta disposizione del quartiere. Sempre sulla piazza sono presenti una caffetteria, accessibile anche dal parco, che regge un sistema di scale permettendo di attraversare il dislivello con la “fascia” verde del colle, e la nuova ala dell’Hotel “Duca degli Abruzzi”, ridimensionata rispetto all’originale (in parte distrutto dal terremoto), che si va a collegare in maniera organica all’edificio principale. Il sistema degli edifici pubblici è completo con la ricostruzione del distrutto “Istituto della Dottrina Cristiana”, adiacente alla chiesa di San Quinziano, che va a creare con essa un cortile di cui usufruiscono gli alunni di questa scuola materna ed elementare. Analizzando l’intorno, gran parte dell’abitato è definito da edifici a corte che, all’interno del tessuto compatto storico riescono a sopperire la mancanza di spazi aperti con corti, più o meno private, anche per consentire ai singoli alloggi una giusta illuminazione e areazione. Nel progetto si passa da due edifici a corti semi-private, chiusi in se stessi, a un sistema più grande e complesso che crea un ampio “cortile” urbano, in cui gli edifici che vi si affacciano (case a schiera e edifici in linea) vanno a caratterizzare gli spazi aperti. Vi è in questa differenziazione l’intenzione di favorire l’interazione tra le persone che abitano il luogo, il proposito di realizzare elementi di aggregazione più privati di una piazza pubblica e più pubblici di una corte privata. Le variazioni tipologiche degli alloggi poi, (dalla casa a schiera e i duplex, al monolocale nell’edilizia sociale) comportano un’altrettanta auspicabile mescolanza di utenti, di classi sociali, età e perché no, etnie diverse che permettano una flessibilità nell’utilizzo degli spazi pubblici.