347 resultados para aggregati muratura indici vulnerabilità sismica mirandola
Resumo:
Lo studio del processo produttivo del riciclo di materiali provenienti da attività di C&D in un impianto di nuova realizzazione, presentato in questa tesi di laurea,è così articolato: nel primo capitolo si analizza la complicata evoluzione della normativa in materia di rifiuti (non solo da C&D) su scala europea e nazionale accennando i provvedimenti legislativi su scala regionale, con particolare riferimento alla Regione Veneto. Si esamineranno, pertanto, le direttive e le decisioni della Comunità Europea che hanno ispirato, a partire dal 1975, i provvedimenti legislativi nazionali, tra cui vale la pena di ricordare il “Decreto Ronchi”, emanato nel febbraio del 1997, l’attuale D.Lgs. 3/4/2006 n.152, e i Decreti Ministeriali di riferimento per la materia di studio, ovvero il D.M. 5/2/1998, riguardante l’individuazione dei rifiuti per cui è possibile procedere al loro trattamento in regime semplificato e l’ancora poco attuato D.M.8/5/2003 n.203, riferito all’utilizzo di materiale riciclato nelle Pubbliche Amministrazioni. Il secondo capitolo definisce, invece, le caratteristiche principali dei rifiuti da C&D, appartenenti alla categoria dei rifiuti inerti, e delinea le odierne problematiche inerenti a tali materiali. A conferma di queste, nella seconda parte del capitolo, sono presentati alcuni dati che fotografano oggettivamente gli scenari attuali in Europa e in Italia in riferimento alla produzione, al recupero e allo smaltimento di questa categoria di rifiuti. In seguito, il terzo capitolo inizia a definire gli aspetti relativi alla realizzazione di un impianto di studio per il riciclo di rifiuti da C&D. In esso si evidenziano le procedure amministrative, gli adempimenti burocratici e in generale tutti gli aspetti inerenti alla gestione dei rifiuti da C&D per l’esecuzione delle attività di recupero e smaltimento previste dal D.Lgs. n.152/2006, così come modificato dal recentissimo D.Lgs. n.4/2008. Il quarto capitolo definisce i termini per poter considerare i rifiuti da C&D trattati in impianto come MPS. L’attenzione è riposta sulla Direttiva 89/106/CEE, che impone obbligatoriamente, dal 01/06/2004, la marcatura CE per tutti i prodotti da costruzione e, quindi, anche per gli aggregati riciclati. Pertanto, in questo capitolo, vengono definite le prove richieste obbligatoriamente dal D.M 11/4/2007 in accordo con la norma europea UNI EN 13242 recante “Aggregati per materiali non legati e legati con leganti idraulici per l'impiego in opere di ingegneria civile e nella costruzione di strade" ed, in conclusione, viene studiata la Circolare n.5205/2005 che dovrebbe dare attuazione nel settore edile, stradale e ambientale al D.M. n.203/2003. Successivamente, il quinto capitolo delinea le caratteristiche principali degli impianti di trattamento per il recupero dei rifiuti da C&D, delineando le principali differenze tra gli impianti fissi e i mobili ed esaminando le diverse fasi del ciclo produttivo, anche in relazione ad un impianto di studio situato nella provincia di Verona. Infine, il sesto capitolo riassume i risultati delle prove di marcatura CE per gli aggregati riciclati prodotti nell’impianto descritto. Tali prove sono state eseguite presso il Laboratorio di Strade della Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Bologna.
Resumo:
La tesi tratta l’identificazione delle proprietà dissipative del sistema di collegamento fra nuclei in c.a. e telai metallici, disposto all’interno di una struttura specifica, il corpo ‘D’ dell’Ospedale Maggiore di Bologna. Sviluppa anche la calibrazione delle caratteristiche meccaniche di un sistema sostitutivo del precedente, al fine di ottenere selezionate prestazioni sismiche, sviluppando nel complesso un’innovativa soluzione strutturale che vede il posizionamento di dispositivi dissipativi isteretici tra telai pendolari e strutture di controventamento.
Resumo:
Il 6 aprile 2009 una scossa sismica del sesto grado della scala Richter ha colpito la città dell'Aquila e i centri urbani limitrofi, provocando ingenti danni e la quasi totale distruzione del centro storico aquilano. Il sisma ha provocato più di 300 vittime e 65000 sfollati sistemati in tendopoli, alberghi e moduli abitativi provvisori. Risolta l'emergenza dei primi mesi ci si trova ad affrontare il problema della ricostruzione vera e propria della città, la quale non può prescindere dalle decisioni sul futuro del centro storico. La parte "intra moenia" dell'Aquila è il centro nevralgico della città, qui si trovano i caratteri identitari di essa, i quali si perdono appena oltrepassata la cinta muraria. Il tessuto che parte dalle porte urbiche e prosegue verso la periferia è infatti frammentario e disorganizzato. Scopo principale del progetto è quello di fornire un'idea concreta per la ricostruzione del quartiere di Santa croce, una parte di centro storico ad oggi priva di identità e quasi interamente distrutta dal sisma. Accanto alle necessità di ricostruire alloggi e servizi, si pone l'obiettivo di fondare un nuovo quartiere che riprenda i tracciati storici e completi questa parte della città con una nuova identità legata al passato della stessa.
Resumo:
Il lavoro svolto nella presente tesi di laurea si sviluppa all’interno del progetto di ricerca europeo SmooHs (Smart Monitoring of Historic Structures-Monitoraggio intelligente di edifici e strutture storiche) nell’ambito del 7 Programma Quadro della Commissione Europea. Gli edifici storici sono caratterizzati da elementi architettonici, materiali e soluzioni progettuali uniche e pertanto da valorizzare. Al fine si salvaguardare tali beni storici si richiede una conoscenza approfondita dei processi di deterioramento, legati spesso a fattori ambientali, e una loro rilevazione immediata. Il monitoraggio continuo dei possibili parametri che influenzano i suddetti processi può contribuire significativamente, ma un’applicazione estesa di questa tecnica è finora fallita a causa dei costi elevati di sistemi completi di monitoraggio; per questo sono stati osservati solitamente pochi parametri. L’obiettivo del progetto prevede lo sviluppo di strumenti di monitoraggio e diagnostica competitivi per gli specialisti nel settore che vada al di là del mero accumulo di dati. La normativa, in particolare le Linee Guida per l’applicazione al patrimonio culturale della normativa tecnica di cui all’Ordinanza PCM-3274 del 2005, evidenziano l’importanza di raggiungere un elevato livello di informazione dell’oggetto e del suo comportamento strutturale attraverso un percorso conoscitivo pluriramificato. “Si ha pertanto la necessità di affinare tecniche di analisi ed interpretazione dei manufatti storici mediante fasi conoscitive dal diverso grado di attendibilità, anche in relazione al loro impatto. La conoscenza può infatti essere conseguita con diversi livelli di approfondimento, in funzione dell’accuratezza delle operazioni di rilievo, delle ricerche storiche e delle indagini sperimentali” (Linee guida per l’applicazione all patrimonio culturale della normativa tecnica di cui all’ordinanza PCM-3274, 2005). Per quanto riguarda la caratterizzazione meccanica dei materiali, la normativa cita “Tecniche diagnostiche non distruttive di tipo indiretto, quali prove soniche ed ultrasoniche, consentono di valutare l’omogeneità dei parametri meccanici nelle diverse parti della costruzione, ma non forniscono stime quantitative attendibili dei loro valori, in quanto essi vengono desunti dalla misura di altre grandezze”. Non viene identificata una procedura univoca di prove non distruttive per ciascuna tipologia edilizia, pertanto ci domandiamo quale sia la procedura più idonea da utilizzare, considerando il tipo di risultato che si vuole ottenere. Si richiedono quindi degli studi di fattibilità di diverse tecniche non distruttive, soprattutto tecniche per immagini che diano un risultato più immediato da comprendere. Per questo scopo è stato impostato un programma di ricerca per valutare l’efficacia di una tecnica non distruttiva, la tomografia sonica, su provini in muratura costruiti nei laboratori del LaRM (Laboratorio di Resistenza dei Materiali del DISTART dell’Università di Bologna), reputando questa la strada da percorrere verso una diagnostica strutturale sempre più dettagliata. I provini in muratura di laterizio PNDE e PNDF, presentano al loro interno dei difetti (in polistirolo espanso) di geometria e posizione nota e diverse tessiture murarie (muratura di laterizio tradizionale e muratura a sacco). Nel capitolo 2 vengono descritte le caratteristiche e le basi teoriche delle prove soniche e di altre tecniche non distruttive, al fine di poterne fare un confronto. La tomografia sonica è definita e sono illustrate le sue peculiarità; vengono inoltre riportati alcuni esempi di applicazioni della stessa su strutture storiche lignee e murarie. Nel capitolo 3 sono presentati i provini oggetto di studio ed introdotto qualche accenno sulla natura delle murature di laterizio. Sono specificati i corsi e le sezioni verticali sui quali viene sperimentata la tomografia; essi hanno precise caratteristiche che permettono di eseguire una sperimentazione mirata all’individuazione di anomalie in una sezione e al riconoscimento di diverse tessiture murarie. Nel capitolo 4 è illustrata la procedura di acquisizione dei dati in laboratorio e di rielaborazione degli stessi nella fase di post-processing. Dopo aver scelto, in base alla risoluzione, la distanza che intercorre tra le stazioni di misura, sono stati progettati i vari percorsi uscenti da ogni stazione trasmittente, andando a definire i ray-paths delle sezioni sia orizzontali che verticali. I software per il calcolo dei tempi di volo (in ambiente LabView) e per l’inversione degli stessi (Geotom) sono presentati e vengono definite le istruzioni per l’utilizzo. Il capitolo 5 assieme al capitolo 6, mostra i risultati ottenuti dall’inversione dei tempi di volo. Per i diversi corsi orizzontali e sezioni verticali sono riportate le mappe di velocità ottenute al variare di diversi parametri di settaggio impostati nel software tomografico. Le immagini tomografiche evidenziano le caratteristiche interne delle sezioni studiate, in base alla risoluzione geometrica della tecnica. Nel capitolo 7 e 8 sono mostrati i risultati delle prove soniche dirette applicate sia sui corsi verticali sia sulle sezioni verticali. Le stazioni di misura considerate sono le stesse utilizzate per la tomografia. Il capitolo 9 riporta il confronto tra le mappe di velocità prodotte dalla tomografia sonica e gli istogrammi delle velocità registrate nelle prove soniche dirette. Si evidenziano le differenze nell’individuazione di difetti tra due metodologie differenti. Infine sono riportate le conclusioni sul lavoro svolto. I limiti e i vantaggi della tecnica tomografica vengono desunti dai risultati ottenuti per varie tipologie di sezioni, a confronto anche con risultati di prove soniche dirette. Ciò ci porta a definire la fattibilità di utilizzo della tomografia sonica nella diagnosi delle strutture in muratura.
Resumo:
Le aree costiere hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo economico, sociale e politico della maggior parte dei paesi; esse supportano infatti diversi ecosistemi produttivi che rendono disponibili beni e servizi. L'importanza economica delle aree costiere è destinata a una considerevole crescita a causa del costante aumento delle popolazioni, delle industrie e delle attività ricreazionali che si concentrano sempre di più sulle coste e ciò può provocare un'alterazione delle linee di costa, imputabile a più fattori e un deterioramento delle condizioni naturali. E' necessario anche tenere da conto dei processi erosivi, sia imputabili a cause naturali (correnti oceaniche, movimenti di marea; azione del vento) sia a cause antropiche (subsidenza del terreno indotta dall'uomo, dragaggio al largo, riduzione del rifornimento di sedimento dai fiumi, distruzione di letti algali, paludi e dune sabbiose). A questo panorama va poi aggiunto il problema dell'innalzamento del livello del mare e dell'aumento delle frequenze di tempeste, come conseguenza del cambiamento climatico globale. In questo contesto quindi, le strutture rigide di difesa contro l'erosione e le mareggiate sono diventate molto comuni nelle aree costiere, coinvolgendo in alcune regioni più della metà della linea di costa. Il meccanismo di difesa attuato dalle barriere consiste nel provocare una riduzione dell'energia delle onde e conseguentemente in una limitazione della quantità di sedimento che viene da loro rimosso dalla spiaggia. La presenza di strutture rigide di difesa generalmente comporta una perdita di habitat di fondale molle e, a causa delle variazioni idrodinamiche che la loro presenza comporta, anche delle comunità ad esso associate, sia su scala locale, che su scala regionale. Uno dei problemi che tali strutture possono indurre è l'eccessiva deposizione di detrito prodotto dalle specie che si insediano sul substrato duro artificiale, che normalmente non fanno parte delle comunità "naturali" di fondo molle circostanti le strutture. Lo scopo di questo studio è stato quello di cercare di evidenziare gli effetti che la deposizione di tale detrito potesse avere sulle comunita meiobentoniche di fondale molle. A tale fine è stata campionata un'area antistante la località di Lido di Dante (RA), la quale è protetta dal 1996 da una struttura artificiale, per fronteggiare il problema dell'erosione della zona, in aumento negli ultimi decenni. La struttura è costituita da una barriera semisoffolta e tre pennelli, di cui uno completamente collegato alla barriera. A circa 50 m dalla barriera, e alla profondità di 4 m circa, è stato allestito un esperimento manipolativo in cui è stato valutato l'effetto della deposizione delle due specie dominanti colonizzanti la barriera, Ulva sp. e Mitili sp. sull'ambiente bentonico, e in particolare sulla comunità di meiofauna. Ulva e Mitili sono stati posti in sacche di rete che sono state depositate sul fondo al fine di simulare la deposizione naturale di detrito, e tali sacche hanno costituito i trattamenti dell'esperimento, i quali sono stati confrontati con un Controllo, costituito da sedimento non manipolato, e un Controllo Procedurale, costituito da una sacca vuota. Il campionamento è stato fatto in tre occasioni nel giugno 2009 (dopo 2 giorni, dopo 7 giorni e dopo 21 giorni dall'allestimento dell'esperimento) per seguire la dinamica temporale degli effetti del detrito. Per ogni combinazione tempo/trattamento sono state prelevate 4 repliche, per un totale di 48 campioni. Successivamente sono stati prelevati ulteriori campioni di meiofauna in condizioni naturali. In particolare sono stati raccolti in due Posizioni diverse, all'Interno e all'Esterno del pennello posto più a Sud, e su due substrati differenti, rispettivamente Ulva proveniente dalle barriere e sedimento privo di detrito. Per ogni combinazione Posizione/Substrato sono state prelevate 3 repliche, ottenendo un totale di 12 campioni. Tutti i campioni prelevati sono stati poi trattati in laboratorio tramite la procedura di filtratura, pulizia e centrifuga indicata dal protocollo. A questa fase è seguito il sorting al microscopio, durante il quale la meiofauna è stata identificata ed enumerata a livello di taxa maggiori. Per quanto riguarda il taxon più abbondante, quello dei Nematodi, si è proceduto anche all'analisi della distribuzione della biomassa per classi di taglia, in quanto descrittore funzionale delle comunità. Per la costruzione degli spettri di biomassa per classi di taglia sono state misurate la lunghezza e larghezza dei primi 100 Nematodi presenti nei campioni. A partire da tali valori dimensionali è stata calcolata la biomassa di ogni individuo, usata poi per la costruzione dei size spectra, tramite tre metodiche messe a confronto: "Nematode Biomass Spectra" (NBS), "Normalised Nematode Biomass Spectra"(NNBS), "Mean Cumulative Biomass Spectra" (MC-NBS). Successivamente la composizione e la struttura della comunità meiobentonica, in termini di consistenza numerica e di rapporti reciproci di densità degli organismi che la compongono e variabili dimensionali, sono state analizzate mediante tecniche di analisi univariate e multivariate. Ciò che emerge generalmente dai risultati dell'esperimento è la mancanza di interazione significativa tra i due fattori, tempi e trattamenti, mentre sono risultati significativi i due fattori principali, considerati singolarmente. Tali esiti sono probabilmente imputabili all'elevata variabilità fra campioni dei trattamenti e delle patches di controllo. Nonostante ciò l'analisi dei risultati ottenuti permette di effettuare alcune considerazioni interessanti. L'analisi univariata ha mostrato che nel confronto tra trattamenti non ci sono differenze significative nel numero medio di taxa rinvenuti, mentre il livello di diversità e di equidistribuzione degli individui nei taxa differisce in maniera significativa, indicando che la struttura delle comunità varia in funzione dei trattamenti e non in funzione del tempo. Nel trattamento Ulva si osservano le densità più elevate della meiofauna totale imputabile prevalentemente alla densità dei Nematodi. Tuttavia, i valori di diversità e di equiripartizione non sono risultati più elevati nei campioni di Ulva, bensì in quelli di Mitili. Tale differenza potrebbe essere imputabile all'inferiorità numerica dei Nematodi nei campioni di Mitili. Questo andamento è stato giustificato dai differenti tempi di degradazione di Mitili e Ulva posti nelle sacche durante l'esperimento, dai quali emerge una più rapida degradazione di Ulva; inoltre la dimensione ridotta della patch analizzata, i limitati tempi di permanenza fanno sì che l'Ulva non rappresenti un fattore di disturbo per la comunità analizzata. Basandosi su questo concetto risulta dunque difficile spiegare l'inferiorità numerica dei Nematodi nei campioni del trattamento Mitili, in quanto i tempi di degradazione durante l'esperimento sono risultati più lenti, ma è anche vero che è nota l'elevata resistenza dei Nematodi ai fenomeni di ipossia/anossia creata da fenomeni di arricchimento organico. E' possibile però ipotizzare che la presenza delle valve dei Mitili aumenti la complessità dell'habitat e favorisca la colonizzazione da parte di più specie, tra cui specie predatrici. Tale effetto di predazione potrebbe provocare la riduzione dell'abbondanza media dei Nematodi rispetto a Ulva e al Controllo, in quanto i Nematodi costituiscono circa l'85% della meiofauna totale rinvenuta nei campioni. A tale riduzione numerica, però, non corrisponde un decremento dei valori medi di biomassa rilevati, probabilmente a causa del fatto che l'arricchimento organico dovuto ai Mitili stessi favorisca la permanenza degli individui più facilmente adattabili a tali condizioni e di dimensioni maggiori, oppure, la colonizzazione in tempi successivi delle patches a Mitili da parte di individui più grandi. Anche i risultati dell'analisi multivariata sono in accordo con quanto rilevato dall'analisi univariata. Oltre alle differenze tra tempi si evidenzia anche un'evoluzione della comunità nel tempo, in particolar modo dopo 7 giorni dall'allestimento dell'esperimento, quando si registrano il maggior numero di individui meiobentonici e il maggior numero di taxa presenti. Il taxon che ha risentito maggiormente dell'influenza dei tempi è quello degli Anfipodi, con densità maggiori nei campioni prelevati al secondo tempo e sul trattamento Ulva. E'importante considerare questo aspetto in quanto gli Anfipodi sono animali che comprendono alcune specie detritivore e altre carnivore; le loro abitudini detritivore potrebbero quindi aumentare il consumo e la degradazione di Ulva, spiegando anche la loro abbondanza maggiore all'interno di questo trattamento, mentre le specie carnivore potrebbero concorrere al decremento del numero medio di Nematodi nei Mitili. Un risultato inatteso della sperimentazione riguarda l'assenza di differenze significative tra trattamenti e controlli, come invece era lecito aspettarsi. Risultati maggiormente significativi sono emersi dall'analisi del confronto tra sedimento privo di detrito e sedimento contenente Ulva provenienti dal contesto naturale. Relativamente all'area esterna alla barriera, sono stati confrontati sedimento privo di detrito e quello sottostante l'Ulva, nelle condizioni sperimentali e naturali. Globalmente notiamo che all'esterno della barriera gli indici univariati, le densità totali di meiofauna, di Nematodi e il numero di taxa, si comportano in maniera analoga nelle condizioni sperimentali e naturali, riportando valori medi maggiori nei campioni prelevati sotto l'Ulva, rispetto a quelli del sedimento privo di detrito. Differente appare invece l'andamento delle variabili e degli indici suddetti riguardanti i campioni prelevati nell'area racchiusa all'interno della barriera, dove invece i valori medi maggiori si rilevano nei campioni prelevati nel sedimento privo di detrito. Tali risultati possono essere spiegati dall'alterazione dell'idrodinamismo esercitato dalla barriera, il quale provoca maggiori tempi di residenza del detrito con conseguente arricchimento di materia organica nell'area interna alla barriera. Le comunità dei sedimenti di quest'area saranno quindi adattate a tale condizioni, ma la deposizione di Ulva in un contesto simile può aggravare la situazione comportando la riduzione delle abbondanze medie dei Nematodi e degli altri organismi meiobentonici sopracitata. Per quel che riguarda i size spectra la tecnica che illustra i risultati in maniera più evidente è quella dei Nematode Biomass Spectra. I risultati statistici fornitici dai campioni dell'esperimento, non evidenziano effetti significativi dei trattamenti, ma a livello visivo, l'osservazione dei grafici evidenzia valori medi di biomassa maggiori nei Nematodi rilevati sui Mitili rispetto a quelli rilevati su Ulva. Differenze significative si rilevano invece a livello dei tempi: a 21 giorni dall'allestimento dell'esperimento infatti, le biomasse dei Nematodi misurati sono più elevate. Relativamente invece ai size spectra costruiti per l'ambiente naturale, mostrano andamento e forma completamente diversi e con differenze significative tra l'interno e l'esterno della barriera; sembra infatti che la biomassa nella zona interna sia inibita, portando a densità maggiori di Nematodi, ma di dimensioni minori. All'esterno della barriera troviamo invece una situazione differente tra i due substrati. Nel sedimento prelevato sotto l'Ulva sembra infatti che siano prevalenti le classi dimensionali maggiori, probabilmente a causa del fatto che l'Ulva tende a soffocare le specie detritivore, permettendo la sopravvivenza delle specie più grosse, composte da predatori poco specializzati, i quali si cibano degli organismi presenti sull'Ulva stessa. Nel sedimento privo di detrito, invece, la distribuzione all'interno delle classi segue un andamento completamente diverso, mostrando una forma del size spectra più regolare. In base a questo si può ipotizzare che la risposta a questo andamento sia da relazionarsi alla capacità di movimento dei Nematodi: a causa della loro conformazione muscolare i Nematodi interstiziali di dimensioni minori sono facilitati nel movimento in un substrato con spazi interstiziali ridotti, come sono nel sedimento sabbioso, invece Nematodi di dimensioni maggiori sono più facilitati in sedimenti con spazi interstiziali maggiori, come l'Ulva. Globalmente si evidenzia una risposta della comunità bentonica all'incremento di detrito proveniente dalla struttura rigida artificiale, ma la risposta dipende dal tipo di detrito e dai tempi di residenza del detrito stesso, a loro volta influenzati dal livello di alterazione del regime idrodinamico che la struttura comporta. Si evince inoltre come dal punto di vista metodologico, le analisi univariate, multivariate e dei size spectra riescano a porre l'accento su diverse caratteristiche strutturali e funzionali della comunità. Rimane comunque il fatto che nonostante la comunità scientifica stia studiando metodiche "taxonomic free" emerge che, se da un lato queste possono risultare utili, dall'altro, per meglio comprendere l'evoluzione di comunità, è necessaria un'analisi più specifica che punti all'identificazione almeno delle principali famiglie. E'importante infine considerare che l'effetto riscontrato in questo studio potrebbe diventare particolarmente significativo nel momento in cui venisse esteso alle centinaia di km di strutture artificiali che caratterizzano ormai la maggior parte delle coste, la cui gestione dovrebbe tenere conto non soltanto delle esigenze economico-turistiche, e non dovrebbe prescindere dalla conoscenza del contesto ambientale in cui si inseriscono, in quanto, affiancati a conseguenze generali di tali costruzioni, si incontrano molti effetti sitospecifici.
Resumo:
La presente dissertazione illustra lo studio, svolto in ambito di Tesi di Laurea Specialistica, della difesa delle aree di pianura prospicienti il tratto medio inferiore del Fiume Po dalle cosiddette piene al limite della prevedibilità, ovvero quelle aventi intensità al di sopra della quale le procedure di stima statistica perdono di significato a causa della mancanza di eventi osservati confrontabili (Majone, Tomirotti, 2006). In questo contesto si è definito come evento di piena al limite della prevedibiltà un evento con tempo di ritorno pari a cinquecento anni. Lo studio ha necessariamente preso in considerazione e riprodotto attraverso una schematizzazione concettuale le esondazioni all'esterno delle arginature maestre che si verificherebbero in conseguenza ad un evento estremo, quale quello preso in esame, nei comparti idraulici prospicienti l'asta fluviale. Detti comparti sono costituiti dalle zone di pianura latistanti l’asta fluviale, classificate dall'Autorità di Bacino come Fascia C e suddivise in base alla presenza degli affluenti principali del fiume Po e delle principali infrastrutture viarie e ferroviarie situate in tale fascia. Il presente studio persegue l’obiettivo di analizzare alcune politiche di intervento per la mitigazione del rischio alluvionale alternative al sovralzo e ringrosso arginale e ricade all'interno delle linee strategiche individuate dall' AdB-Po per la mitigazione del rischio residuale, ossia quello che permane anche in presenza di opere di difesa progettate e verificate con riferimento ad un ben preciso tempo di ritorno (nel caso in esame Trit = 200 anni). Questa linea di intervento si traduce praticamente individuando sul territorio aree meno "sensibili", in virtù del minor valore o dell'inferiore vulnerabilità dei beni in esse presenti, e dunque adatte ad accogliere i volumi di piena esondabili in occasione di quegli eventi di piena incompatibili con i presidi idraulici preesistenti, le sopra richiamate piene al limite della prevedibilità. L'esondazione controllata dei volumi di piena in tali aree avrebbe infatti il fine di tutelare le aree di maggior pregio, interessate da centri abitati, infrastrutture e beni di vario tipo; tale controllo è da considerarsi auspicabile in quanto sedici milioni di persone abitano la zona del bacino del Po e qui sono concentrati il 55% del patrimonio zootecnico italiano, il 35% della produzione agricola e il 37% delle industrie le quali però sostengono il 46% dei posti di lavoro (fonte AdB-Po). Per questi motivi il Po e il suo bacino sono da considerare come zone nevralgiche per l’intera economia italiana e una delle aree europee con la più alta concentrazione di popolazione, industrie e attività commerciali. Dal punto di vista economico, l’area è strategica per il Paese garantendo un PIL che copre il 40% di quello nazionale, grazie alla presenza di grandi industrie e di una quota rilevante di piccole e medie imprese, nonché d’attività agricole e zootecniche diffuse. Il punto di partenza è stato il modello numerico quasi-bidimensionale precedentemente sviluppato dal DISTART nel 2008 con il software HEC-RAS, la cui schematizzazione geometrica copriva unicamente l'alveo del Fiume (Fasce A e B secondo la denominazione adottata dall'AdB-Po) e le cui condizioni iniziali e al contorno rispecchiavano un evento con tempo di ritorno pari a duecento anni. Si è proceduto dunque alla definizione di nuove sollecitazioni di progetto, volte a riprodurre nelle sezioni strumentate del Po gli idrogrammi sintetici con tempo di ritorno di cinquecento anni messi a punto dal D.I.I.A.R. (Dipartimento di Ingegneria Idraulica, Ambientale e del Rilevamento, DIIAR, 2001) del Politecnico di Milano. Il modello stesso è stato poi aggiornato e considerevolmente modificato. Il risultato consiste in un nuovo modello matematico idraulico di tipo quasi-bidimensionale che, attraverso una schematizzazione concettuale, riproduce il comportamento idraulico in occasione di eventi di piena al limite della prevedibilità per tutte e tre le Fasce Fluviali considerate nel Piano stralcio per l’Assetto Idrogeologico redatto dall'AdB-Po (Fasce A, B C, v. PAI, 1999). I diversi comparti idraulici in cui può essere suddivisa la Fascia C sono stati inseriti nel modello e geometricamente descritti in termini di curve di riempimento, ricavate a partire dal DTM del Bacino del Po attraverso opportune elaborazioni in ambiente GIS (Geographic Information System). Una volta predisposto il modello sono state condotte due tipologie di simulazioni. Una prima serie è stata volta alla definizione in maniera iterativa dei punti critici degli argini maestri, ovvero quelli nei quali si prevedeva avvenisse la tracimazione, e alla modellazione in essi della formazione di brecce, decisive per una corretta riproduzione del fenomeno di esondazione all'esterno delle arginature maestre nell'attuale configurazione; bisogna infatti considerare che le arginature maestre vengono comunemente progettate con il solo fine di contenere le portate di piena in alveo, e che dunque un’eventuale tracimazione induce fenomeni erosivi che solitamente portano all'apertura di una breccia nel manufatto (rotta arginale). Un'ulteriore simulazione ha permesso di valutare l'evoluzione del fenomeno sotto l'ipotesi di un intervento di consolidamento degli argini maestri nei tratti critici (interessati dai sormonti) e quindi di rotta arginale impedita. Il confronto dei risultati ottenuti ha evidenziato i benefici associati ad una laminazione controllata dell'evento di piena all'esterno delle arginature. In questo contesto il termine "controllata" è esclusivamente associato al fenomeno di rotta arginale, come detto inibita per lo scenario ipotetico. I benefici di tale controllo si hanno in termini di volumi, di portate esondate e di tiranti attesi nei comparti idraulici. Lo strumento modellistico predisposto nell’ambito della Tesi di Laurea Specialistica si presta ad essere utilizzato a supporto dell’identificazione su ampia scala delle zone della Fascia C meno “sensibili”, in quanto meno vulnerabili ai fenomeni di allagamento. Questo ulteriore passaggio costituisce il punto di partenza per delineare le strategie ottimali di laminazione controllata in Fascia C degli eventi al limite della prevedibilità al fine della riduzione del rischio idraulico nelle aree di pianura prospicienti il Po, aspetto che verrà affrontato in sviluppi successivi del presente lavoro.
Resumo:
L’isolamento alla base è una tecnica grazie alla quale una struttura è protetta dagli effetti di danneggiamento dei terremoti grazie all’istallazione alla base della struttura di elementi flessibili che aumentano il periodo fondamentale della struttura fino ad un valore sufficientemente lontano dal periodo dominante del sisma atteso, oppure grazie ad elementi scorrevoli che entrano in funzione quando i carichi laterali superano un livello predefinito. In questo modo, le deformazioni indotte da un sisma si ritroveranno principalmente al livello di questi elementi flessibili o scorrevoli e la struttura si muoverà essenzialmente come un corpo rigido.
Resumo:
Il presente studio si occupa di indagare lo stato delle popolazioni di alici, Engraulis encrasicolus, e sardine, Sardina pilchardus, presenti nel Mar Adriatico Centrale e Settentrionale attraverso l’utilizzo di metodi di dinamica di popolazione. L’attenzione per queste specie è dovuta alla loro importanza commerciale; sono, infatti, specie “target” della flotta peschereccia italiana, in particolare nell’area adriatica. I metodi di dinamica di popolazione sono uno degli aspetti più importanti delle scienze della pesca. Attraverso lo stock assessment si possono acquisire informazioni sull’abbondanza in mare delle risorse nel tempo e nello spazio, nonché sulla mortalità dovuta all’attività di pesca, che sono di primaria importanza per l’adozione di misure gestionali. I metodi di dinamica di popolazione esaminati e confrontati in questa tesi sono stati due: Virtual Population Analysis (VPA) e Integrated Catch-at-Age Analysis (ICA). Prima, però, è stato necessario esaminare le modalità con cui ottenere i dati di “input”, quali: tassi di crescita delle specie, mortalità naturale, sforzo di pesca, dati di cattura. Infine, è stato possibile ricostruire nel tempo la storia dello stock in questione e il suo stato attuale, dando indicazioni per lo sfruttamento futuro in un’ottica di conservazione dello stock stesso. Attraverso la determinazione della curva di crescita si sono potuti ottenere i parametri di crescita delle specie in esame, necessari per definire i tassi di mortalità naturale. L’abbondanza di questi stock è stata valutata con i programmi Age Length Key (ALK) e Iterative Age Length Key (IALK). Nei programmi di stock assessment utilizzati si è preferito utilizzare la stima di abbondanza calcolata con il primo metodo, in quanto più rappresentativo dello stock in esame. Un parametro di fondamentale importanza e di difficile stima è la mortalità; in particolare, in questo studio ci siamo occupati di determinare la mortalità naturale. Questa è stata determinata utilizzando due programmi: ProdBiom (Abella et al., 1998) e il sistema ideato da Gislason et al. (2008). Nonostante l’approccio conservativo suggerisca l’utilizzo dei valori ricavati da ProdBiom, in quanto più bassi, si è preferito utilizzare i tassi di mortalità naturale ricavati dalla seconda procedura. Questa preferenza è stata determinata dal fatto che il programma ProdBiom consegna indici di mortalità naturale troppo bassi, se confrontati con quelli presentati in letteratura per le specie in esame. Inoltre, benché nessuno dei due programmi sia stato costruito appositamente per le specie pelagiche, è comunque preferibile la metodologia ideata da Gislason et al. (2008), in quanto ottenuta da un esame di 367 pubblicazioni, in alcune delle quali erano presenti dati per queste specie. Per quanto riguarda i dati di cattura utilizzati in questo lavoro per il calcolo della Catch Per Unit Effort (CPUE, cioè le catture per unità di sforzo), si sono utilizzati quelli della marineria di Porto Garibaldi, in quanto questa vanta una lunga serie temporale di dati, dal 1975 ad oggi. Inoltre, in questa marineria si è sempre pescato senza imposizione di quote e con quantitativi elevati. Determinati questi dati è stato possibile applicare i programmi di valutazione degli stock ittici: VPA e ICA. L’ICA risulta essere più attendibile, soprattutto per gli anni recenti, in quanto prevede un periodo nel quale la selettività è mantenuta costante, riducendo i calcoli da fare e, di conseguenza, diminuendo gli errori. In particolare, l’ICA effettua i suoi calcoli considerando che i dati di cattura e gli indici di “tuning” possono contenere degli errori. Nonostante le varie differenze dei programmi e le loro caratteristiche, entrambi concordano sullo stato degli stock in mare. Per quanto riguarda l’alice, lo stock di questa specie nel Mar Adriatico Settentrionale e Centrale, altamente sfruttato in passato, oggi risulta moderatamente sfruttato in quanto il livello di sfruttamento viene ottenuto con un basso livello di sforzo di pesca. Si raccomanda, comunque, di non incrementare lo sforzo di pesca, in modo da non determinare nuove drastiche diminuzioni dello stock con pesanti conseguenze per l’attività di pesca. Le sardine, invece, presentano un trend diverso: dalla metà degli anni ottanta lo stock di Sardina pilchardus ha conosciuto un continuo e progressivo declino, che solo nell’ultimo decennio mostra un’inversione di tendenza. Questo, però, non deve incoraggiare ad aumentare lo pressione di pesca, anzi bisogna cercare di mantenere costante lo sforzo di pesca al livello attuale in modo da permettere il completo ristabilimento dello stock (le catture della flotta italiana sono, infatti, ancora relativamente basse). Questo lavoro, nonostante i vari aspetti da implementare (quali: il campionamento, le metodologie utilizzate, l’introduzione di aspetti non considerati, come ad es. gli scarti,… etc.) e le difficoltà incontrate nel suo svolgimento, ha fornito un contributo di approfondimento sugli spinosi aspetti della definizione del tasso di mortalità naturale, individuando una procedura più adatta per stimare questo parametro. Inoltre, ha presentato l’innovativo aspetto del confronto tra i programmi ICA e VPA, mostrando una buon accordo dei risultati ottenuti. E’ necessario, comunque, continuare ad approfondire questi aspetti per ottenere valutazioni sempre più precise e affidabili, per raggiungere una corretta gestione dell’attività di pesca e ai fini della preservazione degli stock stessi.
Resumo:
La tesi riguarda lo studio degli effetti indotti dal deposito di terreno che si trova sopra il substrato roccioso. la Valutazione è stata condotta con riferimento al sito del Duomo di Modena. Il segnale sismico che giunge dagli strati rocciosi profonfi, attraversando il deposito ed interagendo con il terreno soffice che lo compone, si modifica fino a giungere in superficie. Sono state condotte analisi in campo libero e con interazione suolo-struttura, facendo riferimento a 63 eventi sismici scelti in funzione dei risultati di specifiche analisi di pericolosità sismica condotte per il Duomo. Sono stati impiegati tre approcci di calcolo: monodimensionale lineare, tramite script implementato in Matlab a cura dello scrivente, monodimensionale lineare-equivalente, a mezzo del codice EERA, bidimensionale ad elementi finiti con software PLAXIS. Si sono ottenuti i periodi propri di vibrazione del deposito, i coefficienti di amplificazione stratigrafica, gli accelerogrammi e gli spettri di risposta elastici a livello del piano campagna utilizzabili direttamente per la verifica sismica di strutture poste in superficie nel centro di Modena. E' stato infine condotto un confronto scientifico tra gli spettri di risposta calcolati e quelli proposti dal D.M. 14/01/2008.
Resumo:
Le prove non distruttive che sono state studiate in questa tesi sono il monitoraggio termografico, le prove soniche, la tecnica tomografica sonica e l’indagine tramite georadar. Ogni capitolo di applicazione in sito o in laboratorio è sempre preceduto da un capitolo nel quale sono spiegati i principi fondamentali della tecnica applicata. I primi cinque capitoli riguardano un problema molto diffuso nelle murature, cioè la risalita capillare di umidità o di soluzione salina all’interno delle stesse. Spiegati i principi alla base della risalita capillare in un mezzo poroso e della tecnica termografica, sono state illustrate le tre prove svolte in laboratorio: una prova di risalita (di umidità e di salamoia) su laterizi, una prova di risalita di salamoia su tripletta muraria monitorata da sensori e una prova di risalita di umidità su muretto fessurato monitorata tramite termografia ad infrarossi. Nei capitoli 6 e 7 sono stati illustrati i principi fondamentali delle prove soniche ed è stata presentata un’analisi approfondita di diverse aree del Duomo di Modena in particolare due pareti esterne, un pilastro di muratura e una colonna di pietra. Nelle stesse posizioni sono state effettuate anche prove tramite georadar (Capitoli 11 e 12) per trovare analogie con le prove soniche o aggiungere informazioni che non erano state colte dalle prove soniche. Nei capitoli 9 e 10 sono stati spiegati i principi della tomografia sonica (tecnica di inversione dei tempi di volo e tecnica di inversione delle ampiezze dei segnali), sono stati illustrati i procedimenti di elaborazione delle mappe di velocità e sono state riportate e commentate le mappe ottenute relativamente ad un pilastro di muratura del Duomo di Modena (sezioni a due quote diverse) e ad un pilastro interno di muratura della torre Ghirlandina di Modena.
Resumo:
La progettazione sismica negli ultimi anni ha subito una forte trasformazione, infatti con l’introduzione delle nuove normative tecniche si è passati dallo svolgere una verifica delle capacità locali dei singoli elementi ad una progettazione con un approccio di tipo probabilistico, il quale richiede il soddisfacimento di una serie di stati limite ai quali viene attribuita una certa probabilità di superamento. La valutazione dell’affidabilità sismica di una struttura viene condotta di solito attraverso metodologie che prendono il nome di Probabilistic Seismic Design Analysis (PSDA) in accordo con la procedura del Performance Based Earthquake Engineering (PBEE). In questa procedura di tipo probabilistico risulta di notevole importanza la definizione della misura d’intensità sismica, la quale può essere utilizzata sia come predittore della risposta strutturale a fronte di un evento sismico, sia come parametro per definire la pericolosità di un sito. Queste misure d’intensità possono essere definite direttamente dalla registrazione dell’evento sismico, come ad esempio l’accelerazione di picco del terreno, oppure sulla base della risposta, sia lineare che non, della struttura soggetta a tale evento, ovvero quelle che vengono chiamate misure d’intensità spettrali. Come vedremo è preferibile l’utilizzo di misure d’intensità che soddisfino certe proprietà, in modo da far risultare più efficace possibile le risoluzione del problema con l’approccio probabilistico PBEE. Obbiettivo principale di questa dissertazione è quello di valutare alcune di queste proprietà per un gran numero di misure d’intensità sismiche a partire dai risultati di risposta strutturale ottenuti mediante analisi dinamiche non lineari nel tempo, condotte per diverse tipologie di strutture con differenti proprietà meccaniche.
Resumo:
Il presente lavoro di tesi si colloca nell’ambito della valutazione del rischio di incidente rilevante. Ai sensi della normativa europea (direttive Seveso) e del loro recepimento nella legislazione nazionale (D.Lgs. 334/99 e s.m.i.) un incidente rilevante è costituito da un evento incidentale connesso al rilascio di sostanze pericolose in grado di causare rilevanti danni all’uomo e/o all’ambiente. Ora, se da un lato esistono indici di rischio quantitativi per il bersaglio ”uomo” da tempo definiti e universalmente adottati nonché metodologie standardizzate e condivise per il loro calcolo, dall’altro non vi sono analoghi indici di rischio per il bersaglio “ambiente” comunemente accettati né, conseguentemente, procedure per il loro calcolo. Mancano pertanto anche definizioni e metodologie di calcolo di indici di rischio complessivo, che tengano conto di entrambi i bersagli citati dalla normativa. Al fine di colmare questa lacuna metodologica, che di fatto non consente di dare pieno adempimento alle stesse disposizioni legislative, è stata sviluppata all’interno del Dipartimento di Ingegneria Chimica, Mineraria e delle Tecnologie Ambientali dell’Università degli Studi di Bologna una ricerca che ha portato alla definizione di indici di rischio per il bersaglio “ambiente” e alla messa a punto di una procedura per la loro stima. L’attenzione è stata rivolta in modo specifico al comparto ambientale del suolo e delle acque sotterranee (falda freatica) ed ai rilasci accidentali da condotte di sostanze idrocarburiche immiscibili e più leggere dell’acqua, ovvero alle sostanze cosiddette NAPL – Non Acqueous Phase Liquid, con proprietà di infiammabilità e tossicità. Nello specifico si sono definiti per il bersaglio “ambiente” un indice di rischio ambientale locale rappresentato, punto per punto lungo il percorso della condotta, dai volumi di suolo e di acqua contaminata, nonché indici di rischio ambientale sociale rappresentati da curve F/Vsuolo e F/Sacque, essendo F la frequenza con cui si hanno incidenti in grado di provocare contaminazioni di volumi di suolo e di superfici di falda uguali o superiori a Vsuolo e Sacque. Tramite i costi unitari di decontaminazione del suolo e delle acque gli indici di rischio ambientale sociale possono essere trasformati in indici di rischio ambientale sociale monetizzato, ovvero in curve F/Msuolo e F/Macque, essendo F la frequenza con cui si hanno incidenti in grado di provocare inquinamento di suolo e di acque la cui decontaminazione ha costi uguali o superiori a Msuolo ed Macque. Dalla combinazione delle curve F/Msuolo e F/Macque è possibile ottenere la curva F/Mambiente, che esprime la frequenza degli eventi incidentali in grado di causare un danno ambientale di costo uguale o superiore a Mambiente. Dalla curva di rischio sociale per l’uomo ovvero dalla curva F/Nmorti, essendo F la frequenza con cui si verificano incidenti in grado di determinare un numero di morti maggiore o uguale ad Nmorti, tramite il costo unitario della vita umana VSL (Value of a Statistical Life), è possibile ottenete la curva F/Mmorti, essendo F la frequenza con cui si verificano incidenti in grado di determinare un danno monetizzato all’uomo uguale o superiore ad Mmorti. Dalla combinazione delle curve F/Mambiente ed F/Mmorti è possibile ottenere un indice di rischio sociale complessivo F/Mtotale, essendo F la frequenza con cui si verifica un danno economico complessivo uguale o superiore ad Mtotale. La procedura ora descritta è stata implementata in un apposito software ad interfaccia GIS denominato TRAT-GIS 4.1, al fine di facilitare gli onerosi calcoli richiesti nella fase di ricomposizione degli indici di rischio. La metodologia è stata fino ad ora applicata ad alcuni semplici casi di studio fittizi di modeste dimensioni e, limitatamente al calcolo del rischio per il bersaglio “ambiente”, ad un solo caso reale comunque descritto in modo semplificato. Il presente lavoro di tesi rappresenta la sua prima applicazione ad un caso di studio reale, per il quale sono stati calcolati gli indici di rischio per l’uomo, per l’ambiente e complessivi. Tale caso di studio è costituito dalla condotta che si estende, su un tracciato di 124 km, da Porto Marghera (VE) a Mantova e che trasporta greggi petroliferi. La prima parte del lavoro di tesi è consistita nella raccolta e sistematizzazione dei dati necessari alla stima delle frequenze di accadimento e delle conseguenze per l’uomo e per l’ambiente degli eventi dannosi che dalla condotta possono avere origine. In una seconda fase si è proceduto al calcolo di tali frequenze e conseguenze. I dati reperiti hanno riguardato innanzitutto il sistema “condotta”, del quale sono stati reperiti da un lato dati costruttivi (quali il diametro, la profondità di interramento, la posizione delle valvole sezionamento) e operativi (quali la portata, il profilo di pressione, le caratteristiche del greggio), dall’altro informazioni relative alle misure di emergenza automatiche e procedurali in caso di rilascio, al fine di stimare le frequenze di accadimento ed i termini “sorgente” (ovvero le portate di rilascio) in caso di rotture accidentali per ogni punto della condotta. In considerazione delle particolarità della condotta in esame è stata sviluppata una procedura specifica per il calcolo dei termini sorgente, fortemente dipendenti dai tempi degli interventi di emergenza in caso di rilascio. Una ulteriore fase di raccolta e sistematizzazione dei dati ha riguardato le informazioni relative all’ambiente nel quale è posta la condotta. Ai fini del calcolo del rischio per il bersaglio “uomo” si sono elaborati i dati di densità abitativa nei 41 comuni attraversati dall’oleodotto. Il calcolo dell’estensione degli scenari incidentali dannosi per l’uomo è stato poi effettuato tramite il software commerciale PHAST. Allo scopo della stima del rischio per il bersaglio “ambiente” è stata invece effettuata la caratterizzazione tessiturale dei suoli sui quali corre l’oleodotto (tramite l’individuazione di 5 categorie di terreno caratterizzate da diversi parametri podologici) e la determinazione della profondità della falda freatica, al fine di poter calcolare l’estensione della contaminazione punto per punto lungo la condotta, effettuando in tal modo l’analisi delle conseguenze per gli scenari incidentali dannosi per l’ambiente. Tale calcolo è stato effettuato con il software HSSM - Hydrocarbon Spill Screening Model gratuitamente distribuito da US-EPA. La ricomposizione del rischio, basata sui risultati ottenuti con i software PHAST e HSSM, ha occupato la terza ed ultima fase del lavoro di tesi; essa è stata effettuata tramite il software TRAT-GIS 4.1, ottenendo in forma sia grafica che alfanumerica gli indici di rischio precedentemente definiti. L’applicazione della procedura di valutazione del rischio al caso dell’oleodotto ha dimostrato come sia possibile un’analisi quantificata del rischio per l’uomo, per l’ambiente e complessivo anche per complessi casi reali di grandi dimensioni. Gli indici rischio ottenuti consentono infatti di individuare i punti più critici della condotta e la procedura messa a punto per il loro calcolo permette di testare l’efficacia di misure preventive e protettive adottabili per la riduzione del rischio stesso, fornendo al tempo gli elementi per un’analisi costi/benefici connessa all’implementazione di tali misure. Lo studio effettuato per la condotta esaminata ha inoltre fornito suggerimenti per introdurre in alcuni punti della metodologia delle modifiche migliorative, nonché per facilitare l’analisi tramite il software TRAT-GIS 4.1 di casi di studio di grandi dimensioni.
Resumo:
La mia tesi dal titolo ”Applicazione della tecnica PSinSAR™ allo studio di fenomeni franosi lenti: casi di studio in Emilia-Romagna” ha avuto come obiettivo quello di mostrare le potenzialità e i limiti della tecnica PSinSAR nel monitoraggio di fenomeni franosi localizzati in Val Marecchia. Ho svolto, nel capitolo due, un’analisi preliminare dell’area di studio andando a evidenziare prima le caratteristiche climatiche, piogge medie annue e le temperature minime e massime, e a seguire sono passato a descrivere l’inquadramento geologico e geomorfologico. L’area della Val Marecchia è, da questo punto di vista, molto particolare poggiando su quella che è definita dagli autori “coltre della Val Marecchia”; essa è un complesso alloctono sovrascorso ai terreni autoctoni della successione Umbro – Romagnola - Marchigiana. La traslazione verso Est della coltre avvenne per "scatti", in funzione delle principali fasi tettoniche appenniniche, separati da momenti di pausa in cui sedimentarono le formazioni più recenti le quali poi si spostarono in modo solidale con la coltre. La coltre, infatti, è costituita da un insieme di formazioni di età diverse e in particolare ritroviamo, partendo da quella più antica l’unità ligure, l’unità subligure e infine l’unità epiligure. La presenza di formazioni più recenti sopra ad altre più antiche rende unica la morfologia della vallata con enormi blocchi rocciosi poggianti su un substrato in genere argilloso come nell’esempio più famoso della rupe di San Leo. Da queste analisi è emersa un’altra caratteristica peculiare della valle cioè la forte tendenza a essere interessata da dissesti di varie tipologie. Gli indici di franosità mostrano che nella zona alta della vallata circa il 50% del territorio è interessato da dissesti, valore che decresce leggermente nella parte media e bassa della valle. Il motivo di tale instabilità è da imputare in parte alla forte erosione che avviene sulle placche epiliguri e in parte alle caratteristiche scadenti del substrato che è per lo più composto di argille e arenarie. Per quanto riguarda le tipologie di frane in Val Marecchia la situazione è molto eterogenea; in particolari le tre tipologie più frequenti sono il colamento lento, lo scivolamento rotazionale/traslativo e le frane di tipo complesso. Nel terzo capitolo ho descritto la tecnica PSinSAR; essa si basa sull’elaborazione di scene riprese da satellite per giungere alla formazione di una rete di punti, i PS, di cui conosciamo i movimenti nel tempo. I Permanent Scatterer (PS) sono dei bersagli radar individuati sulla superficie terrestre dal sensori satellitari caratterizzati per il fatto di possedere un’elevata stabilità nel tempo alla risposta elettromagnetica. I PS nella maggior parte dei casi corrispondono a manufatti presenti sulla superficie quali edifici, monumenti, strade, antenne e tralicci oppure ad elementi naturali come per esempio rocce esposte o accumuli di detrito. Lo spostamento viene calcolato lungo la linea di vista del satellite, per cui il dato in uscita non mostra lo spostamento effettivo del terreno, ma l'allontanamento o l'avvicinamento del punto rispetto al satellite. La misure sono sempre differenziali, ovvero sono riferite spazialmente a un punto noto a terra chiamato reference point, mentre temporalmente alla data di acquisizione della prima immagine. La tecnica PSinSAR proprio per la sua natura è "cieca" rispetto ai movimenti in direzione Nord-Sud. Le scene utilizzate per la creazione dei dataset di PS derivano quasi interamente dai satelliti ERS e ENVISAT. Tuttora sono disponibili anche le scene dei satelliti TerraSAR-X, RADARSAT e Cosmo Skymed. I sensori utilizzati in questo ambito sono i SAR (Synthetic Aperture Radar) che sono sensori attivi, cioè emettono loro stessi l'energia necessaria per investigare la superficie terrestre al contrario dei sensori ottici. Questo permette di poter acquisire scene anche di notte e in condizioni di cielo nuvoloso. La tecnica PSinSAR presenta molti vantaggi rispetto alle tecniche interferometriche tradizionali essa, infatti, è immune agli errori di decorrelamento temporale e spaziale oltre agli errori atmosferici, che portavano ad avere precisioni non inferiori a qualche cm, mentre ora l’errore di misura sulla velocità media di spostamento si attesta in genere sui 2 mm. La precisione che si ha nella georeferenziazione dei punti è in genere di circa 4-7 m lungo la direzione Est e circa 1-2 m in quella Nord. L’evoluzione di PSinSAR, SqueeSAR, permette un numero maggiore di punti poiché oltre ai Permanent Scatterers PS, tramite un apposito algoritmo, calcola anche i Distribuited Scatterer DS. I dataset di dati PS che ho utilizzato nel mio lavoro di tesi (PSinSAR) derivano, come detto in precedenza, sia da scene riprese dal satellite ERS che da ENVISAT nelle due modalità ascendenti e discendenti; nel primo caso si hanno informazioni sui movimenti avvenuti tra il 1992 e il 2000 mentre per l’ENVISAT tra il 2002 e il 2008. La presenza di dati PS nelle due modalità di ripresa sulla stessa zona permette tramite alcuni calcoli di ricavare la direzione effettiva di spostamento. È importante però sottolineare che, a seconda della modalità di ripresa, alcune aree possono risultare in ombra, per questo nell’analisi dei vari casi di studio non sempre sono stati utilizzabili tutti i dataset. Per l'analisi dei vari casi di studio, presentati nel capitolo 4, ho utilizzato diverso materiale cartografico. In particolare mi sono servito delle Carte Tecniche Regionali (CTR) a scala 1:10000 e 1:5000, in formato digitale, come base cartografica. Sempre in formato digitale ho utilizzato anche le carte geologiche e geomorfologiche dell'area della Val Marecchia (fogli 266, 267, 278) oltre, per finire, agli shapefile presi dal database online del Piano stralcio dell’Assetto Idrogeologico PAI. Il software usato per la realizzazione del lavoro di tesi è stato ArcGIS di proprietà di ESRI. Per ogni caso di studio ho per prima cosa effettuato un'analisi dal punto di vista geologico e geomorfologico, in modo da fare un quadro delle formazioni presenti oltre ad eventuali fenomeni franosi mostrati dalle carte. A seguire ho svolto un confronto fra il dato PS, e quindi i valori di spostamento, e la perimetrazione mostrata nel PAI. Per alcuni casi di studio il dato PS ha mostrato movimenti in aree già perimetrate nel PAI come "in dissesto", mentre in altri il dato satellitare ha permesso di venire a conoscenza di fenomeni non conosciuti (come ad esempio nel caso di Monte Gregorio). Per ogni caso di studio ho inoltre scelto alcuni PS caratteristici (solitamente quelli a coerenza maggiore) e ho ricavato la relativa serie storica. In questo modo è stato possibile verificare lo spostamento durante tutti gli anni in cui sono state prese le scene (dal 1992 al 2000 per dati ERS, dal 2002 al 2008 per dati ENVISAT) potendo quindi mettere in luce accelerazioni o assestamenti dei fenomeni nel tempo, oltre a escludere la presenza di trend di spostamento anomali imputabili nella maggior parte dei casi a errori nel dato. L’obiettivo della tesi è stato da una parte di verificare la bontà del dato PS nell’interpretazione dei movimenti dovuti a dissesti franosi e dall’altra di fare un confronto tra il dato di spostamento ricavato dai PS e i vari inventari o carte di piano. Da questo confronto sono emerse informazioni molti interessanti perché è stato possibile avere conferme di movimento su dissesti già conosciuti (Sant’Agata Feltria, San Leo e altri) ma anche di venire a conoscenza di fenomeni non conosciuti (Monte Gregorio). In conclusione è emerso dal mio lavoro che il monitoraggio tramite tecnica PSinSAR necessita di essere integrato con le tecniche tradizionali poiché presenta alcune limitazioni importanti come l’impossibilità di "vedere" movimenti veloci o lungo la direzione Nord-Sud, oltre ad avere dati in aree vegetate o scarsamente abitate. I vantaggi sono però notevoli potendo monitorare con un’unica ripresa vaste porzioni di territorio oltre ad avere serie storiche consistenti, in grado di evidenziare i movimenti avvenuti nel passato. Tale tecnica quindi, secondo il mio parere, può essere utilizzata come supporto alla stesura di cartografia di fenomeni franosi fornendo informazioni aggiuntive rispetto alle varie tecniche tradizionali come il GPS, sondaggi geotecnici e sondaggi inclinometrici.
Resumo:
Oggetto di questa tesi è lo studio parametrico del comportamento di paratie mediante modellazione numerica agli elementi finiti. Si è anche analizzato l’aspetto normativo relativo ad esse ed in particolare si è applicato il D.M. 2008 ad una paratia sottolineando le innovazioni nella progettazione geotecnica. Le paratie sono opere di sostegno flessibili interagenti con i fronti di scavo e costituite da una porzione fuori terra, soggetta a condizioni di spinta attiva, e una porzione interrata che contrappone la resistenza passiva del terreno. Le opere di sostegno flessibile si dividono in due categorie: diaframmi e palancole che differiscono molto fra loro sia per il materiale con cui sono realizzate, sia per la tecnica di messa in opera, sia per la geometria, ma hanno in comune il meccanismo di funzionamento. Sono stati illustrati i metodi di calcolo per lo studio delle paratie: metodi dell’equilibrio limite a rottura, metodi a molle e metodi agli elementi finiti. I metodi agli elementi finiti negli ultimi anni hanno avuto maggior successo grazie alla possibilità di definire il modello costitutivo sforzi-deformazioni, le condizioni al contorno e le condizioni iniziali. Esistono numerosi programmi di calcolo che si basano sul metodo agli elementi finiti, tra i quali è da annoverare il programma Plaxis che viene molto usato grazie alla presenza di vari modelli costitutivi in grado di simulare il comportamento del terreno. Tra i legami costitutivi presenti nel programma Plaxis, sono stati presi in esame il modello Mohr-Coulomb, l’Hardening model e il Soft Soil Creep model e sono poi stati applicati per eseguire uno studio parametrico del comportamento delle paratie. Si è voluto comprendere la sensibilità dei modelli al variare dei parametri inseriti nel programma. In particolare si è posta attenzione alla modellazione dei terreni in base ai diversi modelli costitutivi studiando il loro effetto sui risultati ottenuti. Si è inoltre eseguito un confronto tra il programma Plaxis e il programma Paratie. Quest’ultimo è un programma di calcolo che prevede la modellazione del terreno con molle elasto-plastiche incrudenti. Il lavoro di tesi viene illustrato in questo volume come segue: nel capitolo 1 si analizzano le principali caratteristiche e tipologie di paratie mettendo in evidenza la complessità dell’analisi di queste opere e i principali metodi di calcolo usati nella progettazione, nel capitolo 2 si è illustrato lo studio delle paratie secondo le prescrizioni del D.M. 2008. Per comprendere l’argomento è stato necessario illustrare i principi base di questo decreto e le caratteristiche generali del capitolo 6 dedicato alla progettazione geotecnica. Le paratie sono poi state studiate in condizioni sismiche secondo quanto previsto dal D.M. 2008 partendo dall’analisi degli aspetti innovativi nella progettazione sismica per poi illustrare i metodi pseudo-statici utilizzati nello studio delle paratie soggette ad azione sismica. Nel capitolo 3 si sono presi in esame i due programmi di calcolo maggiormente utilizzati per la modellazione delle paratie: Paratie e Plaxis. Dopo aver illustrato i due programmi per comprenderne le potenzialità, i limiti e le differenze, si sono analizzati i principali modelli costituitivi implementati nel programma Plaxis, infine si sono mostrati alcuni studi di modellazione presenti in letteratura. Si è posta molta attenzione ai modelli costitutivi, in particolare a quelli di Mohr-Coulomb, Hardening Soil model e Soft Soil Creep model capaci di rappresentare il comportamento dei diversi tipi di terreno. Nel capitolo 4, con il programma Plaxis si è eseguita un’analisi parametrica di due modelli di paratie al fine di comprendere come i parametri del terreno, della paratia e dei modelli costitutivi condizionino i risultati. Anche in questo caso si è posta molta attenzione alla modellazione del terreno, aspetto che in questa tesi ha assunto notevole importanza. Dato che nella progettazione delle paratie è spesso utilizzato il programma Paratie (Ceas) si è provveduto ad eseguire un confronto tra i risultati ottenuti con questo programma con quelli ricavati con il programma Plaxis. E’ stata inoltra eseguita la verifica della paratia secondo le prescrizioni del D.M. 2008 dal momento che tale decreto è cogente.
Resumo:
Abstract L’utilizzo dei dati satellitari per la gestione dei disastri naturali è fondamentale nei paesi in via di sviluppo, dove raramente esiste un censimento ed è difficile per i governi aggiornare le proprie banche dati con le tecniche di rilevamento e metodi di mappatura tradizionali che sono entrambe lunghe e onerose. A supporto dell’importanza dell’impiego del telerilevamento e per favorirne l’uso nel caso di catastrofi, vi è l’operato di diverse organizzazioni internazionali promosse da enti di ricerca, da agenzie governative o da organismi sopranazionali, le quali svolgono un lavoro di cruciale valore, fornendo sostegno tecnico a chi si occupa di far giungere alle popolazioni colpite gli aiuti umanitari e i soccorsi nel più breve tempo possibile. L’attività di tesi è nata proprio dalla collaborazione con una di esse, ITHACA (Information Technology for Humanitarian Assistance, Cooperation and Action), organizzazione no-profit, fondata dal Politecnico di Torino e SiTI (Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione), la quale a sua volta collabora con il WFP (World Food Programme) delle Nazioni Unite, realizzando cartografie speditive necessarie per la valutazione delle conseguenze di un evento catastrofico, attraverso l’impiego di dati acquisiti da satellite. Su questo tema si è inserito il presente lavoro che ha come obiettivo quello di dimostrare la valenza dei dati telerilevati, siano essi di tipo ottico o Radar, nel caso di alcuni dei disastri naturali più catastrofici, le alluvioni. In particolare è stata studiata la vulnerabilità del Bangladesh, il quale annualmente si trova ad affrontare eventi alluvionali, spesso di grave intensità. Preliminarmente allo studio, è stata condotta una ricerca bibliografica al fine di avere una buona conoscenza dell’area sia in termini geografici e fisici che di sviluppo e tipologia di urbanizzazione. E’stata indagata in particolare l’alluvione che ha colpito il paese nel Luglio del 2004, attraverso delle immagini satellitari multispettrali, in particolare Landsat 7, per un inquadramento pre-evento, ed ASTER per studiare la situazione a distanza di tre mesi dall’accaduto (immagine rilevata il 20 Ottobre 2004). Su tali immagini sono state condotte delle classificazioni supervisionate con il metodo della massima verosimiglianza che hanno portato la suddivisione del territorio in quattro classi di destinazione d’uso del suolo: urbano (Build-up), campi e vegetazione (Crops&Vegetation), sabbia e scavi (Sand&Excavation), idrografia e zone alluvionate (Water). Dalla sperimentazione è emerso come tali immagini multispettrali si prestino molto bene per l’analisi delle differenti caratteristiche del territorio, difatti la validazione condotta sulla mappa tematica derivata dall’immagine Landsat 7 ha portato ad un’accuratezza del 93% circa, mentre la validazione dell’immagine ASTER è stata solo di tipo qualitativo, in quanto, considerata l’entità della situazione rilevata, non è stato possibile avere un confronto con dei punti da assumere come verità a terra. Un’interpretazione della mappa tematica derivante dalla classificazione dell’immagine ASTER è stata elaborata incrociandola in ambiente GIS con dati forniti dal CEGIS (Center for Environmental and Geographic Information Services) riguardanti il landuse della zona in esame; da ciò è emerso che le zone destinate alla coltivazione del riso sono più vulnerabili alle inondazioni ed in particolare nell’Ottobre 2004 il 95% delle aree esondate ha interessato tali colture. Le immagini ottiche presentano un grosso limite nel caso delle alluvioni: la rilevante copertura nuvolosa che spesso accompagna siffatti eventi impedisce ai sensori satellitari operanti nel campo dell’ottico di rilevare il territorio, e per questo di frequente essi non si prestano ad essere impiegati per un’indagine nella fase di prima emergenza. In questa circostanza, un valido aiuto giunge dall’impiego di immagini Radar, le quali permettono osservazioni ad ogni ora del giorno e della notte, anche in presenza di nuvole, rendendole di fondamentale importanza nelle situazioni descritte. Per dimostrare la validità di questi sensori si sono analizzati due subset derivanti da un mosaico di immagini della nuova costellazione italiana ad alta risoluzione CosmoSkymed: il primo va dalla città di Dhaka al Golfo del Bengala ed il secondo copre la zona più a Nord nel distretto di Sylhet. Dalla sperimentazione condotta su tali immagini radar, che ha comportato come ovvio problematiche del tutto differenti rispetto alle elaborazioni tradizionalmente condotte su immagini nel campo dell’ottico, si è potuto verificare come l’estrazione dei corpi d’acqua e più in generale dell’idrografia risulti valida e di veloce computazione. Sono emersi tuttavia dei problemi, per esempio per quanto riguarda la classificazione dell’acqua in presenza di rilievi montuosi; tali complicazioni sono dovute alla presenza di zone d’ombra che risultano erroneamente assegnate alla classe water, ma è stato possibile correggere tali errori di attribuzione mascherando i rilievi con l’ausilio di una mappa delle pendenze ricavata da modelli di elevazione SRTM (Shuttle Radar Topographic Mission). La validazione dei risultati della classificazione, condotta con un grande numero di check points, ha fornito risultati molto incoraggianti (ca. 90%). Nonostante le problematiche riscontrate, il Radar, in sé o in accoppiamento con altri dati di diversa origine, si presta dunque a fornire in breve tempo informazioni sull’estensione dell’esondazione, sul grado di devastazione, sulle caratteristiche delle aree esondate, sulle vie di fuga più adatte, diventando un’importante risorsa per chi si occupa di gestire l’emergenza in caso di eventi calamitosi. L’integrazione con i dati di tipo ottico è inoltre essenziale per pervenire ad una migliore caratterizzazione del fenomeno, sia in termini di change detection che di monitoraggio post-evento.