28 resultados para logica matematica cardinalità insiemi cardinali ordinali ipotesi continuo Cantor

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


Relevância:

30.00% 30.00%

Publicador:

Resumo:

Questo lavoro trae spunto da un rinnovato interesse per l’«intuizione» e il «pensiero visivo» in matematica, e intende offrire un contributo alla discussione contemporanea su tali questioni attraverso lo studio del caso storico di Felix Klein. Dopo una breve ricognizione di alcuni dei saggi più significativi al riguardo, provenienti sia dalla filosofia della matematica, sia dalla pedagogia, dalle neuroscienze e dalle scienze cognitive, l’attenzione si concentra sulla concezione epistemologia di Klein, con particolare riferimento al suo uso del concetto di ‘intuizione’. Dai suoi lavori e dalla sua riflessione critica si ricavano non solo considerazioni illuminanti sulla fecondità di un approccio «visivo», ma argomenti convincenti a sostegno del ruolo cruciale dell’intuizione in matematica.

Relevância:

20.00% 20.00%

Publicador:

Resumo:

La ricerca presentata è un’ampia esplorazione delle possibili applicazioni di concetti, metodi e procedure della Fuzzy Logic all’Ingegneria dei Materiali. Tale nuovo approccio è giustificato dalla inadeguatezza dei risultati conseguiti con i soli metodi tradizionali riguardo alla reologia ed alla durabilità, all’utilizzo di dati di laboratorio nella progettazione e alla necessità di usare un linguaggio (informatizzabile) che consenta una valutazione congiunta degli aspetti tecnici, culturali, economici, paesaggistici della progettazione. – In particolare, la Fuzzy Logic permette di affrontare in modo razionale l’aleatorietà delle variabili e dei dati che, nel settore specifico dei materiali in opera nel costruito dei Beni Culturali, non possono essere trattati con i metodi statistici ordinari. – La scelta di concentrare l’attenzione su materiali e strutture in opera in siti archeologici discende non solo dall’interesse culturale ed economico connesso ai sempre più numerosi interventi in questo nuovo settore di pertinenza dell’Ingegneria dei Materiali, ma anche dal fatto che, in tali contesti, i termini della rappresentatività dei campionamenti, della complessità delle interazioni tra le variabili (fisiche e non), del tempo e quindi della durabilità sono evidenti ed esasperati. – Nell’ambito di questa ricerca si è anche condotto un ampio lavoro sperimentale di laboratorio per l’acquisizione dei dati utilizzati nelle procedure di modellazione fuzzy (fuzzy modeling). In tali situazioni si è operato secondo protocolli sperimentali standard: acquisizione della composizione mineralogica tramite diffrazione di raggi X (XRD), definizione della tessitura microstrutturale con osservazioni microscopiche (OM, SEM) e porosimetria tramite intrusione forzata di mercurio (MIP), determinazioni fisiche quali la velocità di propagazione degli ultrasuoni e rotoviscosimetria, misure tecnologiche di resistenza meccanica a compressione uniassiale, lavorabilità, ecc. – Nell’elaborazione dei dati e nella modellazione in termini fuzzy, la ricerca è articolata su tre livelli: a. quello dei singoli fenomeni chimico-fisici, di natura complessa, che non hanno trovato, a tutt’oggi, una trattazione soddisfacente e di generale consenso; le applicazioni riguardano la reologia delle dispersioni ad alto tenore di solido in acqua (calci, cementi, malte, calcestruzzi SCC), la correlazione della resistenza a compressione, la gelività dei materiali porosi ed alcuni aspetti della durabilità del calcestruzzo armato; b. quello della modellazione della durabilità dei materiali alla scala del sito archeologico; le applicazioni presentate riguardano i centri di cultura nuragica di Su Monte-Sorradile, GennaMaria-Villanovaforru e Is Paras-Isili; c. quello della scelta strategica costituita dalla selezione del miglior progetto di conservazione considerando gli aspetti connessi all’Ingegneria dei Materiali congiuntamente a quelli culturali, paesaggistici ed economici; le applicazioni hanno riguardato due importanti monumenti (Anfiteatro e Terme a Mare) del sito Romano di Nora-Pula.

Relevância:

20.00% 20.00%

Publicador:

Resumo:

Call me Ismail. Così inizia notoriamente il celebre romanzo di Herman Melville, Moby Dick. In un altro racconto, ambientato nel 1797, anno del grande ammutinamento della flotta del governo inglese, Melville dedica un breve accenno a Thomas Paine. Il racconto è significativo di quanto – ancora nella seconda metà dell’Ottocento – l’autore di Common Sense e Rights of Man sia sinonimo delle possibilità radicalmente democratiche che l’ultima parte del Settecento aveva offerto. Melville trova in Paine la chiave per dischiudere nel presente una diversa interpretazione della rivoluzione: non come una vicenda terminata e confinata nel passato, ma come una possibilità che persiste nel presente, “una crisi mai superata” che viene raffigurata nel dramma interiore del gabbiere di parrocchetto, Billy Budd. Il giovane marinaio della nave mercantile chiamata Rights of Man mostra un’attitudine docile e disponibile all’obbedienza, che lo rende pronto ad accettare il volere dei superiori. Billy non contesta l’arruolamento forzato nella nave militare. Nonostante il suo carattere affabile, non certo irascibile, l’esperienza in mare sulla Rights of Man rappresenta però un peccato difficile da espiare: il sospetto è più forte della ragionevolezza, specie quando uno spettro di insurrezione continua ad aggirarsi nella flotta di sua maestà. Così, quando, imbarcato in una nave militare della flotta inglese, con un violento pugno Billy uccide l’uomo che lo accusa di tramare un nuovo ammutinamento, il destino inevitabile è quello di un’esemplare condanna a morte. Una condanna che, si potrebbe dire, mostra come lo spettro della rivoluzione continui ad agitare le acque dell’oceano Atlantico. Nella Prefazione Melville fornisce una chiave di lettura per accedere al testo e decifrare il dramma interiore del marinaio: nella degenerazione nel Terrore, la vicenda francese indica una tendenza al tradimento della rivoluzione, che è così destinata a ripetere continuamente se stessa. Se “la rivoluzione si trasformò essa stessa in tirannia”, allora la crisi segna ancora la società atlantica. Non è però alla classica concezione del tempo storico – quella della ciclica degenerazione e rigenerazione del governo – che Melville sembra alludere. Piuttosto, la vicenda rivoluzionaria che ha investito il mondo atlantico ha segnato un radicale punto di cesura con il passato: la questione non è quella della continua replica della storia, ma quella del continuo circolare dello “spirito rivoluzionario”, come dimostra nell’estate del 1797 l’esperienza di migliaia di marinai che tra grida di giubilo issano sugli alberi delle navi i colori britannici da cui cancellano lo stemma reale e la croce, abolendo così d’un solo colpo la bandiera della monarchia e trasformando il mondo in miniatura della flotta di sua maestà “nella rossa meteora di una violenta e sfrenata rivoluzione”. Raccontare la vicenda di Billy riporta alla memoria Paine. L’ammutinamento è solo un frammento di un generale spirito rivoluzionario che “l’orgoglio nazionale e l’opinione politica hanno voluto relegare nello sfondo della storia”. Quando Billy viene arruolato, non può fare a meno di portare con sé l’esperienza della Rights of Man. Su quel mercantile ha imparato a gustare il dolce sapore del commercio insieme all’asprezza della competizione sfrenata per il mercato, ha testato la libertà non senza subire la coercizione di un arruolamento forzato. La vicenda di Billy ricorda allora quella del Paine inglese prima del grande successo di Common Sense, quando muove da un’esperienza di lavoro all’altra in modo irrequieto alla ricerca di felicità – dal mestiere di artigiano all’avventura a bordo di un privateer inglese durante la guerra dei sette anni, dalla professione di esattore fiscale alle dipendenze del governo, fino alla scelta di cercare fortuna in America. Così come Paine rivendica l’originalità del proprio pensiero, il suo essere un autodidatta e le umili origini che gli hanno impedito di frequentare le biblioteche e le accademie inglesi, anche Billy ha “quel tipo e quel grado di intelligenza che si accompagna alla rettitudine non convenzionale di ogni integra creatura umana alla quale non sia ancora stato offerto il dubbio pomo della sapienza”. Così come il pamphlet Rights of man porta alla virtuale condanna a morte di Paine – dalla quale sfugge trovando rifugio a Parigi – allo stesso modo il passato da marinaio sulla Rights of Man porta al processo per direttissima che sentenzia la morte per impiccagione del giovane marinaio. Il dramma interiore di Billy replica dunque l’esito negativo della rivoluzione in Europa: la rivoluzione è in questo senso come un “violento accesso di febbre contagiosa”, destinato a scomparire “in un organismo costituzionalmente sano, che non tarderà a vincerla”. Non viene però meno la speranza: quella della rivoluzione sembra una storia senza fine perché Edward Coke e William Blackstone – i due grandi giuristi del common law inglese che sono oggetto della violenta critica painita contro la costituzione inglese – “non riescono a far luce nei recessi oscuri dell’animo umano”. Rimane dunque uno spiraglio, un angolo nascosto dal quale continua a emergere uno spirito rivoluzionario. Per questo non esistono cure senza effetti collaterali, non esiste ordine senza l’ipoteca del ricorso alla forza contro l’insurrezione: c’è chi come l’ufficiale che condanna Billy diviene baronetto di sua maestà, c’è chi come Billy viene impiccato, c’è chi come Paine viene raffigurato come un alcolizzato e impotente, disonesto e depravato, da relegare sul fondo della storia atlantica. Eppure niente più del materiale denigratorio pubblicato contro Paine ne evidenzia il grande successo. Il problema che viene sollevato dalle calunniose biografie edite tra fine Settecento e inizio Ottocento è esattamente quello del trionfo dell’autore di Common Sense e Rights of Man nell’aver promosso, spiegato e tramandato la rivoluzione come sfida democratica che è ancora possibile vincere in America come in Europa. Sono proprio le voci dei suoi detrattori – americani, inglesi e francesi – a mostrare che la dimensione nella quale è necessario leggere Paine è quella del mondo atlantico. Assumendo una prospettiva atlantica, ovvero ricostruendo la vicenda politica e intellettuale di Paine da una sponda all’altra dell’oceano, è possibile collegare ciò che Paine dice in spazi e tempi diversi in modo da segnalare la presenza costante sulla scena politica di quei soggetti che – come i marinai protagonisti dell’ammutinamento – segnalano il mancato compimento delle speranze aperte dall’esperienza rivoluzionaria. Limitando la ricerca al processo di costruzione della nazione politica, scegliendo di riassumerne il pensiero politico nell’ideologia americana, nella vicenda costituzionale francese o nel contesto politico inglese, le ricerche su Paine non sono riuscite fino in fondo a mostrare la grandezza di un autore che risulta ancora oggi importante: la sua produzione intellettuale è talmente segnata dalle vicende rivoluzionarie che intessono la sua biografia da fornire la possibilità di studiare quel lungo periodo di trasformazione sociale e politica che investe non una singola nazione, ma l’intero mondo atlantico nel corso della rivoluzione. Attraverso Paine è allora possibile superare quella barriera che ha diviso il dibattito storiografico tra chi ha trovato nella Rivoluzione del 1776 la conferma del carattere eccezionale della nazione americana – fin dalla sua origine rappresentata come esente dalla violenta conflittualità che invece investe il vecchio continente – e chi ha relegato il 1776 a data di secondo piano rispetto al 1789, individuando nell’illuminismo la presunta superiorità culturale europea. Da una sponda all’altra dell’Atlantico, la storiografia ha così implicitamente alzato un confine politico e intellettuale tra Europa e America, un confine che attraverso Paine è possibile valicare mostrandone la debolezza. Parlando di prospettiva atlantica, è però necessario sgombrare il campo da possibili equivoci: attraverso Paine, non intendiamo stabilire l’influenza della Rivoluzione americana su quella francese, né vogliamo mostrare l’influenza del pensiero politico europeo sulla Rivoluzione americana. Non si tratta cioè di stabilire un punto prospettico – americano o europeo – dal quale leggere Paine. L’obiettivo non è quello di sottrarre Paine agli americani per restituirlo agli inglesi che l’hanno tradito, condannandolo virtualmente a morte. Né è quello di confermare l’americanismo come suo unico lascito culturale e politico. Si tratta piuttosto di considerare il mondo atlantico come l’unico scenario nel quale è possibile leggere Paine. Per questo, facendo riferimento al complesso filone storiografico dell’ultimo decennio, sviluppato in modo diverso da Bernard Bailyn a Markus Rediker e Peter Linebaugh, parliamo di rivoluzione atlantica. Certo, Paine vede fallire nell’esperienza del Terrore quella rivoluzione che in America ha trionfato. Ciò non costituisce però un elemento sufficiente per riproporre l’interpretazione arendtiana della rivoluzione che, sulla scorta della storiografia del consenso degli anni cinquanta, ma con motivi di fascino e interesse che non sempre ritroviamo in quella storiografia, ha contribuito ad affermare un ‘eccezionalismo’ americano anche in Europa, rappresentando gli americani alle prese con il problema esclusivamente politico della forma di governo, e i francesi impegnati nel rompicapo della questione sociale della povertà. Rompicapo che non poteva non degenerare nella violenza francese del Terrore, mentre l’America riusciva a istituire pacificamente un nuovo governo rappresentativo facendo leva su una società non conflittuale. Attraverso Paine, è infatti possibile mostrare come – sebbene con intensità e modalità diverse – la rivoluzione incida sul processo di trasformazione commerciale della società che investe l’intero mondo atlantico. Nel suo andirivieni da una sponda all’altra dell’oceano, Paine non ragiona soltanto sulla politica – sulla modalità di organizzare una convivenza democratica attraverso la rappresentanza, convivenza che doveva trovare una propria legittimazione nel primato della costituzione come norma superiore alla legge stabilita dal popolo. Egli riflette anche sulla società commerciale, sui meccanismi che la muovono e le gerarchie che la attraversano, mostrando così precise linee di continuità che tengono insieme le due sponde dell’oceano non solo nella circolazione del linguaggio politico, ma anche nella comune trasformazione sociale che investe i termini del commercio, del possesso della proprietà e del lavoro, dell’arricchimento e dell’impoverimento. Con Paine, America e Europa non possono essere pensate separatamente, né – come invece suggerisce il grande lavoro di Robert Palmer, The Age of Democratic Revolution – possono essere inquadrate dentro un singolo e generale movimento rivoluzionario essenzialmente democratico. Emergono piuttosto tensioni e contraddizioni che investono il mondo atlantico allontanando e avvicinando continuamente le due sponde dell’oceano come due estremità di un elastico. Per questo, parliamo di società atlantica. Quanto detto trova conferma nella difficoltà con la quale la storiografia ricostruisce la figura politica di Paine dentro la vicenda rivoluzionaria americana. John Pocock riconosce la difficoltà di comprendere e spiegare Paine, quando sostiene che Common Sense non evoca coerentemente nessun prestabilito vocabolario atlantico e la figura di Paine non è sistemabile in alcuna categoria di pensiero politico. Partendo dal paradigma classico della virtù, legata antropologicamente al possesso della proprietà terriera, Pocock ricostruisce la permanenza del linguaggio repubblicano nel mondo atlantico senza riuscire a inserire Common Sense e Rights of Man nello svolgimento della rivoluzione. Sebbene non esplicitamente dichiarata, l’incapacità di comprendere il portato innovativo di Common Sense, in quella che è stata definita sintesi repubblicana, è evidente anche nel lavoro di Bernard Bailyn che spiega come l’origine ideologica della rivoluzione, radicata nella paura della cospirazione inglese contro la libertà e nel timore della degenerazione del potere, si traduca ben presto in un sentimento fortemente contrario alla democrazia. Segue questa prospettiva anche Gordon Wood, secondo il quale la chiamata repubblicana per l’indipendenza avanzata da Paine non parla al senso comune americano, critico della concezione radicale del governo rappresentativo come governo della maggioranza, che Paine presenta quando partecipa al dibattito costituzionale della Pennsylvania rivoluzionaria. Paine è quindi considerato soltanto nelle risposte repubblicane dei leader della guerra d’indipendenza che temono una possibile deriva democratica della rivoluzione. Paine viene in questo senso dimenticato. La sua figura è invece centrale della nuova lettura liberale della rivoluzione: Joyce Appleby e Isaac Kramnick contestano alla letteratura repubblicana di non aver compreso che la separazione tra società e governo – la prima intesa come benedizione, il secondo come male necessario – con cui si apre Common Sense rappresenta il tentativo riuscito di cogliere, spiegare e tradurre in linguaggio politico l’affermazione del capitalismo. In particolare, Appleby critica efficacemente il concetto d’ideologia proposto dalla storiografia repubblicana, perché presuppone una visione statica della società. L’affermazione del commercio fornirebbe invece quella possibilità di emancipazione attraverso il lavoro libero, che Paine coglie perfettamente promuovendo una visione della società per la quale il commercio avrebbe permesso di raggiungere la libertà senza il timore della degenerazione della rivoluzione nel disordine. Questa interpretazione di Paine individua in modo efficace un aspetto importante del suo pensiero politico, la sua profonda fiducia nel commercio come strumento di emancipazione e progresso. Tuttavia, non risulta essere fino in fondo coerente e pertinente, se vengono prese in considerazione le diverse agende politiche avanzate in seguito alla pubblicazione di Common Sense e di Rights of Man, né sembra reggere quando prendiamo in mano The Agrarian Justice (1797), il pamphlet nel quale Paine mette in discussione la sua profonda fiducia nel progresso della società commerciale. Diverso è il Paine che emerge dalla storiografia bottom-up, secondo la quale la rivoluzione non può più essere ridotta al momento repubblicano o all’affermazione senza tensione del liberalismo: lo studio della rivoluzione deve essere ampliato fino a comprendere quell’insieme di pratiche e discorsi che mirano all’incisiva trasformazione dell’esistente slegando il diritto di voto dalla qualifica proprietaria, perseguendo lo scopo di frenare l’accumulazione di ricchezza nelle mani di pochi con l’intento di ordinare la società secondo una logica di maggiore uguaglianza. Come dimostrano Eric Foner e Gregory Claeys, attraverso Paine è allora possibile rintracciare, sulla sponda americana come su quella inglese dell’Atlantico, forti pretese democratiche che non sembrano riducibili al linguaggio liberale, né a quello repubblicano. Paine viene così sottratto a rigide categorie storiografiche che per troppo tempo l’hanno consegnato tout court all’elogio del campo liberale o al silenzio di quello repubblicano. Facendo nostra la metodologia di ricerca elaborata dalla storiografia bottom-up per tenere insieme storia sociale e storia intellettuale, possiamo allora leggere Paine non solo per parlare di rivoluzione atlantica, ma anche di società atlantica: società e politica costituiscono un unico orizzonte d’indagine dal quale esce ridimensionata l’interpretazione della rivoluzione come rivoluzione esclusivamente politica, che – sebbene in modo diverso – tanto la storiografia repubblicana quanto quella liberale hanno rafforzato, alimentando indirettamente l’eccezionale successo americano contro la clamorosa disfatta europea. Entrambe le sponde dell’Atlantico mostrano una società in transizione: la costruzione della finanza nazionale con l’istituzione del debito pubblico e la creazione delle banche, la definizione delle forme giuridiche che stabiliscono modalità di possesso e impiego di proprietà e lavoro, costituiscono un complesso strumentario politico necessario allo sviluppo del commercio e al processo di accumulazione di ricchezza. Per questo, la trasformazione commerciale della società è legata a doppio filo con la rivoluzione politica. Ricostruire il modo nel quale Paine descrive e critica la società da una sponda all’altra dell’Atlantico mostra come la separazione della società dal governo non possa essere immediatamente interpretata come essenza del liberalismo economico e politico. La lettura liberale rappresenta senza ombra di dubbio un salto di qualità nell’interpretazione storiografica perché spiega in modo convincente come Paine traduca in discorso politico il passaggio da una società fortemente gerarchica come quella inglese, segnata dalla condizione di povertà e miseria comune alle diverse figure del lavoro, a una realtà sociale come quella americana decisamente più dinamica, dove il commercio e le terre libere a ovest offrono ampie possibilità di emancipazione e arricchimento attraverso il lavoro libero. Tuttavia, leggendo The Case of Officers of Excise (1772) e ricostruendo la sua attività editoriale alla guida del Pennsylvania Magazine (1775) è possibile giungere a una conclusione decisamente più complessa rispetto a quella suggerita dalla storiografia liberale: il commercio non sembra affatto definire una qualità non conflittuale del contesto atlantico. Piuttosto, nonostante l’assenza dell’antico ordine ‘cetuale’ europeo, esso investe la società di una tendenza alla trasformazione, la cui direzione, intensità e velocità dipendono anche dall’esito dello scontro politico in atto dentro la rivoluzione. Spostando l’attenzione su figure sociali che in quella letteratura sono di norma relegate in secondo piano, Paine mira infatti a democratizzare la concezione del commercio indicando nell’indipendenza personale la condizione comune alla quale poveri e lavoratori aspirano: per chi è coinvolto in prima persona nella lotta per l’indipendenza, la visione della società non indica allora un ordine naturale, dato e immutabile, quanto una scommessa sul futuro, un ideale che dovrebbe avviare un cambiamento sociale coerente con le diverse aspettative di emancipazione. Senza riconoscere questa valenza democratica del commercio non è possibile superare il consenso come presupposto incontestabile della Rivoluzione americana, nel quale tanto la storiografia repubblicana quanto quella librale tendono a cadere: non è possibile superare l’immagine statica della società americana, implicitamente descritta dalla prima, né andare oltre la visione di una società dinamica, ma priva di gerarchie e oppressione, come quella delineata dalla seconda. Le entusiastiche risposte e le violente critiche in favore e contro Common Sense, la dura polemica condotta in difesa o contro la costituzione radicale della Pennsylvania, la diatriba politica sul ruolo dei ricchi mercanti mostrano infatti una società in transizione lungo linee che sono contemporaneamente politiche e sociali. Dentro questo contesto conflittuale, repubblicanesimo e liberalismo non sembrano affatto competere l’uno contro l’altro per esercitare un’influenza egemone nella costruzione del governo rappresentativo. Vengono piuttosto mescolati e ridefiniti per rispondere alla pretese democratiche che provengono dalla parte bassa della società. Common Sense propone infatti un piano politico per l’indipendenza del tutto innovativo rispetto al modo nel quale le colonie hanno fino a quel momento condotto la controversia con la madre patria: la chiamata della convenzione rappresentativa di tutti gli individui per scrivere una nuova costituzione assume le sembianze di un vero e proprio potere costituente. Con la mobilitazione di ampie fasce della popolazione per vincere la guerra contro gli inglesi, le élite mercantili e proprietarie perdono il monopolio della parola e il processo decisionale è aperto anche a coloro che non hanno avuto voce nel governo coloniale. La dottrina dell’indipendenza assume così un carattere democratico. Paine non impiega direttamente il termine, tuttavia le risposte che seguono la pubblicazione di Common Sense lanciano esplicitamente la sfida della democrazia. Ciò mostra come la rivoluzione non possa essere letta semplicemente come affermazione ideologica del repubblicanesimo in continuità con la letteratura d’opposizione del Settecento britannico, o in alternativa come transizione non conflittuale al liberalismo economico e politico. Essa risulta piuttosto comprensibile nella tensione tra repubblicanesimo e democrazia: se dentro la rivoluzione (1776-1779) Paine contribuisce a democratizzare la società politica americana, allora – ed è questo un punto importante, non sufficientemente chiarito dalla storiografia – il recupero della letteratura repubblicana assume il carattere liberale di una strategia tesa a frenare le aspettative di chi considera la rivoluzione politica come un mezzo per superare la condizione di povertà e le disuguaglianze che pure segnano la società americana. La dialettica politica tra democrazia e repubblicanesimo consente di porre una questione fondamentale per comprendere la lunga vicenda intellettuale di Paine nella rivoluzione atlantica e anche il rapporto tra trasformazione sociale e rivoluzione politica: è possibile sostenere che in America la congiunzione storica di processo di accumulazione di ricchezza e costruzione del governo rappresentativo pone la società commerciale in transizione lungo linee capitalistiche? Questa non è certo una domanda che Paine pone esplicitamente, né in Paine troviamo una risposta esaustiva. Tuttavia, la sua collaborazione con i ricchi mercanti di Philadelphia suggerisce una valida direzione di indagine dalla quale emerge che il processo di costruzione del governo federale è connesso alla definizione di una cornice giuridica entro la quale possa essere realizzata l’accumulazione del capitale disperso nelle periferie dell’America indipendente. Paine viene così coinvolto in un frammentato e dilatato scontro politico dove – nonostante la conclusione della guerra contro gli inglesi nel 1783 – la rivoluzione non sembra affatto conclusa perché continua a muovere passioni che ostacolano la costruzione dell’ordine: leggere Paine fuori dalla rivoluzione (1780-1786) consente paradossalmente di descrivere la lunga durata della rivoluzione e di considerare la questione della transizione dalla forma confederale a quella federale dell’unione come un problema di limiti della democrazia. Ricostruire la vicenda politica e intellettuale di Paine in America permette infine di evidenziare un ambiguità costitutiva della società commerciale dentro la quale il progetto politico dei ricchi mercanti entra in tensione con un’attitudine popolare critica del primo processo di accumulazione che rappresenta un presupposto indispensabile all’affermazione del capitalismo. La rivoluzione politica apre in questo senso la società commerciale a una lunga e conflittuale transizione verso il capitalismo Ciò risulta ancora più evidente leggendo Paine in Europa (1791-1797). Da una sponda all’altra dell’Atlantico, con Rights of Man egli esplicita ciò che in America ha preferito mantenere implicito, pur raccogliendo la sfida democratica lanciata dai friend of Common Sense: il salto in avanti che la rivoluzione atlantica deve determinare nel progresso dell’umanità è quello di realizzare la repubblica come vera e propria democrazia rappresentativa. Tuttavia, il fallimento del progetto politico di convocare una convenzione nazionale in Inghilterra e la degenerazione dell’esperienza repubblicana francese nel Terrore costringono Paine a mettere in discussione quella fiducia nel commercio che la storiografia liberale ha con grande profitto mostrato: il mancato compimento della rivoluzione in Europa trova infatti spiegazione nella temporanea impossibilità di tenere insieme democrazia rappresentativa e società commerciale. Nel contesto europeo, fortemente disgregato e segnato da durature gerarchie e forti disuguaglianze, con The Agrarian Justice, Paine individua nel lavoro salariato la causa del contraddittorio andamento – di arricchimento e impoverimento – dello sviluppo economico della società commerciale. La tendenza all’accumulazione non è quindi l’unica qualità della società commerciale in transizione. Attraverso Paine, possiamo individuare un altro carattere decisivo per comprendere la trasformazione sociale, quello dell’affermazione del lavoro salariato. Non solo in Europa. Al ritorno in America, Paine non porta con sé la critica della società commerciale. Ciò non trova spiegazione esclusivamente nel minor grado di disuguaglianza della società americana. Leggendo Paine in assenza di Paine (1787-1802) – ovvero ricostruendo il modo nel quale dall’Europa egli discute, critica e influenza la politica americana – mostreremo come la costituzione federale acquisisca gradualmente la supremazia sulla conflittualità sociale. Ciò non significa che l’America indipendente sia caratterizzata da un unanime consenso costituzionale. Piuttosto, è segnata da un lungo e tortuoso processo di stabilizzazione che esclude la democrazia dall’immediato orizzonte della repubblica americana. Senza successo, Paine torna infatti a promuovere una nuova sfida democratica come nella Pennsylvania rivoluzionaria degli anni settanta. E’ allora possibile vedere come la rivoluzione atlantica venga stroncata su entrambe le sponde dell’oceano: i grandi protagonisti della politica atlantica che prendono direttamente parola contro l’agenda democratica painita – Edmund Burke, Boissy d’Anglas e John Quincy Adams – spostano l’attenzione dal governo alla società per rafforzare le gerarchie determinate dal possesso di proprietà e dall’affermazione del lavoro salariato. Dentro la rivoluzione atlantica, viene così svolto un preciso compito politico, quello di contribuire alla formazione di un ambiente sociale e culturale favorevole all’affermazione del capitalismo – dalla trasformazione commerciale della società alla futura innovazione industriale. Ciò emerge in tutta evidenza quando sulla superficie increspata dell’oceano Atlantico compare nuovamente Paine: a Londra come a New York. Abbandonando quella positiva visione del commercio come vettore di emancipazione personale e collettiva, nel primo trentennio del diciannovesimo secolo, i lavoratori delle prime manifatture compongono l’agenda radicale che Paine lascia in eredità in un linguaggio democratico che assume così la valenza di linguaggio di classe. La diversa prospettiva politica sulla società elaborata da Paine in Europa torna allora d’attualità, anche in America. Ciò consente in conclusione di discutere quella storiografia secondo la quale nella repubblica dal 1787 al 1830 il trionfo della democrazia ha luogo – senza tensione e conflittualità – insieme con la lineare e incontestata affermazione del capitalismo: leggere Paine nella rivoluzione atlantica consente di superare quell’approccio storiografico che tende a ricostruire la circolazione di un unico paradigma linguistico o di un’ideologia dominante, finendo per chiudere la grande esperienza rivoluzionaria atlantica in un tempo limitato – quello del 1776 o in alternativa del 1789 – e in uno spazio chiuso delimitato dai confini delle singole nazioni. Quello che emerge attraverso Paine è invece una società atlantica in transizione lungo linee politiche e sociali che tracciano una direzione di marcia verso il capitalismo, una direzione affatto esente dal conflitto. Neanche sulla sponda americana dell’oceano, dove attraverso Paine è possibile sottolineare una precisa congiunzione storica tra rivoluzione politica, costruzione del governo federale e transizione al capitalismo. Una congiunzione per la quale la sfida democratica non risulta affatto sconfitta: sebbene venga allontanata dall’orizzonte immediato della rivoluzione, nell’arco di neanche un ventennio dalla morte di Paine nel 1809, essa torna a muovere le acque dell’oceano – con le parole di Melville – come un violento accesso di febbre contagiosa destinato a turbare l’organismo costituzionalmente sano del mondo atlantico. Per questo, come scrive John Adams nel 1805 quella che il 1776 apre potrebbe essere chiamata “the Age of Folly, Vice, Frenzy, Brutality, Daemons, Buonaparte -…- or the Age of the burning Brand from the Bottomless Pit”. Non può però essere chiamata “the Age of Reason”, perché è l’epoca di Paine: “whether any man in the world has had more influence on its inhabitants or affairs for the last thirty years than Tom Paine” -…- there can be no severer satyr on the age. For such a mongrel between pig and puppy, begotten by a wild boar on a bitch wolf, never before in any age of the world was suffered by the poltroonery of mankind, to run through such a career of mischief. Call it then the Age of Paine”.

Relevância:

20.00% 20.00%

Publicador:

Resumo:

La tesi si occupa della teoria delle ranking functions di W. Spohn, dottrina epistemologica il cui fine è dare una veste logica rigorosa ai concetti di causalità, legge di natura, spiegazione scientifica, a partire dalla nozione di credenza. Di tale teoria manca ancora una esposizione organica e unitaria e, soprattutto, formulata in linguaggio immediatamente accessibile. Nel mio lavoro, che si presenta come introduzione ad essa, è anche messa a raffronto con le teorie che maggiormente l’hanno influenzata o rispetto alle quali si pone come avversaria. Il PRIMO CAPITOLO si concentra sulla teoria di P. Gärdenfors, il più diretto predecessore e ispiratore di Spohn. Questo consente al lettore di acquisire familiarità con le nozioni di base della logica epistemica. La conoscenza, nella teoria del filosofo svedese, è concepita come processo di acquisizione ed espulsione di credenze, identificate con proposizioni, da un insieme. I tre maggiori fenomeni epistemici sono l’espansione, la revisione e la contrazione. Nel primo caso si immagazzina una proposizione in precedenza sconosciuta, nel secondo se ne espelle una a causa dell’acquisizione della sua contraddittoria, nel terzo si cancella una proposizione per amore di ipotesi e si investigano le conseguenze di tale cancellazione. Controparte linguistica di quest’ultimo fenomeno è la formulazione di un condizionale controfattuale. L’epistemologo, così come Gärdenfors concepisce il suo compito, è fondamentalmente un logico che deve specificare funzioni: vale a dire, le regole che deve rispettare ciascun passaggio da un insieme epistemico a un successivo per via di espansione, revisione e contrazione. Il SECONDO CAPITOLO tratta infine della teoria di Spohn, cercando di esporla in modo esauriente ma anche molto semplice. Anche in Spohn evidentemente il concetto fondamentale è quello di funzione: si tratta però in questo caso di quella regola di giudizio soggettivo che, a ciascuna credenza, identificata con una proposizione, associa un grado (un rank), espresso da un numero naturale positivo o dallo zero. Un rank è un grado di non-credenza (disbelief). Perché la non-credenza (che comporta un notevole appesantimento concettuale)? Perché le leggi della credenza così concepite presentano quella che Spohn chiama una “pervasiva analogia” rispetto alle leggi della probabilità (Spohn la chiama persino “armonia prestabilita” ed è un campo su cui sta ancora lavorando). Essenziale è il concetto di condizionalizzazione (analogo a quello di probabilità condizionale): a una credenza si associa un rank sulla base di (almeno) un’altra credenza. Grazie a tale concetto Spohn può formalizzare un fenomeno che a Gärdenfors sfugge, ossia la presenza di correlazioni interdoxastiche tra le credenze di un soggetto. Nella logica epistemica del predecessore, infatti, tutto si riduce all’inclusione o meno di una proposizione nell’insieme, non si considerano né gradi di credenza né l’idea che una credenza sia creduta sulla base di un’altra. Il TERZO CAPITOLO passa alla teoria della causalità di Spohn. Anche questa nozione è affrontata in prospettiva epistemica. Non ha senso, secondo Spohn, chiedersi quali siano i tratti “reali” della causalità “nel mondo”, occorre invece studiare che cosa accade quando si crede che tra due fatti o eventi sussista una correlazione causale. Anche quest’ultima è fatta oggetto di una formalizzazione logica rigorosa (e diversificata, infatti Spohn riconosce vari tipi di causa). Una causa “innalza lo status epistemico” dell’effetto: vale a dire, quest’ultimo è creduto con rank maggiore (ossia minore, se ci si concentra sulla non-credenza) se condizionalizzato sulla causa. Nello stesso capitolo espongo la teoria della causalità di Gärdenfors, che però è meno articolata e minata da alcuni errori. Il QUARTO CAPITOLO è tutto dedicato a David Lewis e alla sua teoria controfattuale della causalità, che è il maggiore avversario tanto di Spohn quanto di Gärdenfors. Secondo Lewis la migliore definizione di causa può essere data in termini controfattuali: la causa è un evento tale che, se non fosse accaduto, nemmeno l’effetto sarebbe accaduto. Naturalmente questo lo obbliga a specificare una teoria delle condizioni di verità di tale classe di enunciati che, andando contro i fatti per definizione, non possono essere paragonati alla realtà. Lewis ricorre allora alla dottrina dei mondi possibili e della loro somiglianza comparativa, concludendo che un controfattuale è vero se il mondo possibile in cui il suo antecedente e il suo conseguente sono veri è più simile al mondo attuale del controfattuale in cui il suo antecedente è vero e il conseguente è falso. Il QUINTO CAPITOLO mette a confronto la teoria di Lewis con quelle di Spohn e Gärdenfors. Quest’ultimo riduce i controfattuali a un fenomeno linguistico che segnala il processo epistemico di contrazione, trattato nel primo capitolo, rifiutando così completamente la dottrina dei mondi possibili. Spohn non affronta direttamente i controfattuali (in quanto a suo dire sovraccarichi di sottigliezze linguistiche di cui non vuole occuparsi – ha solo un abbozzo di teoria dei condizionali) ma dimostra che la sua teoria è superiore a quella di Lewis perché riesce a rendere conto, con estrema esattezza, di casi problematici di causalità che sfuggono alla formulazione controfattuale. Si tratta di quei casi in cui sono in gioco, rafforzandosi a vicenda o “concorrendo” allo stesso effetto, più fattori causali (casi noti nella letteratura come preemption, trumping etc.). Spohn riesce a renderne conto proprio perché ha a disposizione i rank numerici, che consentono un’analisi secondo cui a ciascun fattore causale è assegnato un preciso ruolo quantitativamente espresso, mentre la dottrina controfattuale è incapace di operare simili distinzioni (un controfattuale infatti è vero o falso, senza gradazioni). Il SESTO CAPITOLO si concentra sui modelli di spiegazione scientifica di Hempel e Salmon, e sulla nozione di causalità sviluppata da quest’ultimo, mettendo in luce soprattutto il ruolo (problematico) delle leggi di natura e degli enunciati controfattuali (a questo proposito sono prese in considerazione anche le famose critiche di Goodman e Chisholm). Proprio dalla riflessione su questi modelli infatti è scaturita la teoria di Gärdenfors, e tanto la dottrina del filosofo svedese quanto quella di Spohn possono essere viste come finalizzate a rendere conto della spiegazione scientifica confrontandosi con questi modelli meno recenti. Il SETTIMO CAPITOLO si concentra sull’analisi che la logica epistemica fornisce delle leggi di natura, che nel capitolo precedente sono ovviamente emerse come elemento fondamentale della spiegazione scientifica. Secondo Spohn le leggi sono innanzitutto proposizioni generali affermative, che sono credute in modo speciale. In primo luogo sono credute persistentemente, vale a dire, non sono mai messe in dubbio (tanto che se si incappa in una loro contro-istanza si va alla ricerca di una violazione della normalità che la giustifichi). In secondo luogo, guidano e fondano la credenza in altre credenze specifiche, che sono su di esse condizionalizzate (si riprendono, con nuovo rigore logico, le vecchie idee di Wittgenstein e di Ramsey e il concetto di legge come inference ticket). In terzo luogo sono generalizzazioni ricavate induttivamente: sono oggettivazioni di schemi induttivi. Questo capitolo si sofferma anche sulla teoria di legge offerta da Gärdenfors (analoga ma embrionale) e sull’analisi che Spohn fornisce della nozione di clausola ceteris paribus. L’OTTAVO CAPITOLO termina l’analisi cominciata con il sesto, considerando finalmente il modello epistemico della spiegazione scientifica. Si comincia dal modello di Gärdenfors, che si mostra essere minato da alcuni errori o comunque caratterizzato in modo non sufficientemente chiaro (soprattutto perché non fa ricorso, stranamente, al concetto di legge). Segue il modello di Spohn; secondo Spohn le spiegazioni scientifiche sono caratterizzate dal fatto che forniscono (o sono finalizzate a fornire) ragioni stabili, vale a dire, riconducono determinati fenomeni alle loro cause e tali cause sono credute in modo persistente. Con una dimostrazione logica molto dettagliata e di acutezza sorprendente Spohn argomenta che simili ragioni, nel lungo periodo, devono essere incontrate. La sua quindi non è solo una teoria della spiegazione scientifica che elabori un modello epistemico di che cosa succede quando un fenomeno è spiegato, ma anche una teoria dello sviluppo della scienza in generale, che incoraggia a perseguire la ricerca delle cause come necessariamente coronata da successo. Le OSSERVAZIONI CONCLUSIVE fanno il punto sulle teorie esposte e sul loro raffronto. E’ riconosciuta la superiorità della teoria di Spohn, di cui si mostra anche che raccoglie in pieno l’eredità costruttiva di Hume, al quale gli avversari si rifanno costantemente ma in modo frammentario. Si analizzano poi gli elementi delle teorie di Hempel e Salmon che hanno precorso l’impostazione epistemica. La teoria di Spohn non è esente però da alcuni punti ancora problematici. Innanzitutto, il ruolo della verità; in un primo tempo Spohn sembra rinunciare, come fa esplicitamente il suo predecessore, a trattare la verità, salvo poi invocarla quando si pone il grave problema dell’oggettivazione delle ranking functions (il problema si presenta poiché di esse inizialmente si dice che sono regole soggettive di giudizio e poi si identificano in parte con le leggi di natura). C’è poi la dottrina dei gradi di credenza che Spohn dice presentarsi “unitamente alle proposizioni” e che costituisce un inutile distacco dal realismo psicologico (critica consueta alla teoria): basterebbe osservare che i gradi di credenza sono ricavati o per condizionalizzazione automatica sulla base del tipo di fonte da cui una proposizione proviene, o per paragone immaginario con altre fonti (la maggiore o minore credenza infatti è un concetto relazionale: si crede di più o di meno “sulla base di…” o “rispetto a…”). Anche la trattazione delle leggi di natura è problematica; Spohn sostiene che sono ranking functions: a mio avviso invece esse concorrono a regole di giudizio, che prescrivono di impiegare le leggi stesse per valutare proposizioni o aspettative. Una legge di natura è un ingranaggio, per così dire, di una valutazione di certezza ma non si identifica totalmente con una legge di giudizio. I tre criteri che Spohn individua per distinguere le leggi poi non sono rispettati da tutte e sole le leggi stesse: la generalizzazione induttiva può anche dare adito a pregiudizi, e non di tutte le leggi si sono viste, individualmente, istanze ripetute tanto da giustificarle induttivamente. Infine, un episodio reale di storia della scienza come la scoperta della sintesi dell’urea da parte di F. Wöhler (1828 – ottenendo carbammide, organico, da due sostanze inorganiche, dimostra che non è vera la legge di natura fini a quel momento presunta tale secondo cui “sostanze organiche non possono essere ricavate da sostanze inorganiche”) è indice che le leggi di natura non sono sempre credute in modo persistente, cosicché per comprendere il momento della scoperta è pur sempre necessario rifarsi a una teoria di tipo popperiano, rispetto alla quale Spohn presenta invece la propria in assoluta antitesi.

Relevância:

20.00% 20.00%

Publicador:

Resumo:

La ricognizione delle opere composte da Filippo Tommaso Marinetti tra il 1909 e il 1912 è sostenuta da una tesi paradossale: il futurismo di Marinetti non sarebbe un'espressione della modernità, bensì una reazione anti-moderna, che dietro a una superficiale ed entusiastica adesione ad alcune parole d'ordine della seconda rivoluzione industriale nasconderebbe un pessimismo di fondo nei confronti dell'uomo e della storia. In questo senso il futurismo diventa un emblema del ritardo culturale e del gattopardismo italiano, e anticipa l’analoga operazione svolta in politica da Mussolini: dietro un’adesione formale ad alcune istanze della modernità, la preservazione dello Status Quo. Marinetti è descritto come un corpo estraneo rispetto alla cultura scientifica del Novecento: un futurista senza futuro (rarissime in Marinetti sono le proiezioni fantascientifiche). Questo aspetto è particolarmente evidente nelle opere prodotte del triennio 1908-1911, che non solo sono molto diverse dalle opere futuriste successive, ma per alcuni aspetti rappresentano una vera e propria antitesi di ciò che diventerà il futurismo letterario a partire dal 1912, con la pubblicazione del Manifesto tecnico della letteratura futurista e l'invenzione delle parole in libertà. Nelle opere precedenti, a un sostanziale disinteresse per il progressismo tecnologico corrispondeva un'attenzione ossessiva per la corporeità e un ricorso continuo all'allegoria, con effetti particolarmente grotteschi (soprattutto nel romanzo Mafarka le futuriste) nei quali si rilevano tracce di una concezione del mondo di sapore ancora medioevo-rinascimentale. Questa componente regressiva del futurismo marinettiano viene platealmente abbandonata a partire dal 1912, con Zang Tumb Tumb, salvo riaffiorare ciclicamente, come una corrente sotterranea, in altre fasi della sua carriera: nel 1922, ad esempio, con la pubblicazione de Gli indomabili (un’altra opera allegorica, ricca di reminiscenze letterarie). Quella del 1912 è una vera e propria frattura, che nel primo capitolo è indagata sia da un punto di vista storico (attraverso la documentazione epistolare e giornalistica vengono portate alla luce le tensioni che portarono gran parte dei poeti futuristi ad abbandonare il movimento proprio in quell'anno) che da un punto di vista linguistico: sono sottolineate le differenze sostanziali tra la produzione parolibera e quella precedente, e si arrischia anche una spiegazione psicologica della brusca svolta impressa da Marinetti al suo movimento. Nel secondo capitolo viene proposta un'analisi formale e contenutistica della ‘funzione grottesca’ nelle opere di Marinetti. Nel terzo capitolo un'analisi comparata delle incarnazioni della macchine ritratte nelle opere di Marinetti ci svela che quasi sempre in questo autore la macchina è associata al pensiero della morte e a una pulsione masochistica (dominante, quest'ultima, ne Gli indomabili); il che porta ad arrischiare l'ipotesi che l'esperienza futurista, e in particolare il futurismo parolibero posteriore al 1912, sia la rielaborazione di un trauma. Esso può essere interpretato metaforicamente come lo choc del giovane Marinetti, balzato in pochi anni dalle sabbie d'Alessandria d'Egitto alle brume industriali di Milano, ma anche come una reale esperienza traumatica (l'incidente automobilistico del 1908, “mitologizzato” nel primo manifesto, ma che in realtà fu vissuto dall'autore come esperienza realmente perturbante).

Relevância:

20.00% 20.00%

Publicador:

Resumo:

Se il lavoro dello storico è capire il passato come è stato compreso dalla gente che lo ha vissuto, allora forse non è azzardato pensare che sia anche necessario comunicare i risultati delle ricerche con strumenti propri che appartengono a un'epoca e che influenzano la mentalità di chi in quell'epoca vive. Emergenti tecnologie, specialmente nell’area della multimedialità come la realtà virtuale, permettono agli storici di comunicare l’esperienza del passato in più sensi. In che modo la storia collabora con le tecnologie informatiche soffermandosi sulla possibilità di fare ricostruzioni storiche virtuali, con relativi esempi e recensioni? Quello che maggiormente preoccupa gli storici è se una ricostruzione di un fatto passato vissuto attraverso la sua ricreazione in pixels sia un metodo di conoscenza della storia che possa essere considerato valido. Ovvero l'emozione che la navigazione in una realtà 3D può suscitare, è un mezzo in grado di trasmettere conoscenza? O forse l'idea che abbiamo del passato e del suo studio viene sottilmente cambiato nel momento in cui lo si divulga attraverso la grafica 3D? Da tempo però la disciplina ha cominciato a fare i conti con questa situazione, costretta soprattutto dall'invasività di questo tipo di media, dalla spettacolarizzazione del passato e da una divulgazione del passato parziale e antiscientifica. In un mondo post letterario bisogna cominciare a pensare che la cultura visuale nella quale siamo immersi sta cambiando il nostro rapporto con il passato: non per questo le conoscenze maturate fino ad oggi sono false, ma è necessario riconoscere che esiste più di una verità storica, a volte scritta a volte visuale. Il computer è diventato una piattaforma onnipresente per la rappresentazione e diffusione dell’informazione. I metodi di interazione e rappresentazione stanno evolvendo di continuo. Ed è su questi due binari che è si muove l’offerta delle tecnologie informatiche al servizio della storia. Lo scopo di questa tesi è proprio quello di esplorare, attraverso l’utilizzo e la sperimentazione di diversi strumenti e tecnologie informatiche, come si può raccontare efficacemente il passato attraverso oggetti tridimensionali e gli ambienti virtuali, e come, nel loro essere elementi caratterizzanti di comunicazione, in che modo possono collaborare, in questo caso particolare, con la disciplina storica. La presente ricerca ricostruisce alcune linee di storia delle principali fabbriche attive a Torino durante la seconda guerra mondiale, ricordando stretta relazione che esiste tra strutture ed individui e in questa città in particolare tra fabbrica e movimento operaio, è inevitabile addentrarsi nelle vicende del movimento operaio torinese che nel periodo della lotta di Liberazione in città fu un soggetto politico e sociale di primo rilievo. Nella città, intesa come entità biologica coinvolta nella guerra, la fabbrica (o le fabbriche) diventa il nucleo concettuale attraverso il quale leggere la città: sono le fabbriche gli obiettivi principali dei bombardamenti ed è nelle fabbriche che si combatte una guerra di liberazione tra classe operaia e autorità, di fabbrica e cittadine. La fabbrica diventa il luogo di "usurpazione del potere" di cui parla Weber, il palcoscenico in cui si tengono i diversi episodi della guerra: scioperi, deportazioni, occupazioni .... Il modello della città qui rappresentata non è una semplice visualizzazione ma un sistema informativo dove la realtà modellata è rappresentata da oggetti, che fanno da teatro allo svolgimento di avvenimenti con una precisa collocazione cronologica, al cui interno è possibile effettuare operazioni di selezione di render statici (immagini), di filmati precalcolati (animazioni) e di scenari navigabili interattivamente oltre ad attività di ricerca di fonti bibliografiche e commenti di studiosi segnatamente legati all'evento in oggetto. Obiettivo di questo lavoro è far interagire, attraverso diversi progetti, le discipline storiche e l’informatica, nelle diverse opportunità tecnologiche che questa presenta. Le possibilità di ricostruzione offerte dal 3D vengono così messe a servizio della ricerca, offrendo una visione integrale in grado di avvicinarci alla realtà dell’epoca presa in considerazione e convogliando in un’unica piattaforma espositiva tutti i risultati. Divulgazione Progetto Mappa Informativa Multimediale Torino 1945 Sul piano pratico il progetto prevede una interfaccia navigabile (tecnologia Flash) che rappresenti la pianta della città dell’epoca, attraverso la quale sia possibile avere una visione dei luoghi e dei tempi in cui la Liberazione prese forma, sia a livello concettuale, sia a livello pratico. Questo intreccio di coordinate nello spazio e nel tempo non solo migliora la comprensione dei fenomeni, ma crea un maggiore interesse sull’argomento attraverso l’utilizzo di strumenti divulgativi di grande efficacia (e appeal) senza perdere di vista la necessità di valicare le tesi storiche proponendosi come piattaforma didattica. Un tale contesto richiede uno studio approfondito degli eventi storici al fine di ricostruire con chiarezza una mappa della città che sia precisa sia topograficamente sia a livello di navigazione multimediale. La preparazione della cartina deve seguire gli standard del momento, perciò le soluzioni informatiche utilizzate sono quelle fornite da Adobe Illustrator per la realizzazione della topografia, e da Macromedia Flash per la creazione di un’interfaccia di navigazione. La base dei dati descrittivi è ovviamente consultabile essendo contenuta nel supporto media e totalmente annotata nella bibliografia. È il continuo evolvere delle tecnologie d'informazione e la massiccia diffusione dell’uso dei computer che ci porta a un cambiamento sostanziale nello studio e nell’apprendimento storico; le strutture accademiche e gli operatori economici hanno fatto propria la richiesta che giunge dall'utenza (insegnanti, studenti, operatori dei Beni Culturali) di una maggiore diffusione della conoscenza storica attraverso la sua rappresentazione informatizzata. Sul fronte didattico la ricostruzione di una realtà storica attraverso strumenti informatici consente anche ai non-storici di toccare con mano quelle che sono le problematiche della ricerca quali fonti mancanti, buchi della cronologia e valutazione della veridicità dei fatti attraverso prove. Le tecnologie informatiche permettono una visione completa, unitaria ed esauriente del passato, convogliando tutte le informazioni su un'unica piattaforma, permettendo anche a chi non è specializzato di comprendere immediatamente di cosa si parla. Il miglior libro di storia, per sua natura, non può farlo in quanto divide e organizza le notizie in modo diverso. In questo modo agli studenti viene data l'opportunità di apprendere tramite una rappresentazione diversa rispetto a quelle a cui sono abituati. La premessa centrale del progetto è che i risultati nell'apprendimento degli studenti possono essere migliorati se un concetto o un contenuto viene comunicato attraverso più canali di espressione, nel nostro caso attraverso un testo, immagini e un oggetto multimediale. Didattica La Conceria Fiorio è uno dei luoghi-simbolo della Resistenza torinese. Il progetto è una ricostruzione in realtà virtuale della Conceria Fiorio di Torino. La ricostruzione serve a arricchire la cultura storica sia a chi la produce, attraverso una ricerca accurata delle fonti, sia a chi può poi usufruirne, soprattutto i giovani, che, attratti dall’aspetto ludico della ricostruzione, apprendono con più facilità. La costruzione di un manufatto in 3D fornisce agli studenti le basi per riconoscere ed esprimere la giusta relazione fra il modello e l’oggetto storico. Le fasi di lavoro attraverso cui si è giunti alla ricostruzione in 3D della Conceria: . una ricerca storica approfondita, basata sulle fonti, che possono essere documenti degli archivi o scavi archeologici, fonti iconografiche, cartografiche, ecc.; . La modellazione degli edifici sulla base delle ricerche storiche, per fornire la struttura geometrica poligonale che permetta la navigazione tridimensionale; . La realizzazione, attraverso gli strumenti della computer graphic della navigazione in 3D. Unreal Technology è il nome dato al motore grafico utilizzato in numerosi videogiochi commerciali. Una delle caratteristiche fondamentali di tale prodotto è quella di avere uno strumento chiamato Unreal editor con cui è possibile costruire mondi virtuali, e che è quello utilizzato per questo progetto. UnrealEd (Ued) è il software per creare livelli per Unreal e i giochi basati sul motore di Unreal. E’ stata utilizzata la versione gratuita dell’editor. Il risultato finale del progetto è un ambiente virtuale navigabile raffigurante una ricostruzione accurata della Conceria Fiorio ai tempi della Resistenza. L’utente può visitare l’edificio e visualizzare informazioni specifiche su alcuni punti di interesse. La navigazione viene effettuata in prima persona, un processo di “spettacolarizzazione” degli ambienti visitati attraverso un arredamento consono permette all'utente una maggiore immersività rendendo l’ambiente più credibile e immediatamente codificabile. L’architettura Unreal Technology ha permesso di ottenere un buon risultato in un tempo brevissimo, senza che fossero necessari interventi di programmazione. Questo motore è, quindi, particolarmente adatto alla realizzazione rapida di prototipi di una discreta qualità, La presenza di un certo numero di bug lo rende, però, in parte inaffidabile. Utilizzare un editor da videogame per questa ricostruzione auspica la possibilità di un suo impiego nella didattica, quello che le simulazioni in 3D permettono nel caso specifico è di permettere agli studenti di sperimentare il lavoro della ricostruzione storica, con tutti i problemi che lo storico deve affrontare nel ricreare il passato. Questo lavoro vuole essere per gli storici una esperienza nella direzione della creazione di un repertorio espressivo più ampio, che includa gli ambienti tridimensionali. Il rischio di impiegare del tempo per imparare come funziona questa tecnologia per generare spazi virtuali rende scettici quanti si impegnano nell'insegnamento, ma le esperienze di progetti sviluppati, soprattutto all’estero, servono a capire che sono un buon investimento. Il fatto che una software house, che crea un videogame di grande successo di pubblico, includa nel suo prodotto, una serie di strumenti che consentano all'utente la creazione di mondi propri in cui giocare, è sintomatico che l'alfabetizzazione informatica degli utenti medi sta crescendo sempre più rapidamente e che l'utilizzo di un editor come Unreal Engine sarà in futuro una attività alla portata di un pubblico sempre più vasto. Questo ci mette nelle condizioni di progettare moduli di insegnamento più immersivi, in cui l'esperienza della ricerca e della ricostruzione del passato si intreccino con lo studio più tradizionale degli avvenimenti di una certa epoca. I mondi virtuali interattivi vengono spesso definiti come la forma culturale chiave del XXI secolo, come il cinema lo è stato per il XX. Lo scopo di questo lavoro è stato quello di suggerire che vi sono grosse opportunità per gli storici impiegando gli oggetti e le ambientazioni in 3D, e che essi devono coglierle. Si consideri il fatto che l’estetica abbia un effetto sull’epistemologia. O almeno sulla forma che i risultati delle ricerche storiche assumono nel momento in cui devono essere diffuse. Un’analisi storica fatta in maniera superficiale o con presupposti errati può comunque essere diffusa e avere credito in numerosi ambienti se diffusa con mezzi accattivanti e moderni. Ecco perchè non conviene seppellire un buon lavoro in qualche biblioteca, in attesa che qualcuno lo scopra. Ecco perchè gli storici non devono ignorare il 3D. La nostra capacità, come studiosi e studenti, di percepire idee ed orientamenti importanti dipende spesso dai metodi che impieghiamo per rappresentare i dati e l’evidenza. Perché gli storici possano ottenere il beneficio che il 3D porta con sè, tuttavia, devono sviluppare un’agenda di ricerca volta ad accertarsi che il 3D sostenga i loro obiettivi di ricercatori e insegnanti. Una ricostruzione storica può essere molto utile dal punto di vista educativo non sono da chi la visita ma, anche da chi la realizza. La fase di ricerca necessaria per la ricostruzione non può fare altro che aumentare il background culturale dello sviluppatore. Conclusioni La cosa più importante è stata la possibilità di fare esperienze nell’uso di mezzi di comunicazione di questo genere per raccontare e far conoscere il passato. Rovesciando il paradigma conoscitivo che avevo appreso negli studi umanistici, ho cercato di desumere quelle che potremo chiamare “leggi universali” dai dati oggettivi emersi da questi esperimenti. Da punto di vista epistemologico l’informatica, con la sua capacità di gestire masse impressionanti di dati, dà agli studiosi la possibilità di formulare delle ipotesi e poi accertarle o smentirle tramite ricostruzioni e simulazioni. Il mio lavoro è andato in questa direzione, cercando conoscere e usare strumenti attuali che nel futuro avranno sempre maggiore presenza nella comunicazione (anche scientifica) e che sono i mezzi di comunicazione d’eccellenza per determinate fasce d’età (adolescenti). Volendo spingere all’estremo i termini possiamo dire che la sfida che oggi la cultura visuale pone ai metodi tradizionali del fare storia è la stessa che Erodoto e Tucidide contrapposero ai narratori di miti e leggende. Prima di Erodoto esisteva il mito, che era un mezzo perfettamente adeguato per raccontare e dare significato al passato di una tribù o di una città. In un mondo post letterario la nostra conoscenza del passato sta sottilmente mutando nel momento in cui lo vediamo rappresentato da pixel o quando le informazioni scaturiscono non da sole, ma grazie all’interattività con il mezzo. La nostra capacità come studiosi e studenti di percepire idee ed orientamenti importanti dipende spesso dai metodi che impieghiamo per rappresentare i dati e l’evidenza. Perché gli storici possano ottenere il beneficio sottinteso al 3D, tuttavia, devono sviluppare un’agenda di ricerca volta ad accertarsi che il 3D sostenga i loro obiettivi di ricercatori e insegnanti. Le esperienze raccolte nelle pagine precedenti ci portano a pensare che in un futuro non troppo lontano uno strumento come il computer sarà l’unico mezzo attraverso cui trasmettere conoscenze, e dal punto di vista didattico la sua interattività consente coinvolgimento negli studenti come nessun altro mezzo di comunicazione moderno.

Relevância:

20.00% 20.00%

Publicador:

Resumo:

La valutazione dell’intensità secondo una procedura formale trasparente, obiettiva e che permetta di ottenere valori numerici attraverso scelte e criteri rigorosi, rappresenta un passo ed un obiettivo per la trattazione e l’impiego delle informazioni macrosismiche. I dati macrosismici possono infatti avere importanti applicazioni per analisi sismotettoniche e per la stima della pericolosità sismica. Questa tesi ha affrontato il problema del formalismo della stima dell’intensità migliorando aspetti sia teorici che pratici attraverso tre passaggi fondamentali sviluppati in ambiente MS-Excel e Matlab: i) la raccolta e l’archiviazione del dataset macrosismico; ii), l’associazione (funzione di appartenenza o membership function) tra effetti e gradi di intensità della scala macrosismica attraverso i principi della logica dei fuzzy sets; iii) l’applicazione di algoritmi decisionali rigorosi ed obiettivi per la stima dell’intensità finale. L’intera procedura è stata applicata a sette terremoti italiani sfruttando varie possibilità, anche metodologiche, come la costruzione di funzioni di appartenenza combinando le informazioni macrosismiche di più terremoti: Monte Baldo (1876), Valle d’Illasi (1891), Marsica (1915), Santa Sofia (1918), Mugello (1919), Garfagnana (1920) e Irpinia (1930). I risultati ottenuti hanno fornito un buon accordo statistico con le intensità di un catalogo macrosismico di riferimento confermando la validità dell’intera metodologia. Le intensità ricavate sono state poi utilizzate per analisi sismotettoniche nelle aree dei terremoti studiati. I metodi di analisi statistica sui piani quotati (distribuzione geografica delle intensità assegnate) si sono rivelate in passato uno strumento potente per analisi e caratterizzazione sismotettonica, determinando i principali parametri (localizzazione epicentrale, lunghezza, larghezza, orientazione) della possibile sorgente sismogenica. Questa tesi ha implementato alcuni aspetti delle metodologie di analisi grazie a specifiche applicazioni sviluppate in Matlab che hanno permesso anche di stimare le incertezze associate ai parametri di sorgente, grazie a tecniche di ricampionamento statistico. Un’analisi sistematica per i terremoti studiati è stata portata avanti combinando i vari metodi per la stima dei parametri di sorgente con i piani quotati originali e ricalcolati attraverso le procedure decisionali fuzzy. I risultati ottenuti hanno consentito di valutare le caratteristiche delle possibili sorgenti e formulare ipotesi di natura sismotettonica che hanno avuto alcuni riscontri indiziali con dati di tipo geologico e geologico-strutturale. Alcuni eventi (1915, 1918, 1920) presentano una forte stabilità dei parametri calcolati (localizzazione epicentrale e geometria della possibile sorgente) con piccole incertezze associate. Altri eventi (1891, 1919 e 1930) hanno invece mostrato una maggiore variabilità sia nella localizzazione dell’epicentro che nella geometria delle box: per il primo evento ciò è probabilmente da mettere in relazione con la ridotta consistenza del dataset di intensità mentre per gli altri con la possibile molteplicità delle sorgenti sismogenetiche. Anche l’analisi bootstrap ha messo in evidenza, in alcuni casi, le possibili asimmetrie nelle distribuzioni di alcuni parametri (ad es. l’azimut della possibile struttura), che potrebbero suggerire meccanismi di rottura su più faglie distinte.

Relevância:

20.00% 20.00%

Publicador:

Resumo:

La presente tesi descrive l’implementazione in Java di un algoritmo per il ragionamento giuridico che cattura due sue importanti peculiarità: la defeasibility del ragionamento normativo e il concetto di tempo. “Defeasible” significa “ritrattabile” e sta ad indicare, appunto, quegli schemi di ragionamento nei quali è possibile rivedere o ritrattare le conclusioni tratte precedentemente. Il tempo è essenziale per un’accurata rappresentazione degli scenari presenti nel mondo reale e in particolare per gli scenari giuridici. I profili temporali delle norme sono essenzialmente due: (i) tempo esterno della norma, cioè il periodo durante il quale la norma è valida cioè appartiene al sistema giuridico; (ii) tempo interno della norma che fa riferimento al periodo in cui la norma si applica. In particolare quest’ultimo periodo di tempo coincide con il periodo in cui le condizioni presenti nella norma devono presentarsi affinché essa produca i suoi effetti. Inoltre, nella tesi viene presentata un’estensione della logica defeasible in grado di distinguere tra regole con effetti persistenti, che valgono non solo per l’istante in cui si verificano le premesse ma anche per ogni istante successivo, e regole con effetti transitori, che valgono per un singolo istante. L’algoritmo presentato in questa tesi presenta una complessità lineare nelle dimensioni della teoria in ingresso e può interagire con le applicazioni del web semantico poiché elabora teorie scritte in Rule-ML, un linguaggio basato su XML per la rappresentazione di regole.

Relevância:

20.00% 20.00%

Publicador:

Resumo:

Con il presente lavoro, che ha ad oggetto l’istituto dello scioglimento anticipato delle Camere nell’ordinamento costituzionale italiano, il candidato si propone tre obiettivi. Il primo è quello della ricostruzione dogmatica dell’istituto che sconta inevitabilmente un grosso debito nei confronti della vasta letteratura giuridica che si è sviluppata nel corso dei decenni. Il secondo obiettivo è quello, ben più originale, dell’indagine sulla prassi che ha contraddistinto il ricorso allo scioglimento nella peculiare realtà italiana. In questo modo si viene colmando uno spazio di ricerca diretto a leggere gli avvenimenti e a ricondurli in un quadro costituzionale sistematico, anche al fine di ricavare utili riflessioni circa la conformità della prassi stessa al dato normativo, nonché sulle modalità di funzionamento concreto dell'istituto. Il terzo obiettivo, quello più ambizioso, è utilizzare le considerazioni così sviluppate per ricercare soluzioni interpretative adeguate all’evoluzione subita dall’assetto politico-istituzionale italiano negli ultimi due decenni. Quanto al metodo, la scelta del candidato è stata quella di ricorrere ad uno strumentario che pone in necessaria sequenza logica: a) i presupposti storici/comparatistici e il dibattito in Assemblea costituente, utili per l’acquisizione del patrimonio del parlamentarismo europeo del tempo e per la comprensione del substrato su cui si costruisce l’edificio costituzionale; b) il testo costituzionale, avvalendosi anche delle importanti considerazioni svolte dalla dottrina più autorevole; c) la prassi costituzionale, consistente nella fase di implementazione concreta del disposto normativo. La finalità che il candidato si pone è dimostrare la possibilità di configurare lo scioglimento secondo un modello di tipo “primoministeriale”. Per quanto riguarda la prima parte della ricerca, dalla pur sintetica descrizione dei precedenti storici (sia rispetto alle realtà europee, inglese e francese in primis, che al periodo prerepubblicano) si trae conferma che l’operatività dell’istituto è intrinsecamente influenzata dalla forma di governo. Una prima indicazione che emerge con forza è come la strutturazione del sistema partitico e il grado di legame tra Assemblea rappresentativa e Gabinetto condizionino la ratio del potere di scioglimento, la sua titolarità ed il suo effettivo rendimento. Infatti, in presenza di regimi bipartitici e di impianti istituzionali che accentuano il raccordo fiduciario, il Capo dello Stato tende all’emarginazione, e lo scioglimento acquisisce carattere di automaticità tutte le volte in cui si verificano crisi ministeriali (eventualità però piuttosto rara); più consueto è invece lo scioglimento primoministeriale libero, come arma politica vera e propria attraverso cui il Governo in carica tende a sfruttare il momento migliore per ricercare il giudizio del popolo. Al contrario, dove il sistema politico è più dinamico, e il pluralismo sociale radicalizzato, il Capo dello Stato interferisce fortemente nella vita istituzionale e, in particolare, nella formazione dell’indirizzo politico: in quest’ottica lo scioglimento viene da questi inglobato, ed il suo ricorso subordinato ad esigenze di recupero della funzionalità perduta; soprattutto, quando si verificano crisi ministeriali (invero frequenti) il ricorso alle urne non è conseguenza automatica, ma semmai gli viene preferita la via della formazione di un Gabinetto poggiante su una maggioranza alternativa. L’indagine svolta dal candidato sui lavori preparatori mostra come il Costituente abbia voluto perseguire l'obiettivo di allargare le maglie della disciplina costituzionale il più possibile, in modo da poter successivamente ammettere più soluzioni interpretative. Questa conclusione è il frutto del modo in cui si sono svolte le discussioni. Le maggiori opzioni prospettate si collocavano lungo una linea che aveva ad un estremo una tassativa preordinazione delle condizioni legittimanti, ed all’altro estremo l’esclusiva e pressoché arbitraria facoltà decisionale dello scioglimento nelle mani del Capo dello Stato; in mezzo, la via mediana (e maggiormente gradita) del potere sì presidenziale, benché circondato da tutta una serie di limiti e garanzie, nel quadro della costruzione di una figura moderatrice dei conflitti tra Esecutivo e Legislativo. Ma non bisogna tralasciare che, seppure rare, diverse voci propendevano per la delineazione di un potere governativo di scioglimento la quale impedisse che la subordinazione del Governo al Parlamento si potesse trasformare in degenerazione assemblearista. Quindi, il candidato intende sottolineare come l’adamantina prescrizione dell’art. 88 non postuli, nell’ambito dell’interpretazione teleologica che è stata data, alcuno specifico indirizzo interpretativo dominante: il che, in altri termini, è l’ammissione di una pluralità di concezioni teoricamente valide. L'analisi del dettato costituzionale non ha potuto prescindere dalla consolidata tripartizione delle teorie interpretative. Dall'analisi della letteratura emerge la preferenza per la prospettiva dualistica, anche in virtù del richiamo che la Costituzione svolge nei confronti delle competenze sia del Presidente della Repubblica (art. 88) che del Governo (art. 89), il che lo convince dell’inopportunità di imporre una visione esclusivista, come invece sovente hanno fatto i sostenitori della tesi presidenziale. Sull’altro versante ciò gli permette di riconferire una certa dignità alla tesi governativa, che a partire dal primo decennio repubblicano era stata accantonata in sede di dibattito dottrinario: in questo modo, entrambe le teoriche fondate su una titolarità esclusiva assumono una pari dignità, benchè parimenti nessuna delle due risulti persuasiva. Invece, accedere alla tesi della partecipazione complessa significa intrinsecamente riconoscere una grande flessibilità nell’esercizio del potere in questione, permettendo così una sua più adeguata idoneità a mutare le proprie sembianze in fase applicativa e a calarsi di volta in volta nelle situazioni contingenti. Questa costruzione si inserisce nella scelta costituente di rafforzare le garanzie, ed il reciproco controllo che si instaura tra Presidente e Governo rappresenta la principale forma di tutela contro potenziali abusi di potere. Ad ognuno dei due organi spettano però compiti differenti, poiché le finalità perseguite sono differenti: come l’Esecutivo agisce normalmente secondo canoni politici, in quanto principale responsabile dell’indirizzo politico, al Capo dello Stato si addice soprattutto il compito di sorvegliare il regolare svolgimento dei meccanismi istituzionali, in posizione di imparzialità. Lo schema costituzionale, secondo il candidato, sembra perciò puntare sulla leale collaborazione tra i poteri in questione, senza però predefinire uno ruolo fisso ed immutabile, ma esaltando le potenzialità di una configurazione così eclettica. Assumendo questa concezione, si ha buon gioco a conferire piena cittadinanza costituzionale all’ipotesi di scioglimento disposto su proposta del Presidente del Consiglio, che si può ricavare in via interpretativa dalla valorizzazione dell’art. 89 Cost. anche secondo il suo significato letterale. Al discorso della titolarità del potere di scioglimento, il candidato lega quello circa i presupposti legittimanti, altro nodo irrisolto. La problematica relativa alla loro definizione troverebbe un decisivo ridimensionamento nel momento in cui si ammette la compartecipazione di Governo e Presidente della Repubblica: il diverso titolo con il quale essi cooperano consentirebbe di prevenire valutazioni pretestuose circa la presenza delle condizioni legittimanti, poichè è nel reciproco controllo che entrambi gli organi individuano i confini entro cui svolgere le rispettive funzioni. Si giustificano così sia ragioni legate ad esigenze di funzionalità del sistema (le più ricorrenti in un sistema politico pluripartitico), sia quelle scaturenti dalla divaricazione tra orientamento dei rappresentati e orientamento dei rappresentanti: purchè, sottolinea il candidato, ciò non conduca il Presidente della Repubblica ad assumere un ruolo improprio di interferenza con le prerogative proprie della sfera di indirizzo politico. Il carattere aperto della disciplina costituzionale spinge inevitabilmente il candidato ad approfondire l'analisi della prassi, la cui conoscenza costituisce un fondamentale modo sia per comprendere il significato delle disposizioni positive che per apprezzare l’utilità reale ed il rendimento sistemico dell’istituto. Infatti, è proprio dall'indagine sulla pratica che affiorano in maniera prepotente le molteplici virtualità dello strumento dissolutorio, con modalità operative che, a seconda delle singole fasi individuate, trovano una strutturazione casistica variabile. In pratica: nel 1953 e nel 1958 è l'interesse del partito di maggioranza relativa ad influenzare il Governo circa la scelta di anticipare la scadenza del Senato; nel 1963 e nel 1968 invece si fa strada l'idea del consenso diffuso allo scioglimento, seppure nel primo caso l'anticipo valga ancora una volta per il solo Senato, e nel secondo ci si trovi di fronte all'unica ipotesi di fine naturale della legislatura; nel 1972, nel 1976, nel 1979, nel 1983 e nel 1987 (con una significativa variante) si manifesta con tutta la sua forza la pratica consociativa, figlia della degenerazione partitocratica che ha svuotato le istituzioni giuridiche (a partire dal Governo) e cristallizzato nei partiti politici il centro di gravità della vita pubblica; nel 1992, a chiusura della prima epoca repubblicana, caratterizzata dal dominio della proporzionale (con tutte le sue implicazioni), si presentano elementi atipici, i quali vanno a combinarsi con le consolidate tendenze, aprendo così la via all'incertezza sulle tendenze future. È con l'avvento della logica maggioritaria, prepotentemente affacciatasi per il tramite dei referendum elettorali, a sconvolgere il quadro delle relazioni fra gli organi costituzionali, anche per quanto concerne ratio e caratteristiche del potere di scioglimento delle Camere. Soprattutto, nella fase di stretta transizione che ha attraversato il quadriennio 1992-1996, il candidato mette in luce come i continui smottamenti del sistema politico abbiano condotto ad una fase di destabilizzazione anche per quanto riguarda la prassi, incrinando le vecchie regolarità e dando vita a potenzialità fino allora sconosciute, addirittura al limite della conformità a Costituzione. La Presidenza Scalfaro avvia un processo di netta appropriazione del potere di scioglimento, esercitandolo in maniera esclusiva, grazie anche alla controfirma offerta da un Governo compiacente (“tecnicco”, perciò debitore della piena fiducia quirinalizia). La piena paternità presidenziale, nel 1994, è accompagnata da un altro elemento di brusca rottura con il passato, ossia quello della ragione legittimante: infatti, per la prima volta viene addotta palesemente la motivazione del deficit di rappresentatività. Altro momento ad aver costituito da spartiacque nell’evoluzione della forma di governo è stato il mancato scioglimento a seguito della crisi del I Governo Berlusconi, in cui forti erano state le pressioni perché si adeguasse il parlamentarismo secondo i canoni del bipolarismo e del concetto di mandato di governo conferito direttamente dagli elettori ad una maggioranza (che si voleva predefinita, nonostante essa in verità non lo fosse affatto). Dopo questa parentesi, secondo il candidato la configurazione dello strumento dissolutorio si allinea su ben altri binari. Dal punto di vista della titolarità, sono i partiti politici a riprendere vigorosamente un certo protagonismo decisionale, ma con una netta differenza rispetto al passato consociativo: ora, il quadro politico pare saldamente attestato su una dinamica bipolare, per cui anche in relazione all’opzione da adottare a seguito di crisi ministeriale sono le forze della maggioranza che decidono se proseguire la legislatura (qualora trovino l’accordo tra di loro) o se sciogliere (allorchè invece si raggiunga una sorta di maggioranza per lo scioglimento). Dal punto di vista dei presupposti, sembra consolidarsi l’idea che lo scioglimento rappresenti solo l’extrema ratio, chiamando gli elettori ad esprimersi solo nel momento in cui si certifica l’assoluta impossibilità di ripristinare la funzionalità perduta. Conclusioni. Il rafforzamento della prospettiva bipolare dovrebbe postulare una riconfigurazione del potere di scioglimento tesa a valorizzare la potestà decisionale del Governo. Ciò discenderebbe dal principio secondo cui il rafforzamento del circuito che unisce corpo elettorale, maggioranza parlamentare e Governo, grazie al collante di un programma politico condiviso, una coalizione che si presenta alle elezioni ed un candidato alla Presidenza del Consiglio che incarna la perfetta sintesi di tutte queste istanze, comporta che alla sua rottura non si può che tornare al giudizio elettorale: e quindi sciogliere le Camere, evitando la composizione di maggioranze che non rappresentano la diretta volontà popolare. Il candidato però non ritiene auspicabile l’adozione di un automatismo analogo alla regola dell'aut simul stabunt aut simul cadent proprio dell’esperienza regionale post 1999, perché soluzione eccessivamente rigida, che ingesserebbe in maniera inappropriata una forma parlamentare che comunque richiede margini di flessiblità. La proposta è invece di rileggere il testo costituzionale, rebus sic stantibus, nel senso di far prevalere un potere libero di proposta da parte del Governo, cui il Capo dello Stato non potrebbe non consentire, salvo svolgere un generale controllo di costituzionalità volto ad accertare l’insussistenza di alcuna forma di abuso. Su queste conclusioni il lavoro esprime solo prime idee, che meritano di essere approfondite. Come è da approfondire un tema che rappresenta forse l’elemento di maggiore originalità: trattasi della qualificazione e descrizione di un mandato a governare, ossia della compatibilità costituzionale (si pensi, in primis, al rapporto con il divieto di mandato imperativo di cui all’art. 67 Cost.) di un compito di governo che, tramite le elezioni, gli elettori affidano ad una determinata maggioranza, e che va ad arricchire il significato del voto rispetto a quello classico della mera rappresentanza delle istanze dei cittadini (e propria del parlamentarismo ottocentesco): riflessi di tali considerazioni si avrebbero inevitabilmente anche rispetto alla concezione del potere di scioglimento, che in siffatta maniera verrebbe percepito come strumento per il ripristino del “circuito di consonanza politica” che in qualche modo si sarebbe venuto a rompere. Ad ogni buon conto, già emergono dei riflessi in questo senso, per cui la strada intrapresa dal candidato pare quella giusta affinchè l’opera risulti completa, ben argomentata ed innovativa.