3 resultados para human relations

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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La ricerca si propone di definire le linee guida per la stesura di un Piano che si occupi di qualità della vita e di benessere. Il richiamo alla qualità e al benessere è positivamente innovativo, in quanto impone agli organi decisionali di sintonizzarsi con la soggettività attiva dei cittadini e, contemporaneamente, rende evidente la necessità di un approccio più ampio e trasversale al tema della città e di una più stretta relazione dei tecnici/esperti con i responsabili degli organismi politicoamministrativi. La ricerca vuole indagare i limiti dell’urbanistica moderna di fronte alla complessità di bisogni e di nuove necessità espresse dalle popolazioni urbane contemporanee. La domanda dei servizi è notevolmente cambiata rispetto a quella degli anni Sessanta, oltre che sul piano quantitativo anche e soprattutto sul piano qualitativo, a causa degli intervenuti cambiamenti sociali che hanno trasformato la città moderna non solo dal punto di vista strutturale ma anche dal punto di vista culturale: l’intermittenza della cittadinanza, per cui le città sono sempre più vissute e godute da cittadini del mondo (turisti e/o visitatori, temporaneamente presenti) e da cittadini diffusi (suburbani, provinciali, metropolitani); la radicale trasformazione della struttura familiare, per cui la famiglia-tipo costituita da una coppia con figli, solido riferimento per l’economia e la politica, è oggi minoritaria; l’irregolarità e flessibilità dei calendari, delle agende e dei ritmi di vita della popolazione attiva; la mobilità sociale, per cui gli individui hanno traiettorie di vita e pratiche quotidiane meno determinate dalle loro origini sociali di quanto avveniva nel passato; l’elevazione del livello di istruzione e quindi l’incremento della domanda di cultura; la crescita della popolazione anziana e la forte individualizzazione sociale hanno generato una domanda di città espressa dalla gente estremamente variegata ed eterogenea, frammentata e volatile, e per alcuni aspetti assolutamente nuova. Accanto a vecchie e consolidate richieste – la città efficiente, funzionale, produttiva, accessibile a tutti – sorgono nuove domande, ideali e bisogni che hanno come oggetto la bellezza, la varietà, la fruibilità, la sicurezza, la capacità di stupire e divertire, la sostenibilità, la ricerca di nuove identità, domande che esprimono il desiderio di vivere e di godere la città, di stare bene in città, domande che non possono essere più soddisfatte attraverso un’idea di welfare semplicemente basata sull’istruzione, la sanità, il sistema pensionistico e l’assistenza sociale. La città moderna ovvero l’idea moderna della città, organizzata solo sui concetti di ordine, regolarità, pulizia, uguaglianza e buon governo, è stata consegnata alla storia passata trasformandosi ora in qualcosa di assai diverso che facciamo fatica a rappresentare, a descrivere, a raccontare. La città contemporanea può essere rappresentata in molteplici modi, sia dal punto di vista urbanistico che dal punto di vista sociale: nella letteratura recente è evidente la difficoltà di definire e di racchiudere entro limiti certi l’oggetto “città” e la mancanza di un convincimento forte nell’interpretazione delle trasformazioni politiche, economiche e sociali che hanno investito la società e il mondo nel secolo scorso. La città contemporanea, al di là degli ambiti amministrativi, delle espansioni territoriali e degli assetti urbanistici, delle infrastrutture, della tecnologia, del funzionalismo e dei mercati globali, è anche luogo delle relazioni umane, rappresentazione dei rapporti tra gli individui e dello spazio urbano in cui queste relazioni si muovono. La città è sia concentrazione fisica di persone e di edifici, ma anche varietà di usi e di gruppi, densità di rapporti sociali; è il luogo in cui avvengono i processi di coesione o di esclusione sociale, luogo delle norme culturali che regolano i comportamenti, dell’identità che si esprime materialmente e simbolicamente nello spazio pubblico della vita cittadina. Per studiare la città contemporanea è necessario utilizzare un approccio nuovo, fatto di contaminazioni e saperi trasversali forniti da altre discipline, come la sociologia e le scienze umane, che pure contribuiscono a costruire l’immagine comunemente percepita della città e del territorio, del paesaggio e dell’ambiente. La rappresentazione del sociale urbano varia in base all’idea di cosa è, in un dato momento storico e in un dato contesto, una situazione di benessere delle persone. L’urbanistica moderna mirava al massimo benessere del singolo e della collettività e a modellarsi sulle “effettive necessità delle persone”: nei vecchi manuali di urbanistica compare come appendice al piano regolatore il “Piano dei servizi”, che comprende i servizi distribuiti sul territorio circostante, una sorta di “piano regolatore sociale”, per evitare quartieri separati per fasce di popolazione o per classi. Nella città contemporanea la globalizzazione, le nuove forme di marginalizzazione e di esclusione, l’avvento della cosiddetta “new economy”, la ridefinizione della base produttiva e del mercato del lavoro urbani sono espressione di una complessità sociale che può essere definita sulla base delle transazioni e gli scambi simbolici piuttosto che sui processi di industrializzazione e di modernizzazione verso cui era orientata la città storica, definita moderna. Tutto ciò costituisce quel complesso di questioni che attualmente viene definito “nuovo welfare”, in contrapposizione a quello essenzialmente basato sull’istruzione, sulla sanità, sul sistema pensionistico e sull’assistenza sociale. La ricerca ha quindi analizzato gli strumenti tradizionali della pianificazione e programmazione territoriale, nella loro dimensione operativa e istituzionale: la destinazione principale di tali strumenti consiste nella classificazione e nella sistemazione dei servizi e dei contenitori urbanistici. E’ chiaro, tuttavia, che per poter rispondere alla molteplice complessità di domande, bisogni e desideri espressi dalla società contemporanea le dotazioni effettive per “fare città” devono necessariamente superare i concetti di “standard” e di “zonizzazione”, che risultano essere troppo rigidi e quindi incapaci di adattarsi all’evoluzione di una domanda crescente di qualità e di servizi e allo stesso tempo inadeguati nella gestione del rapporto tra lo spazio domestico e lo spazio collettivo. In questo senso è rilevante il rapporto tra le tipologie abitative e la morfologia urbana e quindi anche l’ambiente intorno alla casa, che stabilisce il rapporto “dalla casa alla città”, perché è in questa dualità che si definisce il rapporto tra spazi privati e spazi pubblici e si contestualizzano i temi della strada, dei negozi, dei luoghi di incontro, degli accessi. Dopo la convergenza dalla scala urbana alla scala edilizia si passa quindi dalla scala edilizia a quella urbana, dal momento che il criterio del benessere attraversa le diverse scale dello spazio abitabile. Non solo, nei sistemi territoriali in cui si è raggiunto un benessere diffuso ed un alto livello di sviluppo economico è emersa la consapevolezza che il concetto stesso di benessere sia non più legato esclusivamente alla capacità di reddito collettiva e/o individuale: oggi la qualità della vita si misura in termini di qualità ambientale e sociale. Ecco dunque la necessità di uno strumento di conoscenza della città contemporanea, da allegare al Piano, in cui vengano definiti i criteri da osservare nella progettazione dello spazio urbano al fine di determinare la qualità e il benessere dell’ambiente costruito, inteso come benessere generalizzato, nel suo significato di “qualità dello star bene”. E’ evidente che per raggiungere tale livello di qualità e benessere è necessario provvedere al soddisfacimento da una parte degli aspetti macroscopici del funzionamento sociale e del tenore di vita attraverso gli indicatori di reddito, occupazione, povertà, criminalità, abitazione, istruzione, etc.; dall’altra dei bisogni primari, elementari e di base, e di quelli secondari, culturali e quindi mutevoli, trapassando dal welfare state allo star bene o well being personale, alla wellness in senso olistico, tutte espressioni di un desiderio di bellezza mentale e fisica e di un nuovo rapporto del corpo con l’ambiente, quindi manifestazione concreta di un’esigenza di ben-essere individuale e collettivo. Ed è questa esigenza, nuova e difficile, che crea la diffusa sensazione dell’inizio di una nuova stagione urbana, molto più di quanto facciano pensare le stesse modifiche fisiche della città.

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It is not unknown that the evolution of firm theories has been developed along a path paved by an increasing awareness of the organizational structure importance. From the early “neoclassical” conceptualizations that intended the firm as a rational actor whose aim is to produce that amount of output, given the inputs at its disposal and in accordance to technological or environmental constraints, which maximizes the revenue (see Boulding, 1942 for a past mid century state of the art discussion) to the knowledge based theory of the firm (Nonaka & Takeuchi, 1995; Nonaka & Toyama, 2005), which recognizes in the firm a knnowledge creating entity, with specific organizational capabilities (Teece, 1996; Teece & Pisano, 1998) that allow to sustaine competitive advantages. Tracing back a map of the theory of the firm evolution, taking into account the several perspectives adopted in the history of thought, would take the length of many books. Because of that a more fruitful strategy is circumscribing the focus of the description of the literature evolution to one flow connected to a crucial question about the nature of firm’s behaviour and about the determinants of competitive advantages. In so doing I adopt a perspective that allows me to consider the organizational structure of the firm as an element according to which the different theories can be discriminated. The approach adopted starts by considering the drawbacks of the standard neoclassical theory of the firm. Discussing the most influential theoretical approaches I end up with a close examination of the knowledge based perspective of the firm. Within this perspective the firm is considered as a knowledge creating entity that produce and mange knowledge (Nonaka, Toyama, & Nagata, 2000; Nonaka & Toyama, 2005). In a knowledge intensive organization, knowledge is clearly embedded for the most part in the human capital of the individuals that compose such an organization. In a knowledge based organization, the management, in order to cope with knowledge intensive productions, ought to develop and accumulate capabilities that shape the organizational forms in a way that relies on “cross-functional processes, extensive delayering and empowerment” (Foss 2005, p.12). This mechanism contributes to determine the absorptive capacity of the firm towards specific technologies and, in so doing, it also shape the technological trajectories along which the firm moves. After having recognized the growing importance of the firm’s organizational structure in the theoretical literature concerning the firm theory, the subsequent point of the analysis is that of providing an overview of the changes that have been occurred at micro level to the firm’s organization of production. The economic actors have to deal with challenges posed by processes of internationalisation and globalization, increased and increasing competitive pressure of less developed countries on low value added production activities, changes in technologies and increased environmental turbulence and volatility. As a consequence, it has been widely recognized that the main organizational models of production that fitted well in the 20th century are now partially inadequate and processes aiming to reorganize production activities have been widespread across several economies in recent years. Recently, the emergence of a “new” form of production organization has been proposed both by scholars, practitioners and institutions: the most prominent characteristic of such a model is its recognition of the importance of employees commitment and involvement. As a consequence it is characterized by a strong accent on the human resource management and on those practices that aim to widen the autonomy and responsibility of the workers as well as increasing their commitment to the organization (Osterman, 1994; 2000; Lynch, 2007). This “model” of production organization is by many defined as High Performance Work System (HPWS). Despite the increasing diffusion of workplace practices that may be inscribed within the concept of HPWS in western countries’ companies, it is an hazard, to some extent, to speak about the emergence of a “new organizational paradigm”. The discussion about organizational changes and the diffusion of HPWP the focus cannot abstract from a discussion about the industrial relations systems, with a particular accent on the employment relationships, because of their relevance, in the same way as production organization, in determining two major outcomes of the firm: innovation and economic performances. The argument is treated starting from the issue of the Social Dialogue at macro level, both in an European perspective and Italian perspective. The model of interaction between the social parties has repercussions, at micro level, on the employment relationships, that is to say on the relations between union delegates and management or workers and management. Finding economic and social policies capable of sustaining growth and employment within a knowledge based scenario is likely to constitute the major challenge for the next generation of social pacts, which are the main social dialogue outcomes. As Acocella and Leoni (2007) put forward the social pacts may constitute an instrument to trade wage moderation for high intensity in ICT, organizational and human capital investments. Empirical evidence, especially focused on the micro level, about the positive relation between economic growth and new organizational designs coupled with ICT adoption and non adversarial industrial relations is growing. Partnership among social parties may become an instrument to enhance firm competitiveness. The outcome of the discussion is the integration of organizational changes and industrial relations elements within a unified framework: the HPWS. Such a choice may help in disentangling the potential existence of complementarities between these two aspects of the firm internal structure on economic and innovative performance. With the third chapter starts the more original part of the thesis. The data utilized in order to disentangle the relations between HPWS practices, innovation and economic performance refer to the manufacturing firms of the Reggio Emilia province with more than 50 employees. The data have been collected through face to face interviews both to management (199 respondents) and to union representatives (181 respondents). Coupled with the cross section datasets a further data source is constituted by longitudinal balance sheets (1994-2004). Collecting reliable data that in turn provide reliable results needs always a great effort to which are connected uncertain results. Data at micro level are often subjected to a trade off: the wider is the geographical context to which the population surveyed belong the lesser is the amount of information usually collected (low level of resolution); the narrower is the focus on specific geographical context, the higher is the amount of information usually collected (high level of resolution). For the Italian case the evidence about the diffusion of HPWP and their effects on firm performances is still scanty and usually limited to local level studies (Cristini, et al., 2003). The thesis is also devoted to the deepening of an argument of particular interest: the existence of complementarities between the HPWS practices. It has been widely shown by empirical evidence that when HPWP are adopted in bundles they are more likely to impact on firm’s performances than when adopted in isolation (Ichniowski, Prennushi, Shaw, 1997). Is it true also for the local production system of Reggio Emilia? The empirical analysis has the precise aim of providing evidence on the relations between the HPWS dimensions and the innovative and economic performances of the firm. As far as the first line of analysis is concerned it must to be stressed the fundamental role that innovation plays in the economy (Geroski & Machin, 1993; Stoneman & Kwoon 1994, 1996; OECD, 2005; EC, 2002). On this point the evidence goes from the traditional innovations, usually approximated by R&D investment expenditure or number of patents, to the introduction and adoption of ICT, in the recent years (Brynjolfsson & Hitt, 2000). If innovation is important then it is critical to analyse its determinants. In this work it is hypothesised that organizational changes and firm level industrial relations/employment relations aspects that can be put under the heading of HPWS, influence the propensity to innovate in product, process and quality of the firm. The general argument may goes as follow: changes in production management and work organization reconfigure the absorptive capacity of the firm towards specific technologies and, in so doing, they shape the technological trajectories along which the firm moves; cooperative industrial relations may lead to smother adoption of innovations, because not contrasted by unions. From the first empirical chapter emerges that the different types of innovations seem to respond in different ways to the HPWS variables. The underlying processes of product, process and quality innovations are likely to answer to different firm’s strategies and needs. Nevertheless, it is possible to extract some general results in terms of the most influencing HPWS factors on innovative performance. The main three aspects are training coverage, employees involvement and the diffusion of bonuses. These variables show persistent and significant relations with all the three innovation types. The same do the components having such variables at their inside. In sum the aspects of the HPWS influence the propensity to innovate of the firm. At the same time, emerges a quite neat (although not always strong) evidence of complementarities presence between HPWS practices. In terns of the complementarity issue it can be said that some specific complementarities exist. Training activities, when adopted and managed in bundles, are related to the propensity to innovate. Having a sound skill base may be an element that enhances the firm’s capacity to innovate. It may enhance both the capacity to absorbe exogenous innovation and the capacity to endogenously develop innovations. The presence and diffusion of bonuses and the employees involvement also spur innovative propensity. The former because of their incentive nature and the latter because direct workers participation may increase workers commitment to the organizationa and thus their willingness to support and suggest inovations. The other line of analysis provides results on the relation between HPWS and economic performances of the firm. There have been a bulk of international empirical studies on the relation between organizational changes and economic performance (Black & Lynch 2001; Zwick 2004; Janod & Saint-Martin 2004; Huselid 1995; Huselid & Becker 1996; Cappelli & Neumark 2001), while the works aiming to capture the relations between economic performance and unions or industrial relations aspects are quite scant (Addison & Belfield, 2001; Pencavel, 2003; Machin & Stewart, 1990; Addison, 2005). In the empirical analysis the integration of the two main areas of the HPWS represent a scarcely exploited approach in the panorama of both national and international empirical studies. As remarked by Addison “although most analysis of workers representation and employee involvement/high performance work practices have been conducted in isolation – while sometimes including the other as controls – research is beginning to consider their interactions” (Addison, 2005, p.407). The analysis conducted exploiting temporal lags between dependent and covariates, possibility given by the merger of cross section and panel data, provides evidence in favour of the existence of HPWS practices impact on firm’s economic performance, differently measured. Although it does not seem to emerge robust evidence on the existence of complementarities among HPWS aspects on performances there is evidence of a general positive influence of the single practices. The results are quite sensible to the time lags, inducing to hypothesize that time varying heterogeneity is an important factor in determining the impact of organizational changes on economic performance. The implications of the analysis can be of help both to management and local level policy makers. Although the results are not simply extendible to other local production systems it may be argued that for contexts similar to the Reggio Emilia province, characterized by the presence of small and medium enterprises organized in districts and by a deep rooted unionism, with strong supporting institutions, the results and the implications here obtained can also fit well. However, a hope for future researches on the subject treated in the present work is that of collecting good quality information over wider geographical areas, possibly at national level, and repeated in time. Only in this way it is possible to solve the Gordian knot about the linkages between innovation, performance, high performance work practices and industrial relations.