168 resultados para Sindrome das apneias do sono


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Il lavoro presentato in questa tesi si colloca nel contesto della programmazione con vincoli, un paradigma per modellare e risolvere problemi di ricerca combinatoria che richiedono di trovare soluzioni in presenza di vincoli. Una vasta parte di questi problemi trova naturale formulazione attraverso il linguaggio delle variabili insiemistiche. Dal momento che il dominio di tali variabili può essere esponenziale nel numero di elementi, una rappresentazione esplicita è spesso non praticabile. Recenti studi si sono quindi focalizzati nel trovare modi efficienti per rappresentare tali variabili. Pertanto si è soliti rappresentare questi domini mediante l'uso di approssimazioni definite tramite intervalli (d'ora in poi rappresentazioni), specificati da un limite inferiore e un limite superiore secondo un'appropriata relazione d'ordine. La recente evoluzione della ricerca sulla programmazione con vincoli sugli insiemi ha chiaramente indicato che la combinazione di diverse rappresentazioni permette di raggiungere prestazioni di ordini di grandezza superiori rispetto alle tradizionali tecniche di codifica. Numerose proposte sono state fatte volgendosi in questa direzione. Questi lavori si differenziano su come è mantenuta la coerenza tra le diverse rappresentazioni e su come i vincoli vengono propagati al fine di ridurre lo spazio di ricerca. Sfortunatamente non esiste alcun strumento formale per paragonare queste combinazioni. Il principale obiettivo di questo lavoro è quello di fornire tale strumento, nel quale definiamo precisamente la nozione di combinazione di rappresentazioni facendo emergere gli aspetti comuni che hanno caratterizzato i lavori precedenti. In particolare identifichiamo due tipi possibili di combinazioni, una forte ed una debole, definendo le nozioni di coerenza agli estremi sui vincoli e sincronizzazione tra rappresentazioni. Il nostro studio propone alcune interessanti intuizioni sulle combinazioni esistenti, evidenziandone i limiti e svelando alcune sorprese. Inoltre forniamo un'analisi di complessità della sincronizzazione tra minlex, una rappresentazione in grado di propagare in maniera ottimale vincoli lessicografici, e le principali rappresentazioni esistenti.

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Il presente lavoro di tesi è stato realizzato al fine di valutare la distribuzione geografica ed i livelli ambientali di concentrazione per una serie di metalli (Cr, Cu, Ni, Zn, Mn, Co, V, Ba, Pb, Sr e Hg) presenti all’interno dei sedimenti della laguna costiera Pialassa Baiona, situata nei pressi del porto e dell’area industriale di Ravenna. L’area di studio considerata rappresenta un esempio di ambiente di transizione, dove i fattori fisici e chimici variano su scala spaziale e temporale e dove le attività antropiche, recenti e non, hanno provocato impatti significativi sullo stato di qualità dei sedimenti, delle acque e degli ecosistemi. Lo studio è stato progettato seguendo un disegno di campionamento ortogonale, che tiene conto del gradiente naturale terra-mare, tipico delle zone di transizione, e del gradiente antropico, legato alla vicinanza con l’area industriale. Sulla base di questo disegno sono state campionate 4 aree differenti e per ciascuna area sono stati scelti casualmente tre siti. La caratterizzazione dei sedimenti dal punto di vista chimico è stata effettuata determinando la frazione labile e quindi più biodisponibile dei metalli, oggetto del presente studio, per mezzo di una tecnica di estrazione parziale con HCl 1 M. Le concentrazioni biodisponibili ottenute sono state poi confrontate con il contenuto totale dei metalli, determinato mediante digestione totale al micronde. I sedimenti sono stati inoltre caratterizzati dal punto di vista granulometrico e del contenuto in sostanza organica (Loss on Ignition, LOI%). I risultati ottenuti dalle analisi chimiche sono stati confrontati con i valori tipi di fondo naturale del Mar Adriatico e con i valori guida di riferimento nazionale (SQA-MA) ed internazionale (ERL, ERM, TEL e PEL), al fine di valutare lo stato di qualità dei sedimenti della Baiona e di effettuare uno screening per individuare eventuali situazioni di rischio per gli organismi bentonici. I risultati ottenuti sono stati poi elaborati statisticamente con un analisi della varianza (ANOVA) con lo scopo di valutare la variabilità spaziale dei metalli nei campioni analizzati e la presenza di eventuali differenze significative.

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Questa dissertazione esamina le sfide e i limiti che gli algoritmi di analisi di grafi incontrano in architetture distribuite costituite da personal computer. In particolare, analizza il comportamento dell'algoritmo del PageRank così come implementato in una popolare libreria C++ di analisi di grafi distribuiti, la Parallel Boost Graph Library (Parallel BGL). I risultati qui presentati mostrano che il modello di programmazione parallela Bulk Synchronous Parallel è inadatto all'implementazione efficiente del PageRank su cluster costituiti da personal computer. L'implementazione analizzata ha infatti evidenziato una scalabilità negativa, il tempo di esecuzione dell'algoritmo aumenta linearmente in funzione del numero di processori. Questi risultati sono stati ottenuti lanciando l'algoritmo del PageRank della Parallel BGL su un cluster di 43 PC dual-core con 2GB di RAM l'uno, usando diversi grafi scelti in modo da facilitare l'identificazione delle variabili che influenzano la scalabilità. Grafi rappresentanti modelli diversi hanno dato risultati differenti, mostrando che c'è una relazione tra il coefficiente di clustering e l'inclinazione della retta che rappresenta il tempo in funzione del numero di processori. Ad esempio, i grafi Erdős–Rényi, aventi un basso coefficiente di clustering, hanno rappresentato il caso peggiore nei test del PageRank, mentre i grafi Small-World, aventi un alto coefficiente di clustering, hanno rappresentato il caso migliore. Anche le dimensioni del grafo hanno mostrato un'influenza sul tempo di esecuzione particolarmente interessante. Infatti, si è mostrato che la relazione tra il numero di nodi e il numero di archi determina il tempo totale.

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Le prove non distruttive che sono state studiate in questa tesi sono il monitoraggio termografico, le prove soniche, la tecnica tomografica sonica e l’indagine tramite georadar. Ogni capitolo di applicazione in sito o in laboratorio è sempre preceduto da un capitolo nel quale sono spiegati i principi fondamentali della tecnica applicata. I primi cinque capitoli riguardano un problema molto diffuso nelle murature, cioè la risalita capillare di umidità o di soluzione salina all’interno delle stesse. Spiegati i principi alla base della risalita capillare in un mezzo poroso e della tecnica termografica, sono state illustrate le tre prove svolte in laboratorio: una prova di risalita (di umidità e di salamoia) su laterizi, una prova di risalita di salamoia su tripletta muraria monitorata da sensori e una prova di risalita di umidità su muretto fessurato monitorata tramite termografia ad infrarossi. Nei capitoli 6 e 7 sono stati illustrati i principi fondamentali delle prove soniche ed è stata presentata un’analisi approfondita di diverse aree del Duomo di Modena in particolare due pareti esterne, un pilastro di muratura e una colonna di pietra. Nelle stesse posizioni sono state effettuate anche prove tramite georadar (Capitoli 11 e 12) per trovare analogie con le prove soniche o aggiungere informazioni che non erano state colte dalle prove soniche. Nei capitoli 9 e 10 sono stati spiegati i principi della tomografia sonica (tecnica di inversione dei tempi di volo e tecnica di inversione delle ampiezze dei segnali), sono stati illustrati i procedimenti di elaborazione delle mappe di velocità e sono state riportate e commentate le mappe ottenute relativamente ad un pilastro di muratura del Duomo di Modena (sezioni a due quote diverse) e ad un pilastro interno di muratura della torre Ghirlandina di Modena.

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Lo studio effettuato verte sulla ricerca delle cave storiche di pietra da taglio in provincia di Bologna, facendo partire la ricerca al 1870 circa, data in cui si hanno le prime notizie cartacee di cave bolognesi. Nella ricerca si è potuto contare sull’aiuto dei Dott. Stefano Segadelli e Maria Tersa De Nardo, geologi della regione Emilia-Romagna, che hanno messo a disposizione la propria conoscenza e le pubblicazioni della regione a questo scopo. Si è scoperto quindi che non esiste in bibliografia la localizzazione di tali cave e si è cercato tramite l’utilizzo del software ArcGIS , di georeferenziarle, correlandole di informazioni raccolte durante la ricerca. A Bologna al momento attuale non esistono cave di pietra da taglio attive, così tutte le fonti che si sono incontrate hanno fornito dati parziali, che uniti hanno permesso di ottenere una panoramica soddisfacente della situazione a inizio secolo scorso. Le fonti studiate sono state, in breve: il catasto cave della regione Emilia-Romagna, gli shape preesistenti della localizzazione delle cave, le pubblicazioni “Uso del Suolo”, oltre ai dati forniti dai vari Uffici Tecnici dei comuni nei quali erano attive le cave. I litotipi cavati in provincia sono quattro: arenaria, calcare, gesso e ofiolite. Per l’ofiolite si tratta di coltivazioni sporadiche e difficilmente ripetibili dato il rischio che può esserci di incontrare l’amianto in queste formazioni; è quindi probabile che non verranno più aperte. Il gesso era una grande risorsa a fine ‘800, con molte cave aperte nella Vena del Gesso. Questa zona è diventata il Parco dei Gessi Bolognesi, lasciando alla cava di Borgo Rivola il compito di provvedere al fabbisogno regionale. Il calcare viene per lo più usato come inerte, ma non mancano esempi di formazioni adatte a essere usate come blocchi. La vera protagonista del panorama bolognese rimane l’arenaria, che venne usata da sempre per costruire paesi e città in provincia. Le cave, molte e di ridotte dimensioni, sono molto spesso difficili da trovare a causa della conseguente rinaturalizzazione. Ci sono possibilità però di vedere riaprire cave di questo materiale a Monte Finocchia, tramite la messa in sicurezza di una frana, e forse anche tramite la volontà di sindaci di comunità montane, sensibili a questo argomento. Per avere una descrizione “viva” della situazione attuale, sono stati intervistati il Dott. Maurizio Aiuola, geologo della Provincia di Bologna, e il Geom. Massimo Romagnoli della Regione Emilia-Romagna, che hanno fornito una panoramica esauriente dei problemi che hanno portato ad avere in regione dei poli unici estrattivi anziché più cave di modeste dimensioni, e delle possibilità future. Le grandi cave sono, da parte della regione, più facilmente controllabili, essendo poche, e più facilmente ripristinabili data la disponibilità economica di chi la gestisce. Uno dei problemi emersi che contrastano l’apertura di aree estrattive minori, inoltre, è la spietata concorrenza dei materiali esteri, che costano, a parità di qualità, circa la metà del materiale italiano. Un esempio di ciò lo si è potuto esaminare nel comune di Sestola (MO), dove, grazie all’aiuto e alle spiegazioni del Geom. Edo Giacomelli si è documentato come il granito e la pietra di Luserna esteri utilizzati rispondano ai requisiti di resistenza e non gelività che un paese sottoposto ai rigori dell’inverno richiede ai lapidei, al contrario di alcune arenarie già in opera provenienti dal comune di Bagno di Romagna. Alla luce di questo esempio si è proceduto a calcolare brevemente l’ LCA di questo commercio, utilizzando con l’aiuto dell’ Ing. Cristian Chiavetta il software SimaPRO, in cui si è ipotizzato il trasporto di 1000 m3 di arenaria da Shanghai (Cina) a Bologna e da Karachi (Pakistan) a Bologna, comparandolo con le emissioni che possono esserci nel trasporto della stessa quantità di materiale dal comune di Monghidoro (BO) al centro di Bologna. Come previsto, il trasporto da paesi lontani comporta un impatto ambientale quasi non comparabile con quello locale, in termini di consumo di risorse organiche e inorganiche e la conseguente emissione di gas serra. Si è ipotizzato allora una riapertura di cave locali a fini non edilizi ma di restauro; esistono infatti molti edifici e monumenti vincolati in provincia, e quando questi devono essere restaurati, dove si sceglie di cavare il materiale necessario e rispondente a quello già in opera? Al riguardo, si è passati attraverso altre due interviste ai Professori Francesco Eleuteri, architetto presso la Soprintendenza dei Beni Culturali a Bologna e Gian Carlo Grillini, geologo-petrografo e esperto di restauro. Ciò che è emerso è che effettivamente non esiste attualmente una panoramica soddisfacente di quello che è il patrimonio lapideo della provincia, mancando, oltre alla georeferenziazione, una caratterizzazione minero-petrografica e fisico-meccanica adeguata a poter descrivere ciò che veniva anticamente cavato; l’ipotesi di riapertura a fini restaurativi potrebbe esserci, ma non sembra essere la maggiore necessità attualmente, in quanto il restauro viene per lo più fatto senza sostituzioni o integrazioni, tranne rari casi; è pur sempre utile avere una carta alla mano che possa correlare l’edificio storico con la zona di estrazione del materiale, quindi entrambi i professori hanno auspicato una prosecuzione della ricerca. Si può concludere dicendo che la ricerca può proseguire con una migliore e più efficace localizzazione delle cave sul terreno, usando anche come fonte il sapere della popolazione locale, e di procedere con una parte pratica che riguardi la caratterizzazione minero-petrografica e fisico-meccanica. L’utilità di questi dati può esserci nel momento in cui si facciano ricerche storiche sui beni artistici presenti a Bologna, e qualora si ipotizzi una riapertura di una zona estrattiva.

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L’alta risoluzione nel telerilevamento termico (Thermal Remote Sensing) da aereo o satellitare si rivela molto importante nell’analisi del comportamento termico delle superfici, in particolare per lo studio dei fenomeni climatici locali dello spazio urbano. La stato termico dell'ambiente urbano è oggi motivo di grande interesse per ricercatori, organi istituzionali e cittadini. Uno dei maggiori campi di studio del comportamento termico urbano interessa il problema energetico: la riduzione dei consumi e delle emissioni di CO2 è un obiettivo primario da perseguire per uno sviluppo sostenibile, spesso supportato da criteri legislativi e progetti comunitari. Su scala differente e con caratteristiche differenti, un altro degli argomenti che scuote da anni e con notevole interesse la ricerca scientifica, è il fenomeno termico urbano che prende il nome di isola di calore; questa si sviluppa non solo in conseguenza al calore sensibile rilasciato da attività antropiche, ma anche a causa della sempre maggiore conversione del territorio rurale in urbanizzato (inurbamento), con conseguente riduzione del fenomeno dell’evapotraspirazione. Oggetto di questa dissertazione è lo studio del comportamento termico delle superfici in ambito urbano, sperimentato sulla città di Bologna. Il primo capitolo si interessa dei principi e delle leggi fisiche sui quali è basato il telerilevamento effettuato nelle bende spettrali dell’infrarosso termico. Viene data una definizione di temperatura radiometrica e cinematica, tra loro legate dall’emissività. Vengono esposti i concetti di risoluzione (geometrica, radiometrica, temporale e spettrale) dell’immagine termica e viene data descrizione dei principali sensori su piattaforma spaziale per l’alta risoluzione nel TIR (ASTER e Landsat). Il secondo capitolo si apre con la definizione di LST (Land Surface Temperature), parametro del terreno misurato col telerilevamento, e ne viene descritta la dipendenza dal flusso della radiazione in atmosfera e dalle condizioni di bilancio termico della superficie investigata. Per la sua determinazione vengono proposti metodi diversi in funzione del numero di osservazioni disponibili nelle diverse bande spettrali dell’IR termico. In chiusura sono discussi i parametri che ne caratterizzano la variabilità. Il capitolo terzo entra nel dettaglio del telerilevamento termico in ambito urbano, definendo il fenomeno dell’Urban Heat Island su tutti i livelli atmosferici interessati, fornendo un quadro di operabilità con gli strumenti moderni di rilievo alle differenti scale (analisi multiscala). Un esempio concreto di studio multiscala dei fenomeni termici urbani è il progetto europeo EnergyCity, volto a ridurre i consumi energetici e le emissioni di gas serra di alcune città del centro Europa. Il capitolo quarto riporta la sperimentazione condotta sull’isola di calore urbana della città di Bologna tramite immagini ASTER con risoluzione spaziale 90 m nel TIR e ricampionate a 15 m dal VIS. Lo studio dell’isola di calore si è effettuata a partire dal calcolo della Land Surface Temperature utilizzando valori di emissività derivati da classificazione delle superfici al suolo. Per la validazione dei dati, in alternativa alle stazioni di monitoraggio fisse dell’ARPA, presenti nell’area metropolitana della città, si è sperimentato l’utilizzo di data-loggers per il rilievo di temperatura con possibilità di campionamento a 2 sec. installati su veicoli mobili, strumentati con ricevitori GPS, per la misura dei profili di temperatura atmosferica near-ground lungo transetti di attraversamento della città in direzione est-ovest.

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Il presente lavoro di tesi si colloca nell’ambito della valutazione del rischio di incidente rilevante. Ai sensi della normativa europea (direttive Seveso) e del loro recepimento nella legislazione nazionale (D.Lgs. 334/99 e s.m.i.) un incidente rilevante è costituito da un evento incidentale connesso al rilascio di sostanze pericolose in grado di causare rilevanti danni all’uomo e/o all’ambiente. Ora, se da un lato esistono indici di rischio quantitativi per il bersaglio ”uomo” da tempo definiti e universalmente adottati nonché metodologie standardizzate e condivise per il loro calcolo, dall’altro non vi sono analoghi indici di rischio per il bersaglio “ambiente” comunemente accettati né, conseguentemente, procedure per il loro calcolo. Mancano pertanto anche definizioni e metodologie di calcolo di indici di rischio complessivo, che tengano conto di entrambi i bersagli citati dalla normativa. Al fine di colmare questa lacuna metodologica, che di fatto non consente di dare pieno adempimento alle stesse disposizioni legislative, è stata sviluppata all’interno del Dipartimento di Ingegneria Chimica, Mineraria e delle Tecnologie Ambientali dell’Università degli Studi di Bologna una ricerca che ha portato alla definizione di indici di rischio per il bersaglio “ambiente” e alla messa a punto di una procedura per la loro stima. L’attenzione è stata rivolta in modo specifico al comparto ambientale del suolo e delle acque sotterranee (falda freatica) ed ai rilasci accidentali da condotte di sostanze idrocarburiche immiscibili e più leggere dell’acqua, ovvero alle sostanze cosiddette NAPL – Non Acqueous Phase Liquid, con proprietà di infiammabilità e tossicità. Nello specifico si sono definiti per il bersaglio “ambiente” un indice di rischio ambientale locale rappresentato, punto per punto lungo il percorso della condotta, dai volumi di suolo e di acqua contaminata, nonché indici di rischio ambientale sociale rappresentati da curve F/Vsuolo e F/Sacque, essendo F la frequenza con cui si hanno incidenti in grado di provocare contaminazioni di volumi di suolo e di superfici di falda uguali o superiori a Vsuolo e Sacque. Tramite i costi unitari di decontaminazione del suolo e delle acque gli indici di rischio ambientale sociale possono essere trasformati in indici di rischio ambientale sociale monetizzato, ovvero in curve F/Msuolo e F/Macque, essendo F la frequenza con cui si hanno incidenti in grado di provocare inquinamento di suolo e di acque la cui decontaminazione ha costi uguali o superiori a Msuolo ed Macque. Dalla combinazione delle curve F/Msuolo e F/Macque è possibile ottenere la curva F/Mambiente, che esprime la frequenza degli eventi incidentali in grado di causare un danno ambientale di costo uguale o superiore a Mambiente. Dalla curva di rischio sociale per l’uomo ovvero dalla curva F/Nmorti, essendo F la frequenza con cui si verificano incidenti in grado di determinare un numero di morti maggiore o uguale ad Nmorti, tramite il costo unitario della vita umana VSL (Value of a Statistical Life), è possibile ottenete la curva F/Mmorti, essendo F la frequenza con cui si verificano incidenti in grado di determinare un danno monetizzato all’uomo uguale o superiore ad Mmorti. Dalla combinazione delle curve F/Mambiente ed F/Mmorti è possibile ottenere un indice di rischio sociale complessivo F/Mtotale, essendo F la frequenza con cui si verifica un danno economico complessivo uguale o superiore ad Mtotale. La procedura ora descritta è stata implementata in un apposito software ad interfaccia GIS denominato TRAT-GIS 4.1, al fine di facilitare gli onerosi calcoli richiesti nella fase di ricomposizione degli indici di rischio. La metodologia è stata fino ad ora applicata ad alcuni semplici casi di studio fittizi di modeste dimensioni e, limitatamente al calcolo del rischio per il bersaglio “ambiente”, ad un solo caso reale comunque descritto in modo semplificato. Il presente lavoro di tesi rappresenta la sua prima applicazione ad un caso di studio reale, per il quale sono stati calcolati gli indici di rischio per l’uomo, per l’ambiente e complessivi. Tale caso di studio è costituito dalla condotta che si estende, su un tracciato di 124 km, da Porto Marghera (VE) a Mantova e che trasporta greggi petroliferi. La prima parte del lavoro di tesi è consistita nella raccolta e sistematizzazione dei dati necessari alla stima delle frequenze di accadimento e delle conseguenze per l’uomo e per l’ambiente degli eventi dannosi che dalla condotta possono avere origine. In una seconda fase si è proceduto al calcolo di tali frequenze e conseguenze. I dati reperiti hanno riguardato innanzitutto il sistema “condotta”, del quale sono stati reperiti da un lato dati costruttivi (quali il diametro, la profondità di interramento, la posizione delle valvole sezionamento) e operativi (quali la portata, il profilo di pressione, le caratteristiche del greggio), dall’altro informazioni relative alle misure di emergenza automatiche e procedurali in caso di rilascio, al fine di stimare le frequenze di accadimento ed i termini “sorgente” (ovvero le portate di rilascio) in caso di rotture accidentali per ogni punto della condotta. In considerazione delle particolarità della condotta in esame è stata sviluppata una procedura specifica per il calcolo dei termini sorgente, fortemente dipendenti dai tempi degli interventi di emergenza in caso di rilascio. Una ulteriore fase di raccolta e sistematizzazione dei dati ha riguardato le informazioni relative all’ambiente nel quale è posta la condotta. Ai fini del calcolo del rischio per il bersaglio “uomo” si sono elaborati i dati di densità abitativa nei 41 comuni attraversati dall’oleodotto. Il calcolo dell’estensione degli scenari incidentali dannosi per l’uomo è stato poi effettuato tramite il software commerciale PHAST. Allo scopo della stima del rischio per il bersaglio “ambiente” è stata invece effettuata la caratterizzazione tessiturale dei suoli sui quali corre l’oleodotto (tramite l’individuazione di 5 categorie di terreno caratterizzate da diversi parametri podologici) e la determinazione della profondità della falda freatica, al fine di poter calcolare l’estensione della contaminazione punto per punto lungo la condotta, effettuando in tal modo l’analisi delle conseguenze per gli scenari incidentali dannosi per l’ambiente. Tale calcolo è stato effettuato con il software HSSM - Hydrocarbon Spill Screening Model gratuitamente distribuito da US-EPA. La ricomposizione del rischio, basata sui risultati ottenuti con i software PHAST e HSSM, ha occupato la terza ed ultima fase del lavoro di tesi; essa è stata effettuata tramite il software TRAT-GIS 4.1, ottenendo in forma sia grafica che alfanumerica gli indici di rischio precedentemente definiti. L’applicazione della procedura di valutazione del rischio al caso dell’oleodotto ha dimostrato come sia possibile un’analisi quantificata del rischio per l’uomo, per l’ambiente e complessivo anche per complessi casi reali di grandi dimensioni. Gli indici rischio ottenuti consentono infatti di individuare i punti più critici della condotta e la procedura messa a punto per il loro calcolo permette di testare l’efficacia di misure preventive e protettive adottabili per la riduzione del rischio stesso, fornendo al tempo gli elementi per un’analisi costi/benefici connessa all’implementazione di tali misure. Lo studio effettuato per la condotta esaminata ha inoltre fornito suggerimenti per introdurre in alcuni punti della metodologia delle modifiche migliorative, nonché per facilitare l’analisi tramite il software TRAT-GIS 4.1 di casi di studio di grandi dimensioni.

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Per natura, i dispositivi di conversione di energia da onda (WECs) vengono collocati in aree caratterizzate da onde ad elevato potenziale e in queste condizioni i carichi che agiscono su tali dispositivi sono, sfortunatamente, molto alti e, allo stesso tempo, molto difficili da valutare a priori. Allo stato attuale, nessuna delle tecnologie proposte ha raggiunto uno stadio di sviluppo tale da consentire la produzione dei WECs a scala reale e, quindi, il lancio nel mercato principalmente perchè nessuna di esse può contare su un numero suciente di dati operativi da permettere un'analisi sistematica delle condizioni di lavoro. L'applicazione dei modelli disponibili sembra essere accurata per la maggior parte dei WECs in condizioni operative, ma non abbastanza per prevedere le forze agenti e il loro comportamento quando sono esposti all'azione di onde importanti. Sebbene vi è una generale necessità di indagine su diversi aspetti dei WECs, sembra che il punto critico sia lo sviluppo di un adeguato sistema di ormeggio il cui costo può incidere no al 200

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Nel presente elaborato viene riassunta in 4 brevi capitoli la mia attività di tesi, svolta nell’ambito del progetto Formula SAE® dell’Università di Bologna nell’anno 2010. Il progetto ha consistito nella realizzazione di una vettura monoposto, con l’obiettivo di far competere la stessa negli eventi previsti dalla SAE® (Society of Automotive Engineer), insieme alle vetture progettate e costruite da altri atenei di tutto il mondo. In tali eventi, una serie di giudici del settore auto-motive valuta la bontà del progetto, ovvero della vettura, che sarà sottoposta ad una serie di prove statiche e dinamiche. Nella seguente trattazione si narra quindi il percorso progettuale e di realizzazione del telaio della vettura, ovvero della sua struttura portante principale. Il progetto infatti, nell’ambito del team UniBo Motorsport, mi ha visto impegnato come “Responsabile Telaio” oltre che come “Responsabile in Pista” durante le prove su strada della vettura, svolte a valle della realizzazione. L’obbiettivo principale di un telaio di vettura da corsa è quello di realizzare una struttura che colleghi rigidamente tra loro i gruppi sospensivi anteriore e posteriore e che preveda anche la possibilità di ancorare tutti i componenti dei sistemi ausiliari di cui la vettura deve essere equipaggiata. Esistono varie tipologie di telai per autovettura ma quelle più adatte ad equipaggiare una vettura da competizione di tipo Formula, sono sicuramente il traliccio in tubi (“space frame”) e la monoscocca in fibra di carbonio. Il primo è sicuramente quello più diffuso nell’ambito della Formula Student grazie alla sua maggior semplicità progettuale e realizzativa ed ai minor investimenti economici che richiede. I parametri fondamentali che caratterizzano un telaio vettura da competizione sono sicuramente la massa e la rigidezza. La massa dello chassis deve essere ovviamente il più bassa possibile in quanto quest, costituisce generalmente il terzo contributo più importante dopo pilota e motore alla massa complessiva del veicolo. Quest’ultimo deve essere il più leggero possibile per avere un guidabilità ed una performance migliori nelle prove dinamiche in cui dovrà impegnarsi. Per quanto riguarda la rigidezza di un telaio, essa può essere distinta in rigidezza flessionale e rigidezza torsionale: di fatto però, solo la rigidezza torsionale va ad influire sui carichi che si trasferiscono agli pneumatici della vettura, pertanto quando si parla di rigidezza di un telaio, ci si riferisce alla sua capacità di sopportare carichi di tipo torsionale. Stabilire a priori un valore adeguato per la rigidezza torsionale di un telaio è impossibile. Tale valore dipende infatti dal tipo di vettura e dal suo impiego. In una vettura di tipo Formula quale quella oggetto del progetto, la rigidezza torsionale del telaio deve essere tale da garantire un corretto lavoro delle sospensioni: gli unici cedimenti elastici causati dalle sollecitazioni dinamiche della vettura devono essere quelli dovuti agli elementi sospensivi (ammortizzatori). In base a questo, come indicazione di massima, si può dire che un valore di rigidezza adeguato per un telaio deve essere un multiplo della rigidezza totale a rollio delle sospensioni. Essendo questo per l’Università di Bologna il primo progetto nell’ambito della Formula SAE® e non avendo quindi a disposizione nessun feed-back da studi o vetture di anni precedenti, per collocare in modo adeguato il pilota all’interno della vettura, in ottemperanza anche con i requisiti di sicurezza dettati dal regolamento, si è deciso insieme all’esperto di ergonomia del team di realizzare una maquette fisica in scala reale dell’abitacolo. Questo ha portato all’individuazione della corretta posizione del pilota e al corretto collocamento dei comandi, con l’obbiettivo di massimizzare la visibilità ed il confort di guida della vettura. Con questo primo studio quindi è stata intrapresa la fase progettuale vera e propria del telaio, la quale si è svolta in modo parallelo ma trasversale a quella di tutti gli altri sistemi principali ed ausiliari di cui è equipaggiata la vettura. In questa fase fortemente iterativa si vanno a cercare non le soluzioni migliori ma quelle “meno peggio”: la coperta è sempre troppo corta e il compromesso la fa da padrone. Terminata questa fase si è passati a quella realizzativa che ha avuto luogo presso l’azienda modenese Marchesi & C. che fin dal 1965 si è occupata della realizzazione di telai da corsa per importanti aziende del settore automobilistico. Grazie al preziosissimo supporto dell’azienda, a valle della realizzazione, è stato possibile condurre una prova di rigidezza sul telaio completo della vettura. Questa, oltre a fornire il valore di rigidezza dello chassis, ha permesso di identificare le sezioni della struttura più cedevoli, fornendo una valida base di partenza per l’ottimizzazione di telai per vetture future. La vettura del team UniBo Motorsport ha visto il suo esordio nell’evento italiano della Formula SAE® tenutosi nel circuito di Varano de Melegari nella prima settimana di settembre, chiudendo con un ottimo 16esimo posto su un totale di 55 partecipanti. Il team ha partecipato inoltre alla Formula Student Spain tenutasi sul famoso circuito di Montmelò alla fine dello stesso mese, raggiungendo addirittura il podio con il secondo posto tra i 18 partecipanti. La stagione si chiude quindi con due soli eventi all’attivo della vettura, ma con un notevole esordio ed un ottimo secondo posto assoluto. L’ateneo di Bologna si inserisce al sessantasettesimo posto nella classifica mondiale, come seconda università italiana.

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La mia tesi dal titolo ”Applicazione della tecnica PSinSAR™ allo studio di fenomeni franosi lenti: casi di studio in Emilia-Romagna” ha avuto come obiettivo quello di mostrare le potenzialità e i limiti della tecnica PSinSAR nel monitoraggio di fenomeni franosi localizzati in Val Marecchia. Ho svolto, nel capitolo due, un’analisi preliminare dell’area di studio andando a evidenziare prima le caratteristiche climatiche, piogge medie annue e le temperature minime e massime, e a seguire sono passato a descrivere l’inquadramento geologico e geomorfologico. L’area della Val Marecchia è, da questo punto di vista, molto particolare poggiando su quella che è definita dagli autori “coltre della Val Marecchia”; essa è un complesso alloctono sovrascorso ai terreni autoctoni della successione Umbro – Romagnola - Marchigiana. La traslazione verso Est della coltre avvenne per "scatti", in funzione delle principali fasi tettoniche appenniniche, separati da momenti di pausa in cui sedimentarono le formazioni più recenti le quali poi si spostarono in modo solidale con la coltre. La coltre, infatti, è costituita da un insieme di formazioni di età diverse e in particolare ritroviamo, partendo da quella più antica l’unità ligure, l’unità subligure e infine l’unità epiligure. La presenza di formazioni più recenti sopra ad altre più antiche rende unica la morfologia della vallata con enormi blocchi rocciosi poggianti su un substrato in genere argilloso come nell’esempio più famoso della rupe di San Leo. Da queste analisi è emersa un’altra caratteristica peculiare della valle cioè la forte tendenza a essere interessata da dissesti di varie tipologie. Gli indici di franosità mostrano che nella zona alta della vallata circa il 50% del territorio è interessato da dissesti, valore che decresce leggermente nella parte media e bassa della valle. Il motivo di tale instabilità è da imputare in parte alla forte erosione che avviene sulle placche epiliguri e in parte alle caratteristiche scadenti del substrato che è per lo più composto di argille e arenarie. Per quanto riguarda le tipologie di frane in Val Marecchia la situazione è molto eterogenea; in particolari le tre tipologie più frequenti sono il colamento lento, lo scivolamento rotazionale/traslativo e le frane di tipo complesso. Nel terzo capitolo ho descritto la tecnica PSinSAR; essa si basa sull’elaborazione di scene riprese da satellite per giungere alla formazione di una rete di punti, i PS, di cui conosciamo i movimenti nel tempo. I Permanent Scatterer (PS) sono dei bersagli radar individuati sulla superficie terrestre dal sensori satellitari caratterizzati per il fatto di possedere un’elevata stabilità nel tempo alla risposta elettromagnetica. I PS nella maggior parte dei casi corrispondono a manufatti presenti sulla superficie quali edifici, monumenti, strade, antenne e tralicci oppure ad elementi naturali come per esempio rocce esposte o accumuli di detrito. Lo spostamento viene calcolato lungo la linea di vista del satellite, per cui il dato in uscita non mostra lo spostamento effettivo del terreno, ma l'allontanamento o l'avvicinamento del punto rispetto al satellite. La misure sono sempre differenziali, ovvero sono riferite spazialmente a un punto noto a terra chiamato reference point, mentre temporalmente alla data di acquisizione della prima immagine. La tecnica PSinSAR proprio per la sua natura è "cieca" rispetto ai movimenti in direzione Nord-Sud. Le scene utilizzate per la creazione dei dataset di PS derivano quasi interamente dai satelliti ERS e ENVISAT. Tuttora sono disponibili anche le scene dei satelliti TerraSAR-X, RADARSAT e Cosmo Skymed. I sensori utilizzati in questo ambito sono i SAR (Synthetic Aperture Radar) che sono sensori attivi, cioè emettono loro stessi l'energia necessaria per investigare la superficie terrestre al contrario dei sensori ottici. Questo permette di poter acquisire scene anche di notte e in condizioni di cielo nuvoloso. La tecnica PSinSAR presenta molti vantaggi rispetto alle tecniche interferometriche tradizionali essa, infatti, è immune agli errori di decorrelamento temporale e spaziale oltre agli errori atmosferici, che portavano ad avere precisioni non inferiori a qualche cm, mentre ora l’errore di misura sulla velocità media di spostamento si attesta in genere sui 2 mm. La precisione che si ha nella georeferenziazione dei punti è in genere di circa 4-7 m lungo la direzione Est e circa 1-2 m in quella Nord. L’evoluzione di PSinSAR, SqueeSAR, permette un numero maggiore di punti poiché oltre ai Permanent Scatterers PS, tramite un apposito algoritmo, calcola anche i Distribuited Scatterer DS. I dataset di dati PS che ho utilizzato nel mio lavoro di tesi (PSinSAR) derivano, come detto in precedenza, sia da scene riprese dal satellite ERS che da ENVISAT nelle due modalità ascendenti e discendenti; nel primo caso si hanno informazioni sui movimenti avvenuti tra il 1992 e il 2000 mentre per l’ENVISAT tra il 2002 e il 2008. La presenza di dati PS nelle due modalità di ripresa sulla stessa zona permette tramite alcuni calcoli di ricavare la direzione effettiva di spostamento. È importante però sottolineare che, a seconda della modalità di ripresa, alcune aree possono risultare in ombra, per questo nell’analisi dei vari casi di studio non sempre sono stati utilizzabili tutti i dataset. Per l'analisi dei vari casi di studio, presentati nel capitolo 4, ho utilizzato diverso materiale cartografico. In particolare mi sono servito delle Carte Tecniche Regionali (CTR) a scala 1:10000 e 1:5000, in formato digitale, come base cartografica. Sempre in formato digitale ho utilizzato anche le carte geologiche e geomorfologiche dell'area della Val Marecchia (fogli 266, 267, 278) oltre, per finire, agli shapefile presi dal database online del Piano stralcio dell’Assetto Idrogeologico PAI. Il software usato per la realizzazione del lavoro di tesi è stato ArcGIS di proprietà di ESRI. Per ogni caso di studio ho per prima cosa effettuato un'analisi dal punto di vista geologico e geomorfologico, in modo da fare un quadro delle formazioni presenti oltre ad eventuali fenomeni franosi mostrati dalle carte. A seguire ho svolto un confronto fra il dato PS, e quindi i valori di spostamento, e la perimetrazione mostrata nel PAI. Per alcuni casi di studio il dato PS ha mostrato movimenti in aree già perimetrate nel PAI come "in dissesto", mentre in altri il dato satellitare ha permesso di venire a conoscenza di fenomeni non conosciuti (come ad esempio nel caso di Monte Gregorio). Per ogni caso di studio ho inoltre scelto alcuni PS caratteristici (solitamente quelli a coerenza maggiore) e ho ricavato la relativa serie storica. In questo modo è stato possibile verificare lo spostamento durante tutti gli anni in cui sono state prese le scene (dal 1992 al 2000 per dati ERS, dal 2002 al 2008 per dati ENVISAT) potendo quindi mettere in luce accelerazioni o assestamenti dei fenomeni nel tempo, oltre a escludere la presenza di trend di spostamento anomali imputabili nella maggior parte dei casi a errori nel dato. L’obiettivo della tesi è stato da una parte di verificare la bontà del dato PS nell’interpretazione dei movimenti dovuti a dissesti franosi e dall’altra di fare un confronto tra il dato di spostamento ricavato dai PS e i vari inventari o carte di piano. Da questo confronto sono emerse informazioni molti interessanti perché è stato possibile avere conferme di movimento su dissesti già conosciuti (Sant’Agata Feltria, San Leo e altri) ma anche di venire a conoscenza di fenomeni non conosciuti (Monte Gregorio). In conclusione è emerso dal mio lavoro che il monitoraggio tramite tecnica PSinSAR necessita di essere integrato con le tecniche tradizionali poiché presenta alcune limitazioni importanti come l’impossibilità di "vedere" movimenti veloci o lungo la direzione Nord-Sud, oltre ad avere dati in aree vegetate o scarsamente abitate. I vantaggi sono però notevoli potendo monitorare con un’unica ripresa vaste porzioni di territorio oltre ad avere serie storiche consistenti, in grado di evidenziare i movimenti avvenuti nel passato. Tale tecnica quindi, secondo il mio parere, può essere utilizzata come supporto alla stesura di cartografia di fenomeni franosi fornendo informazioni aggiuntive rispetto alle varie tecniche tradizionali come il GPS, sondaggi geotecnici e sondaggi inclinometrici.

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Oggetto di questa tesi è lo studio parametrico del comportamento di paratie mediante modellazione numerica agli elementi finiti. Si è anche analizzato l’aspetto normativo relativo ad esse ed in particolare si è applicato il D.M. 2008 ad una paratia sottolineando le innovazioni nella progettazione geotecnica. Le paratie sono opere di sostegno flessibili interagenti con i fronti di scavo e costituite da una porzione fuori terra, soggetta a condizioni di spinta attiva, e una porzione interrata che contrappone la resistenza passiva del terreno. Le opere di sostegno flessibile si dividono in due categorie: diaframmi e palancole che differiscono molto fra loro sia per il materiale con cui sono realizzate, sia per la tecnica di messa in opera, sia per la geometria, ma hanno in comune il meccanismo di funzionamento. Sono stati illustrati i metodi di calcolo per lo studio delle paratie: metodi dell’equilibrio limite a rottura, metodi a molle e metodi agli elementi finiti. I metodi agli elementi finiti negli ultimi anni hanno avuto maggior successo grazie alla possibilità di definire il modello costitutivo sforzi-deformazioni, le condizioni al contorno e le condizioni iniziali. Esistono numerosi programmi di calcolo che si basano sul metodo agli elementi finiti, tra i quali è da annoverare il programma Plaxis che viene molto usato grazie alla presenza di vari modelli costitutivi in grado di simulare il comportamento del terreno. Tra i legami costitutivi presenti nel programma Plaxis, sono stati presi in esame il modello Mohr-Coulomb, l’Hardening model e il Soft Soil Creep model e sono poi stati applicati per eseguire uno studio parametrico del comportamento delle paratie. Si è voluto comprendere la sensibilità dei modelli al variare dei parametri inseriti nel programma. In particolare si è posta attenzione alla modellazione dei terreni in base ai diversi modelli costitutivi studiando il loro effetto sui risultati ottenuti. Si è inoltre eseguito un confronto tra il programma Plaxis e il programma Paratie. Quest’ultimo è un programma di calcolo che prevede la modellazione del terreno con molle elasto-plastiche incrudenti. Il lavoro di tesi viene illustrato in questo volume come segue: nel capitolo 1 si analizzano le principali caratteristiche e tipologie di paratie mettendo in evidenza la complessità dell’analisi di queste opere e i principali metodi di calcolo usati nella progettazione, nel capitolo 2 si è illustrato lo studio delle paratie secondo le prescrizioni del D.M. 2008. Per comprendere l’argomento è stato necessario illustrare i principi base di questo decreto e le caratteristiche generali del capitolo 6 dedicato alla progettazione geotecnica. Le paratie sono poi state studiate in condizioni sismiche secondo quanto previsto dal D.M. 2008 partendo dall’analisi degli aspetti innovativi nella progettazione sismica per poi illustrare i metodi pseudo-statici utilizzati nello studio delle paratie soggette ad azione sismica. Nel capitolo 3 si sono presi in esame i due programmi di calcolo maggiormente utilizzati per la modellazione delle paratie: Paratie e Plaxis. Dopo aver illustrato i due programmi per comprenderne le potenzialità, i limiti e le differenze, si sono analizzati i principali modelli costituitivi implementati nel programma Plaxis, infine si sono mostrati alcuni studi di modellazione presenti in letteratura. Si è posta molta attenzione ai modelli costitutivi, in particolare a quelli di Mohr-Coulomb, Hardening Soil model e Soft Soil Creep model capaci di rappresentare il comportamento dei diversi tipi di terreno. Nel capitolo 4, con il programma Plaxis si è eseguita un’analisi parametrica di due modelli di paratie al fine di comprendere come i parametri del terreno, della paratia e dei modelli costitutivi condizionino i risultati. Anche in questo caso si è posta molta attenzione alla modellazione del terreno, aspetto che in questa tesi ha assunto notevole importanza. Dato che nella progettazione delle paratie è spesso utilizzato il programma Paratie (Ceas) si è provveduto ad eseguire un confronto tra i risultati ottenuti con questo programma con quelli ricavati con il programma Plaxis. E’ stata inoltra eseguita la verifica della paratia secondo le prescrizioni del D.M. 2008 dal momento che tale decreto è cogente.

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Il concetto di “sostenibilità” si riferisce allo sviluppo dei sistemi umani attraverso il più piccolo impatto possibile sul sistema ambientale. Le opere che si inseriscono bene nel contesto ambientale circostante e le pratiche che rispettano le risorse in maniera tale da permettere una crescita e uno sviluppo a lungo termine senza impattare sull’ambiente sono indispensabili in una società moderna. I progressi passati, presenti e futuri che hanno reso i conglomerati bituminosi materiali sostenibili dal punto di vista ambientale sono particolarmente importanti data la grande quantità di conglomerato usato annualmente in Europa e negli Stati Uniti. I produttori di bitume e di conglomerato bituminoso stanno sviluppando tecniche innovative per ridurre l’impatto ambientale senza compromettere le prestazioni meccaniche finali. Un conglomerato bituminoso ad “alta lavorabilità” (WMA), pur sviluppando le stesse caratteristiche meccaniche, richiede un temperatura di produzione minore rispetto a quella di un tradizionale conglomerato bituminoso a caldo (HMA). L’abbassamento della temperature di produzione riduce le emissioni nocive. Questo migliora le condizioni dei lavoratori ed è orientato verso uno sviluppo sostenibile. L’obbiettivo principale di questa tesi di laurea è quello di dimostrare il duplice valore sia dal punto di vista dell’eco-compatibilità sia dal punto di vista meccanico di questi conglomerati bituminosi ad “alta lavorabilità”. In particolare in questa tesi di laurea è stato studiato uno SMA ad “alta lavorabilità” (PGGWMA). L’uso di materiali a basso impatto ambientale è la prima fase verso un progetto ecocompatibile ma non può che essere il punto di partenza. L’approccio ecocompatibile deve essere esteso anche ai metodi di progetto e alla caratterizzazione di laboratorio dei materiali perché solo in questo modo è possibile ricavare le massime potenzialità dai materiali usati. Un’appropriata caratterizzazione del conglomerato bituminoso è fondamentale e necessaria per una realistica previsione delle performance di una pavimentazione stradale. La caratterizzazione volumetrica (Mix Design) e meccanica (Deformazioni Permanenti e Comportamento a fatica) di un conglomerato bituminoso è una fase importante. Inoltre, al fine di utilizzare correttamente i materiali, un metodo di progetto avanzato ed efficiente, come quello rappresentato da un approccio Empirico-Meccanicistico (ME), deve essere utilizzato. Una procedura di progetto Empirico-Meccanicistica consiste di un modello strutturale capace di prevedere gli stati di tensione e deformazione all’interno della pavimentazione sotto l’azione del traffico e in funzione delle condizioni atmosferiche e di modelli empirici, calibrati sul comportamento dei materiali, che collegano la risposta strutturale alle performance della pavimentazione. Nel 1996 in California, per poter effettivamente sfruttare i benefici dei continui progressi nel campo delle pavimentazioni stradali, fu iniziato un estensivo progetto di ricerca mirato allo sviluppo dei metodi di progetto Empirico - Meccanicistici per le pavimentazioni stradali. Il risultato finale fu la prima versione del software CalME che fornisce all’utente tre approcci diversi di l’analisi e progetto: un approccio Empirico, uno Empirico - Meccanicistico classico e un approccio Empirico - Meccanicistico Incrementale - Ricorsivo. Questo tesi di laurea si concentra sulla procedura Incrementale - Ricorsiva del software CalME, basata su modelli di danno per quanto riguarda la fatica e l’accumulo di deformazioni di taglio dai quali dipendono rispettivamente la fessurazione superficiale e le deformazioni permanenti nella pavimentazione. Tale procedura funziona per incrementi temporali successivi e, usando i risultati di ogni incremento temporale, ricorsivamente, come input dell’incremento temporale successivo, prevede le condizioni di una pavimentazione stradale per quanto riguarda il modulo complesso dei diversi strati, le fessurazioni superficiali dovute alla fatica, le deformazioni permanenti e la rugosità superficiale. Al fine di verificare le propreità meccaniche del PGGWMA e le reciproche relazioni in termini di danno a fatica e deformazioni permanenti tra strato superficiale e struttura della pavimentazione per fissate condizioni ambientali e di traffico, è stata usata la procedura Incrementale – Ricorsiva del software CalME. Il conglomerato bituminoso studiato (PGGWMA) è stato usato in una pavimentazione stradale come strato superficiale di 60 mm di spessore. Le performance della pavimentazione sono state confrontate a quelle della stessa pavimentazione in cui altri tipi di conglomerato bituminoso sono stati usati come strato superficiale. I tre tipi di conglomerato bituminoso usati come termini di paragone sono stati: un conglomerato bituminoso ad “alta lavorabilità” con granulometria “chiusa” non modificato (DGWMA), un conglomerato bituminoso modificato con polverino di gomma con granulometria “aperta” (GGRAC) e un conglomerato bituminoso non modificato con granulometria “chiusa” (DGAC). Nel Capitolo I è stato introdotto il problema del progetto ecocompatibile delle pavimentazioni stradali. I materiali a basso impatto ambientale come i conglomerati bituminosi ad “alta lavorabilità” e i conglomerati bituminosi modificati con polverino di gomma sono stati descritti in dettaglio. Inoltre è stata discussa l’importanza della caratterizzazione di laboratorio dei materiali e il valore di un metodo razionale di progetto delle pavimentazioni stradali. Nel Capitolo II sono stati descritti i diversi approcci progettuali utilizzabili con il CalME e in particolare è stata spiegata la procedura Incrementale – Ricorsiva. Nel Capitolo III sono state studiate le proprietà volumetriche e meccaniche del PGGWMA. Test di Fatica e di Deformazioni Permanenti, eseguiti rispettivamente con la macchina a fatica per flessione su quattro punti e il Simple Shear Test device (macchina di taglio semplice), sono stati effettuati su provini di conglomerato bituminoso e i risultati dei test sono stati riassunti. Attraverso questi dati di laboratorio, i parametri dei modelli della Master Curve, del danno a fatica e dell’accumulo di deformazioni di taglio usati nella procedura Incrementale – Ricorsiva del CalME sono stati valutati. Infine, nel Capitolo IV, sono stati presentati i risultati delle simulazioni di pavimentazioni stradali con diversi strati superficiali. Per ogni pavimentazione sono stati analizzati la fessurazione superficiale complessiva, le deformazioni permanenti complessive, il danno a fatica e la profondità delle deformazioni in ognuno degli stati legati.

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La forte crescita nella pescicoltura ha portato ad una significativa pressione ambientale di origine antropica nei sistemi costieri. Il bivalve locale Scrobicularia plana è stato usato come bioindicatore per valutare la qualità ambientale di un ecosistema affetto da scarichi di acque residuali di una piscifattoria nel braccio di mare Rio San Pedro (Spagna sud-occidentale). I bivalvi sono stati raccolti nei sedimenti intertidali nell'ottobre del 2010 da cinque siti del braccio di mare, seguendo un gradiente di inquinamento decrescente dall'effluente al sito di controllo. Per valutare l'esposizione e l'effetto di contaminanti legati alle acque residuali delle piscifattorie è stata selezionata una batteria di biomarker. Sono state misurate nei tessuti delle ghiandole digestive dei bivalvi: l'attività di enzimi del sistema di detossificazione della Fase I (etossiresorufina-O-deetilasi, EROD e dibenzilfluoresceina, DBF) l'attività di un enzima del sistema di detossificazione di Fase II (glutatione S-transferasi, GST), l'attività di enzimi antiossidanti (glutatione perossidasi, GPX e glutatione reduttasi, GR) e parametri di stress ossidativo (perossidazione lipidica, LPO, e danno al DNA). In parallelo sono state misurate in situ, nelle aree di studio, temperatura, pH, salinità e ossigeno disciolto nelle acque superficiali; nelle acque interstiziali sono stati misurati gli stessi parametri con l'aggiunta del potenziale redox. Sono state trovate differenze significative (p<0,05) tra siti di impatto e sito di controllo per quanto riguarda l'attività di EROD e GR, LPO e danno al DNA; è stato osservato un chiaro gradiente di stress riconducibile alla contaminazione, con alte attività di questi biomarker nell'area di scarico delle acque residuali della pescicoltura e livelli più bassi nel sito di controllo. È stata trovata inoltre una correlazione negativa significativa (p<0,01) tra la distanza alla fonte di inquinamento e l’induzione dei biomarker. Sono state analizzate le componenti abiotiche, inserendole inoltre in una mappa georeferenziata a supporto. Ossigeno disciolto, pH, salinità e potenziale redox mostrano valori bassi vicino alla fonte di inquinamento, aumentando man mano che ci si allontana da esso. I dati ottenuti indicano nel loro insieme che lo scarico di acque residuali dalle attività di pescicoltura nel braccio di mare del Rio San Pedro può indurre stress ossidativo negli organismi esposti che può portare ad un'alterazione dello stato di salute degli organismi.

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La Rocca delle Caminate nella coscienza e nell’immaginario Ben volentieri mi sono occupato dell’ambizioso progetto di restauro e recupero funzionale della Rocca delle Caminate, perché se è vero che il complesso ha rivestito un’importanza rilevante sotto il profilo storico e politico di questa parte di Romagna, è pur vero che vive nei miei ricordi fin dall’epoca dell’infanzia, ed è venuto acquistando nel tempo un preciso valore nella mia coscienza e nel mio immaginario. Questa rocca, questa fortificazione, questa torre che si staglia all’orizzonte dominando con austerità le amene vallate, l’ho sempre veduta e ha sempre sollevato in me suggestioni e interrogativi che però non mi ero mai preoccupato di chiarire: ero, per così dire, rimasto fedele alla mia emotività e mi erano bastati i racconti di nonna che andava spesso rammentando di quando, durante il ventennio fascista, insieme alle sorelle percorreva a piedi i sentieri che dalla vicina Dogheria conducevano alle Caminate, in occasione di una tal festa o di una tal funzione religiosa. Le sue parole e i suoi racconti continuano a donarmi un po’ del profumo dell’epoca, e fa specie notare come ancora oggi – in un tempo che fa dello sfavillio delle luci sfoggio di opulenza e miraggio di benessere – vengano puntualmente traditi dall’ammirazione per un faro che all’epoca ruotava emanando luce verde, bianca e rossa: quella del tricolore italiano. La Rocca delle Caminate – dicevo – è sempre stata una veduta familiare e fin troppo consuetudinaria, nei cui riguardi ero quasi giunto a una sorta d’indolenza intellettuale. Eppure, alla vigilia di decidere l’oggetto di questa tesi, ho volto lo sguardo ancora verso la “torre che domina a meraviglia il circostante paese”, ma in questa circostanza trovandomi cambiato: non più solo emozionato dal racconto nella memoria degli anziani, bensì spinto a una sfida anche per onorare il loro attaccamento verso questa fortificazione. È un popolo, quello che ho trovato, che mi ha stupito alquanto per la capacità di ricordare. Voglio dire ricordo, non trasognata visione; sottolineo fulgida testimonianza, non di rado animata dalla fierezza di chi sente fortemente il radicamento a una terra e rivendica il diritto di poter un giorno rivedere la ‘propria’ Rocca come l’ha veduta un tempo, poterla finalmente visitare e toccare, al di là di ogni colore politico, al di là di ogni vicenda passata, bella o brutta che sia. Poterla, in concreto, vivere. Così, un giorno ho varcato il limite dell’ingresso della Rocca e ho iniziato a camminare lungo il viale che conduce al castello; mi sono immerso nel parco e ho goduto della frescura dei pini, dei frassini e dei cipressi che fanno da contorno alla fortificazione. Certamente, ho avvertito un po’ di soggezione giunto ai piedi dell’arce, e mi è sorto spontaneo pormi alcune domande: quanti fanti e cavalieri saranno giunti a questa sommità in armi? Quanti ne saranno morti travolti nella furia della battaglia? Quanti uomini avranno provveduto alla sicurezza di questi bastioni oggi privati per sempre delle originarie mura difensive? Quanti castellani avranno presieduto alla difesa del castro? Ma più che a ogni altra cosa, il mio pensiero è andato a un protagonista della storia recente, a Benito Mussolini, che fra la fine degli anni venti e l’inizio degli anni trenta aveva eletto questo luogo a dimora estiva. Camminando lungo i corridoi della residenza e visitando le ampie stanze, nel rimbombo dei miei passi è stato pressoché impossibile non pensare a quest’uomo che si riconosceva in un duce e che qui ha passato le sue giornate, qui ha indetto feste, qui ha tenuto incontri politici e ha preso importanti decisioni. Come dimenticare quel mezzobusto, quella testa, quella postura impettita? Come dimenticare quello sguardo sempre un po’ accigliato e quei proclami che coglievano il plauso delle masse prima ancora di essere compiutamente formulati? In questo clima, fra castellani, capitani, cavalieri e duces di ogni epoca, sono entrato in punta di piedi, procedendo ai rilevamenti e ai calcoli per la realizzazione di questo progetto. È vero, non è stato facile muoversi nel silenzio che avvolge questo posto magico senza romperne l’incanto, e se a volte, maldestramente, ho fatto più rumore del solito, me ne rammarico. Sono sicuro che questi illustri signori sapranno scusarmene.

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Il mio elaborato finale si chiama “Restauro tra storia e progetto”, in cui rimetto a sistema, quanto appreso nelle materie di restauro, partendo dal laboratorio di restauro, dove la Prof. Antonella Ranaldi ci ha fatto trattare il complesso monumentale dell’ex convento di Sant’ Agostino a Cesena. Partendo da una lunga ricerca bibliografica, abbiamo individuato gli interventi da effettuare sul prospetto lungo via delle Mura di Sant’ Agostino ed effettuato il rilievo che ci ha permesso l’elaborazione del progetto. Gli interventi realizzati nel corso dei secoli costituiscono un esempio inquietante perchè se pure con esiti diversi ed in parte anche positivi, hanno però complessivamente portato alla situazione attuale, ormai compromessa per la definitiva perdita di molte interessanti tracce storiche. Data l'impossibilità di restituire al prospetto la sua immagine originaria abbiamo deciso di effettuare la sagramatura, che ha cancellato le stratificazioni che si sono succedute nei vari periodi storici. Abbiamo dato al prospetto una nuova immagine, riportando il prospetto ad un periodo storico non esattamente datato. L'illuminazione di questa preziosa facciata ha voluto essere un elemento discreto, capace di porre in risalto gli elementi architettonici e consentire, anche al calare del sole, un'intensa esperienza emotiva. In ogni caso si vuole evitare una scenografia serale eccessiva o artificiosa , e illuminare la facciata in maniera uniforme. Per fare questo si sono scelti apparecchi di illuminazione dotati di ottica asimmetrica, in modo da indirizzare il fascio di luce solo sulle superfici da illuminare e di ridurre così al minimo l'inquinamento luminoso. L'illuminazione omogenea della facciata in mattoni avviene attraverso riflettori con ottica larga, vetro allungante in verticale e schermo antiabbagliamento, posizionati su appositi pali (due pezzi per palo, paralleli alla facciata) situati dall'altra parte della strada di via delle mura. Mentre le lesene e il basamento sono illuminati da riflettori con condensatore ottico incassati nel terreno o nascosti nella parte superiore della cornice, con distribuzione della luce per un'altezza di circa 7 metri. Si è scelto di utilizzare sorgenti a luce bianca per mettere in risalto i materiali della facciata, senza alterarne i colori già di per se saturi. Abbiamo previsto nonostante lo stato di degrado, di recuperare il portone e le porte. Le parti mancanti vengono integrate con parti in legno della stessa essenza. Tutte le forature verranno poi tamponate con adeguati stucchi. Si ritiene fondamentale, in termini di restauro conservativo, mantenere ogni elemento che ancora sia in grado di svolgere la sua funzione. E' evidente in facciata il filo dell'impianto elettrico. E' stato pensato di farlo scorrere all'interno di una canalina, di dimensioni 4,5 x 7 cm, posizionata sopra il cornicione, nascosta alla vista del prospetto. Le gronde e i pluviali sono stati sostituiti durante l'ultimo intervento di rifacimento delle coperture, tuttavia non è stato studiato un posizionamento adeguato dei pluviali. Infatti, alcuni di questi, sopratutto quelli del prospetto principale sono posizionati senza alcun ordine. In alcuni casi i pluviali risultano essere scarsi con conseguente allagamento delle gronde e colate di acqua piovana sul muro. Nel nostro progetto si prevede di posizionare gli scarichi delle gronde sui lati, in maniera tale da non ostruire la facciata, inoltre vengono aumentati i pluviali per la gronda più alta. La seconda parte riguarda il restauro del borgo di Castelleale, che abbiamo trattato con il Prof. Andrea Ugolini nel laboratorio di sintesi finale. Il tema del corso ha previsto una prima fase di studio comprendente la ricerca storica e bibliografica, l’inquadramento dell’oggetto nel contesto urbano, la redazione delle piante di fase e ricostruzioni planivolumetriche nelle varie fasi storiche. Nella seconda fase abbiamo effettuato il rilievo, fatto foto esterne e interne di dettaglio per l’inquadramento del tema e delle sue caratteristiche architettoniche, studiato le principali cause di degrado e alterazione dei materiali da costruzione redigendo le tavole del degrado e dello stato di conservazione. Nella fase progettuale abbiamo deciso di effettuare un minimo intervento sul rudere, ripristinando la copertura crollata attraverso una copertura moderna sostenuta da pilastri, che vanno a costituire una struttura staccata rispetto al rudere. La terza parte riguarda l’efficienza energetica, il tema che ho affrontato sotto la guida del Prof. Kristian Fabbri in occasione dell’elaborato finale.