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em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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Riconoscendo l’importanza delle traduzioni all’interno della cosiddetta repubblica democratica dell’infanzia, il lavoro analizza le prime traduzioni tedesche e italiane del classico della letteratura per l’infanzia I ragazzi della Via Pál di Ferenc Molnár, al fine di metterne in luce i processi non solo prettamente traduttivi, ma anche più ampiamente culturali, che hanno influenzato la prima ricezione del romanzo in due contesti linguistici spesso legati per tradizione storico-letteraria alla letteratura ungherese. Rispettando la descrizione ormai comunemente accettata della letteratura per ragazzi come luogo di interazione tra più sistemi – principalmente quello letterario, quello pedagogico e quello sociale –, il lavoro ricostruisce innanzitutto le dinamiche proprie dei periodi storici di interesse, focalizzando l’attenzione sulla discussione circa l’educazione patriottica e militare del bambino. In relazione a questa tematica si approfondisce l’aspetto della “leggerezza” nell’opera di Molnár, ricostruendo attraverso le recensioni del tempo la prima ricezione del romanzo in Ungheria e presentando i temi del patriottismo e del gioco alla guerra in dialogo con le caratteristiche linguistico-formali del romanzo. I risultati raggiunti – una relativizzazione dell’intento prettamente pedagogico a vantaggio di una visione critica della società e del militarismo a tutti i costi – vengono messi alla prova delle traduzioni. L’analisi critica si basa su un esame degli elementi paratestuali, sull’individuazione di processi di neutralizzazione dell’alterità culturale e infine sull’esame delle isotopie del “gioco alla guerra” e dei “simboli della patria”. Si mostra come, pur senza un intervento censorio o manipolazioni sensibili al testo, molte traduzioni italiane accentuano l’aspetto patriottico e militaresco in chiave pedagogica. Soprattutto in Italia, il romanzo viene uniformato così al contesto letterario ed educativo dell’epoca, mentre in area tedesca la ricezione nell’ambito della letteratura per ragazzi sembra aprire al genere del romanzo delle bande.

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E’ stato in primo luogo definito il criterio di efficienza dal punto di vista economico (con una accenno anche ai parametri elaborati dagli studiosi di discipline aziendali), nelle sue varie accezioni, ponendo altresì ciascuna di queste in relazione alle condizioni di concorrenza perfetta. Le nozioni di efficienza che sono state definite a tal fine sono quelle di efficienza allocativa, efficienza tecnica, efficienza dinamica ed efficienza distributiva. Ciascuna di esse é stata inquadrata a livello teorico secondo le definizioni fornite dalla letteratura, esaminandone le ipotesi sottostanti. E’ stata altresì descritta, contestualizzandola temporalmente, l’evoluzione della nozione, e ne sono state evidenziate le implicazioni ai fini della ricerca della forma di mercato più “efficiente”. Sotto quest’ultimo aspetto l’attenzione dello scrivente si é incentrata sul rapporto tra le diverse accezioni di efficienza economica oggetto di analisi e la desiderabilità o meno di un regime di concorrenza perfetta. Il capitolo si conclude con una breve panoramica sulle metodologie di misurazione finalizzata ad individuare i principali parametri utilizzati per determinare il livello di efficienza, di un mercato, di un’attività produttiva o di un’impresa, posto che, come verrà specificato nel prosieguo della tesi, la valutazione di efficienza in ambito antitrust deve essere verificata, ove possibile, anche basandosi sull’evidenza empirica delle singole imprese esaminate, come richiede il criterio della rule of reason. Capitolo 2 Presupposto per avere una regolazione che persegua l’obiettivo di avere una regolazione efficiente ed efficace, è, a parere di chi scrive, anche l’esistenza di autorità pubbliche deputate a esercitare la funzione regolatoria che rispettino al proprio interno e nel proprio agire la condizione di efficienza definita rispetto ai pubblici poteri. Lo sviluppo di questa affermazione ha richiesto in via preliminare, di definire il criterio di efficienza in ambito pubblicistico individuandone in particolare l’ambito di applicazione, il suo rapporto con gli altri principi che reggono l’azione amministrativa (con particolare riferimento al criterio di efficacia). Successivamente é stato collocato nel nostro ordinamento nazionale, ponendolo in relazione con il principio di buon andamnento della Pubblica Amministrazione, benchè l’ordinamento italiano, per la sua specificità non costituisca un esempio estendibile ad ordinamenti. Anche con riferimento al criterio di efficienza pubblica, un paragrafo é stato dedicato alle metodologie di misurazione di questa, e, nello specifico sull’Analisi Costi-Benefici e sull’Analisi di Impatto della Regolazione Una volta inquadrata la definizione di efficienza pubblica, questa é stata analizzata con specifico riferimento all’attività di regolazione dell’economia svolta dai soggetti pubblici, ambito nella quale rientra la funzione antitrust. Si é provato in particolare ad evidenziare, a livello generale, quali sono i requisiti necessari ad un’autorità amministrativa antitrust, costituita e dotata di poteri ad hoc, affinché essa agisca, nella sua attività di regolazione, secondo il principio di efficienza, Il capitolo si chiude allargando l’orizzonte della ricerca verso una possibile alternativa metodologica al criterio di efficienza precedentemente definito: vi si é infatti brevemente interrogati circa lo schema interpretativo nel quale ci muoviamo, affrontando la questione definitoria del criterio di efficienza, ponendolo in relazione con l’unico modello alternativo esistente, quello sviluppatosi nella cultura cinese. Non certo per elaborare un’applicazione in “salsa cinese” del criterio di efficienza alla tutela della concorrenza, compito al quale lo scrivente non sarebbe stato in grado di ottemperare, bensì, più semplicemente per dare conto di un diverso approccio alla questione che il futuro ruolo di superpotenza economica della Cina imporrà di prendere in considerazione. Capitolo 3 Nel terzo capitolo si passa a definire il concetto di concorrenza come istituto oggetto di tutela da parte della legge antitrust, per poi descrivere la nascita e l’evoluzione di tale legislazione negli Stati Uniti e della sua applicazione, posto che il diritto antitrust statunitense ancora oggi costituisce il necessario punto di riferimento per lo studioso di questa materia. L’evoluzione del diritto antitrust statunitense é stata analizzata parallelamente allo sviluppo delle principali teorie di law and economics che hanno interpretato il diritto della concorrenza quale possibile strumento per conseguire l’obiettivo dell’efficienza economica: la Scuola di Harvard e il paradigma strutturalista, la teoria evoluzionista della Scuola Austriaca, la Scuola di Chicago; le c.d. teorie “Post-Chicago”. Nel terzo capitolo, in altri termini, si é dato conto dell’evoluzione del pensiero economico con riferimento alla sua applicazione al diritto antitrust, focalizzando l’attenzione su quanto avvenuto negli Stati Uniti, paese nel quale sono nati sia l’istituto giuridico della tutela della concorrenza sia l’analisi economica del diritto. A conclusione di questa ricostruzione dottrinale ho brevemente esaminato quelle che sono le nuove tendenze dell’analisi economica del diritto, e specificatamente la teoria del comportamento irrazionale, benché esse non abbiano ancora ricevuto applicazione al diritto antitrust. Chi scrive ritiene infatti che queste teorie avranno ricadute anche in questa materia poiché essa costituisce uno dei principali ambiti applicativi della law and economics. Capitolo 4 Nel quarto capitolo é stata effettuata una disanima della disciplina comunitaria antitrust sottolineando come l’Unione Europea si proponga attraverso la sua applicazione, soprattutto in materia di intese, di perseguire fini eterogenei, sia economici che non economici, tra loro diversi e non di rado contrastanti, e analizzando come questa eterogeneità di obiettivi abbia influito sull’applicazione del criterio di efficienza. Attenendomi in questo capitolo al dato normativo, ho innanzitutto evidenziato l’ampiezza dell’ambito di applicazione della disciplina comunitaria antitrust sia dal punto di vista soggettivo che territoriale (dottrina dell’effetto utile), sottolineando come la norma giustifichi esplicitamente il ricorso al criterio di efficienza solo nella valutazione delle intese: il comma 3 dell’art. 81 del Trattato include, infatti, tra i requisiti di una possibile esenzione dall’applicazione del divieto per le intese qualificate come restrittive della concorrenza, la possibilità di ottenere incrementi di efficienza tecnica e/o dinamica attraverso l’implementazione delle intese in questione. Tuttavia la previsione da parte dello stesso art. 81 (3) di altri requisiti che devono contemporaneamente essere soddisfatti affinché un intesa restrittiva della concorrenza possa beneficiare dell’esenzione, nonché la possibile diversa interpretazione della locuzione “progresso tecnico ed economico”, impone, o comunque ammette, il perseguimento di altri obiettivi, contestualmente a quello dell’efficienza, giustificando così quell’eterogeneità dei fini che contraddistingue la politica della concorrenza dell’Unione Europea. Se la disciplina delle intese aiuta a comprendere il ruolo del criterio di efficienza nell’applicazione dei precetti antitrust da parte degli organi comunitari, l’art. 82 del Trattato non contiene invece alcun riferimento alla possibilità di utilizzare il criterio di efficienza nella valutazione delle condotte unilaterali poste in essere da imprese in posizione dominante sul mercato rilevante. Si è peraltro dato conto della consultazione recentemente avviata dalla Commissione Europea finalizzata all’elaborazione di Linee Guida che definiscano i criteri di interpretazione che l’organo comunitario dovrà seguire nella valutazione dei comportamenti unilaterali. A parere dello scrivente, anzi, l’assenza di un preciso schema cui subordinare la possibilità di ricorrere al criterio di efficienza nella valutazione della fattispecie, attribuisce alle autorità competenti un più ampio margine di discrezionalità nell’utilizzo del suddetto criterio poiché manca il vincolo della contestuale sussistenza delle altre condizioni di cui all’art. 81(3). Per quanto concerne infine la disciplina delle concentrazioni, essa, come abbiamo visto, prevede un riferimento ai possibili incrementi di efficienza (tecnica e dinamica) derivanti da operazioni di fusione, utilizzando la nozione utilizzata per le intese, così come nel precedente Regolamento 4064/89. Si é infine analizzato il nuovo Regolamento in materia di concentrazioni che avrebbe potuto costituire l’occasione per recepire nella disciplina comunitaria l’attribuzione della facoltà di ricorrere all’efficiency defense in presenza di una fattispecie, quella della fusione tra imprese, suscettibile più di altre di essere valutata secondo il criterio di efficienza, ma che si é invece limitato a riprendere la medesima locuzione presente nell’art. 81(3). Il capitolo attesta anche l’attenzione verso l’istanza di efficienza che ha riguardato il meccanismo di applicazione della norma antitrust e non il contenuto della norma stessa; a questo profilo attiene, infatti, l’innovazione apportata dal Regolamento 1/2003 che ha permesso, a parere dello scrivente, un’attribuzione più razionale della competenza nella valutazione dei casi tra la Commissione e le autorità nazionali degli Stati membri; tuttavia pone alcune questioni che investono direttamente il tema dei criteri di valutazione utilizzati dalle autorità competenti. Capitolo 5 L’analisi del quarto capitolo é stata condotta, sebbene in forma più sintetica, con riferimento alle normative antitrust dei principali Stati membri della Comunità Europea (Germania, Gran Bretagna, Spagna, Francia e Italia), rapportando anche queste al criterio di efficienza, ove possibile. Particolare attenzione é stata dedicata ai poteri e alle competenze attribuite alle autorità nazionali antitrust oggetto di studio dall’ordinamento giuridico cui appartengono e al contesto, in termini di sistema giuridico, nel quale esse operano. Capitolo 6 Si é provato ad effettuare una valutazione del livello di efficienza delle autorità prese in esame, la Commissione e le diverse autorità nazionali e ciò con particolare riferimento alla idoneità di queste a svolgere i compiti istituzionali loro affidati (criterio di efficienza dal punto di vista giuridico): affinchè un’autorità si possa ispirare al criterio di efficienza economica nell’adozione delle decisioni, infatti, è preliminarmente necessario che essa sia idonea a svolgere il compito che le è stato affidato dall’ordinamento. In questo senso si é osservata la difficoltà dei paesi di civil law a inquadrare le autorità indipendenti all’interno di un modello, quello appunto di civil law, ispirato a una rigida tripartizione dei poteri. Da qui la difficile collocazione di queste autorità che, al contrario, costituiscono un potere “ibrido” che esercita una funzione di vigilanza e garanzia non attribuibile integralmente né al potere esecutivo né a quello giurisdizionale. Si rileva inoltre una certa sovrapposizione delle competenze e dei poteri tra autorità antitrust e organi ministeriali, in particolare nel campo delle concentrazioni che ingenera un rischio di confusione e bassa efficienza del sistema. Mantenendo, infatti, un parziale controllo politico si rischia, oltre all’introduzione di criteri di valutazione politica che prescindono dagli effetti delle fattispecie concrete sul livello di concorrenza ed efficienza del mercato, anche di dare luogo a conflitti tra le diverse autorità del sistema che impediscano l’adozione e l’implementazione di decisioni definitive, incrementando altresì i costi dell’intervento pubblico. Un giudizio a parte è stato infine formulato con riguardo alla Commissione Europea, istituzione, in quanto avente caratteristiche e poteri peculiari. Da un lato l’assenza di vincolo di mandato dei Commissari e l’elevata preparazione tecnica dei funzionari costituiscono aspetti che avvicinano la Commissione al modello dell’autorità indipendenti, e l’ampiezza dei poteri in capo ad essa le permette di operare efficientemente grazie anche alla possibilità di valersi dell’assistenza delle autorità nazionali. Dall’altra parte, tuttavia la Commissione si caratterizza sempre di più come un organo politico svolgente funzioni esecutive, di indirizzo e di coordinamento che possono influenzare gli obiettivi che essa persegue attraverso l’attività antitrust, deviandola dal rispetto del criterio di efficienza. Capitolo 7 Una volta definito il contesto istituzionale di riferimento e la sua idoneità a svolgere la funzione affidatagli dall’ordinamento comunitario, nonché da quelli nazionali, si è proceduto quindi all’analisi delle decisioni adottate da alcune delle principali autorità nazionali europee competenti ad applicare la disciplina della concorrenza dal punto di vista dell’efficienza. A tal fine le fattispecie rilevanti a fini antitrust dal punto di vista giuridico sono state classificate utilizzando un criterio economico, individuando e definendo quelle condotte che presentano elementi comuni sotto il profilo economico e per ciascuna di esse sono state inquadrate le problematiche rilevanti ai fini dell’efficienza economica sulla scorta dei contributi teorici e delle analisi empiriche svolte dalla letteratura. 6 Con riferimento a ciascuna condotta rilevante ho esaminato il contenuto di alcune delle decisioni antitrust più significative e le ho interpretate in base al criterio di efficienza. verificando se e in quale misura le autorità antitrust prese in esame utilizzano tale criterio, cercando altresì di valutare l’evoluzione dei parametri di valutazione occorsa nel corso degli anni. Le decisioni analizzate sono soprattutto quelle adottate dalla Commissione e le eventuali relative sentenze della Corte di Giustizia Europea; ciò sia per la maggior rilevanza dei casi trattati a livello comunitario, sia in quanto le autorità nazionali, con qualche rara eccezione, si conformano generalmente ai criteri interpretativi della Commissione. Riferimenti a decisioni adottate dalle autorità nazionali sono stati collocati allorquando i loro criteri interpretativi si discostino da quelli utilizzati dagli organi comunitari. Ne è emerso un crescente, anche se ancora sporadico e incostante, ricorso al criterio di efficienza da parte degli organi europei preposti alla tutela della concorrenza. Il tuttora scarso utilizzo del criterio di efficienza nello svolgimento dell’attività antitrust è motivato, a parere di chi scrive, in parte dall’eterogeneità degli obiettivi che l’Unione Europea persegue attraverso la politica della concorrenza comunitaria (completamento del mercato unico, tutela del consumatore, politica industriale, sviluppo delle aree svantaggiate), in parte dall’incapacità (o dall’impossibilità) delle autorità di effettuare coerenti analisi economiche delle singole fattispecie concrete. Anche le principali autorità nazionali mostrano una crescente propensione a tendere conto dell’efficienza nella valutazione dei casi, soprattutto con riferimento agli accordi verticali e alle concentrazioni, sulla scia della prassi comunitaria. Più innovativa nell’applicazione del criterio di efficienza economica così come nella ricerca di uso ottimale delle risorse si è finora dimostrato l’OFT, come vedremo anche nel prossimo capitolo. Al contrario sembra più lenta l’evoluzione in questo senso dell’Ufficio dei Cartelli tedesco sia a causa delle già citate caratteristiche della legge antitrust tedesca, sia a causa del persistente principio ordoliberale della prevalenza del criterio della rule of law sulla rule of reason. Peraltro, anche nei casi in cui le Autorità siano propense ad utilizzare il criterio di efficienza nelle loro valutazioni, esse si limitano generalmente ad un’analisi teorica dell’esistenza di precondizioni che consentano alle imprese in questione di ottenere guadagni di efficienza. La sussistenza di tali pre-condizioni viene infatti rilevata sulla base della capacità potenziale della condotta dell’impresa (o delle imprese) di avere un effetto positivo in termini di efficienza, nonché sulla base delle caratteristiche del mercato rilevante. Raramente, invece, si tiene conto della capacità reale dei soggetti che pongono in essere la pratica suscettibile di essere restrittiva della concorrenza di cogliere effettivamente queste opportunità, ovvero se la struttura e l’organizzazione interna dell’impresa (o delle imprese) non è in grado di mettere in pratica ciò che la teoria suggerisce a causa di sue carenza interne o comunque in ragione delle strategie che persegue. Capitolo 8 Poiché l’approccio ispirato al criterio di efficienza economica non può prescindere dalle caratteristiche del settore e del mercato in cui operano l’impresa o le imprese che hanno posto in essere la condotta sotto esame, e poiché una valutazione approfondita di tutti i settori non era effettuabile per quantità di decisioni adottate dalle autorità, ho infine ritenuto di svolgere un’analisi dettagliata dell’attività delle autorità con riferimento ad uno specifico settore. La scelta è caduta sul settore dei trasporti in quanto esso presenta alcune problematiche che intrecciano l’esigenza di efficienza con la tutela della concorrenza, nonché per la sua importanza ai fini dello sviluppo economico. Tanto più alla luce del fenomeno della crescente apertura dei mercati che ha enfatizzato la triplice funzione dei trasporti di merci, di livellamento nello spazio dei prezzi di produzione, di redistribuzione nello spazio dell’impiego dei fattori della produzione, e soprattutto di sollecitazione al miglioramento delle tecnologie utilizzate nella produzione stessa in quanto contribuiscono alla divisione territoriale del lavoro e alla specializzazione produttiva. A loro volta, d’altra parte, i miglioramenti tecnici e organizzativi intervenuti nel settore negli ultimi trenta anni hanno reso possibile il fenomeno della globalizzazione nella misura in cui lo conosciamo. Così come le riduzioni di costo e di tempo conseguite nel trasporto di persone hanno consentito massicci spostamenti di lavoratori e più in generale di capitale umano da una parte all’altra del globo, e favorito altresì la spettacolare crescita del settore turistico. Ho quindi condotto un’analisi delle decisioni antitrust relative al settore dei trasporti, suddividendo la casistica in base al comparto al quale esse si riferivano, cercando sempre di non perdere di vista i crescenti legami che esistono tra i vari comparti alla luce dell’ormai affermato fenomeno del trasporto multimodale. Dall’analisi svolta emerge innanzitutto come l’assoggettamento del settore dei trasporti alla disciplina di tutela della concorrenza sia un fenomeno relativamente recente rispetto alle altre attività economiche, laddove la ragione di tale ritardo risiede nel fatto che tradizionalmente questo settore era caratterizzato da un intervento pubblico diretto e da una pervasiva regolamentazione, a sua volta giustificata da vari fattori economici: le caratteristiche di monopolio naturale delle infrastrutture; le esigenze di servizio pubblico connesse all’erogazione di molti servizi di trasporto; il ruolo strategico svolto dal trasporto sia di persone che di merci ai fini della crescita economica di un sistema. Si concretizza, inoltre, con riferimento ai trasporti marittimi e aerei, l’inadeguatezza della dimensione nazionale e comunitaria delle autorità competenti rispetto a comportamenti di impresa che spesso hanno effetti letteralmente globali. Le imprese marittime e aeree coinvolte nelle fattispecie da noi esaminate, infatti, in molti casi predisponevano, direttamente o mediatamente, tramite “alleanze”, collegamenti tra tutte le aree del mondo, individuando nell’Europa solo un nodo di un network ben più ampio Da questa constatazione discende, a parere dello scrivente, l’impossibilità per l’autorità comunitaria e ancor più per quella nazionale di individuare tutti gli effetti in termini di efficienza che la fattispecie concreta può provocare, non includendo pertanto solo quelli evidenti sul mercato comunitario. Conseguentemente una reale applicazione del criterio di efficienza all’attività antitrust nel settore dei trasporti non può prescindere da una collaborazione tra autorità a livello mondiale sia a fini di indagine che a fini di individuazione di alcuni principi fondamentali cui ispirarsi nello svolgimento della loro missione istituzionale. Capitolo 9. Conclusioni L’opera si chiude con l’individuazione delle evidenze e degli elementi emersi dalla trattazione considerati dallo scrivente maggiormente rilevanti nell’ambito dell’attuale dibattito di economia positiva circa le principali problematiche che affiggono l’intervento antitrust con particolare riferimento al suo rispetto del criterio di efficienza. Sono state altresì proposte alcune soluzioni a quelle che sono, a parere dello scrivente, le principali carenze dell’attuale configurazione dell’intervento antitrust a livello europeo, sempre in una prospettiva di efficienza sia delle autorità competenti sia dei mercati in cui le autorità stesse cercano di mantenere o ripristinare condizioni di concorrenza effettiva. Da un lato il modello costituito dalla Commissione Europea, l’autorità antitrust comunitaria, non replicabile né esente da critiche: la Commissione, infatti, rappresenta il Governo dell’Unione Europea e come tale non può ovviamente costituire un esempio di autorità indipendente e neutrale recepibile da parte degli Stati membri. Ciò anche a prescindere dalla questione della sua legittimazione, che in questa sede non affrontiamo. Dall’altro in una prospettiva di efficienza dei mercati la crescente applicazione delle teorie economiche da parte delle autorità esaminate è rimasta a un livello astratto, senza porre la dovuta attenzione alle specificità dei mercati rilevanti né tantomeno alle dinamiche interne alle singole imprese, con particolare riferimento alla loro capacità di rendere effettivi i guadagni di efficienza individuabili a livello potenziale, così come prescrive la più recente teoria economica applicata al diritto antitrust. Sotto il profilo dell’applicazione del criterio di efficienza si può comunque affermare che l’evoluzione che ha avuto la prassi decisionale e la giurisprudenza, comunitaria e degli Stati membri, in materia antitrust è stata caratterizzata dal loro progressivo avvicinamento alle tendenze sviluppatesi nelle agencies e nella giurisprudenza statunitense a partire dagli anni’70, caratterizzate dalla valutazione degli effetti, piuttosto che della forma giuridica, dal riconoscimento del criterio di efficienza e dalla rule of reason quale approccio metodologico. L’effetto è stato quello di determinare una significativa riduzione delle differenze inizialmente emerse tra le due esperienze, nate inizialmente sotto diverse prospettive politiche. Per quanto concerne specificatamente i trasporti sono emersi sotto il profilo economico due aspetti rilevanti, oltre al perdurante ritardo con cui il processo di liberalizzazione del trasporto ferroviario che limita fortemente l’intervento antitrust nel comparto, ma che esula dalla competenza delle stesse autorità antitrust. Il primo consiste nella spesso troppo rigida separazione tra comparti adottata dalle autorità. Il secondo è l’estensivo ricorso all’essential facility doctrine nelle fattispecie riguardanti infrastrutture portuali e aeroportuali: la massimizzazione dell’efficienza dinamica consiglierebbe in questi casi una maggiore cautela, in quanto si tratta di un paradigma che, una volta applicato, disincentiva la duplicazione e l’ampliamento di tali infrastrutture autoalimentandone il carattere di essenzialità. Ciò soprattutto laddove queste infrastrutture possono essere sostituite o duplicate piuttosto facilmente da un punto di vista tecnico (meno da un punto di vista economico e giuridico), essendo esse nodi e non reti. E’stata infine sottolineata l’inadeguatezza della dimensione nazionale e comunitaria delle autorità competenti rispetto a comportamenti di impresa che con riferimento ai trasporti marittimi ed aerei hanno effetti letteralmente globali. E’ di tutta evidenza che le autorità comunitarie e tantomeno quelle nazionali non sono da sole in grado di condurre le analisi quantitative necessarie ad una valutazione di tali condotte ispirata a un criterio di efficienza che tenga conto degli effetti di lungo periodo della fattispecie concreta. Né tali autorità sono sufficientemente neutre rispetto alla nazionalità delle imprese indagate per poter giudicare sulla liceità o meno della condotta in questione senza considerare gli effetti della loro decisione sull’economia interna, rendendo così ancora più improbabile un corretto utilizzo del criterio di efficienza. Da ultimo ho constatato come l’applicazione del concetto di efficienza giuridica imporrebbe di concepire autorità antitrust del tutto nuove, sganciate quanto più possibile dall’elemento territoriale, in grado di elaborare regole e standards minimi comuni e di permettere il controllo dei comportamenti di impresa in un contesto ampliato rispetto al tradizionale mercato unico, nonchè ai singoli mercati nazionali. Il processo di armonizzazione a livello globale è difficile e il quadro che attualmente viene formato è ancora confuso e incompleto. Vi sono tuttavia sparsi segnali attraverso i quali é possibile intravedere i lineamenti di una futura global governance della concorrenza che permetterà, sperabilmente, di incrementare l’efficienza di un sistema, quello antitrust, che tanto più piccolo è l’ambito in cui opera quanto più si sta dimostrando inadeguato a svolgere il compito affidatogli. Solo il futuro, peraltro, ci consentirà di verificare la direzione di sviluppo di questi segnali.

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The last decades have seen a large effort of the scientific community to study and understand the physics of sea ice. We currently have a wide - even though still not exhaustive - knowledge of the sea ice dynamics and thermodynamics and of their temporal and spatial variability. Sea ice biogeochemistry is instead largely unknown. Sea ice algae production may account for up to 25% of overall primary production in ice-covered waters of the Southern Ocean. However, the influence of physical factors, such as the location of ice formation, the role of snow cover and light availability on sea ice primary production is poorly understood. There are only sparse localized observations and little knowledge of the functioning of sea ice biogeochemistry at larger scales. Modelling becomes then an auxiliary tool to help qualifying and quantifying the role of sea ice biogeochemistry in the ocean dynamics. In this thesis, a novel approach is used for the modelling and coupling of sea ice biogeochemistry - and in particular its primary production - to sea ice physics. Previous attempts were based on the coupling of rather complex sea ice physical models to empirical or relatively simple biological or biogeochemical models. The focus is moved here to a more biologically-oriented point of view. A simple, however comprehensive, physical model of the sea ice thermodynamics (ESIM) was developed and coupled to a novel sea ice implementation (BFM-SI) of the Biogeochemical Flux Model (BFM). The BFM is a comprehensive model, largely used and validated in the open ocean environment and in regional seas. The physical model has been developed having in mind the biogeochemical properties of sea ice and the physical inputs required to model sea ice biogeochemistry. The central concept of the coupling is the modelling of the Biologically-Active-Layer (BAL), which is the time-varying fraction of sea ice that is continuously connected to the ocean via brines pockets and channels and it acts as rich habitat for many microorganisms. The physical model provides the key physical properties of the BAL (e.g., brines volume, temperature and salinity), and the BFM-SI simulates the physiological and ecological response of the biological community to the physical enviroment. The new biogeochemical model is also coupled to the pelagic BFM through the exchange of organic and inorganic matter at the boundaries between the two systems . This is done by computing the entrapment of matter and gases when sea ice grows and release to the ocean when sea ice melts to ensure mass conservation. The model was tested in different ice-covered regions of the world ocean to test the generality of the parameterizations. The focus was particularly on the regions of landfast ice, where primary production is generally large. The implementation of the BFM in sea ice and the coupling structure in General Circulation Models will add a new component to the latters (and in general to Earth System Models), which will be able to provide adequate estimate of the role and importance of sea ice biogeochemistry in the global carbon cycle.

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La tesi di dottorato riguarda il principio del legittimo affidamento nell'esperienza fiscale italiana, tedesca ed europea. La tesi è articolata in tre distinte parti. La prima muove dall’analisi della dottrina pubblicistica italiana e tedesca, con particolare attenzione all’origine e alla fonte del legittimo affidamento: il principio civilistico della buona fede ovvero quello della certezza dei rapporti giuridici. La seconda parte affronta il principio del legittimo affidamento nella disciplina fiscale ed è suddivisa in due distinte sezioni, una relativa all’ordinamento italiano, l’altra a quello tedesco. In particolare, l’attenzione è rivolta, in entrambe le sezioni, a verificare l’interrelazione del legittimo affidamento con il principio di irretroattività della legge e, quindi, l’esistenza, o meno, di un vincolo per il legislatore e con il principio di legalità per quanto concerne i rapporti con l’Amministrazione finanziaria, con particolare riferimento alla possibilità, per quest’ultima, di intervenire in malam partem, con effetti retroattivi. Lo sviluppo di questa seconda parte è stato condotto attraverso una disamina della dottrina e della giurisprudenza di merito e costituzionale che in Germania prima e in Italia dopo hanno proposto diverse ricostruzioni. La terza parte, infine, è dedicata all’analisi del legittimo affidamento nella giurisprudenza della Corte di Giustizia. In particolare, si è cercato di mettere in evidenza come l’Organo di Giustizia comunitaria abbia elaborato e interpretato il principio in esame e sia giunto ad annoverarlo nell’alveo dei principi di diritto comunitario.

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La tesi affronta le questioni processuali connesse alla verifica dei reati di guida in stato di ebbrezza e di alterazione da droghe. La ricerca si sviluppa in tre direzioni. La prima parte studia la disciplina tedesca. L’analisi parte dalle norme sostanziali che definiscono le fattispecie incriminatrici contemplate dall’ordinamento osservato; s’interessa, poi, degli equilibri tra gli strumenti di captazione della prova utili ai reati in discorso ed il principio nemo tenetur se detegere (l’ estensione del diritto di difesa tedesco copre anche le prove reali e non prevede obblighi di collaborazione all’alcoltest). Prosegue, infine, con l’esame delle metodologie di acquisizione della prova, dall’etilometro agli screening per le droghe, sino al prelievo ematico coattivo, indispensabile per l’accertamento penale. La seconda sezione esamina gli artt. 186 e 187 del codice della strada italiano, alla luce del principio di libertà personale e del diritto a non autoincriminarsi. Particolarmente delicati gli equilibri rispetto a quest’ultimo: l’obbligatorietà di un atto potenzialmente autoaccusatorio è evitabile solo a pena di una severa sanzione. Occorre definire se il diritto di difesa copra anche il mero facere o garantisca il solo silenzio. Se si ammette, infatti, che il nemo tenetur sia applicabile anche alle prove reali, la collaborazione obbligatoria imposta al conducente è scelta incompatibile con il diritto di difesa: la disciplina italiana presenta, dunque, profili d’illegittimità costituzionale. La terza parte riguarda le problematiche processuali poste dai controlli stradali che emergono dall’analisi della giurisprudenza. Si affrontano, così, le diverse vicende della formazione della prova: ci si interroga sull’istituto processuale cui ricondurre gli accertamenti, sulle garanzie di cui goda il guidatore durante e dopo l’espletamento dell’atto, sulle eventuali sanzioni processuali derivanti da una violazione delle predette garanzie. Si esaminano, infine, le regole di apprezzamento della prova che guidano il giudice nella delicata fase valutativa.

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L’autore ricostruisce ed esamina la storia dei rapporti italo-tedeschi negli anni immediatamente precedenti la riapertura ufficiale delle relazioni diplomatiche tra Italia e Repubblica federale tedesca. Un riavvicinamento economico e politico progressivo, ma che suscitò forti contrasti tra i principali attori della diplomazia italiana. Il saggio si basa su una documentazione conservata presso l’Archivio storico del ministero degli Esteri, l’Archivio centrale dello Stato, l’Archivio storico della Banca d’Italia e l’Archivio Politico del ministero degli Esteri della Repubblica federale. L’autore sostiene che le relazioni economiche italo-tedesche assunsero un ruolo centrale nel processo di elaborazione della politica estera italiana sulla questione tedesca nel corso di questi anni. Prima dell’istituzione della Repubblica federale tedesca, l’Italia divenne un partner economico fondamentale per la Germania occidentale. Tra il 1945 e il 1949 l'Italia fu il primo paese europeo favorevole alla rinascita di un nuovo stato tedesco non sottoposto alla diretta influenza dell’Unione Sovietica. Il presidente del Consiglio De Gasperi e il ministro degli Esteri Sforza per sostenere la nuova Germania attuarono una precisa azione diplomatica di riavvicinamento politico, promuovendo diversi scambi di visite e di incontri con i rappresentanti tedeschi.

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Oggetto della ricerca è il museo Wilhelm Lehmbruck di Duisburg, un'opera dell'architetto Manfred Lehmbruck, progettata e realizzata tra il 1957 e il 1964. Questa architettura, che ospita la produzione artistica del noto scultore Wilhelm Lehmbruck, padre di Manfred, è tra i primi musei edificati ex novo nella Repubblica Federale Tedesca dopo la seconda guerra mondiale. Il mito di Wilhelm Lehmbruck, costruito negli anni per donare una identità culturale alla città industriale di Duisburg, si rinvigorì nel secondo dopoguerra in seno ad una più generale tendenza sorta nella Repubblica di Bonn verso la rivalutazione dell'arte moderna, dichiarata “degenerata” dal nazionalsocialismo. Ricollegarsi all'arte e all'architettura moderna degli anni venti era in quel momento funzionale al ridisegno di un volto nuovo e democratico del giovane stato tedesco, che cercava legittimazione proclamandosi erede della mitica e gloriosa Repubblica di Weimar. Dopo anni di dibattiti sulla ricostruzione, l'architettura del neues Bauen sembrava l'unico modo in cui la Repubblica Federale potesse presentarsi al mondo, anche se la realtà del paese era assai più complessa e svelava il “doppio volto” che connotò questo stato a partire dal 1945. Le numerose dicotomie che popolarono presto la tabula rasa nata dalle ceneri del conflitto (memoria/oblio, tradizione/modernità, continuità/discontinuità con il recente e infausto passato) trovano espressione nella storia e nella particolare architettura del museo di Duisburg, che può essere quindi interpretato come un'opera paradigmatica per comprendere la nuova identità della Repubblica Federale, un'identità che la rese capace di risorgere dopo l' “anno zero”, ricercando nel miracolo economico uno strumento di redenzione da un passato vergognoso, che doveva essere taciuto, dimenticato, lasciato alle spalle.

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Il presente lavoro è strutturato in quattro parti analizzando e comparando le pubblicazioni del settore scientifico italiano, anglofono e tedesco di riferimento. Nel primo capitolo della tesi viene proposta una riflessione sulle parole che ruotano attorno al tema dei DSA e della disabilità. Nel secondo capitolo vengono presentati, a partire dalla letteratura scientifica di riferimento, gli indicatori di rischio che segnalano possibili disturbi specifici di apprendimento e le caratteristiche di apprendimento dei DSA mettendo in luce potenzialità e talenti spesso intrinseci. Nel terzo capitolo viene vagliata la normativa di riferimento, in particolare la recente Legge 170/2010 e le relative Linee Guida. Nel quarto capitolo, partendo dal tema della diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (da ora in poi TIC) nel mondo della scuola, sono ampiamente trattati i principali strumenti compensativi (sintesi vocale, libri digitali, mappe concettuali, Lavagna Interattiva Multimediale) e le misure dispensative adottabili. Nel quinto capitolo viene analizzato in tutte le sue parti il Piano Didattico Personalizzato (da ora in poi PDP) e viene proposto un possibile modello di PDP pubblicato sul sito dell'Ufficio per l’Ambito Territoriale di Bologna. Nel sesto capitolo della tesi viene presentato il Progetto Regionale ProDSA. Il Progetto, rivolto a studenti, con diagnosi di DSA, delle scuole secondarie di primo grado e del primo biennio delle secondarie di secondo grado dell’Emilia-Romagna, ha visto, grazie a un finanziamento della Regione, la consegna in comodato d'uso gratuito di tecnologie compensative agli alunni che hanno aderito. La sezione empirica del presente lavoro indaga l’uso reale che è stato fatto degli strumenti proposti in comodato d’uso e le motivazioni legate alla scelta di non utilizzarli in classe. Nel settimo capitolo vengono proposti strumenti progettati per rispondere concretamente alle criticità emerse dall'analisi dei dati e per sensibilizzare il mondo della scuola sulle caratteristiche dei DSA.

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Chiroptical spectroscopies play a fundamental role in pharmaceutical analysis for the stereochemical characterisation of bioactive molecules, due to the close relationship between chirality and optical activity and the increasing evidence of stereoselectivity in the pharmacological and toxicological profiles of chiral drugs. The correlation between chiroptical properties and absolute stereochemistry, however, requires the development of accurate and reliable theoretical models. The present thesis will report the application of theoretical chiroptical spectroscopies in the field of drug analysis, with particular emphasis on the huge influence of conformational flexibility and solvation on chiroptical properties and on the main computational strategies available to describe their effects by means of electronic circular dichroism (ECD) spectroscopy and time-dependent density functional theory (TD-DFT) calculations. The combination of experimental chiroptical spectroscopies with state-of-the-art computational methods proved to be very efficient at predicting the absolute configuration of a wide range of bioactive molecules (fluorinated 2-arylpropionic acids, β-lactam derivatives, difenoconazole, fenoterol, mycoleptones, austdiol). The results obtained for the investigated systems showed that great care must be taken in describing the molecular system in the most accurate fashion, since chiroptical properties are very sensitive to small electronic and conformational perturbations. In the future, the improvement of theoretical models and methods, such as ab initio molecular dynamics, will benefit pharmaceutical analysis in the investigation of non-trivial effects on the chiroptical properties of solvated systems and in the characterisation of the stereochemistry of complex chiral drugs.

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La tesi di dottorato ha come oggetto il pensiero sociologico di Georg Simmel con particolare riferimento alla sua interpretazione nei diversi indirizzi di ricerca della sociologia relazionale contemporanea. In particolare, si propone una rilettura del contributo simmeliano alla luce del paradigma relazionale della sociologia di Pierpaolo Donati. Il lavoro di ricerca è stato condotto secondo una rigorosa ricognizione testuale dell’opus simmeliano e della bibliografia critica internazionale sull'argomento in oggetto. A partire dalla nozione di relazione sociale, si dipana l’analisi della proposta sociologica simmeliana: il termine tedesco Wechselwirkung (azione reciproca) racchiude la complessa semantica con cui assume senso l’intera teoria sociologica simmeliana. Simmel è il primo "sociologo relazionale", come sostenuto da Donati, e in questa ricerca si cerca di mostrare le evidenze della validità di tale asserzione. Nella formulazione simmeliana si trovano importanti indizi teorici che permettono di rielaborare la relazione nei termini di una “forma sociale vitale”. Questo significa che la relazione sociale trova la sua ragion d’essere in quanto fenomeno umano che si determina a partire dalle nozioni di “spirito” (Geist) e “vita”(Leben). Nel primo capitolo si chiarisce la natura di questa relazione sociale in rapporto alle varie proposte sociologiche relazionali in campo internazionale. Nel secondo capitolo si analizza in maniera critica la (ri)formulazione simmeliana della relazione come scambio (nella forma simbolica del denaro) e le interpretazioni relazionali che si sono succedute a partire da questo cambio di rotta. Nel terzo capitolo vengono passate in rassegna le principali figure relazionali (la vita della metropoli, la moda, il conflitto, il povero, lo straniero) con le quali si confronta il sociologo berlinese. Nel quarto capitolo si propone di rileggere fenomeni sociali e culturali come forme relazionali in riferimento alla sfera dell’arte e della teologia (religione).

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L’ordinamento giuridico cinese contemporaneo si è, recentemente, impegnato in una riforma che ha interessato le norme vigenti in materia di registrazione immobiliare con l’intento di realizzare un sistema unitario dell’istituto. Dal momento che la modernizzazione del diritto civile cinese è iniziata - a partire dalla fine del XIX secolo – tramite il recepimento del diritto civile occidentale, la disamina delle esperienze europee in materia di pubblicità immobiliare assume una notevole importanza, al fine di esaminare le norme vigenti in Cina e i cambiamenti scaturenti dalla riforma. Pertanto, l’obiettivo della mia ricerca è stato quello di avanzare una tesi che possa rivelarsi quale strumento utile per la riforma in Cina, attraverso uno studio comparato dei modelli europei in materia di registrazione immobiliare. A tal fine, il lavoro è stato suddiviso in due parti: nella prima si è presentata un’analisi dettagliata del diritto di proprietà, del dualismo delle proprietà fondiarie e relative problematiche, del sistema dei diritti reali costituito dalla Legge sui diritti reali del 2007, da cui è partita la riforma dell’istituto della registrazione immobiliare. Un approfondimento particolare è dedicato al pluralismo dei regimi di registrazione immobiliare vigenti nel diritto cinese contemporaneo e all’introduzione dei cambiamenti apportati dal nuovo regolamento del 2015. Nella seconda parte dell’elaborato, attraverso lo studio comparato dei diversi modelli Europei (Francese, Tedesco e Inglese), si è tentato di illustrare le esperienze europee in materia di pubblicità immobiliare maturate nei tre temi maggiormente rappresentativi e concreti, quali la tutela degli interessi privatistici, l’autenticità dei titoli e il ruolo del notaio, la procedura della pubblicità immobiliare, al fine di individuare una via percorribile per il perfezionamento del sistema unitario della registrazione nell’ordinamento cinese. Nelle conclusioni, infine, sono state inserite anche alcune riflessioni circa l’importanza dello studio del diritto comparato per l’esperienza Cinese.

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La presente ricerca si propone di delineare un orizzonte critico e filosofico che permetta di ridefinire il concetto di postmodernismo in America alla fine del XX secolo e, a partire dagli anni Novanta del Novecento, il tentativo di un suo superamento da parte della letteratura contemporanea. L’analisi si focalizza sull’opera dello scrittore David Foster Wallace che esemplifica le contraddizioni interne al postmodernismo e mostra il passaggio cruciale dal postmodernismo a una non-ancora-ben-definita letteratura contemporanea. Muovendosi in un’ottica interdisciplinare e comparata, la tesi si propone di mostrare come Wallace, riprendendo la metariflessività e alcune opere di scrittori postmodernisti, tenti un atto di liberazione dalle convenzioni postmoderne attraverso un «postmodern founders’ patricidal work»: un “parricidio” letterario, prima di accettazione e poi di superamento. Attraverso un percorso tematico, nonché strutturale, si cercherà dunque di porre in rilievo il recupero del realismo da parte di Wallace che, seppur nel suo breve periodo compositivo, rappresenta questa nuova direzione della letteratura americana.

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Questo lavoro si concentra su un particolare aspetto della sfaccettata ricerca scientifica di Johannes Kepler (1571-1630), ossia quello teorico-musicale. I pensieri dell’astronomo tedesco riguardanti tale campo sono concentrati – oltre che in alcuni capitoli del Mysterium cosmographicum (1596) ed in alcune sue lettere – nel Libro III dell’Harmonices mundi libri quinque (1619), che, per la sua posizione mediana all’interno dell’opera, tra i primi due libri geometrici e gli ultimi due astronomici, e per la sua funzione di raccordo tra la «speculazione astratta» della geometria e la concretizzazione degli archetipi geometrici nel mondo fisico, assume la struttura di un vero e proprio trattato musicale sul modello di quelli rinascimentali, nel quale la «musica speculativa», dedicata alla teoria delle consonanze e alla loro deduzione geometrica precede la «musica activa», dedicata alla pratica del canto dell’uomo nelle sue differenze, generi e modi. La tesi contiene la traduzione italiana, con testo latino a fronte, del Libro III dell’Harmonice, e un’ampia introduzione che percorre le tappe fondamentali del percorso biografico e scientifico che hanno portato alla concezione di quest’opera – soffermandosi in particolare sulla formazione musicale ricevuta da Keplero, sulle pagine di argomento musicale del Mysterium e delle lettere, e sulle riflessioni filosofico-armoniche sviluppate negli anni di ricerca – e offre gli elementi fondamentali per poter comprendere l’Harmonice mundi in generale e il Libro III in particolare. A ciò si aggiunge, in Appendice, la traduzione, anch’essa con testo latino a fronte, della Sectio V, dedicata alla musica, del Liber IX dell’Almagestum novum (1651) di Giovanni Battista Riccioli (1598-1671), interessante sia dal punto di vista della recezione delle teorie di Keplero che dal punto di vista della storia delle idee musicali.