7 resultados para literary genres

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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Il seguente studio propone l'esame di una cronaca veneziana del XVI secolo, inedita, dalle origini al 1538/39, che parte della tradizione manoscritta attribuisce al Patriarca di Venezia Giovanni Tiepolo (1619-1631), parte ad Agostino degli Agostini, (1530-1574), un patrizio veneziano il cui nome è legato essenzialmente ad una cronaca dal 421 al 1570. Indipendentemente da chi sia il primitivo autore, la cronaca, di discreto pregio per la storia interna e il funzionamento delle istituzioni veneziane, presenta elementi di spiccata originalità dal punto di vista compositivo e formale che la pongono in una prospettiva storiografica alternativa al dualismo tra la storiografia ufficiale promossa per pubblico decreto e l'iniziativa privata dei diaria del XV-XVI. La cronaca veneziana, abbandonata per formule più sofisticate e innovative di diffusione dell'informazione pubblica, sopravvive, formalmente immutata nella sua arcaicità, rinnovandosi nella tendenza a creare compendi ricchi di documenti e di elenchi, destinati ad aiutare la nobiltà ad orientarsi nel mondo socio-politico contemporaneo. Si consuma così il divorzio fra l'informazione tecnico-politica utile al patriziato nello svolgimento del suo lavoro e la storiografia pubblica che, di fronte alle varie esigenze e ai diversi generi letterari, sceglie ideologicamente di abbracciare il genere delle laus civitatis e della storiografia laudativa ed encomiastica. In questo contesto si inserisce la Cronaca esemplata dal Patriarca Giovanni Tiepolo, chiaro esempio di un tentativo di razionalizzazione dell'informazione in cui le notizie e gli elementi non ritenuti immediatamente utili come le lunghe liste dei 41 elettori, le promissioni ducali, nonchè singoli episodi ed eventi trattati, trovano una collocazione esterna alla cronaca, in quello che Reines definisce l'ormai nascente archivio politico del XVI secolo.

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Il lavoro ripercorre le tracce che gli ebrei portoghesi, esuli dopo il biennio 1496-97, lasciarono nel loro cammino attraverso l'Europa. In particolare, l'interesse si concentra sulla breve parentesi italiana, che grazie all'apertura e alla disponibilità  di alcuni Signori, come i Gonzaga di Mantova, i Medici, i Dogi della Serenissima e gli Este, risulta ricchissima di avvenimenti e personaggi, decisivi anche per la storia culturale del Portogallo. L'analisi parte evidenziando l'importanza che ebbe la tipografia ebraica in Portogallo all'epoca della sua introduzione nel Paese; in secondo luogo ripercorre la strada che, dal biennio del primo decreto di espulsione e del conseguente battesimo di massa, porta alla nascita dell'€™Inquisizione in Portogallo. Il secondo capitolo tenta di fare una ricostruzione, il più possibile completa e coerente, dei movimenti degli esuli, bollati come marrani e legati alle due maggiori famiglie, i Mendes e i Bemveniste, delineando poi il primo nucleo di quella che diventerà  nel Seicento la comunità  sefardita portoghese di Amsterdam, dove nasceranno le personalità  dissidenti di Uriel da Costa e del suo allievo Spinoza. Il terzo capitolo introduce il tema delle opere letterarie, effettuando una rassegna dei maggiori volumi editi dalle officine tipografiche ebraiche stanziatesi in Italia fra il 1551 e il 1558, in modo particolare concentrando l'attenzione sull'€™attività  della tipografia Usque, da cui usciranno numerosi testi di precettistica in lingua ebraica, ma soprattutto opere cruciali come la famosa «Bibbia Ferrarese» in castigliano, la «Consolação às Tribulações de Israel», di Samuel Usque e la raccolta composta dal romanzo cavalleresco «Menina e Moça» di Bernardim Ribeiro e dall'ecloga «Crisfal», di un autore ancora non accertato. L'ultimo capitolo, infine, si propone di operare una disamina di queste ultime tre opere, ritenute fondamentali per ricostruire il contesto letterario e culturale in cui la comunità  giudaica in esilio agiva e proiettava le proprie speranze di futuro. Per quanto le opere appartengano a generi diversi e mostrino diverso carattere, l'€™ipotesi è che siano parte di un unicum filosofico e spirituale, che intendeva sostanzialmente indicare ai confratelli sparsi per l'Europa la direzione da prendere, fornendo un sostegno teoretico, psicologico ed emotivo nelle difficili condizioni di sopravvivenza, soprattutto dell'integrità religiosa, di ciascun membro della comunità.

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Diego e José de Figueroa y Córdoba furono due fratelli drammaturghi, attivi nella seconda metà del XVII secolo, che praticarono assiduamente la scrittura in collaborazione. Nel tentativo di rivalutare questi autori ingiustamente dimenticati dalla critica odierna, il presente lavoro si propone di offrire uno studio introduttivo alle figure e al teatro dei due fratelli. Nella prima parte, si offre un profilo biografico dei fratelli Figueroa, riunendo le seppur scarse notizie che possediamo sulla loro vita, in modo da inquadrarne le personalità all’interno degli ambienti letterari dell’epoca. Ci si concentra, poi, sul corpus, proponendo una panoramica delle commedie scritte da Diego e José, dando di ciascuna una breve sinossi e un rapido inquadramento all’interno dei generi tipici del teatro aureo, e segnalando gli eventuali problemi di attribuzione. Si accenna, infine, alla collaborazione dei fratelli nella scrittura di molte delle loro commedie, avanzando alcune ipotesi sulla tecnica compositiva. La seconda parte è costituita da un repertorio bibliografico del teatro “maggiore” dei due fratelli, in cui si descrivono analiticamente tutti gli esemplari conosciuti delle comedias dei Figueroa. Ogni descrizione si completa con una lista delle biblioteche in cui l’esemplare è conservato, lista compilata attraverso la consultazione di cataloghi, cartacei e on-line, delle principali biblioteche con fondi di teatro spagnolo del Siglo de Oro. Infine, la terza parte è dedicata all’edizione critica di una delle commedie scritte in collaborazione da Diego e José: Mentir y mudarse a un tiempo, condotta usando come testo base un manoscritto probabilmente autografo. L’edizione si completa di un apparato critico, con analisi dei testimoni, stemma codicum e registro delle varianti. Precede l’edizione uno studio generale introduttivo all’opera.

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La tesi sviluppa le proposte teoriche della Linguistica Cognitiva a proposito della metafora e propone una loro possibile applicazione in ambito didattico. La linguistica cognitiva costituisce la cornice interpretativa della ricerca, a partire dai suoi concetti principali: la prospettiva integrata, l’embodiment, la centralità della semantica, l’attenzione per la psicolinguistica e le neuroscienze. All’interno di questo panorama, prende vigore un’idea di metafora come punto d’incontro tra lingua e pensiero, come criterio organizzatore delle conoscenze, strumento conoscitivo fondamentale nei processi di apprendimento. A livello didattico, la metafora si rivela imprescindibile sia come strumento operativo che come oggetto di riflessione. L’approccio cognitivista può fornire utili indicazioni su come impostare un percorso didattico sulla metafora. Nel presente lavoro, si indaga in particolare l’uso didattico di stimoli non verbali nel rafforzamento delle competenze metaforiche di studenti di scuola media. Si è scelto come materiale di partenza la pubblicità, per due motivi: il diffuso impiego di strategie retoriche in ambito pubblicitario e la specificità comunicativa del genere, che permette una chiara disambiguazione di fenomeni che, in altri contesti, non potrebbero essere analizzati con la stessa univocità. Si presenta dunque un laboratorio finalizzato al miglioramento della competenza metaforica degli studenti che si avvale di due strategie complementari: da una parte, una spiegazione ispirata ai modelli cognitivisti, sia nella terminologia impiegata che nella modalità di analisi (di tipo usage-based); dall’altra un training con metafore visive in pubblicità, che comprende una fase di analisi e una fase di produzione. È stato usato un test, suddiviso in compiti specifici, per oggettivare il più possibile i progressi degli studenti alla fine del training, ma anche per rilevare le difficoltà e i punti di forza nell’analisi rispetto sia ai contesti d’uso (letterario e convenzionale) sia alle forme linguistiche assunte dalla metafora (nominale, verbale, aggettivale).

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La dissertazione è uno studio monografico delle cantate dialogiche e delle serenate a più voci e strumenti composte da Händel in Italia negli anni 1706-1710. Insieme ai drammi per musica e agli oratori coevi, le quattro cantate "Aminta e Fillide" HWV 83, "Clori, Tirsi e Fileno" HWV 96, "Il duello amoroso" HWV 82, "Apollo e Dafne" HWV 122 e le due serenate "Aci, Galatea e Polifemo" HWV 72 e "Olinto pastore arcade alle glorie del Tebro" HWV 143 costituiscono le prime importanti affermazioni di Händel come compositore di musica vocale. Le sei composizioni sono state studiate sotto l’aspetto storico-letterario, drammaturgico-musicale e della committenza, con l’obiettivo di individuare intersecazioni fra questi piani. I testi poetici, di cui si è curata l’edizione, sono stati analizzati da un punto di vista storico e stilistico e collocati nel particolare contesto romano del primo Settecento, in cui la proibizione di ogni spettacolo teatrale determinò, sotto la spinta di una raffinata committenza, un ‘drammatizzazione’ dei generi della cantata e della serenata. L’analisi musicale di ciascuna composizione è stata dunque finalizzata a una lettura ‘drammaturgica’, che ha portato alla individuazione dei dispositivi di ascendenza teatrale nella scelte compositive di Händel. Lo studio si conclude con un selettivo confronto con le cantate e le serenate scritte negli stessi anni a Roma da Alessandro Scarlatti.

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La ricerca pone al centro dell’indagine lo studio dell’importanza del cibo nelle cerimonie nuziali dell’Europa occidentale nei secoli V-XI. Il corpus di fonti utilizzate comprende testi di genere diverso: cronache, annali, agiografie, testi legislativi, a cui si è aggiunta un’approfondita analisi delle antiche saghe islandesi. Dopo un'introduzione dedicata in particolare alla questione della pubblicità della celebrazione, la ricerca si muove verso lo studio del matrimonio come “processo” sulla base della ritualità alimentare: i brindisi e i banchetti con cui si sigla l’accordo di fidanzamento e i ripetuti convivi allestiti per celebrare le nozze. Si pone attenzione anche ad alcuni aspetti trasversali, come lo studio del caso della “letteratura del fidanzamento bevuto”, ossia una tradizione di testi letterari in cui il fidanzamento tra i protagonisti viene sempre ratificato con un brindisi; a questo si aggiunge un’analisi di stampo antropologico della "cultura dell’eccesso", tipica dei rituali alimentari nuziali nel Medioevo, in contrasto con la contemporanea "cultura del risparmio". L'analisi si concentra anche sulle reiterate proibizioni al clero, da parte della Chiesa, di partecipare a banchetti e feste nuziali, tratto comune di tutta l’epoca altomedievale. Infine, la parte conclusiva della ricerca è incentrata sulla ricezione altomedievale di due figure bibliche che pongono al centro della narrazione un banchetto nuziale: la parabola delle nozze e il banchetto di Cana. L’insistente presenza di questi due brani nelle parole dei commentatori biblici mostra la straordinaria efficacia del “linguaggio alimentare”, ossia di un codice linguistico basato sul cibo (e su contesti quali l’agricoltura, la pesca, ecc.) come strumento di comunicazione sociale di massa con una valenza antropologica essenzialmente universale.