98 resultados para spettro risolvente teorema di persson spettro essenziale oscillatori non commutativi

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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The present thesis has as its object of study a project called “Education towards Peace and No Violence”, developed in the town of Altinópolis, in the inner part of the state of São Paulo, Brazil. Based on the analysis and the studies that were carried out, it was possible to identify the difficulties in the implementation of the project, as well as the positive results evidenced by the reduction of the reports of violence in the town. Through a careful research of the historical facts, it shall be demonstrated the progress of education, particularly in Brazil, throughout the years. In addition, a panoramic view of the studies and programs for peace developed in North America and Occidental Europe will be presented. The education for peace based in the holistic concept of human development appeared as a new educational paradigm that works as a crucial instrument in the construction process towards a peaceful and more human society based in social justice.

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Pochi studi hanno indagato il profilo dei sintomi non-motori nella malattia di Parkinson associata al gene glucocerebrosidasi (GBA). Questo studio è mirato alla caratterizzazione dei sintomi non-motori, con particolare attenzione alla valutazione delle funzioni neurovegetativa, cognitiva e comportamentale, nel parkinsonismo associato a mutazione del gene GBA con la finalità di verificare se tali sintomi non-motori siano parte dello spettro clinico di questi pazienti. E’ stato condotto su una coorte di pazienti affetti da malattia di Parkinson che erano stati tutti sottoposti ad una analisi genetica per la ricerca di mutazioni in uno dei geni finora associati alla malattia di Parkinson. All’interno di questa coorte omogenea sono stati identificati due gruppi diversi in relazione al genotipo (pazienti portatori della mutazione GBA e pazienti non portatori di nessuna mutazione) e le caratteristiche non-motorie sono state confrontate nei due gruppi. Sono state pertanto indagati il sistema nervoso autonomo, mediante studio dei riflessi cardiovascolari e analisi dei sintomi disautonomici, e le funzioni cognitivo-comportamentali in pazienti affetti da malattia di Parkinson associata a mutazione del gene GBA. I risultati sono stati messi a confronto con il gruppo di controllo. Lo studio ha mostrato che i pazienti affetti da malattia di Parkinson associata a mutazione del gene GBA presentavano maggiore frequenza di disfunzioni ortosimpatiche, depressione, ansia, apatia, impulsività, oltre che di disturbi del controllo degli impulsi rispetto ai pazienti non portatori. In conclusione, i pazienti GBA positivi possono esprimere una sintomatologia non-motoria multidominio con sintomi autonomici, cognitivi e comportamentali in primo piano. Pertanto l’impostazione terapeutica in questi pazienti dovrebbe includere una accurata valutazione dei sintomi non-motori e un loro monitoraggio nel follow up clinico, allo scopo di ottimizzare i risultati e ridurre i rischi di complicazioni.

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SCOPO DELLA RICERCA Aedes albopictus è diventata in pochi anni dalla sua introduzione in Italia la specie di zanzara più nociva e più importante sotto il profilo sanitario. Essendo una zanzara tipicamente urbana e ad attività diurna, limita fortemente la fruizione degli spazi aperti ed incide negativamente su alcune attività economiche. Il recente episodio epidemico di Chikungunya, che ha colpito il nostro Paese, ha allarmato le autorità sanitarie nazionali ed europee che stanno attivando misure di prevenzione e contrasto per fronteggiare il rischio che il virus diventi endemico o che altri virus possano essere introdotti nelle nostre aree. Le misure di lotta contro Aedes albopictus attualmente in essere (lotta larvicida, rimozione dei microfocolai, informazione e coinvolgimento dei cittadini) non danno risultati sufficienti in termini di capacità di contenimento delle densità del vettore. Per questo è stato avviato un progetto di ricerca centrato sull'applicazione del metodo dell'autocidio a questa specie. L’attività di ricerca svolta ha avuto come scopo la messa a punto delle metodiche di allevamento massale e di sterilizzazione in grado di permettere la produzione di maschi di qualità sufficiente a garantire una buona fitness nelle condizioni di campo e competitività coi maschi selvatici nella fase di accoppiamento. Le prove condotte possono essere raggruppate sotto tre principali campi di indagine: Prove di allevamento, Prove di Irraggiamento e Prove di Competizione. 1. Prove di allevamento In questo ambito sono state esaminate nuove diete larvali al fine di ottenere una più elevata produttività in termini di pupe con tempi di impupamento e dimensioni delle pupe più omogenei. È stata inoltre valutata la possibile reazione fagostimolante dell’ATP addizionato al pasto di sangue delle femmine adulte con lo scopo di incrementare la produttività di uova prodotte dai ceppi di Ae.albopictus in allevamento. 2. Prove di irraggiamento Attraverso prove di laboratorio sono stati investigati in gabbia gli effetti sterilizzanti di diverse dosi radianti (20 - 85 Gy) sulle pupe maschio di Ae. albopictus per la valutazione dei livelli di sterilità, fertilità e fecondità indotti sulle femmine. Si sono compiute inoltre indagini per valutare eventuali alterazioni dello stato fisiologico dei maschi irraggiati e dei livelli di sterilità indotti su femmine, in funzione dell’età pupale alla quale venivano sottoposti a radiazioni. Analisi degli effetti delle radiazioni sui tempi di rotazione genitale, sulla velocità ed efficacia degli accoppiamenti e sui tempi di sfarfallamento degli adulti sono state condotte su maschi irraggiati a diverse dosi. Infine su femmine di Ae. albopictus si sono realizzate prove in gabbia per lo studio dei tempi di recettività all'accoppiamento. Prove di competizione L'effetto negativo della colonizzazione in condizioni artificiali e l'irraggiamento sono riconosciuti come i fattori principali che incidono sulla competitività dei maschi sterilizzati nei confronti di quelli fertili. Per la verifica della variazione di fitness dovuta a imbreeding ed eterosi, prove di competizione in serra (7,5 x 5 x 2,80 m) sono state realizzate impiegando ceppi allevati in laboratorio, ceppi selvatici raccolti in campo e ceppi ibridi ottenuti incrociando diversi ceppi di laboratorio. RISULTATI 1. Prove di allevamento Sono state confrontate la dieta standard (DS = 2,5 mg/larva Friskies Adult ® + 0,5 mg/larva lievito di birra) e la nuova dieta integrata addizionata di Tetramin ® (DI = DS + 0,2 mg/larva Tetramin ®) per l’alimentazione delle larve in allevamento. Le prove condotte hanno evidenziato una buona risposta nelle percentuali di impupamento e di produttività in termini di pupe per la nuova dieta senza però evidenziare miglioramenti significativi con la DS. Con la dieta integrata si ottiene un impupamento a 7 giorni del 66,6% delle larve allevate (65% con la DS) e il setacciamento a 1400 μm delle pupe ottenute produce in media il 98,3% di maschi nel setacciato (98,5% con la DS). Con la dieta standard la percentuale di maschi ottenuti sulle larve iniziali è pari a 27,2% (20-25% con la DS). Come riportato da Timmermann e Briegel (1999) la dieta delle larve va strutturata con l’obiettivo di garantire un ampio range di elementi nutritivi evitando così il rischio di carenze o sub-carenze che possano influire negativamente sulla produttività dell’allevamento e sulle condizioni di vigore dei maschi. Secondo Reisen (1980, 1982), l’influenza negativa dell’allevamento sulla competitività dei maschi nella fase di accoppiamento potrebbe essere di maggiore peso rispetto all’influenza dell’irraggiamento dei maschi. Infine le prove di laboratorio condotte per la verifica dell’efficacia fagostimolante di ATP nel pasto di sangue offerto alle femmine dell’allevamento non hanno evidenziato differenze significative in nessuno dei parametri considerati tra il campione nutrito con ATP e il testimone. Nella realizzazione di allevamenti massali per la produzione di maschi da irraggiare, si ritiene quindi opportuno mantenere la nuova dieta testata che garantisce una spettro nutritivo più ampio e completo alle larve in allevamento. L’aggiunta di ATP nel pasto di sangue delle femmine adulte non sarà impiegato in quanto troppo costoso e significativamente poco produttivo nel garantire un aumento del numero di uova prodotte. 2. Prove di irraggiamento Oltre alla sopravvivenza e alla sterilità, la scelta dello stadio di sviluppo più conveniente da irraggiare in un programma SIT dipende dalla possibilità di maneggiare in sicurezza grandi quantità di insetti senza danneggiarli durante tutte le fasi che intercorrono tra l’allevamento massale, l’irraggiamento e il lancio in campo. La fase pupale risulta sicuramente più vantaggiosa per il maggior numero di pupe irraggiabili per unità di volume e per il minimo danneggiamento arrecabile all'insetto che viene mantenuto in acqua durante tutte le procedure. La possibilità di lavorare con la minima dose radiante efficace, significa ridurre lo stress provocato inevitabilmente alle pupe maschio, che si manifesta nell’adulto con una ridotta longevità, una diminuita capacità di accoppiamento o di ricerca del partner e attraverso possibili alterazioni comportamentali che possono rendere il maschio inattivo o inefficace una volta introdotto in campo. I risultati ottenuti sottoponendo pupe maschili a irraggiamento a differenti ore dall’impupamento evidenziano come la maturità del campione influisca sia sulla mortalità delle pupe che sull’efficacia sterilizzante dell’irraggiamento. Come riportato anche da Wijeyaratne (1977) le pupe più vecchie mostrano una minore mortalità e una maggiore sensibilità alle radiazioni rispetto a quelle più giovani. In particolare si è osservato come pupe maschili di età superiore 24h fossero maggiormente sensibili all’irraggiamento riportando minore perdita di competitività rispetto alle pupe irraggiate precocemente. La minore dose impiegata per il raggiungimento della sterilità con minimi effetti sulla longevità dei maschi trattati e con livelli di fecondità e fertilità indotti sulle femmine non differenti dal testimone, corrisponde a 40Gy (Cs 137 - 2,3 Gy/min). Analizzando la sopravvivenza dei maschi, si osserva una tendenza all'aumento della mortalità in funzione dell’aumento della dose fornita per tutte le età pupali di irraggiamento testate. Per trattamenti condotti su pupe di età > 30h la longevità dei maschi non risente dell’irraggiamento fino a dosi di 40Gy. La fecondità delle femmine accoppiatesi con maschi irraggiati con dosi superiori a 40Gy mostra una tendenza alla riduzione del numero di uova prodotte con l’aumentare della dose ricevuta dal maschio. L’irraggiamento delle pupe non determina variazioni significative nei tempi di sfarfallamento degli adulti per le diverse dosi radianti fornite e per le differenti età pupali testate in rapporto al testimone. L’irraggiamento influenza al contrario i tempi di rotazione dei genitali esterni dei maschi evidenziando un ritardo proporzionale alla dose ricevuta. Resta da definire sui maschi irraggiati l’effetto combinato dei due effetti sui tempi di sfarfallamento degli adulti anche se appare chiara l’assenza di variazioni significative per la dose di irraggiamento 40Gy scelta come radiazione utile per la sterilizzazione dei maschi da lanciare in campo. Per quanto riguarda l’analisi dei tempi di accoppiamento dei maschi irraggiati si osserva in generale una minore reattività rispetto ai maschi fertili particolarmente marcata nei maschi irraggiati a dosi superiori i 40 Gy. Gli studi condotti sui tempi di accoppiamento delle femmine evidenziano una buona recettività (>80%) all’accoppiamento solo per femmine di età superiore a 42 - 48 h femmine. Prima di tale periodo la femmina realizza accoppiamenti con normale appaiamento dei due sessi ma non riceve il trasferimento degli spermi. 3. Prove di competizione Prove preliminari di competizione in tunnel svolte nel 2006 su ceppi selvatici e di allevamento avevano mostrato risultati di competitività dei maschi sterili (50 Gy) segnati da forte variabilità. Nel 2007 dopo aver condotto analisi per la verifica dei tempi di sfarfallamento, di accoppiamento e di rotazione genitale nei maschi sterilizzati, e di recettività nelle femmine, sono state realizzate nuove prove. In queste prove maschi adulti di Ae. albopictus irraggiati a 40Gy sono stati posizionati in campo, in ambiente naturale ombreggiato ed isolato, all’interno di serre (8x5x2,8 m) insieme a maschi adulti fertili e femmine vergini di Ae. albopictus con rapporto 1:1:1. Le prove preliminari 2006 erano condotte con le medesime condizioni sperimentali del 2007 ad eccezione dei tempi di inserimento delle femmine vergini passati da 1 giorno nel 2006, a 3 giorni nel 2007 dall’immissione dei maschi in tunnel. Sono state effettuate prove testando la competizione tra esemplari provenienti da ceppi di allevamento (cicli di allevamento in gabbia > 15), ceppi selvatici (da materiale raccolto in campo e con cicli di allevamento in gabbia < 5) e ceppi ibridi (ottenuti dall’incrocio di ceppi italiani di diversa provenienza geografica). I risultati ottenuti mostrano indici di competizioni medi accettabili senza evidenziare differenza fra i ceppi impiegati. L’allevamento massale quindi non deprime i ceppi allevati e gli ibridi realizzati non mostrano una vigoria superiore ne rispetto ai ceppi selvatici ne rispetto agli allevati in laboratorio.

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Call me Ismail. Così inizia notoriamente il celebre romanzo di Herman Melville, Moby Dick. In un altro racconto, ambientato nel 1797, anno del grande ammutinamento della flotta del governo inglese, Melville dedica un breve accenno a Thomas Paine. Il racconto è significativo di quanto – ancora nella seconda metà dell’Ottocento – l’autore di Common Sense e Rights of Man sia sinonimo delle possibilità radicalmente democratiche che l’ultima parte del Settecento aveva offerto. Melville trova in Paine la chiave per dischiudere nel presente una diversa interpretazione della rivoluzione: non come una vicenda terminata e confinata nel passato, ma come una possibilità che persiste nel presente, “una crisi mai superata” che viene raffigurata nel dramma interiore del gabbiere di parrocchetto, Billy Budd. Il giovane marinaio della nave mercantile chiamata Rights of Man mostra un’attitudine docile e disponibile all’obbedienza, che lo rende pronto ad accettare il volere dei superiori. Billy non contesta l’arruolamento forzato nella nave militare. Nonostante il suo carattere affabile, non certo irascibile, l’esperienza in mare sulla Rights of Man rappresenta però un peccato difficile da espiare: il sospetto è più forte della ragionevolezza, specie quando uno spettro di insurrezione continua ad aggirarsi nella flotta di sua maestà. Così, quando, imbarcato in una nave militare della flotta inglese, con un violento pugno Billy uccide l’uomo che lo accusa di tramare un nuovo ammutinamento, il destino inevitabile è quello di un’esemplare condanna a morte. Una condanna che, si potrebbe dire, mostra come lo spettro della rivoluzione continui ad agitare le acque dell’oceano Atlantico. Nella Prefazione Melville fornisce una chiave di lettura per accedere al testo e decifrare il dramma interiore del marinaio: nella degenerazione nel Terrore, la vicenda francese indica una tendenza al tradimento della rivoluzione, che è così destinata a ripetere continuamente se stessa. Se “la rivoluzione si trasformò essa stessa in tirannia”, allora la crisi segna ancora la società atlantica. Non è però alla classica concezione del tempo storico – quella della ciclica degenerazione e rigenerazione del governo – che Melville sembra alludere. Piuttosto, la vicenda rivoluzionaria che ha investito il mondo atlantico ha segnato un radicale punto di cesura con il passato: la questione non è quella della continua replica della storia, ma quella del continuo circolare dello “spirito rivoluzionario”, come dimostra nell’estate del 1797 l’esperienza di migliaia di marinai che tra grida di giubilo issano sugli alberi delle navi i colori britannici da cui cancellano lo stemma reale e la croce, abolendo così d’un solo colpo la bandiera della monarchia e trasformando il mondo in miniatura della flotta di sua maestà “nella rossa meteora di una violenta e sfrenata rivoluzione”. Raccontare la vicenda di Billy riporta alla memoria Paine. L’ammutinamento è solo un frammento di un generale spirito rivoluzionario che “l’orgoglio nazionale e l’opinione politica hanno voluto relegare nello sfondo della storia”. Quando Billy viene arruolato, non può fare a meno di portare con sé l’esperienza della Rights of Man. Su quel mercantile ha imparato a gustare il dolce sapore del commercio insieme all’asprezza della competizione sfrenata per il mercato, ha testato la libertà non senza subire la coercizione di un arruolamento forzato. La vicenda di Billy ricorda allora quella del Paine inglese prima del grande successo di Common Sense, quando muove da un’esperienza di lavoro all’altra in modo irrequieto alla ricerca di felicità – dal mestiere di artigiano all’avventura a bordo di un privateer inglese durante la guerra dei sette anni, dalla professione di esattore fiscale alle dipendenze del governo, fino alla scelta di cercare fortuna in America. Così come Paine rivendica l’originalità del proprio pensiero, il suo essere un autodidatta e le umili origini che gli hanno impedito di frequentare le biblioteche e le accademie inglesi, anche Billy ha “quel tipo e quel grado di intelligenza che si accompagna alla rettitudine non convenzionale di ogni integra creatura umana alla quale non sia ancora stato offerto il dubbio pomo della sapienza”. Così come il pamphlet Rights of man porta alla virtuale condanna a morte di Paine – dalla quale sfugge trovando rifugio a Parigi – allo stesso modo il passato da marinaio sulla Rights of Man porta al processo per direttissima che sentenzia la morte per impiccagione del giovane marinaio. Il dramma interiore di Billy replica dunque l’esito negativo della rivoluzione in Europa: la rivoluzione è in questo senso come un “violento accesso di febbre contagiosa”, destinato a scomparire “in un organismo costituzionalmente sano, che non tarderà a vincerla”. Non viene però meno la speranza: quella della rivoluzione sembra una storia senza fine perché Edward Coke e William Blackstone – i due grandi giuristi del common law inglese che sono oggetto della violenta critica painita contro la costituzione inglese – “non riescono a far luce nei recessi oscuri dell’animo umano”. Rimane dunque uno spiraglio, un angolo nascosto dal quale continua a emergere uno spirito rivoluzionario. Per questo non esistono cure senza effetti collaterali, non esiste ordine senza l’ipoteca del ricorso alla forza contro l’insurrezione: c’è chi come l’ufficiale che condanna Billy diviene baronetto di sua maestà, c’è chi come Billy viene impiccato, c’è chi come Paine viene raffigurato come un alcolizzato e impotente, disonesto e depravato, da relegare sul fondo della storia atlantica. Eppure niente più del materiale denigratorio pubblicato contro Paine ne evidenzia il grande successo. Il problema che viene sollevato dalle calunniose biografie edite tra fine Settecento e inizio Ottocento è esattamente quello del trionfo dell’autore di Common Sense e Rights of Man nell’aver promosso, spiegato e tramandato la rivoluzione come sfida democratica che è ancora possibile vincere in America come in Europa. Sono proprio le voci dei suoi detrattori – americani, inglesi e francesi – a mostrare che la dimensione nella quale è necessario leggere Paine è quella del mondo atlantico. Assumendo una prospettiva atlantica, ovvero ricostruendo la vicenda politica e intellettuale di Paine da una sponda all’altra dell’oceano, è possibile collegare ciò che Paine dice in spazi e tempi diversi in modo da segnalare la presenza costante sulla scena politica di quei soggetti che – come i marinai protagonisti dell’ammutinamento – segnalano il mancato compimento delle speranze aperte dall’esperienza rivoluzionaria. Limitando la ricerca al processo di costruzione della nazione politica, scegliendo di riassumerne il pensiero politico nell’ideologia americana, nella vicenda costituzionale francese o nel contesto politico inglese, le ricerche su Paine non sono riuscite fino in fondo a mostrare la grandezza di un autore che risulta ancora oggi importante: la sua produzione intellettuale è talmente segnata dalle vicende rivoluzionarie che intessono la sua biografia da fornire la possibilità di studiare quel lungo periodo di trasformazione sociale e politica che investe non una singola nazione, ma l’intero mondo atlantico nel corso della rivoluzione. Attraverso Paine è allora possibile superare quella barriera che ha diviso il dibattito storiografico tra chi ha trovato nella Rivoluzione del 1776 la conferma del carattere eccezionale della nazione americana – fin dalla sua origine rappresentata come esente dalla violenta conflittualità che invece investe il vecchio continente – e chi ha relegato il 1776 a data di secondo piano rispetto al 1789, individuando nell’illuminismo la presunta superiorità culturale europea. Da una sponda all’altra dell’Atlantico, la storiografia ha così implicitamente alzato un confine politico e intellettuale tra Europa e America, un confine che attraverso Paine è possibile valicare mostrandone la debolezza. Parlando di prospettiva atlantica, è però necessario sgombrare il campo da possibili equivoci: attraverso Paine, non intendiamo stabilire l’influenza della Rivoluzione americana su quella francese, né vogliamo mostrare l’influenza del pensiero politico europeo sulla Rivoluzione americana. Non si tratta cioè di stabilire un punto prospettico – americano o europeo – dal quale leggere Paine. L’obiettivo non è quello di sottrarre Paine agli americani per restituirlo agli inglesi che l’hanno tradito, condannandolo virtualmente a morte. Né è quello di confermare l’americanismo come suo unico lascito culturale e politico. Si tratta piuttosto di considerare il mondo atlantico come l’unico scenario nel quale è possibile leggere Paine. Per questo, facendo riferimento al complesso filone storiografico dell’ultimo decennio, sviluppato in modo diverso da Bernard Bailyn a Markus Rediker e Peter Linebaugh, parliamo di rivoluzione atlantica. Certo, Paine vede fallire nell’esperienza del Terrore quella rivoluzione che in America ha trionfato. Ciò non costituisce però un elemento sufficiente per riproporre l’interpretazione arendtiana della rivoluzione che, sulla scorta della storiografia del consenso degli anni cinquanta, ma con motivi di fascino e interesse che non sempre ritroviamo in quella storiografia, ha contribuito ad affermare un ‘eccezionalismo’ americano anche in Europa, rappresentando gli americani alle prese con il problema esclusivamente politico della forma di governo, e i francesi impegnati nel rompicapo della questione sociale della povertà. Rompicapo che non poteva non degenerare nella violenza francese del Terrore, mentre l’America riusciva a istituire pacificamente un nuovo governo rappresentativo facendo leva su una società non conflittuale. Attraverso Paine, è infatti possibile mostrare come – sebbene con intensità e modalità diverse – la rivoluzione incida sul processo di trasformazione commerciale della società che investe l’intero mondo atlantico. Nel suo andirivieni da una sponda all’altra dell’oceano, Paine non ragiona soltanto sulla politica – sulla modalità di organizzare una convivenza democratica attraverso la rappresentanza, convivenza che doveva trovare una propria legittimazione nel primato della costituzione come norma superiore alla legge stabilita dal popolo. Egli riflette anche sulla società commerciale, sui meccanismi che la muovono e le gerarchie che la attraversano, mostrando così precise linee di continuità che tengono insieme le due sponde dell’oceano non solo nella circolazione del linguaggio politico, ma anche nella comune trasformazione sociale che investe i termini del commercio, del possesso della proprietà e del lavoro, dell’arricchimento e dell’impoverimento. Con Paine, America e Europa non possono essere pensate separatamente, né – come invece suggerisce il grande lavoro di Robert Palmer, The Age of Democratic Revolution – possono essere inquadrate dentro un singolo e generale movimento rivoluzionario essenzialmente democratico. Emergono piuttosto tensioni e contraddizioni che investono il mondo atlantico allontanando e avvicinando continuamente le due sponde dell’oceano come due estremità di un elastico. Per questo, parliamo di società atlantica. Quanto detto trova conferma nella difficoltà con la quale la storiografia ricostruisce la figura politica di Paine dentro la vicenda rivoluzionaria americana. John Pocock riconosce la difficoltà di comprendere e spiegare Paine, quando sostiene che Common Sense non evoca coerentemente nessun prestabilito vocabolario atlantico e la figura di Paine non è sistemabile in alcuna categoria di pensiero politico. Partendo dal paradigma classico della virtù, legata antropologicamente al possesso della proprietà terriera, Pocock ricostruisce la permanenza del linguaggio repubblicano nel mondo atlantico senza riuscire a inserire Common Sense e Rights of Man nello svolgimento della rivoluzione. Sebbene non esplicitamente dichiarata, l’incapacità di comprendere il portato innovativo di Common Sense, in quella che è stata definita sintesi repubblicana, è evidente anche nel lavoro di Bernard Bailyn che spiega come l’origine ideologica della rivoluzione, radicata nella paura della cospirazione inglese contro la libertà e nel timore della degenerazione del potere, si traduca ben presto in un sentimento fortemente contrario alla democrazia. Segue questa prospettiva anche Gordon Wood, secondo il quale la chiamata repubblicana per l’indipendenza avanzata da Paine non parla al senso comune americano, critico della concezione radicale del governo rappresentativo come governo della maggioranza, che Paine presenta quando partecipa al dibattito costituzionale della Pennsylvania rivoluzionaria. Paine è quindi considerato soltanto nelle risposte repubblicane dei leader della guerra d’indipendenza che temono una possibile deriva democratica della rivoluzione. Paine viene in questo senso dimenticato. La sua figura è invece centrale della nuova lettura liberale della rivoluzione: Joyce Appleby e Isaac Kramnick contestano alla letteratura repubblicana di non aver compreso che la separazione tra società e governo – la prima intesa come benedizione, il secondo come male necessario – con cui si apre Common Sense rappresenta il tentativo riuscito di cogliere, spiegare e tradurre in linguaggio politico l’affermazione del capitalismo. In particolare, Appleby critica efficacemente il concetto d’ideologia proposto dalla storiografia repubblicana, perché presuppone una visione statica della società. L’affermazione del commercio fornirebbe invece quella possibilità di emancipazione attraverso il lavoro libero, che Paine coglie perfettamente promuovendo una visione della società per la quale il commercio avrebbe permesso di raggiungere la libertà senza il timore della degenerazione della rivoluzione nel disordine. Questa interpretazione di Paine individua in modo efficace un aspetto importante del suo pensiero politico, la sua profonda fiducia nel commercio come strumento di emancipazione e progresso. Tuttavia, non risulta essere fino in fondo coerente e pertinente, se vengono prese in considerazione le diverse agende politiche avanzate in seguito alla pubblicazione di Common Sense e di Rights of Man, né sembra reggere quando prendiamo in mano The Agrarian Justice (1797), il pamphlet nel quale Paine mette in discussione la sua profonda fiducia nel progresso della società commerciale. Diverso è il Paine che emerge dalla storiografia bottom-up, secondo la quale la rivoluzione non può più essere ridotta al momento repubblicano o all’affermazione senza tensione del liberalismo: lo studio della rivoluzione deve essere ampliato fino a comprendere quell’insieme di pratiche e discorsi che mirano all’incisiva trasformazione dell’esistente slegando il diritto di voto dalla qualifica proprietaria, perseguendo lo scopo di frenare l’accumulazione di ricchezza nelle mani di pochi con l’intento di ordinare la società secondo una logica di maggiore uguaglianza. Come dimostrano Eric Foner e Gregory Claeys, attraverso Paine è allora possibile rintracciare, sulla sponda americana come su quella inglese dell’Atlantico, forti pretese democratiche che non sembrano riducibili al linguaggio liberale, né a quello repubblicano. Paine viene così sottratto a rigide categorie storiografiche che per troppo tempo l’hanno consegnato tout court all’elogio del campo liberale o al silenzio di quello repubblicano. Facendo nostra la metodologia di ricerca elaborata dalla storiografia bottom-up per tenere insieme storia sociale e storia intellettuale, possiamo allora leggere Paine non solo per parlare di rivoluzione atlantica, ma anche di società atlantica: società e politica costituiscono un unico orizzonte d’indagine dal quale esce ridimensionata l’interpretazione della rivoluzione come rivoluzione esclusivamente politica, che – sebbene in modo diverso – tanto la storiografia repubblicana quanto quella liberale hanno rafforzato, alimentando indirettamente l’eccezionale successo americano contro la clamorosa disfatta europea. Entrambe le sponde dell’Atlantico mostrano una società in transizione: la costruzione della finanza nazionale con l’istituzione del debito pubblico e la creazione delle banche, la definizione delle forme giuridiche che stabiliscono modalità di possesso e impiego di proprietà e lavoro, costituiscono un complesso strumentario politico necessario allo sviluppo del commercio e al processo di accumulazione di ricchezza. Per questo, la trasformazione commerciale della società è legata a doppio filo con la rivoluzione politica. Ricostruire il modo nel quale Paine descrive e critica la società da una sponda all’altra dell’Atlantico mostra come la separazione della società dal governo non possa essere immediatamente interpretata come essenza del liberalismo economico e politico. La lettura liberale rappresenta senza ombra di dubbio un salto di qualità nell’interpretazione storiografica perché spiega in modo convincente come Paine traduca in discorso politico il passaggio da una società fortemente gerarchica come quella inglese, segnata dalla condizione di povertà e miseria comune alle diverse figure del lavoro, a una realtà sociale come quella americana decisamente più dinamica, dove il commercio e le terre libere a ovest offrono ampie possibilità di emancipazione e arricchimento attraverso il lavoro libero. Tuttavia, leggendo The Case of Officers of Excise (1772) e ricostruendo la sua attività editoriale alla guida del Pennsylvania Magazine (1775) è possibile giungere a una conclusione decisamente più complessa rispetto a quella suggerita dalla storiografia liberale: il commercio non sembra affatto definire una qualità non conflittuale del contesto atlantico. Piuttosto, nonostante l’assenza dell’antico ordine ‘cetuale’ europeo, esso investe la società di una tendenza alla trasformazione, la cui direzione, intensità e velocità dipendono anche dall’esito dello scontro politico in atto dentro la rivoluzione. Spostando l’attenzione su figure sociali che in quella letteratura sono di norma relegate in secondo piano, Paine mira infatti a democratizzare la concezione del commercio indicando nell’indipendenza personale la condizione comune alla quale poveri e lavoratori aspirano: per chi è coinvolto in prima persona nella lotta per l’indipendenza, la visione della società non indica allora un ordine naturale, dato e immutabile, quanto una scommessa sul futuro, un ideale che dovrebbe avviare un cambiamento sociale coerente con le diverse aspettative di emancipazione. Senza riconoscere questa valenza democratica del commercio non è possibile superare il consenso come presupposto incontestabile della Rivoluzione americana, nel quale tanto la storiografia repubblicana quanto quella librale tendono a cadere: non è possibile superare l’immagine statica della società americana, implicitamente descritta dalla prima, né andare oltre la visione di una società dinamica, ma priva di gerarchie e oppressione, come quella delineata dalla seconda. Le entusiastiche risposte e le violente critiche in favore e contro Common Sense, la dura polemica condotta in difesa o contro la costituzione radicale della Pennsylvania, la diatriba politica sul ruolo dei ricchi mercanti mostrano infatti una società in transizione lungo linee che sono contemporaneamente politiche e sociali. Dentro questo contesto conflittuale, repubblicanesimo e liberalismo non sembrano affatto competere l’uno contro l’altro per esercitare un’influenza egemone nella costruzione del governo rappresentativo. Vengono piuttosto mescolati e ridefiniti per rispondere alla pretese democratiche che provengono dalla parte bassa della società. Common Sense propone infatti un piano politico per l’indipendenza del tutto innovativo rispetto al modo nel quale le colonie hanno fino a quel momento condotto la controversia con la madre patria: la chiamata della convenzione rappresentativa di tutti gli individui per scrivere una nuova costituzione assume le sembianze di un vero e proprio potere costituente. Con la mobilitazione di ampie fasce della popolazione per vincere la guerra contro gli inglesi, le élite mercantili e proprietarie perdono il monopolio della parola e il processo decisionale è aperto anche a coloro che non hanno avuto voce nel governo coloniale. La dottrina dell’indipendenza assume così un carattere democratico. Paine non impiega direttamente il termine, tuttavia le risposte che seguono la pubblicazione di Common Sense lanciano esplicitamente la sfida della democrazia. Ciò mostra come la rivoluzione non possa essere letta semplicemente come affermazione ideologica del repubblicanesimo in continuità con la letteratura d’opposizione del Settecento britannico, o in alternativa come transizione non conflittuale al liberalismo economico e politico. Essa risulta piuttosto comprensibile nella tensione tra repubblicanesimo e democrazia: se dentro la rivoluzione (1776-1779) Paine contribuisce a democratizzare la società politica americana, allora – ed è questo un punto importante, non sufficientemente chiarito dalla storiografia – il recupero della letteratura repubblicana assume il carattere liberale di una strategia tesa a frenare le aspettative di chi considera la rivoluzione politica come un mezzo per superare la condizione di povertà e le disuguaglianze che pure segnano la società americana. La dialettica politica tra democrazia e repubblicanesimo consente di porre una questione fondamentale per comprendere la lunga vicenda intellettuale di Paine nella rivoluzione atlantica e anche il rapporto tra trasformazione sociale e rivoluzione politica: è possibile sostenere che in America la congiunzione storica di processo di accumulazione di ricchezza e costruzione del governo rappresentativo pone la società commerciale in transizione lungo linee capitalistiche? Questa non è certo una domanda che Paine pone esplicitamente, né in Paine troviamo una risposta esaustiva. Tuttavia, la sua collaborazione con i ricchi mercanti di Philadelphia suggerisce una valida direzione di indagine dalla quale emerge che il processo di costruzione del governo federale è connesso alla definizione di una cornice giuridica entro la quale possa essere realizzata l’accumulazione del capitale disperso nelle periferie dell’America indipendente. Paine viene così coinvolto in un frammentato e dilatato scontro politico dove – nonostante la conclusione della guerra contro gli inglesi nel 1783 – la rivoluzione non sembra affatto conclusa perché continua a muovere passioni che ostacolano la costruzione dell’ordine: leggere Paine fuori dalla rivoluzione (1780-1786) consente paradossalmente di descrivere la lunga durata della rivoluzione e di considerare la questione della transizione dalla forma confederale a quella federale dell’unione come un problema di limiti della democrazia. Ricostruire la vicenda politica e intellettuale di Paine in America permette infine di evidenziare un ambiguità costitutiva della società commerciale dentro la quale il progetto politico dei ricchi mercanti entra in tensione con un’attitudine popolare critica del primo processo di accumulazione che rappresenta un presupposto indispensabile all’affermazione del capitalismo. La rivoluzione politica apre in questo senso la società commerciale a una lunga e conflittuale transizione verso il capitalismo Ciò risulta ancora più evidente leggendo Paine in Europa (1791-1797). Da una sponda all’altra dell’Atlantico, con Rights of Man egli esplicita ciò che in America ha preferito mantenere implicito, pur raccogliendo la sfida democratica lanciata dai friend of Common Sense: il salto in avanti che la rivoluzione atlantica deve determinare nel progresso dell’umanità è quello di realizzare la repubblica come vera e propria democrazia rappresentativa. Tuttavia, il fallimento del progetto politico di convocare una convenzione nazionale in Inghilterra e la degenerazione dell’esperienza repubblicana francese nel Terrore costringono Paine a mettere in discussione quella fiducia nel commercio che la storiografia liberale ha con grande profitto mostrato: il mancato compimento della rivoluzione in Europa trova infatti spiegazione nella temporanea impossibilità di tenere insieme democrazia rappresentativa e società commerciale. Nel contesto europeo, fortemente disgregato e segnato da durature gerarchie e forti disuguaglianze, con The Agrarian Justice, Paine individua nel lavoro salariato la causa del contraddittorio andamento – di arricchimento e impoverimento – dello sviluppo economico della società commerciale. La tendenza all’accumulazione non è quindi l’unica qualità della società commerciale in transizione. Attraverso Paine, possiamo individuare un altro carattere decisivo per comprendere la trasformazione sociale, quello dell’affermazione del lavoro salariato. Non solo in Europa. Al ritorno in America, Paine non porta con sé la critica della società commerciale. Ciò non trova spiegazione esclusivamente nel minor grado di disuguaglianza della società americana. Leggendo Paine in assenza di Paine (1787-1802) – ovvero ricostruendo il modo nel quale dall’Europa egli discute, critica e influenza la politica americana – mostreremo come la costituzione federale acquisisca gradualmente la supremazia sulla conflittualità sociale. Ciò non significa che l’America indipendente sia caratterizzata da un unanime consenso costituzionale. Piuttosto, è segnata da un lungo e tortuoso processo di stabilizzazione che esclude la democrazia dall’immediato orizzonte della repubblica americana. Senza successo, Paine torna infatti a promuovere una nuova sfida democratica come nella Pennsylvania rivoluzionaria degli anni settanta. E’ allora possibile vedere come la rivoluzione atlantica venga stroncata su entrambe le sponde dell’oceano: i grandi protagonisti della politica atlantica che prendono direttamente parola contro l’agenda democratica painita – Edmund Burke, Boissy d’Anglas e John Quincy Adams – spostano l’attenzione dal governo alla società per rafforzare le gerarchie determinate dal possesso di proprietà e dall’affermazione del lavoro salariato. Dentro la rivoluzione atlantica, viene così svolto un preciso compito politico, quello di contribuire alla formazione di un ambiente sociale e culturale favorevole all’affermazione del capitalismo – dalla trasformazione commerciale della società alla futura innovazione industriale. Ciò emerge in tutta evidenza quando sulla superficie increspata dell’oceano Atlantico compare nuovamente Paine: a Londra come a New York. Abbandonando quella positiva visione del commercio come vettore di emancipazione personale e collettiva, nel primo trentennio del diciannovesimo secolo, i lavoratori delle prime manifatture compongono l’agenda radicale che Paine lascia in eredità in un linguaggio democratico che assume così la valenza di linguaggio di classe. La diversa prospettiva politica sulla società elaborata da Paine in Europa torna allora d’attualità, anche in America. Ciò consente in conclusione di discutere quella storiografia secondo la quale nella repubblica dal 1787 al 1830 il trionfo della democrazia ha luogo – senza tensione e conflittualità – insieme con la lineare e incontestata affermazione del capitalismo: leggere Paine nella rivoluzione atlantica consente di superare quell’approccio storiografico che tende a ricostruire la circolazione di un unico paradigma linguistico o di un’ideologia dominante, finendo per chiudere la grande esperienza rivoluzionaria atlantica in un tempo limitato – quello del 1776 o in alternativa del 1789 – e in uno spazio chiuso delimitato dai confini delle singole nazioni. Quello che emerge attraverso Paine è invece una società atlantica in transizione lungo linee politiche e sociali che tracciano una direzione di marcia verso il capitalismo, una direzione affatto esente dal conflitto. Neanche sulla sponda americana dell’oceano, dove attraverso Paine è possibile sottolineare una precisa congiunzione storica tra rivoluzione politica, costruzione del governo federale e transizione al capitalismo. Una congiunzione per la quale la sfida democratica non risulta affatto sconfitta: sebbene venga allontanata dall’orizzonte immediato della rivoluzione, nell’arco di neanche un ventennio dalla morte di Paine nel 1809, essa torna a muovere le acque dell’oceano – con le parole di Melville – come un violento accesso di febbre contagiosa destinato a turbare l’organismo costituzionalmente sano del mondo atlantico. Per questo, come scrive John Adams nel 1805 quella che il 1776 apre potrebbe essere chiamata “the Age of Folly, Vice, Frenzy, Brutality, Daemons, Buonaparte -…- or the Age of the burning Brand from the Bottomless Pit”. Non può però essere chiamata “the Age of Reason”, perché è l’epoca di Paine: “whether any man in the world has had more influence on its inhabitants or affairs for the last thirty years than Tom Paine” -…- there can be no severer satyr on the age. For such a mongrel between pig and puppy, begotten by a wild boar on a bitch wolf, never before in any age of the world was suffered by the poltroonery of mankind, to run through such a career of mischief. Call it then the Age of Paine”.

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E’ mostrata l’analisi e la modellazione di dati termocronologici di bassa temperatura da due regioni Alpine: il Sempione ed il Brennero. Le faglie distensive presenti bordano settori crostali profondi appartenenti al dominio penninico: il duomo metamorfico Lepontino al Sempione e la finestra dei Tauri al Brennero. I dati utilizzati sono FT e (U-Th)/He su apatite. Per il Sempione i dati provengono dalla bibliografia; per il Brennero si è provveduto ad un nuovo campionamento, sia in superficie che in sotterraneo. Gli attuali lavori per la galleria di base del Brennero (BBT), hanno consentito, per la prima volta, di raccogliere dati di FT e (U-Th)/He in apatite in sottosuolo per la finestra dei Tauri occidentale. Le analisi sono state effettuate tramite un codice a elementi finiti, Pecube, risolvente l’equazione di diffusione del calore per una topografia evolvente nel tempo. Il codice è stato modificato per tener conto dei dati sotterranei. L’inversione dei dati è stata effettuata usando il Neighbourhood Algorithm (NA), per ottenere il più plausibile scenario di evoluzione morfotettonico. I risultati ottenuti per il Sempione mostrano: ipotetica evoluzione dello stile tettonico della faglia del Sempione da rolling hinge a low angle detachment a 6.5 Ma e la cessazione dell’attività a 3 Ma; costruzione del rilievo fino a 5.5 Ma, smantellamento da 5.5 Ma ad oggi, in coincidenza dei cambiamenti climatici Messiniani e relativi all’inizio delle maggiori glaciazioni; incremento dell’esumazione da 0–0.6 mm/anno a 0.6–1.2 mm/anno a 2.4 Ma nell’emisfero settentrionale. I risultati al Brennero mostrano: maggiore attività tettonica della faglia del Brennero (1.3 mm/anno), maggiore attività esumativa (1–2 mm/anno) prima dei 10 Ma; crollo dell’attività della faglia del Brennero fra 10 Ma e oggi (0.1 mm/anno) e dell’attività esumativa nello stesso periodo (0.1–0.3 mm/anno); nessun aumento del tasso esumativo o variazioni topografiche negli ultimi 5 Ma.

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L’attività di ricerca contenuta in questa tesi si è concentrata nello sviluppo e nell’implementazione di tecniche per la co-simulazione e il co-progetto non lineare/elettromagnetico di sistemi wireless non convenzionali. Questo lavoro presenta un metodo rigoroso per considerare le interazioni tra due sistemi posti sia in condizioni di campo vicino che in condizioni di campo lontano. In sostanza, gli effetti del sistema trasmittente sono rappresentati da un generatore equivalente di Norton posto in parallelo all’antenna del sistema ricevente, calcolato per mezzo del teorema di reciprocità e del teorema di equivalenza. La correttezza del metodo è stata verificata per mezzo di simulazioni e misure, concordi tra loro. La stessa teoria, ampliata con l’introduzione degli effetti di scattering, è stata usata per valutare una condizione analoga, dove l’elemento trasmittente coincide con quello ricevente (DIE) contenuto all’interno di una struttura metallica (package). I risultati sono stati confrontati con i medesimi ottenibili tramite tecniche FEM e FDTD/FIT, che richiedono tempi di simulazione maggiori di un ordine di grandezza. Grazie ai metodi di co-simulazione non lineari/EM sopra esposti, è stato progettato e verificato un sistema di localizzazione e identificazione di oggetti taggati posti in ambiente indoor. Questo è stato ottenuto dotando il sistema di lettura, denominato RID (Remotely Identify and Detect), di funzioni di scansione angolare e della tecnica di RADAR mono-pulse. Il sistema sperimentale, creato con dispositivi low cost, opera a 2.5 GHz ed ha le dimensioni paragonabili ad un normale PDA. E’ stato sperimentata la capacità del RID di localizzare, in scenari indoor, oggetti statici e in movimento.

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Helicobacter pylori, un patogeno umano in grado di colonizzare la nicchia gastrica, è associato a patologie del tratto gastrointestinale di varia gravità. Per sopravvivere nell’ambiente ostile dello stomaco dell’ospite, e mettere in atto un’infezione persistente, il batterio si serve di una serie di fattori di virulenza che includono anche le proteine Heat Shock (chaperone). I principali geni codificanti le proteine chaperone in H. pylori sono organizzati in tre operoni trascritti dall’RNA polimerasi contenente il fattore sigma vegetativo σ80. La trascrizione di due dei tre operoni è regolata negativamente da due regolatori trascrizionali, HspR e HrcA, mentre il terzo operone è represso solo da HspR. Fino ad ora, studi molecolari per la comprensione del ruolo di ciascuna proteina nel controllo trascrizionale dei geni heat shock sono stati ostacolati dalla citotossicità ed insolubilità di HrcA quando espressa in sistemi eterologhi. In questo lavoro, è stata analizzata la sequenza amminoacidica di HrcA ed è stata confermata sperimentalmente la predizione bioinformatica della sua associazione con la membrana interna. La citotossicità e l’insolubilità di HrcA in E. coli sono state alleviate inducendone l’espressione a 42°C. Saggi in vitro con le proteine ricombinanti purificate, HspR e HrcA, hanno consentito di definire i siti di legame dei due repressori sui promotori degli operoni heat shock. Ulteriori saggi in vitro hanno suggerito che l’affinità di HrcA per gli operatori è aumentata dalla chaperonina GroESL. Questi dati contribuiscono parzialmente alla comprensione del meccanismo di repressione della trascrizione espletato da HrcA e HspR e permettono di ipotizzare il coinvolgimento di altri regolatori trascrizionali. L’analisi di RNA estratti dal ceppo selvatico e dai mutanti hrcA, hspR e hrcA/hspR di H.pylori su DNAmacroarrays non ha evidenziato il coinvolgimento di altri regolatori trascrizionali, ma ha permesso l’identificazione di un gruppo di geni indotti da HrcA e/ HspR. Questi geni sono coinvolti nella biosintesi e regolazione dell’apparato flagellare, suggerendo un’interconnessione tra la risposta heat shock e la motilità e chemiotassi del batterio.

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PREMESSA: La progressione della recidiva d’epatite C è accelerata nei pazienti sottoposti a trapianto di fegato e ciò ha portato alla necessità di sviluppare nuove e validate metodiche non invasive per la quantificazione e la misura della fibrosi epatica. SCOPI: Stabilire l’efficacia dell’elastometria epatica (Fibroscan®) e dei parametri sierici di fibrosi, attualmente disponibili nella pratica clinica, per predire il grado di fibrosi nei pazienti sottoposti a trapianto epatico. METODI: La correlazione fra fibrosi epatica, determinata mediante biopsia epatica ed esame istologico, e Fibroscan® o indici clinico-sierologici di fibrosi (Benlloch, Apri, Forns, Fibrotest and Doppler resistance index), è stata studiata in pazienti che avevano ricevuto un trapianto ortotopico di fegato con evidenza di recidiva d’epatite da HCV. Un totale di 36 pazienti, con la seguente classificazione istologica: fibrosi secondom METAVIR F1=24, F2=8, F3=3, F4=1, sono stati arruolati nella popolazione oggetto di studio. Un totale di 29 individui volontari sani sono serviti come controllo. Le differenze fra gli stadi di fibrosi sono state calcolate mediante analisi statistica non parametrica. Il miglior cut-off per la differenziazione di fibrosi significativa (F2-F4) è stato identificato mediante l’analisi delle curve ROC. RISULTATI: La rigidità epatica ha presentato valori di 4.4 KPa (2.7-6.9) nei controlli (mediane e ranges), con valori in tutti i soggeti <7.0 KPa; 7.75 KPa (4.2-28.0) negli F1; 16.95 KPa (10.2-31.6) negli F2; 21.10 KPa nell’unico paziente F4 cirrotico. Le differenze sono state statisticamente significative per i soggetti controllo versus F1 e F2 (p<0.0001) e per F1 versus F2 (p<0.0001). Un cut-off elastografico di 11.2 KPagarantisce 88% di Sensibilità, 90% di Specificità, 79% di PPV e 95% di NPV nel differenziare i soggetti F1 dagli F2-F4. Le AUROC, relativamente alla capacità di discriminare fra i differenti gradi di fibrosi, evidenziavano un netto vantaggio per il Fibroscan® rispetto ad ognuno degli indici non invasivi di fibrosi. CONCLUSIONI: L’elastometria epatica presenta una buona accuratezza diagnostica nell’identificare pazienti con fibrosi epatica di grado significativo, superiore a quella di tutti gli altri test non invasivi al momento disponibili nella clinica, nei pazienti portatori di trapianto epatico ortotopico da cadavere con recidiva di HCV.

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Introduzione L’importanza clinica, sociale ed economica del trattamento dell’ipertensione arteriosa richiede la messa in opera di strumenti di monitoraggio dell’uso dei farmaci antiipertensivi che consentano di verificare la trasferibilità alla pratica clinica dei dati ottenuti nelle sperimentazioni. L’attuazione di una adatta strategia terapeutica non è un fenomeno semplice da realizzare perché le condizioni in cui opera il Medico di Medicina Generale sono profondamente differenti da quelle che si predispongono nell’esecuzione degli studi randomizzati e controllati. Emerge, pertanto, la necessità di conoscere le modalità con cui le evidenze scientifiche trovano reale applicazione nella pratica clinica routinaria, identificando quei fattori di disturbo che, nei contesti reali, limitano l’efficacia e l’appropriatezza clinica. Nell’ambito della terapia farmacologica antiipertensiva, uno di questi fattori di disturbo è costituito dalla ridotta aderenza al trattamento. Su questo tema, recenti studi osservazionali hanno individuato le caratteristiche del paziente associate a bassi livelli di compliance; altri hanno focalizzato l’attenzione sulle caratteristiche del medico e sulla sua capacità di comunicare ai propri assistiti l’importanza del trattamento farmacologico. Dalle attuali evidenze scientifiche, tuttavia, non emerge con chiarezza il peso relativo dei due diversi attori, paziente e medico, nel determinare i livelli di compliance nel trattamento delle patologie croniche. Obiettivi Gli obiettivi principali di questo lavoro sono: 1) valutare quanta parte della variabilità totale è attribuibile al livello-paziente e quanta parte della variabilità è attribuibile al livello-medico; 2) spiegare la variabilità totale in funzione delle caratteristiche del paziente e in funzione delle caratteristiche del medico. Materiale e metodi Un gruppo di Medici di Medicina Generale che dipendono dall’Azienda Unità Sanitaria Locale di Ravenna si è volontariamente proposto di partecipare allo studio. Sono stati arruolati tutti i pazienti che presentavano almeno una misurazione di pressione arteriosa nel periodo compreso fra il 01/01/1997 e il 31/12/2002. A partire dalla prima prescrizione di farmaci antiipertensivi successiva o coincidente alla data di arruolamento, gli assistiti sono stati osservati per 365 giorni al fine di misurare la persistenza in trattamento. La durata del trattamento antiipertensivo è stata calcolata come segue: giorni intercorsi tra la prima e l’ultima prescrizione + proiezione, stimata sulla base delle Dosi Definite Giornaliere, dell’ultima prescrizione. Sono stati definiti persistenti i soggetti che presentavano una durata del trattamento maggiore di 273 giorni. Analisi statistica I dati utilizzati per questo lavoro presentano una struttura gerarchica nella quale i pazienti risultano “annidati” all’interno dei propri Medici di Medicina Generale. In questo contesto, le osservazioni individuali non sono del tutto indipendenti poiché i pazienti iscritti allo stesso Medico di Medicina Generale tenderanno ad essere tra loro simili a causa della “storia comune” che condividono. I test statistici tradizionali sono fortemente basati sull’assunto di indipendenza tra le osservazioni. Se questa ipotesi risulta violata, le stime degli errori standard prodotte dai test statistici convenzionali sono troppo piccole e, di conseguenza, i risultati che si ottengono appaiono “impropriamente” significativi. Al fine di gestire la non indipendenza delle osservazioni, valutare simultaneamente variabili che “provengono” da diversi livelli della gerarchia e al fine di stimare le componenti della varianza per i due livelli del sistema, la persistenza in trattamento antiipertensivo è stata analizzata attraverso modelli lineari generalizzati multilivello e attraverso modelli per l’analisi della sopravvivenza con effetti casuali (shared frailties model). Discussione dei risultati I risultati di questo studio mostrano che il 19% dei trattati con antiipertensivi ha interrotto la terapia farmacologica durante i 365 giorni di follow-up. Nei nuovi trattati, la percentuale di interruzione terapeutica ammontava al 28%. Le caratteristiche-paziente individuate dall’analisi multilivello indicano come la probabilità di interrompere il trattamento sia più elevata nei soggetti che presentano una situazione clinica generale migliore (giovane età, assenza di trattamenti concomitanti, bassi livelli di pressione arteriosa diastolica). Questi soggetti, oltre a non essere abituati ad assumere altre terapie croniche, percepiscono in minor misura i potenziali benefici del trattamento antiipertensivo e tenderanno a interrompere la terapia farmacologica alla comparsa dei primi effetti collaterali. Il modello ha inoltre evidenziato come i nuovi trattati presentino una più elevata probabilità di interruzione terapeutica, verosimilmente spiegata dalla difficoltà di abituarsi all’assunzione cronica del farmaco in una fase di assestamento della terapia in cui i principi attivi di prima scelta potrebbero non adattarsi pienamente, in termini di tollerabilità, alle caratteristiche del paziente. Anche la classe di farmaco di prima scelta riveste un ruolo essenziale nella determinazione dei livelli di compliance. Il fenomeno è probabilmente legato ai diversi profili di tollerabilità delle numerose alternative terapeutiche. L’appropriato riconoscimento dei predittori-paziente di discontinuità (risk profiling) e la loro valutazione globale nella pratica clinica quotidiana potrebbe contribuire a migliorare il rapporto medico-paziente e incrementare i livelli di compliance al trattamento. L’analisi delle componenti della varianza ha evidenziato come il 18% della variabilità nella persistenza in trattamento antiipertensivo sia attribuibile al livello Medico di Medicina Generale. Controllando per le differenze demografiche e cliniche tra gli assistiti dei diversi medici, la quota di variabilità attribuibile al livello medico risultava pari al 13%. La capacità empatica dei prescrittori nel comunicare ai propri pazienti l’importanza della terapia farmacologica riveste un ruolo importante nel determinare i livelli di compliance al trattamento. La crescente presenza, nella formazione dei medici, di corsi di carattere psicologico finalizzati a migliorare il rapporto medico-paziente potrebbe, inoltre, spiegare la relazione inversa, particolarmente evidente nella sottoanalisi effettuata sui nuovi trattati, tra età del medico e persistenza in trattamento. La proporzione non trascurabile di variabilità spiegata dalla struttura in gruppi degli assistiti evidenzia l’opportunità e la necessità di investire nella formazione dei Medici di Medicina Generale con l’obiettivo di sensibilizzare ed “educare” i medici alla motivazione ma anche al monitoraggio dei soggetti trattati, alla sistematica valutazione in pratica clinica dei predittori-paziente di discontinuità e a un appropriato utilizzo della classe di farmaco di prima scelta. Limiti dello studio Uno dei possibili limiti di questo studio risiede nella ridotta rappresentatività del campione di medici (la partecipazione al progetto era su base volontaria) e di pazienti (la presenza di almeno una misurazione di pressione arteriosa, dettata dai criteri di arruolamento, potrebbe aver distorto il campione analizzato, selezionando i pazienti che si recano dal proprio medico con maggior frequenza). Questo potrebbe spiegare la minore incidenza di interruzioni terapeutiche rispetto a studi condotti, nella stessa area geografica, mediante database amministrativi di popolazione. Conclusioni L’analisi dei dati contenuti nei database della medicina generale ha consentito di valutare l’impiego dei farmaci antiipertensivi nella pratica clinica e di stabilire la necessità di porre una maggiore attenzione nella pianificazione e nell’ottenimento dell’obiettivo che il trattamento si prefigge. Alla luce dei risultati emersi da questa valutazione, sarebbe di grande utilità la conduzione di ulteriori studi osservazionali volti a sostenere il progressivo miglioramento della gestione e del trattamento dei pazienti a rischio cardiovascolare nell’ambito della medicina generale.

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Il traffico veicolare è la principale fonte antropogenica di NOx, idrocarburi (HC) e CO e, dato che la sostituzione dei motori a combustione interna con sistemi alternativi appare ancora lontana nel tempo, lo sviluppo di sistemi in grado di limitare al massimo le emissioni di questi mezzi di trasporto riveste un’importanza fondamentale. Sfortunatamente non esiste un rapporto ottimale aria/combustibile che permetta di avere basse emissioni, mentre la massima potenza ottenibile dal motore corrisponde alle condizioni di elevata formazione di CO e HC. Gli attuali sistemi di abbattimento permettono il controllo delle emissioni da sorgenti mobili tramite una centralina che collega il sistema di iniezione del motore e la concentrazione di ossigeno del sistema catalitico (posto nella marmitta) in modo da controllare il rapporto aria/combustibile (Fig. 1). Le marmitte catalitiche per motori a benzina utilizzano catalizzatori “three way” a base di Pt/Rh supportati su ossidi (allumina, zirconia e ceria), che, dovendo operare con un rapporto quasi stechiometrico combustibile/comburente, comportano una minore efficienza del motore e consumi maggiori del 20-30% rispetto alla combustione in eccesso di ossigeno. Inoltre, questa tecnologia non può essere utilizzata nei motori diesel, che lavorano in eccesso di ossigeno ed utilizzano carburanti con un tenore di zolfo relativamente elevato. In questi ultimi anni è cresciuto l’interesse per il controllo delle emissioni di NOx da fonti veicolari, con particolare attenzione alla riduzione catalitica in presenza di un eccesso di ossigeno, cioè in condizioni di combustione magra. Uno sviluppo recente è rappresentato dai catalizzatori tipo “Toyota” che sono basati sul concetto di accumulo e riduzione (storage/reduction), nei quali l’NO viene ossidato ed accumulato sul catalizzatore come nitrato in condizioni di eccesso di ossigeno. Modificando poi per brevi periodi di tempo le condizioni di alimentazione da ossidanti (aria/combustibile > 14,7 p/p) a riducenti (aria/combustibile < 14,7 p/p) il nitrato immagazzinato viene ridotto a N2 e H2O. Questi catalizzatori sono però molto sensibili alla presenza di zolfo e non possono essere utilizzati con i carburanti diesel attualmente in commercio. Obiettivo di questo lavoro di tesi è stato quello di ottimizzare e migliorare la comprensione del meccanismo di reazione dei catalizzatori “storage-reduction” per l’abbattimento degli NOx nelle emissioni di autoveicoli in presenza di un eccesso di ossigeno. In particolare lo studio è stato focalizzato dapprima sulle proprietà del Pt, fase attiva nei processi di storage-reduction, in funzione del tipo di precursore e sulle proprietà e composizione della fase di accumulo (Ba, Mg ed una loro miscela equimolare) e del supporto (γ-Al2O3 o Mg(Al)O). Lo studio è stato inizialmente focalizzato sulle proprietà dei precursori del Pt, fase attiva nei processi di storage-reduction, sulla composizione della fase di accumulo (Ba, Mg ed una loro miscela equimolare) e del supporto (γ-Al2O3 o Mg(Al)O). E’ stata effettuata una dettagliata caratterizzazione chimico-fisica dei materiali preparati tramite analisi a raggi X (XRD), area superficiale, porosimetria, analisi di dispersione metallica, analisi in riduzione e/o ossidazione in programmata di temperatura (TPR-O), che ha permesso una migliore comprensione delle proprietà dei catalizzatori. Vista la complessità delle miscele gassose reali, sono state utilizzate, nelle prove catalitiche di laboratorio, alcune miscele più semplici, che tuttavia potessero rappresentare in maniera significativa le condizioni reali di esercizio. Il comportamento dei catalizzatori è stato studiato utilizzando differenti miscele sintetiche, con composizioni che permettessero di comprendere meglio il meccanismo. L’intervallo di temperatura in cui si è operato è compreso tra 200-450°C. Al fine di migliorare i catalizzatori, per aumentarne la resistenza alla disattivazione da zolfo, sono state effettuate prove alimentando in continuo SO2 per verificare la resistenza alla disattivazione in funzione della composizione del catalizzatore. I principali risultati conseguiti possono essere così riassunti: A. Caratteristiche Fisiche. Dall’analisi XRD si osserva che l’impregnazione con Pt(NH3)2(NO2)2 o con la sospensione nanoparticellare in DEG, non modifica le proprietà chimico-fisiche del supporto, con l’eccezione del campione con sospensione nanoparticellare impregnata su ossido misto per il quale si è osservata sia la segregazione del Pt, sia la presenza di composti carboniosi sulla superficie. Viceversa l’impregnazione con Ba porta ad una significativa diminuzione dell’area superficiale e della porosità. B. Caratteristiche Chimiche. L’analisi di dispersione metallica, tramite il chemiassorbimento di H2, mostra per i catalizzatori impregnati con Pt nanoparticellare, una bassa dispersione metallica e di conseguenza elevate dimensioni delle particelle di Pt. I campioni impregnati con Pt(NH3)2(NO2)2 presentano una migliore dispersione. Infine dalle analisi TPR-O si è osservato che: Maggiore è la dispersione del metallo nobile maggiore è la sua interazione con il supporto, L’aumento della temperatura di riduzione del PtOx è proporzionale alla quantità dei metalli alcalino terrosi, C. Precursore Metallo Nobile. Nelle prove di attività catalitica, con cicli ossidanti e riducenti continui in presenza ed in assenza di CO2, i catalizzatori con Pt nanoparticellare mostrano una minore attività catalitica, specie in presenza di un competitore come la CO2. Al contrario i catalizzatori ottenuti per impregnazione con la soluzione acquosa di Pt(NH3)2(NO2)2 presentano un’ottima attività catalitica, stabile nel tempo, e sono meno influenzabili dalla presenza di CO2. D. Resistenza all’avvelenamento da SO2. Il catalizzatore di riferimento, 17Ba1Pt/γAl2O3, mostra un effetto di avvelenamento con formazione di solfati più stabili che sul sistema Ba-Mg; difatti il campione non recupera i valori iniziali di attività se non dopo molti cicli di rigenerazione e temperature superiori ai 300°C. Per questi catalizzatori l’avvelenamento da SO2 sembra essere di tipo reversibile, anche se a temperature e condizioni più favorevoli per il 1.5Mg8.5Ba-1Pt/γAl2O3. E. Capacità di Accumulo e Rigenerabilità. Tramite questo tipo di prova è stato possibile ipotizzare e verificare il meccanismo della riduzione. I catalizzatori ottenuti per impregnazione con la soluzione acquosa di Pt(NH3)2(NO2)2 hanno mostrato un’elevata capacità di accumulo. Questa è maggiore per il campione bimetallico (Ba-Mg) a T < 300°C, mentre per il riferimento è maggiore per T > 300°C. Per ambedue i catalizzatori è evidente la formazione di ammoniaca, che potrebbe essere utilizzata come un indice che la riduzione dei nitrati accumulati è arrivata al termine e che il tempo ottimale per la riduzione è stato raggiunto o superato. Per evitare la formazione di NH3, sul catalizzatore di riferimento, è stata variata la concentrazione del riducente e la temperatura in modo da permettere alle specie adsorbite sulla superficie e nel bulk di poter raggiungere il Pt prima che l’ambiente diventi troppo riducente e quindi meno selettivo. La presenza di CO2 riduce fortemente la formazione di NH3; probabilmente perché la CO2, occupando i siti degli elementi alcalino-terrosi lontani dal Pt, impedisce ai nitriti/nitrati o all’H2 attivato di percorrere “elevate” distanze prima di reagire, aumentando così le possibilità di una riduzione più breve e più selettiva. F. Tempo di Riduzione. Si è migliorata la comprensione del ruolo svolto dalla concentrazione dell’agente riducente e dell’effetto della durata della fase riducente. Una durata troppo breve porta, nel lungo periodo, alla saturazione dei siti attivi, un eccesso alla formazione di NH3 Attraverso queste ultime prove è stato possibile formulare un meccanismo di reazione, in particolare della fase riducente. G. Meccanismo di Riduzione. La mobilità dei reagenti, nitriti/nitrati o H2 attivato è un elemento fondamentale nel meccanismo della riduzione. La vicinanza tra i siti di accumulo e quelli redox è determinante per il tipo di prodotti che si possono ottenere. La diminuzione della concentrazione del riducente o l’aumento della temperatura concede maggiore tempo o energia alle specie adsorbite sulla superficie o nel bulk per migrare e reagire prima che l’ambiente diventi troppo riducente e quindi meno selettivo.

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Il lavoro persegue l’obiettivo generale di indagare sulle scelte di investimento dei fondi pensione italiani. Per giungere al suddetto obiettivo il lavoro si articola in quattro capitoli principali corredati da premessa e conclusioni. Il primo capitolo si preoccupa di analizzare in quale modo le scelte operate dal legislatore italiano abbiano influenzato e influenzino le politiche di investimento dei fondi pensione. E’ indubbio, infatti, che l’intervento del legislatore abbia un forte ascendente sull’operatività dei fondi e possa limitarne o, viceversa, agevolarne l’attività. Alla luce di queste considerazioni, il secondo capitolo mira ad analizzare nel concreto l’influenza delle scelte operate dal legislatore sullo sviluppo del mercato dei fondi pensione italiani. In sostanza, l’obiettivo è quello di fornire informazioni circa il mercato italiano dei fondi pensione sviluppatosi in conseguenza alla normativa testé presentata. Il successivo capitolo, il terzo, propone un’analisi della letteratura che, nel contesto nazionale ed internazionale, ha analizzato la tematica dei fondi pensione. Più nel dettaglio, si propone una disamina dei riferimenti letterari che, affrontando il problema della gestione finanziaria dei fondi pensione, trattano delle politiche e delle scelte di investimento operate da questi. Il quarto capitolo riguarda un’analisi empirica mirata ad analizzare le politiche di investimento dei fondi pensione, in particolare quelle relative agli investimenti alternativi e soprattutto, tra questi, quelli immobiliari. L’obiettivo generale perseguito è quello di analizzare la composizione del patrimonio dei fondi appartenenti al campione considerato e ricavarne indicazioni circa le scelte manageriali operate dai fondi, nonché trarre indicazioni circa lo spazio riservato e/o riservabile alle asset class alternative, soprattutto a quelle di tipo immobiliare. Si evidenzia, infatti, che la verifica presentata riguarda prevalentemente gli investimenti immobiliari che rappresentano nella realtà italiana l’alternative class maggiormente diffusa. L’analisi si concentra, anche se in modo inferiore e con un approccio quasi esclusivamente qualitativo, su altre asset class alternative (hedge fund e private equity). Si precisa, inoltre, che la volontà di focalizzare la verifica sugli alternative investment limita l’analisi ai soli fondi pensione preesistenti che, ad oggi, rappresentano l’unica categoria alla quale è consentito effettuare investimenti di tipo alternativo. A differenza dei fondi di nuova generazione, tali fondi, infatti, non sono sottoposti a limitazioni nell’attività di investimento e, almeno in linea teorica, essi possono optare senza alcuna restrizione per l’asset allocation ritenuta più appropriata Tre sono le domande di ricerca a cui l’analisi proposta mira a dare risposta: Quale è la dimensione e la composizione del portafoglio dei fondi pensione preesistenti? Quale è la dimensione e la tipologia di investimento immobiliare all’interno del portafoglio dei fondi pensione preesistenti? Esiste uno “spazio” ulteriore per gli investimenti immobiliari e/o per altri alternative investment nel portafoglio dei fondi pensione preesistenti? L’analisi è condotta su un campione di dieci fondi preesistenti, che rappresenta il 60% dell’universo di riferimento (dei 29 fondi pensione preesistenti che investono in immobiliare) e la metodologia utilizzata è quella della case study. Le dieci case study, una per ogni fondo preesistente analizzato, sono condotte e presentate secondo uno schema quanto più standard e si basano su varie tipologie di informazioni reperite da tre differenti fonti. 2 La prima fonte informativa utilizzata è rappresentata dai bilanci o rendiconti annuali dei fondi analizzati. A questi si aggiungono i risultati di un’intervista svolta nei mesi di gennaio e febbraio 2008, ai direttori generali o ai direttori dell’area investimento dei fondi. Le interviste aggiungono informazioni prevalentemente di tipo qualitativo, in grado di descrivere le scelte manageriali operate dai fondi in tema di politica di investimento. Infine, laddove presente, sono state reperite informazioni anche dai siti internet che in taluni casi i fondi possiedono. Dalle case study condotte è possibile estrapolare una serie di risultati, che consentono di dare risposta alle tre domande di ricerca poste in precedenza. Relativamente alla prima domanda, è stato possibile stabilire che il portafoglio dei fondi pensione preesistenti analizzati cresce nel tempo. Esso si compone per almeno un terzo di titoli di debito, prevalentemente titoli di stato, e per un altro terzo di investimenti immobiliari di vario tipo. Il restante terzo è composto da altre asset class, prevalentemente investimenti in quote di OICR. Per quanto riguarda la politica d’investimento, si rileva che mediamente essa è caratterizzata da un’alta avversione al rischio e pochissimi sono i casi in cui i fondi prevedono linee di investimento aggressive. Relativamente alla seconda domanda, si osserva che la dimensione dell’asset class immobiliare all’interno del portafoglio raggiunge una quota decrescente nell’arco di tempo considerato, seppur rilevante. Al suo interno prevalgono nettamente gli investimenti diretti in immobili. Seguono le partecipazioni in società immobiliari. L’analisi ha permesso, poi, di approfondire il tema degli investimenti immobiliari consentendo di trarre indicazioni circa le loro caratteristiche. Infine, relativamente all’ultima domanda di ricerca, i dati ottenuti, soprattutto per mezzo delle interviste, permettono di stabilire che, almeno con riferimento al campione analizzato, l’investimento immobiliare perde quota e in parte interesse. Questo risulta vero soprattutto relativamente agli investimenti immobiliari di tipo diretto. I fondi con patrimoni immobiliari rilevanti, infatti, sono per la totalità nel mezzo di processi di dismissione degli asset, mirati, non tanto all’eliminazione dell’asset class, ma piuttosto ad una riduzione della stessa, conformemente anche a quanto richiesto dalle recenti normative. Le interviste hanno messo in luce, tuttavia, che a fronte di un’esigenza generale di contentere la quota investita, l’asset immobiliare è considerato positivamente soprattutto in termini di opportunità di diversificazione di portafoglio e buoni rendimenti nel lungo periodo. I fondi appaiono interessati in modo particolare a diversificare il portafoglio immobiliare, dismettendo parte degli asset detenuti direttamente e aumentando al contrario le altre tipologie di investimento immobiliare, soprattutto quote di OICR immobiliari. Altrettanto positivi i giudizi relativi alle altre asset class alternative. Pur restando ancora limitato il totale delle risorse destinate, tali investimenti sono percepiti come una buona opportunità di diversificazione del portafoglio. In generale, si è rilevato che, anche laddove l’investimento non è presente o è molto ridotto, nel breve periodo è intenzione del management aumentare la quota impiegata.

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L’obiettivo del lavoro svolto nell’ambito del ciclo di dottorato è stato quello dell’applicazione della metodologia di analisi degli scenari, nell’ottica dello studio e applicazione di un metodo di analisi integrato e multidisciplinare che consenta individuare strategie di sviluppo sostenibile in relazione alla questione indagata. Lo studio sviluppato nel corso del dottorato è stato impostato su presupposti forniti dalla Regione Toscana (in entrambi i casi di studio trattati), che ha finanziato, attraverso la sua Agenzia Regionale per lo Sviluppo e Innovazione in ambito Agricolo (ARSIA), due Progetti di ricerca volti all’individuazione di strategie di sviluppo sostenibile concernenti due tematiche di particolare interesse in ambito regionale: lo sviluppo di coltivazioni non-food (biocarburanti, biomasse da energia, biopolimeri, biolubrificanti, fibre vegetali, coloranti naturali, fitofarmaci di origine vegetale) e la valutazione della possibilità di coesistenza tra colture convenzionali (non Geneticamente Modificate) e colture GM, in relazione alla Raccomandazione della Commissione 2003/556/CE che afferma che deve essere garantita la coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche, ovvero che devono essere presenti le condizioni per cui ciascun metodo di coltivazione possa poter essere adottato e praticato in UE. La sostenibilità delle situazioni studiate è stata valutata fornendo informazioni non solo per la situazioni attuali, ma anche per possibili evoluzioni future, così come richiesto dai principi dello sviluppo sostenibile. A tal proposito, occorre applicare metodologie di analisi che consentano di poter identificare obiettivi strategici in funzione dei cambiamenti che potrebbero essere registrati, in corrispondenza dell’evolversi delle diverse situazioni nel tempo. La metodologia di analisi in grado di soddisfare questi requisiti può essere identificata nell’analisi di scenario (scenario analysis), che si configura come uno strumento di analisi strategica in grado di riassumere numerose informazioni e dati riferiti agli attori, agli obiettivi, agli strumenti, alle cause ed agli effetti indotti da un cambiamento che potrebbe essere provocato da uno o più fattori contemplati nel corso dell’analisi. Questo metodo di analisi rappresenta un’importante strumento di ausilio alla definizione di politiche e strategie, che si rende particolarmente utile nel campo della public choice, come dimostrato dalle applicazioni presentate nel corso del lavoro.

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Se il lavoro dello storico è capire il passato come è stato compreso dalla gente che lo ha vissuto, allora forse non è azzardato pensare che sia anche necessario comunicare i risultati delle ricerche con strumenti propri che appartengono a un'epoca e che influenzano la mentalità di chi in quell'epoca vive. Emergenti tecnologie, specialmente nell’area della multimedialità come la realtà virtuale, permettono agli storici di comunicare l’esperienza del passato in più sensi. In che modo la storia collabora con le tecnologie informatiche soffermandosi sulla possibilità di fare ricostruzioni storiche virtuali, con relativi esempi e recensioni? Quello che maggiormente preoccupa gli storici è se una ricostruzione di un fatto passato vissuto attraverso la sua ricreazione in pixels sia un metodo di conoscenza della storia che possa essere considerato valido. Ovvero l'emozione che la navigazione in una realtà 3D può suscitare, è un mezzo in grado di trasmettere conoscenza? O forse l'idea che abbiamo del passato e del suo studio viene sottilmente cambiato nel momento in cui lo si divulga attraverso la grafica 3D? Da tempo però la disciplina ha cominciato a fare i conti con questa situazione, costretta soprattutto dall'invasività di questo tipo di media, dalla spettacolarizzazione del passato e da una divulgazione del passato parziale e antiscientifica. In un mondo post letterario bisogna cominciare a pensare che la cultura visuale nella quale siamo immersi sta cambiando il nostro rapporto con il passato: non per questo le conoscenze maturate fino ad oggi sono false, ma è necessario riconoscere che esiste più di una verità storica, a volte scritta a volte visuale. Il computer è diventato una piattaforma onnipresente per la rappresentazione e diffusione dell’informazione. I metodi di interazione e rappresentazione stanno evolvendo di continuo. Ed è su questi due binari che è si muove l’offerta delle tecnologie informatiche al servizio della storia. Lo scopo di questa tesi è proprio quello di esplorare, attraverso l’utilizzo e la sperimentazione di diversi strumenti e tecnologie informatiche, come si può raccontare efficacemente il passato attraverso oggetti tridimensionali e gli ambienti virtuali, e come, nel loro essere elementi caratterizzanti di comunicazione, in che modo possono collaborare, in questo caso particolare, con la disciplina storica. La presente ricerca ricostruisce alcune linee di storia delle principali fabbriche attive a Torino durante la seconda guerra mondiale, ricordando stretta relazione che esiste tra strutture ed individui e in questa città in particolare tra fabbrica e movimento operaio, è inevitabile addentrarsi nelle vicende del movimento operaio torinese che nel periodo della lotta di Liberazione in città fu un soggetto politico e sociale di primo rilievo. Nella città, intesa come entità biologica coinvolta nella guerra, la fabbrica (o le fabbriche) diventa il nucleo concettuale attraverso il quale leggere la città: sono le fabbriche gli obiettivi principali dei bombardamenti ed è nelle fabbriche che si combatte una guerra di liberazione tra classe operaia e autorità, di fabbrica e cittadine. La fabbrica diventa il luogo di "usurpazione del potere" di cui parla Weber, il palcoscenico in cui si tengono i diversi episodi della guerra: scioperi, deportazioni, occupazioni .... Il modello della città qui rappresentata non è una semplice visualizzazione ma un sistema informativo dove la realtà modellata è rappresentata da oggetti, che fanno da teatro allo svolgimento di avvenimenti con una precisa collocazione cronologica, al cui interno è possibile effettuare operazioni di selezione di render statici (immagini), di filmati precalcolati (animazioni) e di scenari navigabili interattivamente oltre ad attività di ricerca di fonti bibliografiche e commenti di studiosi segnatamente legati all'evento in oggetto. Obiettivo di questo lavoro è far interagire, attraverso diversi progetti, le discipline storiche e l’informatica, nelle diverse opportunità tecnologiche che questa presenta. Le possibilità di ricostruzione offerte dal 3D vengono così messe a servizio della ricerca, offrendo una visione integrale in grado di avvicinarci alla realtà dell’epoca presa in considerazione e convogliando in un’unica piattaforma espositiva tutti i risultati. Divulgazione Progetto Mappa Informativa Multimediale Torino 1945 Sul piano pratico il progetto prevede una interfaccia navigabile (tecnologia Flash) che rappresenti la pianta della città dell’epoca, attraverso la quale sia possibile avere una visione dei luoghi e dei tempi in cui la Liberazione prese forma, sia a livello concettuale, sia a livello pratico. Questo intreccio di coordinate nello spazio e nel tempo non solo migliora la comprensione dei fenomeni, ma crea un maggiore interesse sull’argomento attraverso l’utilizzo di strumenti divulgativi di grande efficacia (e appeal) senza perdere di vista la necessità di valicare le tesi storiche proponendosi come piattaforma didattica. Un tale contesto richiede uno studio approfondito degli eventi storici al fine di ricostruire con chiarezza una mappa della città che sia precisa sia topograficamente sia a livello di navigazione multimediale. La preparazione della cartina deve seguire gli standard del momento, perciò le soluzioni informatiche utilizzate sono quelle fornite da Adobe Illustrator per la realizzazione della topografia, e da Macromedia Flash per la creazione di un’interfaccia di navigazione. La base dei dati descrittivi è ovviamente consultabile essendo contenuta nel supporto media e totalmente annotata nella bibliografia. È il continuo evolvere delle tecnologie d'informazione e la massiccia diffusione dell’uso dei computer che ci porta a un cambiamento sostanziale nello studio e nell’apprendimento storico; le strutture accademiche e gli operatori economici hanno fatto propria la richiesta che giunge dall'utenza (insegnanti, studenti, operatori dei Beni Culturali) di una maggiore diffusione della conoscenza storica attraverso la sua rappresentazione informatizzata. Sul fronte didattico la ricostruzione di una realtà storica attraverso strumenti informatici consente anche ai non-storici di toccare con mano quelle che sono le problematiche della ricerca quali fonti mancanti, buchi della cronologia e valutazione della veridicità dei fatti attraverso prove. Le tecnologie informatiche permettono una visione completa, unitaria ed esauriente del passato, convogliando tutte le informazioni su un'unica piattaforma, permettendo anche a chi non è specializzato di comprendere immediatamente di cosa si parla. Il miglior libro di storia, per sua natura, non può farlo in quanto divide e organizza le notizie in modo diverso. In questo modo agli studenti viene data l'opportunità di apprendere tramite una rappresentazione diversa rispetto a quelle a cui sono abituati. La premessa centrale del progetto è che i risultati nell'apprendimento degli studenti possono essere migliorati se un concetto o un contenuto viene comunicato attraverso più canali di espressione, nel nostro caso attraverso un testo, immagini e un oggetto multimediale. Didattica La Conceria Fiorio è uno dei luoghi-simbolo della Resistenza torinese. Il progetto è una ricostruzione in realtà virtuale della Conceria Fiorio di Torino. La ricostruzione serve a arricchire la cultura storica sia a chi la produce, attraverso una ricerca accurata delle fonti, sia a chi può poi usufruirne, soprattutto i giovani, che, attratti dall’aspetto ludico della ricostruzione, apprendono con più facilità. La costruzione di un manufatto in 3D fornisce agli studenti le basi per riconoscere ed esprimere la giusta relazione fra il modello e l’oggetto storico. Le fasi di lavoro attraverso cui si è giunti alla ricostruzione in 3D della Conceria: . una ricerca storica approfondita, basata sulle fonti, che possono essere documenti degli archivi o scavi archeologici, fonti iconografiche, cartografiche, ecc.; . La modellazione degli edifici sulla base delle ricerche storiche, per fornire la struttura geometrica poligonale che permetta la navigazione tridimensionale; . La realizzazione, attraverso gli strumenti della computer graphic della navigazione in 3D. Unreal Technology è il nome dato al motore grafico utilizzato in numerosi videogiochi commerciali. Una delle caratteristiche fondamentali di tale prodotto è quella di avere uno strumento chiamato Unreal editor con cui è possibile costruire mondi virtuali, e che è quello utilizzato per questo progetto. UnrealEd (Ued) è il software per creare livelli per Unreal e i giochi basati sul motore di Unreal. E’ stata utilizzata la versione gratuita dell’editor. Il risultato finale del progetto è un ambiente virtuale navigabile raffigurante una ricostruzione accurata della Conceria Fiorio ai tempi della Resistenza. L’utente può visitare l’edificio e visualizzare informazioni specifiche su alcuni punti di interesse. La navigazione viene effettuata in prima persona, un processo di “spettacolarizzazione” degli ambienti visitati attraverso un arredamento consono permette all'utente una maggiore immersività rendendo l’ambiente più credibile e immediatamente codificabile. L’architettura Unreal Technology ha permesso di ottenere un buon risultato in un tempo brevissimo, senza che fossero necessari interventi di programmazione. Questo motore è, quindi, particolarmente adatto alla realizzazione rapida di prototipi di una discreta qualità, La presenza di un certo numero di bug lo rende, però, in parte inaffidabile. Utilizzare un editor da videogame per questa ricostruzione auspica la possibilità di un suo impiego nella didattica, quello che le simulazioni in 3D permettono nel caso specifico è di permettere agli studenti di sperimentare il lavoro della ricostruzione storica, con tutti i problemi che lo storico deve affrontare nel ricreare il passato. Questo lavoro vuole essere per gli storici una esperienza nella direzione della creazione di un repertorio espressivo più ampio, che includa gli ambienti tridimensionali. Il rischio di impiegare del tempo per imparare come funziona questa tecnologia per generare spazi virtuali rende scettici quanti si impegnano nell'insegnamento, ma le esperienze di progetti sviluppati, soprattutto all’estero, servono a capire che sono un buon investimento. Il fatto che una software house, che crea un videogame di grande successo di pubblico, includa nel suo prodotto, una serie di strumenti che consentano all'utente la creazione di mondi propri in cui giocare, è sintomatico che l'alfabetizzazione informatica degli utenti medi sta crescendo sempre più rapidamente e che l'utilizzo di un editor come Unreal Engine sarà in futuro una attività alla portata di un pubblico sempre più vasto. Questo ci mette nelle condizioni di progettare moduli di insegnamento più immersivi, in cui l'esperienza della ricerca e della ricostruzione del passato si intreccino con lo studio più tradizionale degli avvenimenti di una certa epoca. I mondi virtuali interattivi vengono spesso definiti come la forma culturale chiave del XXI secolo, come il cinema lo è stato per il XX. Lo scopo di questo lavoro è stato quello di suggerire che vi sono grosse opportunità per gli storici impiegando gli oggetti e le ambientazioni in 3D, e che essi devono coglierle. Si consideri il fatto che l’estetica abbia un effetto sull’epistemologia. O almeno sulla forma che i risultati delle ricerche storiche assumono nel momento in cui devono essere diffuse. Un’analisi storica fatta in maniera superficiale o con presupposti errati può comunque essere diffusa e avere credito in numerosi ambienti se diffusa con mezzi accattivanti e moderni. Ecco perchè non conviene seppellire un buon lavoro in qualche biblioteca, in attesa che qualcuno lo scopra. Ecco perchè gli storici non devono ignorare il 3D. La nostra capacità, come studiosi e studenti, di percepire idee ed orientamenti importanti dipende spesso dai metodi che impieghiamo per rappresentare i dati e l’evidenza. Perché gli storici possano ottenere il beneficio che il 3D porta con sè, tuttavia, devono sviluppare un’agenda di ricerca volta ad accertarsi che il 3D sostenga i loro obiettivi di ricercatori e insegnanti. Una ricostruzione storica può essere molto utile dal punto di vista educativo non sono da chi la visita ma, anche da chi la realizza. La fase di ricerca necessaria per la ricostruzione non può fare altro che aumentare il background culturale dello sviluppatore. Conclusioni La cosa più importante è stata la possibilità di fare esperienze nell’uso di mezzi di comunicazione di questo genere per raccontare e far conoscere il passato. Rovesciando il paradigma conoscitivo che avevo appreso negli studi umanistici, ho cercato di desumere quelle che potremo chiamare “leggi universali” dai dati oggettivi emersi da questi esperimenti. Da punto di vista epistemologico l’informatica, con la sua capacità di gestire masse impressionanti di dati, dà agli studiosi la possibilità di formulare delle ipotesi e poi accertarle o smentirle tramite ricostruzioni e simulazioni. Il mio lavoro è andato in questa direzione, cercando conoscere e usare strumenti attuali che nel futuro avranno sempre maggiore presenza nella comunicazione (anche scientifica) e che sono i mezzi di comunicazione d’eccellenza per determinate fasce d’età (adolescenti). Volendo spingere all’estremo i termini possiamo dire che la sfida che oggi la cultura visuale pone ai metodi tradizionali del fare storia è la stessa che Erodoto e Tucidide contrapposero ai narratori di miti e leggende. Prima di Erodoto esisteva il mito, che era un mezzo perfettamente adeguato per raccontare e dare significato al passato di una tribù o di una città. In un mondo post letterario la nostra conoscenza del passato sta sottilmente mutando nel momento in cui lo vediamo rappresentato da pixel o quando le informazioni scaturiscono non da sole, ma grazie all’interattività con il mezzo. La nostra capacità come studiosi e studenti di percepire idee ed orientamenti importanti dipende spesso dai metodi che impieghiamo per rappresentare i dati e l’evidenza. Perché gli storici possano ottenere il beneficio sottinteso al 3D, tuttavia, devono sviluppare un’agenda di ricerca volta ad accertarsi che il 3D sostenga i loro obiettivi di ricercatori e insegnanti. Le esperienze raccolte nelle pagine precedenti ci portano a pensare che in un futuro non troppo lontano uno strumento come il computer sarà l’unico mezzo attraverso cui trasmettere conoscenze, e dal punto di vista didattico la sua interattività consente coinvolgimento negli studenti come nessun altro mezzo di comunicazione moderno.

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Da 25 anni la letteratura scientifica internazionale riporta studi su varie specie di microcrostacei copepodi ciclopoidi dei generi Macrocyclops, Megacyclops e Mesocyclops predatori di larve di 1a e 2a età di culicidi. Si tratta di prove di predazione in laboratorio e in pieno campo, in diverse aree del pianeta nessuna delle quali riguarda l’Italia o il resto d’Europa, contro principalmente Aedes aegypti (L.), Ae. albopictus (Skuse) e altre specie del genere Anopheles e Culex. L’allevamento massale di copepodi ciclopoidi appare praticabile e questo, assieme alle buone prestazioni predatorie, rende tali ausiliari candidati assai interessanti contro le due principali specie di zanzare, Culex pipiens L. e Ae. albpopictus, che nelle aree urbane e periurbane italiane riescono a sfruttare raccolte d’acqua artificiali di volume variabile e a regime idrico periodico o permanente. Pertanto lo scopo dello studio è stato quello di arrivare a selezionare una o più specie di copepodi candidati per la lotta biologica e valutarne la possibilità applicativa nell’ambito dei programmi di controllo delle zanzare nocive dell’ambiente urbano. L’argomento del tutto nuovo per il nostro paese, è stato sviluppato attraverso varie fasi ciascuna delle quali propedeutica a quella successiva. •Indagine faunistica nell’area di pianura e costiera sulle specie di ciclopoidi associate a varie tipologie di raccolte d’acqua naturali e artificiali (fossi, scoline, canali, risaie e pozze temporanee). I campionamenti sono stati condotti con l’obiettivo di ottenere le specie di maggiori dimensioni (≥1 mm) in ristagni con diverse caratteristiche in termini di qualità dell’acqua e complessità biocenotica. •Prove preliminari di predazione in laboratorio con alcune specie rinvenute negli ambienti campionati, nei confronti delle larve di Ae. albopictus e Cx. pipiens. Le prestazioni di predazione sono state testate sottoponendo ai copepodi larve giovani di zanzare provenienti da allevamento e calcolato il numero giornaliero di larve attaccate. •Implementazione di un allevamento pilota della specie valutata più interessante, Macrocyclops albidus (Jurine) (Cyclopoida, Cyclopidae, Eucyclopinae), per i risultati ottenuti in laboratorio in termini di numero di larve predate/giorno e per le caratteristiche biologiche confacenti agli ambienti potenzialmente adatti ai lanci. Questa parte della ricerca è stata guidata dalla finalità di mettere a punto una tecnica di allevamento in scala in modo da disporre di stock di copepodi dalla primavera, nonchè da criteri di economicità nell’impianto e nella sua gestione. •Prove di efficacia in condizioni di semicampo e di campo in raccolte d’acqua normalmente colonizzate dai culicidi in ambito urbano: bidoni per lo stoccaggio di acqua per l’irrigazione degli orti e tombini stradali. In questo caso l’obiettivo principale è stato quello di ottenere dati sull’efficienza del controllo di M. albidus nei confronti della popolazione culicidica selvatica e sulla capacità del copepode di colonizzare stabilmente tali tipologie di focolai larvali. Risultati e conclusioni Indagine faunistica e prove di predazione in laboratorio L’indagine faunistica condotta nell’area costiera ferrarese, in quella ravennate e della pianura bolognese ha portato al rinvenimento di varie specie di ciclopoidi mantenuti in laboratorio per la conduzione delle prove di predazione. Le specie testate sono state: Acanthocyclops robustus (G. O. Sars), Macrocyclops albidus (Jurine), Thermocyclops crassus (Fischer), Megacyclops gigas (Claus). La scelta delle specie da testare è stata basata sulla loro abbondanza e frequenza di ritrovamento nei campionamenti nonché sulle loro dimensioni. Ciascuna prova è stata condotta sottoponendo a un singolo copepode, oppure a gruppi di 3 e di 5 esemplari, 50 larve di 1a età all’interno di contenitori cilindrici in plastica con 40 ml di acqua di acquedotto declorata e una piccola quantità di cibo per le larve di zanzara. Ciascuna combinazione “copepode/i + larve di Ae. albopictus”, è stata replicata 3-4 volte, e confrontata con un testimone (50 larve di Ae. albopictus senza copepodi). A 24 e 48 ore sono state registrate le larve sopravvissute. Soltanto per M. albidus il test di predazione è stato condotto anche verso Cx. pipiens. Messa a punto della tecnica di allevamento La ricerca è proseguita concentrando l’interesse su M. albidus, che oltre ad aver mostrato la capacità di predare a 24 ore quasi 30 larve di Ae. albopictus e di Cx. pipiens, dalla bibliografia risulta tollerare ampi valori di temperatura, di pH e alte concentrazioni di vari inquinanti. Dalla ricerca bibliografica è risultato che i ciclopoidi sono facilmente allevabili in contenitori di varia dimensione e foggia somministrando agli stadi di preadulto alghe unicellulari (Chlorella, Chilomonas), protozoi ciliati (Paramecium, Euplotes), rotiferi e cladoceri. Ciò presuppone colture e allevamenti in purezza di tali microrganismi mantenuti in parallelo, da utilizzare come inoculo e da aggiungere periodicamente nell’acqua di allevamento dei ciclopoidi. Nel caso di utilizzo di protozoi ciliati, occorre garantirne lo sviluppo che avviene a carico di flora batterica spontanea a sua volta cresciuta su di un substrato organico quale latte, cariossidi bollite di grano o soia, foglie di lattuga, paglia di riso bollita con cibo secco per pesci, lievito di birra. Per evitare il notevole impegno organizzativo e di manodopera nonché il rischio continuo di perdere la purezza della colonia degli organismi da utilizzare come cibo, le prove comparative di allevamento hanno portato ad un protocollo semplice ed sufficientemente efficiente in termini di copepodi ottenibili. Il sistema messo a punto si basa sull’utilizzo di una popolazione mista di ciliati e rotiferi, mantenuti nell'acqua di allevamento dei copepodi mediante la somministrazione periodica di cibo standard e pronto all’uso costituito da cibo secco per gatti. Prova di efficacia in bidoni da 220 l di capacità La predazione è stata studiata nel biennio 2007-2008 in bidoni da 220 l di capacità inoculati una sola volta in aprile 2007 con 100 e 500 esemplari di M. albidus/bidone e disposti all’aperto per la libera ovideposizione della popolazione culicidica selvatica. L’infestazione preimmaginale culicidica veniva campionata ogni due settimane fino ad ottobre, mediante un retino immanicato a maglia fitta e confrontata con quella dei bidoni testimone (senza copepodi). Nel 2007 il tasso di riduzione medio delle infestazioni di Ae. albopictus nei bidoni con copepodi, rispetto al testimone, è del 99,90% e del 100,00% rispettivamente alle dosi iniziali di inoculo di 100 e 500 copepodi/bidone; per Cx. pipiens L. tale percentuale media è risultata di 88,69% e di 84,65%. Similmente, nel 2008 si è osservato ad entrambe le dosi iniziali di inoculo una riduzione di Ae. albopictus del 100,00% e di Cx. pipiens del 73,3%. La dose di inoculo di 100 copepodi per contenitore è risultata sufficiente a garantire un rapido incremento numerico della popolazione che ha raggiunto la massima densità in agosto-settembre e un eccellente controllo delle popolazioni di Ae. albopictus. Prova di efficacia in campo in serbatoi per l’acqua irrigua degli orti La prova è stata condotta a partire dalla metà di agosto 2008 interessando 15 serbatoi di varia foggia e capacità, variabile tra 200 e 600 l, utilizzati per stoccare acqua orti famigliari nel comune di Crevalcore (BO). Ai proprietari dei serbatoi era chiesto di gestire il prelievo dell’acqua e i rifornimenti come da abitudine con l’unica raccomandazione di non svuotarli mai completamente. In 8 contenitori sono stati immessi 100 esemplari di M.albidus e una compressa larvicida a base di Bacillus thuringiensis var. israelensis (B.t.i.); nei restanti 7 è stata soltanto immessa la compressa di B.t.i.. Il campionamento larvale è stato settimanale fino agli inizi di ottobre. Dopo l’introduzione in tutti i serbatoi sono stati ritrovati esemplari di copepodi, nonostante il volume di acqua misurato settimanalmente sia variato da pochi litri, in qualche bidone, fino a valori della massima capacità, per effetto del prelievo e dell’apporto dell’acqua da parte dei gestori degli orti. In post-trattamento sono state osservate differenze significative tra le densità larvali nelle due tesi solo al 22 settembre per Ae.albopictus Tuttavia in termini percentuali la riduzione media di larve di 3a-4a età e pupe nei bidoni con copepodi, rispetto al testimone, è stata de 95,86% per Ae. albopictus e del 73,30% per Cx. pipiens. Prova di efficacia in tombini stradali Sono state condotte due prove in due differenti località, interessando 20 tombini (Marano di Castenaso in provincia di Bologna nel 2007) e 145 tombini (San Carlo in provincia di Ferrara nel 2008), quest’ultimi sottoposti a spurgo e pulizia completa nei precedenti 6 mesi l’inizio della prova. L’introduzione dei copepodi nei tombini è stata fatta all’inizio di luglio nella prova di Marano di Castenaso e alla fine di aprile e giugno in quelli di San Carlo, a dosi di 100 e 50 copepodi/tombino. Prima dell’introduzione dei copepodi e successivamente ogni 2 settimane per due mesi, in ogni tombino veniva campionata la presenza culicidica e dei copepodi con dipper immanicato. Nel 2007 dopo l’introduzione dei copepodi e per tutto il periodo di studio, mediamente soltanto nel 77% dei tombini i copepodi sono sopravvissuti. Nel periodo di prova le precipitazioni sono state scarse e la causa della rarefazione dei copepodi fino alla loro scomparsa in parte dei tombini è pertanto da ricercare non nell’eventuale dilavamento da parte della pioggia, quanto dalle caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua. Tra queste innanzitutto la concentrazione di ossigeno che è sempre stata molto bassa (0÷1,03 mg/l) per tutta la durata del periodo di studio. Inoltre, a questo fattore probabilmente è da aggiungere l’accumulo, a concentrazioni tossiche per M. albidus, di composti organici e chimici dalla degradazione e fermentazione dell’abbondante materiale vegetale (soprattutto foglie) in condizioni di ipossia o anossia. Nel 2008, dopo il primo inoculo di M. albidus la percentuale di tombini che al campionamento presentano copepodi decresce in modo brusco fino a raggiungere il 6% a 2 mesi dall’introduzione dei copepodi. Dopo 40 giorni dalla seconda introduzione, la percentuale di tombini con copepodi è del 6,7%. Nell’esperienza 2008 è le intense precipitazioni hanno avuto probabilmente un ruolo determinante sul mantenimento dei copepodi nei tombini. Nel periodo della prova infatti le piogge sono state frequenti con rovesci in varie occasioni di forte intensità per un totale di 342 mm. Sotto questi livelli di pioggia i tombini sono stati sottoposti a un continuo e probabilmente completo dilavamento che potrebbe aver impedito la colonizzazione stabile dei copepodi. Tuttavia non si osservano influenze significative della pioggia nella riduzione percentuale dei tombini colonizzati da copepodi e ciò fa propendere all’ipotesi che assieme alla pioggia siano anche le caratteristiche fisico-chimiche dell’acqua a impedire una colonizzazione stabile da parte di M. albidus. In definitiva perciò si è dimostrato che i tombini stradali sono ambienti ostili per la sopravvivenza di M. albidus, anche se, dove il ciclopoide si è stabilito permanentemente, ha dimostrato un certo impatto nei confronti di Ae. albopictus e di Cx. pipiens, che tuttavia è risultato non statisticamente significativo all’analisi della varianza. Nei confronti delle larve di Culex pipiens il copepode non permette livelli di controllo soddisfacente, confermando i dati bibliografici. Nei confronti invece di Ae. albopictus la predazione raggiunge buoni livelli; tuttavia ciò non è compensato dalla percentuale molto alta di tombini che, dopo periodi di pioggia copiosa o singoli episodi temporaleschi o per le condizioni di anossia rimangono senza i copepodi. Ciò costringerebbe a ripetute introduzioni di copepodi i cui costi attualmente non sono inferiori a quelli per trattamenti con prodotti larvicidi. In conclusione la ricerca ha portato a considerare Macrocyclops albidus un interessante ausiliario applicabile anche nelle realtà urbane del nostro paese nell’ambito di programmi integrati di contrasto alle infestazioni di Aedes albopictus. Tuttavia il suo utilizzo non si presta a tutti i focolai larvali ma soltanto a raccolte di acqua artificiali di un certo volume come i bidoni utilizzati per stoccare acqua da impiegare per l’orto e il giardino familiare nelle situazioni in cui non è garantita la copertura ermetica, lo svuotamento completo settimanale o l’utilizzo di sostanze ad azione larvozanzaricida.

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La ricerca svolta ha individuato fra i suoi elementi promotori l’orientamento determinato da parte della comunità europea di dare vita e sostegno ad ambiti territoriali intermedi sub nazionali di tipo regionale all’interno dei quali i sistemi di città potessero raggiungere le massime prestazioni tecnologiche per cogliere gli effetti positivi delle innovazioni. L’orientamento europeo si è confrontato con una realtà storica e geografica molto variata in quanto accanto a stati membri, nei quali le gerarchie fra città sono storicamente radicate e funzionalmente differenziate secondo un ordine che vede la città capitale dominante su città subalterne nelle quali la cultura di dominio del territorio non è né continua né gerarchizzata sussistono invece territori nazionali compositi con una città capitale di riconosciuto potere ma con città di minor dimensione che da secoli esprimono una radicata incisività nella organizzazione del territorio di appartenenza. Alla prima tipologia di stati appartengono ad esempio i Paesi del Nord Europa e l’Inghilterra, esprimendo nella Francia una situazione emblematica, alla seconda tipologia appartengono invece i Paesi dell’aera mediterranea, Italia in primis, con la grande eccezione della Germania. Applicando gli intendimenti comunitari alla realtà locale nazionale, questa tesi ha avviato un approfondimento di tipo metodologico e procedurale sulla possibile organizzazione a sistema di una regione fortemente policentrica nel suo sviluppo e “artificiosamente” rinata ad unità, dopo le vicende del XIX secolo: l’Emilia-Romagna. Anche nelle regioni che si presentano come storicamente organizzate sulla pluralità di centri emergenti, il rapporto col territorio è mediato da centri urbani minori che governano il tessuto cellulare delle aggregazioni di servizi di chiara origine agraria. Questo stato di cose comporta a livello politico -istituzionale una dialettica vivace fra territori voluti dalle istituzioni e territori legittimati dal consolidamento delle tradizioni confermato dall’uso attuale. La crescente domanda di capacità di governo dello sviluppo formulata dagli operatori economici locali e sostenuta dalle istituzioni europee si confronta con la scarsa capacità degli enti territoriali attuali: Regioni, Comuni e Province di raggiungere un livello di efficienza sufficiente ad organizzare sistemi di servizi adeguati a sostegno della crescita economica. Nel primo capitolo, dopo un breve approfondimento sulle “figure retoriche comunitarie”, quali il policentrismo, la governance, la coesione territoriale, utilizzate per descrivere questi fenomeni in atto, si analizzano gli strumenti programmatici europei e lo S.S.S.E,. in primis, che recita “Per garantire uno sviluppo regionale equilibrato nella piena integrazione anche nell’economia mondiale, va perseguito un modello di sviluppo policentrico, al fine di impedire un’ulteriore eccessiva concentrazione della forza economica e della popolazione nei territori centrali dell’UE. Solo sviluppando ulteriormente la struttura, relativamente decentrata, degli insediamenti è possibile sfruttare il potenziale economico di tutte le regioni europee.” La tesi si inserisce nella fase storica in cui si tenta di definire quali siano i nuovi territori funzionali e su quali criteri si basa la loro riconoscibilità; nel tentativo di adeguare ad essi, riformandoli, i territori istituzionali. Ai territori funzionali occorre riportare la futura fiscalità, ed è la scala adeguata per l'impostazione della maggior parte delle politiche, tutti aspetti che richiederanno anche la necessità di avere una traduzione in termini di rappresentanza/sanzionabilità politica da parte dei cittadini. Il nuovo governo auspicato dalla Comunità Europea prevede una gestione attraverso Sistemi Locali Territoriali (S.Lo.t.) definiti dalla combinazione di milieu locale e reti di attori che si comportano come un attore collettivo. Infatti il secondo capitolo parte con l’indagare il concetto di “regione funzionale”, definito sulla base della presenza di un nucleo e di una corrispondente area di influenza; che interagisce con altre realtà territoriali in base a relazioni di tipo funzionale, per poi arrivare alla definizione di un Sistema Locale territoriale, modello evoluto di regione funzionale che può essere pensato come una rete locale di soggetti i quali, in funzione degli specifici rapporti che intrattengono fra loro e con le specificità territoriali del milieu locale in cui operano e agiscono, si comportano come un soggetto collettivo. Identificare un sistema territoriale, è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per definire qualsiasi forma di pianificazione o governance territoriale, perchè si deve soprattutto tener conto dei processi di integrazione funzionale e di networking che si vengono a generare tra i diversi sistemi urbani e che sono specchio di come il territorio viene realmente fruito., perciò solo un approccio metodologico capace di sfumare e di sovrapporre le diverse perimetrazioni territoriali riesce a definire delle aree sulle quali definire un’azione di governo del territorio. Sin dall’inizio del 2000 il Servizio Sviluppo Territoriale dell’OCSE ha condotto un’indagine per capire come i diversi paesi identificavano empiricamente le regioni funzionali. La stragrande maggioranza dei paesi adotta una definizione di regione funzionale basata sul pendolarismo. I confini delle regioni funzionali sono stati definiti infatti sulla base di “contorni” determinati dai mercati locali del lavoro, a loro volta identificati sulla base di indicatori relativi alla mobilità del lavoro. In Italia, la definizione di area urbana funzionale viene a coincidere di fatto con quella di Sistema Locale del Lavoro (SLL). Il fatto di scegliere dati statistici legati a caratteristiche demografiche è un elemento fondamentale che determina l’ubicazione di alcuni servizi ed attrezzature e una mappa per gli investimenti nel settore sia pubblico che privato. Nell’ambito dei programmi europei aventi come obiettivo lo sviluppo sostenibile ed equilibrato del territorio fatto di aree funzionali in relazione fra loro, uno degli studi di maggior rilievo è stato condotto da ESPON (European Spatial Planning Observation Network) e riguarda l’adeguamento delle politiche alle caratteristiche dei territori d’Europa, creando un sistema permanente di monitoraggio del territorio europeo. Sulla base di tali indicatori vengono costruiti i ranking dei diversi FUA e quelli che presentano punteggi (medi) elevati vengono classificati come MEGA. In questo senso, i MEGA sono FUA/SLL particolarmente performanti. In Italia ve ne sono complessivamente sei, di cui uno nella regione Emilia-Romagna (Bologna). Le FUA sono spazialmente interconnesse ed è possibile sovrapporre le loro aree di influenza. Tuttavia, occorre considerare il fatto che la prossimità spaziale è solo uno degli aspetti di interazione tra le città, l’altro aspetto importante è quello delle reti. Per capire quanto siano policentrici o monocentrici i paesi europei, il Progetto Espon ha esaminato per ogni FUA tre differenti parametri: la grandezza, la posizione ed i collegamenti fra i centri. La fase di analisi della tesi ricostruisce l’evoluzione storica degli strumenti della pianificazione regionale analizzandone gli aspetti organizzativi del livello intermedio, evidenziando motivazioni e criteri adottati nella suddivisione del territorio emilianoromagnolo (i comprensori, i distretti industriali, i sistemi locali del lavoro…). La fase comprensoriale e quella dei distretti, anche se per certi versi effimere, hanno avuto comunque il merito di confermare l’esigenza di avere un forte organismo intermedio di programmazione e pianificazione. Nel 2007 la Regione Emilia Romagna, nell’interpretare le proprie articolazioni territoriali interne, ha adeguato le proprie tecniche analitiche interpretative alle direttive contenute nel Progetto E.S.P.O.N. del 2001, ciò ha permesso di individuare sei S.Lo.T ( Sistemi Territoriali ad alta polarizzazione urbana; Sistemi Urbani Metropolitani; Sistemi Città – Territorio; Sistemi a media polarizzazione urbana; Sistemi a bassa polarizzazione urbana; Reti di centri urbani di piccole dimensioni). Altra linea di lavoro della tesi di dottorato ha riguardato la controriprova empirica degli effettivi confini degli S.Lo.T del PTR 2007 . Dal punto di vista metodologico si è utilizzato lo strumento delle Cluster Analisys per impiegare il singolo comune come polo di partenza dei movimenti per la mia analisi, eliminare inevitabili approssimazioni introdotte dalle perimetrazioni legate agli SLL e soprattutto cogliere al meglio le sfumature dei confini amministrativi dei diversi comuni e province spesso sovrapposti fra loro. La novità è costituita dal fatto che fino al 2001 la regione aveva definito sullo stesso territorio una pluralità di ambiti intermedi non univocamente circoscritti per tutte le funzioni ma definiti secondo un criterio analitico matematico dipendente dall’attività settoriale dominante. In contemporanea col processo di rinnovamento della politica locale in atto nei principali Paesi dell’Europa Comunitaria si va delineando una significativa evoluzione per adeguare le istituzioni pubbliche che in Italia comporta l’attuazione del Titolo V della Costituzione. In tale titolo si disegna un nuovo assetto dei vari livelli Istituzionali, assumendo come criteri di riferimento la semplificazione dell’assetto amministrativo e la razionalizzazione della spesa pubblica complessiva. In questa prospettiva la dimensione provinciale parrebbe essere quella tecnicamente più idonea per il minimo livello di pianificazione territoriale decentrata ma nel contempo la provincia come ente amministrativo intermedio palesa forti carenze motivazionali in quanto l’ente storico di riferimento della pianificazione è il comune e l’ente di gestione delegato dallo stato è la regione: in generale troppo piccolo il comune per fare una programmazione di sviluppo, troppo grande la regione per cogliere gli impulsi alla crescita dei territori e delle realtà locali. Questa considerazione poi deve trovare elementi di compatibilità con la piccola dimensione territoriale delle regioni italiane se confrontate con le regioni europee ed i Laender tedeschi. L'individuazione di criteri oggettivi (funzionali e non formali) per l'individuazione/delimitazione di territori funzionali e lo scambio di prestazioni tra di essi sono la condizione necessaria per superare l'attuale natura opzionale dei processi di cooperazione interistituzionale (tra comuni, ad esempio appartenenti allo stesso territorio funzionale). A questo riguardo molto utile è l'esperienza delle associazioni, ma anche delle unioni di comuni. Le esigenze della pianificazione nel riordino delle istituzioni politico territoriali decentrate, costituiscono il punto finale della ricerca svolta, che vede confermato il livello intermedio come ottimale per la pianificazione. Tale livello è da intendere come dimensione geografica di riferimento e non come ambito di decisioni amministrative, di governance e potrebbe essere validamente gestito attraverso un’agenzia privato-pubblica dello sviluppo, alla quale affidare la formulazione del piano e la sua gestione. E perché ciò avvenga è necessario che il piano regionale formulato da organi politici autonomi, coordinati dall’attività dello stato abbia caratteri definiti e fattibilità economico concreta.