458 resultados para Collasso, Singolarità, Giunzione, Strutture causali
Resumo:
Il presente lavoro presenta una analisi di sensitività sui parametri progettuali più significativi per i sistemi di ancoraggio di dispositivi di produzione di energia del mare di tipo galleggiante, comunemente conosciuti come Floating Wave Energy Converters (F-WEC). I convertitori di questo tipo sono installati offshore e possono basarsi su diversi principi di funzionamento per la produzione di energia: lo sfruttamento del moto oscillatorio dell’onda (chiamati Wave Active Bodies, gran parte di convertitori appartengono la tecnologia di questo tipo), la tracimazione delle onde (Overtopping Devices), o il principio della colonna d’acqua oscillante (Oscillating Water Columns). La scelta del luogo di installazione dei tali dispositivi implica una adeguata progettazione del sistema di ancoraggio che ha lo scopo di mantenere il dispositivo in un intorno sufficientemente piccolo del punto dove è stato originariamente collocato. Allo stesso tempo, dovrebbero considerarsi come elemento integrato del sistema da progettare al fine di aumentare l’efficienza d’estrazione della potenza d’onda. Le problematiche principali relativi ai sistemi di ancoraggio sono: la resistenza del sistema (affidabilità, fatica) e l’economicità. Le due problematiche sono legate tra di loro in quanto dall’aumento del resistenza dipende l’aumento della complessità del sistema di ancoraggio (aumentano il numero delle linee, si utilizzano diametri maggiori, aumenta il peso per unità di lunghezza per ogni linea, ecc.). E’ però chiaro che sistemi più affidabili consentirebbero di abbassare i costi di produzione e renderebbero certamente più competitiva l’energia da onda sul mercato energetico. I dispositivi individuali richiedono approcci progettuali diversi e l’economia di un sistema di ormeggio è strettamente legata al design del dispositivo stesso. Esistono, ad oggi, una serie di installazioni a scala quasi di prototipo di sistemi WEC che hanno fallito a causa del collasso per proprio sistema di ancoraggio, attirando così l’attenzione sul problema di una progettazione efficiente, affidabile e sicura.
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L’interazione che abbiamo con l’ambiente che ci circonda dipende sia da diverse tipologie di stimoli esterni che percepiamo (tattili, visivi, acustici, ecc.) sia dalla loro elaborazione per opera del nostro sistema nervoso. A volte però, l’integrazione e l’elaborazione di tali input possono causare effetti d’illusione. Ciò si presenta, ad esempio, nella percezione tattile. Infatti, la percezione di distanze tattili varia al variare della regione corporea considerata. Il concetto che distanze sulla cute siano frequentemente erroneamente percepite, è stato scoperto circa un secolo fa da Weber. In particolare, una determinata distanza fisica, è percepita maggiore su parti del corpo che presentano una più alta densità di meccanocettori rispetto a distanze applicate su parti del corpo con inferiore densità. Oltre a questa illusione, un importante fenomeno osservato in vivo è rappresentato dal fatto che la percezione della distanza tattile dipende dall’orientazione degli stimoli applicati sulla cute. In sostanza, la distanza percepita su una regione cutanea varia al variare dell’orientazione degli stimoli applicati. Recentemente, Longo e Haggard (Longo & Haggard, J.Exp.Psychol. Hum Percept Perform 37: 720-726, 2011), allo scopo di investigare come sia rappresentato il nostro corpo all’interno del nostro cervello, hanno messo a confronto distanze tattili a diverse orientazioni sulla mano deducendo che la distanza fra due stimoli puntuali è percepita maggiore se applicata trasversalmente sulla mano anziché longitudinalmente. Tale illusione è nota con il nome di Illusione Tattile Orientazione-Dipendente e diversi risultati riportati in letteratura dimostrano che tale illusione dipende dalla distanza che intercorre fra i due stimoli puntuali sulla cute. Infatti, Green riporta in un suo articolo (Green, Percpept Pshycophys 31, 315-323, 1982) il fatto che maggiore sia la distanza applicata e maggiore risulterà l’effetto illusivo che si presenta. L’illusione di Weber e l’illusione tattile orientazione-dipendente sono spiegate in letteratura considerando differenze riguardanti la densità di recettori, gli effetti di magnificazione corticale a livello della corteccia primaria somatosensoriale (regioni della corteccia somatosensoriale, di dimensioni differenti, sono adibite a diverse regioni corporee) e differenze nella dimensione e forma dei campi recettivi. Tuttavia tali effetti di illusione risultano molto meno rilevanti rispetto a quelli che ci si aspetta semplicemente considerando i meccanismi fisiologici, elencati in precedenza, che li causano. Ciò suggerisce che l’informazione tattile elaborata a livello della corteccia primaria somatosensoriale, riceva successivi step di elaborazione in aree corticali di più alto livello. Esse agiscono allo scopo di ridurre il divario fra distanza percepita trasversalmente e distanza percepita longitudinalmente, rendendole più simili tra loro. Tale processo assume il nome di “Rescaling Process”. I meccanismi neurali che operano nel cervello allo scopo di garantire Rescaling Process restano ancora largamente sconosciuti. Perciò, lo scopo del mio progetto di tesi è stato quello di realizzare un modello di rete neurale che simulasse gli aspetti riguardanti la percezione tattile, l’illusione orientazione-dipendente e il processo di rescaling avanzando possibili ipotesi circa i meccanismi neurali che concorrono alla loro realizzazione. Il modello computazionale si compone di due diversi layers neurali che processano l’informazione tattile. Uno di questi rappresenta un’area corticale di più basso livello (chiamata Area1) nella quale una prima e distorta rappresentazione tattile è realizzata. Per questo, tale layer potrebbe rappresentare un’area della corteccia primaria somatosensoriale, dove la rappresentazione della distanza tattile è significativamente distorta a causa dell’anisotropia dei campi recettivi e della magnificazione corticale. Il secondo layer (chiamato Area2) rappresenta un’area di più alto livello che riceve le informazioni tattili dal primo e ne riduce la loro distorsione mediante Rescaling Process. Questo layer potrebbe rappresentare aree corticali superiori (ad esempio la corteccia parietale o quella temporale) adibite anch’esse alla percezione di distanze tattili ed implicate nel Rescaling Process. Nel modello, i neuroni in Area1 ricevono informazioni dagli stimoli esterni (applicati sulla cute) inviando quindi informazioni ai neuroni in Area2 mediante sinapsi Feed-forward eccitatorie. Di fatto, neuroni appartenenti ad uno stesso layer comunicano fra loro attraverso sinapsi laterali aventi una forma a cappello Messicano. E’ importante affermare che la rete neurale implementata è principalmente un modello concettuale che non si preme di fornire un’accurata riproduzione delle strutture fisiologiche ed anatomiche. Per questo occorre considerare un livello astratto di implementazione senza specificare un’esatta corrispondenza tra layers nel modello e regioni anatomiche presenti nel cervello. Tuttavia, i meccanismi inclusi nel modello sono biologicamente plausibili. Dunque la rete neurale può essere utile per una migliore comprensione dei molteplici meccanismi agenti nel nostro cervello, allo scopo di elaborare diversi input tattili. Infatti, il modello è in grado di riprodurre diversi risultati riportati negli articoli di Green e Longo & Haggard.
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Fra le varie ragioni della crescente pervasività di Internet in molteplici settori di mercato del tutto estranei all’ICT, va senza dubbio evidenziata la possibilità di creare canali di comunicazione attraverso i quali poter comandare un sistema e ricevere da esso informazioni di qualsiasi genere, qualunque distanza separi controllato e controllore. Nel caso specifico, il contesto applicativo è l’automotive: in collaborazione col Dipartimento di Ingegneria Elettrica dell’Università di Bologna, ci si è occupati del problema di rendere disponibile a distanza la grande quantità di dati che i vari sotto-sistemi componenti una automobile elettrica si scambiano fra loro, sia legati al tipo di propulsione, elettrico appunto, come i livelli di carica delle batterie o la temperatura dell’inverter, sia di natura meccanica, come i giri motore. L’obiettivo è quello di permettere all’utente (sia esso il progettista, il tecnico riparatore o semplicemente il proprietario) il monitoraggio e la supervisione dello stato del mezzo da remoto nelle sue varie fasi di vita: dai test eseguiti su prototipo in laboratorio, alla messa in strada, alla manutenzione ordinaria e straordinaria. L’approccio individuato è stato quello di collezionare e memorizzare in un archivio centralizzato, raggiungibile via Internet, tutti i dati necessari. Il sistema di elaborazione a bordo richiede di essere facilmente integrabile, quindi di piccole dimensioni, e a basso costo, dovendo prevedere la produzione di molti veicoli; ha inoltre compiti ben definiti e noti a priori. Data la situazione, si è quindi scelto di usare un sistema embedded, cioè un sistema elettronico di elaborazione progettato per svolgere un limitato numero di funzionalità specifiche sottoposte a vincoli temporali e/o economici. Apparati di questo tipo sono denominati “special purpose”, in opposizione ai sistemi di utilità generica detti “general purpose” quali, ad esempio, i personal computer, proprio per la loro capacità di eseguire ripetutamente un’azione a costo contenuto, tramite un giusto compromesso fra hardware dedicato e software, chiamato in questo caso “firmware”. I sistemi embedded hanno subito nel corso del tempo una profonda evoluzione tecnologica, che li ha portati da semplici microcontrollori in grado di svolgere limitate operazioni di calcolo a strutture complesse in grado di interfacciarsi a un gran numero di sensori e attuatori esterni oltre che a molte tecnologie di comunicazione. Nel caso in esame, si è scelto di affidarsi alla piattaforma open-source Arduino; essa è composta da un circuito stampato che integra un microcontrollore Atmel da programmare attraverso interfaccia seriale, chiamata Arduino board, ed offre nativamente numerose funzionalità, quali ingressi e uscite digitali e analogici, supporto per SPI, I2C ed altro; inoltre, per aumentare le possibilità d’utilizzo, può essere posta in comunicazione con schede elettroniche esterne, dette shield, progettate per le più disparate applicazioni, quali controllo di motori elettrici, gps, interfacciamento con bus di campo quale ad esempio CAN, tecnologie di rete come Ethernet, Bluetooth, ZigBee, etc. L’hardware è open-source, ovvero gli schemi elettrici sono liberamente disponibili e utilizzabili così come gran parte del software e della documentazione; questo ha permesso una grande diffusione di questo frame work, portando a numerosi vantaggi: abbassamento del costo, ambienti di sviluppo multi-piattaforma, notevole quantità di documentazione e, soprattutto, continua evoluzione ed aggiornamento hardware e software. È stato quindi possibile interfacciarsi alla centralina del veicolo prelevando i messaggi necessari dal bus CAN e collezionare tutti i valori che dovevano essere archiviati. Data la notevole mole di dati da elaborare, si è scelto di dividere il sistema in due parti separate: un primo nodo, denominato Master, è incaricato di prelevare dall’autovettura i parametri, di associarvi i dati GPS (velocità, tempo e posizione) prelevati al momento della lettura e di inviare il tutto a un secondo nodo, denominato Slave, che si occupa di creare un canale di comunicazione attraverso la rete Internet per raggiungere il database. La denominazione scelta di Master e Slave riflette la scelta fatta per il protocollo di comunicazione fra i due nodi Arduino, ovvero l’I2C, che consente la comunicazione seriale fra dispositivi attraverso la designazione di un “master” e di un arbitrario numero di “slave”. La suddivisione dei compiti fra due nodi permette di distribuire il carico di lavoro con evidenti vantaggi in termini di affidabilità e prestazioni. Del progetto si sono occupate due Tesi di Laurea Magistrale; la presente si occupa del dispositivo Slave e del database. Avendo l’obiettivo di accedere al database da ovunque, si è scelto di appoggiarsi alla rete Internet, alla quale si ha oggi facile accesso da gran parte del mondo. Questo ha fatto sì che la scelta della tecnologia da usare per il database ricadesse su un web server che da un lato raccoglie i dati provenienti dall’autovettura e dall’altro ne permette un’agevole consultazione. Anch’esso è stato implementato con software open-source: si tratta, infatti, di una web application in linguaggio php che riceve, sotto forma di richieste HTTP di tipo GET oppure POST, i dati dal dispositivo Slave e provvede a salvarli, opportunamente formattati, in un database MySQL. Questo impone però che, per dialogare con il web server, il nodo Slave debba implementare tutti i livelli dello stack protocollare di Internet. Due differenti shield realizzano quindi il livello di collegamento, disponibile sia via cavo sia wireless, rispettivamente attraverso l’implementazione in un caso del protocollo Ethernet, nell’altro della connessione GPRS. A questo si appoggiano i protocolli TCP/IP che provvedono a trasportare al database i dati ricevuti dal dispositivo Master sotto forma di messaggi HTTP. Sono descritti approfonditamente il sistema veicolare da controllare e il sistema controllore; i firmware utilizzati per realizzare le funzioni dello Slave con tecnologia Ethernet e con tecnologia GPRS; la web application e il database; infine, sono presentati i risultati delle simulazioni e dei test svolti sul campo nel laboratorio DIE.
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Questa tesi si propone di indagare l'impatto di alcuni scenari di sviluppo aeroportuale legati alla prevista implementazione di un sistema di trasporto APM - People Mover, in termini di performance del terminal passeggeri dell'Aeroporto `G.Marconi' di Bologna, per fornire soluzioni efficaci alla mobilità. Il background teorico è rappresentato dai risultati ottenuti dalla ricerca sperimentale e ormai acquisiti dalla trattazione classica per code markoviane avanzate (bulk queus), mentre il metodo messo a punto, del tutto generale,parte dagli arrivi schedulati e attraverso una serie di considerazioni econometriche costruisce una serie di scenari differenti,implementati poi attraverso la simulazione dinamica con l'utilizzo del software ARENA. Le principali grandezze di stato descrittive dei processi modellizzati ottenute in output vengono confrontate e valutate nel complesso, fornendo in prima approssimazione previsioni sull'efficacia del sistema previsto. Da ultimo, vengono proposti e confrontati i due approcci forniti tanto dalla manualistica di settore quanto da contributi di ricerca per arrivare a definire un dimensionamento di massima di strutture per la mobilità (una passerella di collegamento del terminal alla stazione APM) e una verifica della piattaforma per l'attesa ad essa contigua.
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The aim of the work is to conduct a finite element model analysis on a small – size concrete beam and on a full size concrete beam internally reinforced with BFRP exposed at elevated temperatures. Experimental tests performed at Kingston University have been used to compare the results from the numerical analysis for the small – size concrete beam. Once the behavior of the small – size beam at room temperature is investigated and switching to the heating phase reinforced beams are tested at 100°C, 200°C and 300°C in loaded condition. The aim of the finite element analysis is to reflect the three – point bending test adopted into the oven during the exposure of the beam at room temperature and at elevated temperatures. Performance and deformability of reinforced beams are straightly correlated to the material properties and a wide analysis on elastic modulus and coefficient of thermal expansion is given in this work. Develop a good correlation between the numerical model and the experimental test is the main objective of the analysis on the small – size concrete beam, for both modelling the aim is also to estimate which is the deterioration of the material properties due to the heating process and the influence of different parameters on the final result. The focus of the full – size modelling which involved the last part of this work is to evaluate the effect of elevated temperatures, the material deterioration and the deflection trend on a reinforced beam characterized by a different size. A comparison between the results from different modelling has been developed.
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L’oggetto di studio di questa tesi è la Colonia Reggiana, edificio di stampo razionalista realizzata nel 1934. Obiettivo della tesi è la realizzazione un progetto di restauro e riuso per questa struttura, a seguito di un approfondita ricerca. Nelle fase iniziale si è cercato di ampliare lo sguardo uscendo dal tema proposto, con l’intenzione di comprendere il perché della nascita di questo “fenomeno colonie” che ha interessato l’Italia dalla metà dell’800 fino al secondo dopoguerra, nonché l’evoluzione del significato di queste strutture e della loro architettura nel periodo coinvolto. La seconda fase, invece, è stata impostata sull’intima conoscenza della Colonia Reggiana, partendo dal 1933 (anno in cui si ritrovano i primi documenti che riguardano tale progetto) fino ai giorni nostri: declinando gli aspetti fondamentali riscontrati nella prima fase di ricerca su questo edificio e analizzando le singole parti di ciò che a noi è pervenuto della struttura, si è potuto arrivare a rilevare molti aspetti significativi per lo sviluppo delle ipotesi progettuali. L’ultima fase è appunto caratterizzata dallo sviluppo del progetto di restauro e riuso: il concetto fondamentale che si pone alla base è quello della coerenza con le analisi effettuate e di sviluppo di un riutilizzo che possa essere adeguato alle occasioni progettuali che l’area offre.
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Il presente lavoro di tesi si inserisce all’interno del progetto Europeo Theseus (Innovative technologies for European coasts in a changing climate), volto a fornire una metodologia integrata per la pianificazione sostenibile di strategie di difesa per la gestione dell’erosione costiera e delle inondazioni che tengano in conto non solo gli aspetti tecnici ma anche quelli sociali, economici e ambientali/ecologici. L'area oggetto di studio di questo elaborato di tesi è la zona costiera della Regione Emilia Romagna, costituita unicamente da spiagge sabbiose. In particolare si è focalizzata l’attenzione sulla zona intertidale, in quanto, essendo l’ambiente di transizione tra l’ambiente marino e quello terrestre può fornire indicazioni su fenomeni erosivi di una spiaggia e cambiamenti del livello del mare, unitamente alla risposta agli interventi antropici. Gli obiettivi della tesi sono sostanzialmente tre: un primo obiettivo è confrontare ecosistemi di spiagge dove sono presenti strutture di difesa costiera rispetto a spiagge che ne erano invece prive. Il secondo obiettivo è valutare l’impatto provocato sugli ecosistemi di spiaggia dall’attività stagionale del “bulldozing” e in ultimo proporre un sistema esperto di nuova concezione in grado di prevedere statisticamente la risposta delle comunità bentoniche a diversi tipi di interventi antropici. A tal fine è stato pianificato un disegno di campionamento dove sono stati indagati tre siti differenti per morfologia e impatto antropico: Cesenatico (barriere e pratica bulldozing), Cervia, dissipativa e non soggetta a erosione (assenza di barriere e ma con pratica del bulldozing) e Lido di Dante, tendenzialmente soggetta a erosione (senza barriere e senza pratica del bulldozing). Il campionamento è stato effettuato in 4 tempi (due prima del “bulldozing” e due dopo) nell’arco di 2 anni. In ciascun sito e tempo sono stati campionati 3 transetti perpendicolari alla linea di costa, e per ogni transetto sono stati individuati tre punti relativi ad alta, media e bassa marea. Per ogni variabile considerata sono stati prelevati totale di 216 campioni. Io personalmente ho analizzato i campioni dell’ultima campagna di campionamento, ma ho analizzato l’insieme dei dati. Sono state considerate variabili relative ai popolamenti macrobentonici quali dati di abbondanza, numero di taxa e indice di diversità di Shannon e alcune variabili abiotiche descrittive delle caratteristiche morfologiche dell’area intertidale quali granulometria (mediana, classazione e asimmetria), detrito conchigliare, contenuto di materia organica (TOM), pendenza e lunghezza della zona intertidale, esposizione delle spiagge e indici morfodinamici. L'elaborazione dei dati è stata effettuata mediante tecniche di analisi univariate e multivariate sia sui dati biotici che sulle variabili ambientali, “descrittori dell’habitat”, allo scopo di mettere in luce le interazioni tra le variabili ambientali e le dinamiche dei popolamenti macrobentonici. L’insieme dei risultati delle analisi univariate e multivariate sia dei descrittori ambientali che di quelli biotici, hanno evidenziato, come la risposta delle variabili considerate sia complessa e non lineare. Nonostante non sia stato possibile evidenziare chiari pattern di interazione fra “protezione” e “bulldozing”, sono comunque emerse delle chiare differenze fra i tre siti indagati sia per quanto riguarda le variabili “descrittori dell’habitat” che quelle relative alla struttura dei popolamenti. In risposta a quanto richiesto in contesto water framework directive e in maniera funzionale all’elevate complessità del sistema intertidale è stato proposto un sistema esperto basato su approccio congiunto fuzzy bayesiano (già utilizzato con altre modalità all’interno del progetto Theseus). Con il sistema esperto prodotto, si è deciso di simulare nel sito di Cesenatico due ripascimenti virtuali uno caratterizzato da una gralometria fine e da uno con una granulometria più grossolana rispetto a quella osservata a Cesenatico. Il sistema fuzzy naïve Bayes, nonostante al momento sia ancora in fase di messa a punto, si è dimostrato in grado di gestire l'elevato numero di interazioni ambientali che caratterizzano la risposta della componente biologica macrobentonica nell'habitat intertidale delle spiagge sabbiose.
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Il presente lavoro di tesi ha come punto focale la descrizione, la verifica e la dimostrazione della realizzabilità dei Workflow Patterns di Gestione del Flusso(Control-Flow) e Risorse (Resource) definiti da parte della Workflow Pattern Initiative (WPI)in JOLIE, un innovativo linguaggio di programmazione orientato ai servizi nato nell'ambito del Service Oriented Computing. Il Service Oriented Computing (SOC) è un nuovo modo di pensare la programmazione di applicazioni distribuite, i cui concetti fondamentali sono i servizi e la composizione. L’approccio SOC definisce la possibilità di costruire un’applicazione in funzione dei servizi che ne realizzano il comportamento tramite una loro composizione, definita secondo un particolare flusso di lavoro. Allo scopo di fornire la necessaria conoscenza per capire la teoria, le meccaniche e i costrutti di JOLIE utilizzati per la realizzazione dei pattern, il seguente lavoro di tesi è stato diviso in quattro parti, corrispondenti ad altrettanti capitoli. Nel primo capitolo viene riportata una descrizione generale del SOC e della Business Process Automation (BPA), che costituisce l’ambiente in cui il SOC è inserito. Per questo viene fatta una disamina della storia informatica sui sistemi distribuiti, fino ad arrivare ai sistemi odierni, presentando in seguito il contesto del BPA e delle innovazioni derivanti dalle sue macro-componenti, di cui il SOC fa parte. Continuando la descrizione dell’approccio Service Oriented, ne vengono presentati i requisiti (pre-condizioni) e si cerca di dare una definizione precisa del termine “servizio”, fino all'enunciazione dei principi SOC declinati nell’ottica delle Service Oriented Architectures, presentando in ultimo i metodi di composizione dei servizi, tramite orchestrazione e coreografia. L’ultima sezione del capitolo prende in considerazione il SOC in un’ottica prettamente industriale e ne evidenzia i punti strategici. Il secondo capitolo è incentrato sulla descrizione di JOLIE, gli aspetti fondamentali dell’approccio orientato ai servizi, che ne caratterizzano profondamente la definizione concettuale (SOCK), e la teoria della composizione dei servizi. Il capitolo non si pone come una descrizione esaustiva di tutte le funzionalità del linguaggio, ma considera soprattutto i concetti teorici, le strutture di dati, gli operatori e i costrutti di JOLIE utilizzati per la dimostrazione della realizzabilità dei Workflow Pattern del capitolo successivo. Il terzo capitolo, più lungo e centrale rispetto agli altri, riguarda la realizzazione dei workflow pattern in JOLIE. All'inizio del capitolo viene fornita una descrizione delle caratteristiche del WPI e dei Workflow Pattern in generale. In seguito, nelle due macro-sezioni relative ai Control-Flow e Resource pattern vengono esposte alcune nozioni riguardanti le metodologie di definizione dei pattern (e.g. la teoria sulla definizione delle Colored Petri Nets) e le convezioni adottate dal WPI, per passare in seguito al vero e proprio lavoro (sperimentale) di tesi riguardo la descrizione dei pattern, l’analisi sulla loro realizzabilità in JOLIE, insieme ad un codice di esempio che esemplifica quanto affermato dall'analisi. Come sommario delle conclusioni raggiunte sui pattern, alla fine di ognuna delle due sezioni definite in precedenza, è presente una scheda di valutazione che, con lo stesso metodo utilizzato e definito dalla WPI, permette di avere una rappresentazione generale della realizzabilità dei pattern in JOLIE. Il quarto capitolo riguarda gli esiti tratti dal lavoro di tesi, riportando un confronto tra le realizzazioni dei pattern in JOLIE e le valutazioni del WPI rispetto agli altri linguaggi da loro considerati e valutati. Sulla base di quanto ottenuto nel terzo capitolo vengono definite le conclusioni del lavoro portato avanti sui pattern e viene delineato un’eventuale scenario riguardante il proseguimento dell’opera concernente la validazione ed il completamento della studio. In ultimo vengono tratte alcune conclusioni sia riguardo JOLIE, nel contesto evolutivo del linguaggio e soprattutto del progetto open-source che è alla sua base, sia sul SOC, considerato nell’ambito del BPA e del suo attuale ambito di sviluppo dinamico.
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Structural Health Monitoring (SHM) is the process of characterization for existing civil structures that proposes for damage detection and structural identification. It's based firstly on the collection of data that are inevitably affected by noise. In this work a procedure to denoise the measured acceleration signal is proposed, based on EMD-thresholding techniques. Moreover the velocity and displacement responses are estimated, starting from measured acceleration.
Sistemi navigazionali multi sensore per il posizionamento in presenza di brevi periodi di GPS outage
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Il posizionamento terrestre negli ultimi anni è stato sempre più facilitato dallo sviluppo delle tecniche satellitari, che permettono di localizzare un punto sulla superficie terrestre con precisioni superiori a quelle richieste per la pura navigazione, tramite la comunicazione tra ricevitore e satelliti. Per la disponibilità del sistema satellitare è indispensabile l’intervisibilità ottica satellite - ricevitore, condizione che viene a mancare nel caso ad esempio di trekking sottobosco, a causa della copertura data da manto vegetale e chiome arboree che non permettono una corretta triangolazione geometrica satellitare. Rientrano nei sistemi navigazionali anche le piattaforme inerziali, sistemi che rilevano le accelerazioni impresse e l’orientamento della piattaforma stessa. Se montati su un veicolo possono fungere da ausilio alla determinazione dell’ “attitude”, cioè dell’atteggiamento del veicolo durante il suo movimento in uno spazio tridimensionale. In questo lavoro ci si propone di unire i benefici delle due tecnologie, satellitari e inerziali, grazie alla complementarietà delle loro caratteristiche sugli errori, unendone le potenzialità e verificando i benefici prodotti dal loro uso integrato. In particolare si utilizzeranno dispositivi di costo relativamente contenuto.
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Il progetto degli edifici privi di smorzatori viscosi eseguito adottando un fattore di riduzione delle forze R5 (fattore di struttura q del D.M.14/01/08) relativo ad uno smorzamento ξ = 5%, mentre per quelli equipaggiati con smorzatori viscosi il fattore di riduzione delle forze adottato sarà R30 = α R5 relativo ad uno smorzamento ξ = 30%, dove il parametro α è un valore tale da garantire un uguale o maggiore livello di sicurezza della struttura ed è assunto pari a 0,9 da analisi precedenti. Quello che in conclusione si vuole ottenere è che la richiesta di duttilità delle strutture con R30 e ξ = 30% sia minore o uguale di quella richiesta dalle strutture con R5 e ξ = 5%: μd30 ≤ μd5 Durante il percorso di tesi è stata anche valutata una procedura di definizione delle curve di Pushover manuale; la procedura indaga un modo rapido e concettualmente corretto per definire un ordine di grandezza della curva di capacità della struttura.