13 resultados para eighteenth-century england
em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna
Resumo:
Analysis and description of the furniture shown on Italian portraits from the late eighteenth century to the period of the Restoration. We have studied real examples of environments still exist with their furniture, chairs, mirrors, lamps, etc. in different areas of Italy. All this to explain the refined taste and cosmopolitan of the characters painted in the portraits, that for this reason they were considered fashionable
Resumo:
Questa tesi è un’analisi storico-concettuale del pensiero politico di Thomas Robert Malthus. Si vedrà in particolar modo come la crisi rivoluzionaria tardo settecentesca, cui si sommano i rivolgimenti economici e sociali connessi alla nascita della produzione manifatturiera, spinge l’autore a ripensare alcuni concetti fondamentali del pensiero politico moderno. Popolazione, società, governo e costituzione sono gli oggetti principali di questa ricerca: il principio di popolazione è la legge scientifica cui il reverendo Malthus ricorre per elaborare le proprie teorie sul governo, il quale deve sempre porsi come scopo quello di preservare – o migliorare – la costituzione della società. La presenza politica di masse di poveri in società conduce l’autore alla ricerca di un principio scientifico in grado di fondare nella natura le gerarchie e la disuguaglianza da più parti contestate; in quanto dipendono da «leggi fondamentali», per Malthus le gerarchie e la disuguaglianza che da esse deriva sono un tratto costitutivo della società. La teologia, la morale e l’economia politica sono scienze di cui l’autore si serve per argomentare intorno all’incontestabile natura della povertà e della disuguaglianza tra i sessi, e per affermare le modalità di una loro proficua amministrazione. In India e in Irlanda, poi, le condizioni naturali di cui il principio di popolazione suggella la necessità si scoprono soggette a sfide del tutto originali rispetto a quelle osservabili in Inghilterra. Lì, allora, lo sforzo malthusiano di costruire una scienza all’altezza della complessità dell’oggetto sociale rivela con somma chiarezza la propria ambizione di naturalizzare la politica e garantire le condizioni di disciplinamento degli individui al lavoro e alla subordinazione. Il dispositivo di naturalizzazione che giace al cuore del sistema malthusiano rappresenta la cifra del problema Malthus che apre questa ricerca e ne scandisce i momenti salienti.
Resumo:
The departure point of the present work is the idea that in order to understand what music meant to British society in the Eighteenth-Century an interdisciplinary approach is necessary. Natural philosophy, moral philosophy, musical treatises and histories of music: all these sources concur both to the creation of a new idea about what music and its ‘science’ are, and to question the place which music ought to have in the realm of the Science of Man. The dissertation is divided into two sections. In the first one we will take into account philosophical sources (from John Locke, Joseph Addison and Lord Shaftesbury, to Lord Kames and Adam Smith), and we will examine their thoughts on music. In the second one we will deal with musical sources (from the Treatise of Musick of Alexander Malcom, to the Histories of Music of Charles Burney and John Hawkins) in order to show their connection with the philosophical literature before mentioned. The main aim of the work it to show that the development of specific philosophies of the human mind, such as the ones of John Locke and David Hume, did influence the way in which music was thought. Particularly we will point out the case of Adam Smith’s interpretation of instrumental music, which is heavily indebted to the humeian model of the human mind.
Resumo:
L’argomento affrontato nel presente lavoro di tesi dal titolo “Come tradurre il metadiscorso letterario. Esempi di scrittura femminile nell’Ottocento austriaco” è la versione interlinguistica di testi saggistici afferenti all’ambito del metadiscorso letterario. Nello specifico, non vengono analizzati testi di critica e/o metodologia ma scritti funzionali, di forte carattere pragmatico, che pur tuttavia rientrano tra le testimonianze di alta caratura letteraria, perché dovuti ad autrici che hanno fatto dell’espressione estetica la propria finalità primaria. I materiali scelti per l’analisi linguistico-testuale, compresi in un arco temporale tra la fine del Settecento e la metà dell’Ottocento, sono realizzati da donne che hanno operato in ambito teatrale facendo dell’attività di scrittura lo strumento della propria emancipazione intellettuale ed economica. La necessità di trovare una via alla pubblicazione le ha indotte a strategie di scrittura connotate da particolari stilemi e artifici retorici atti a favorire l’accettazione e la diffusione delle proposte editoriali di cui questi “paratesti” costituivano il momento giustificante. Il “lavoro di penna” è un’esperienza che viene ad assumere molteplici contorni, non privi di ricadute al momento della scelta delle strategie traduttive. Dal punto di vista formale, le testimonianze si collocano in una zona di modalità espressiva contigua alla testimonianza autobiografica. Il periodo storico e l’area di provenienza delle autrici hanno reso necessario un approccio capace di incrociare il piano diacronico con la dimensione diatopica, rendendo conto delle componenti diamesiche di una scrittura che nasce dal teatro per il teatro e ad esso e ai suoi frequentatori deve rapportarsi. Il modello traduttologico applicato ricava le sue linee fondamentali dalle riflessioni della linguistica testuale e dall’approccio integrato/multidisciplinare della “prototipologia dinamica”.
Resumo:
Ce travail est une analyse de la représentation du pathétique masculin dans le roman dit sentimental dans la deuxième moitié du dix-huitième siècle en Europe, ou plutôt dans les littératures anglaise, française, allemande et italienne. La thèse soutenue est celle de la dérivation du pathétique romanesque de l’âge des Lumières des pratiques de prédication religieuse du siècle précédent et donc de la valeur normative du roman sentimental à ses débuts : celui-ci aurait relayé le rôle des manuels de conduite des siècles précédents et se serait posé comme un répertoire d’exempla comportementaux adaptés aux différentes situations de la vie. Nous avons suivi les évolutions historiques du genre à travers l’analyse thématique du motif des larmes masculines. Pour ce faire, nous avons examiné la complexe proxémique de représentation de l’émotion et la diégèse qui en résulte, qui peut être nuancée, selon une terminologie récente, en pathétique attendrissant, sentimental et spectaculaire. Cela a entraîne la prise en compte de diverses formes artistiques, de la peinture au théâtre. La méthodologie utilisé conjugue l’histoire des idées et l’étude des formes de l’imaginaire, le pathétique appartenant au domaine de la philosophie autant qu’à celui de la représentation artistique : le concept glisse au dix-huitième siècle du champ rhétorique et stylistique à une dimension esthétique et anthropologique. Le travail a donc été divisé en trois grandes parties qui analysent les trois dimensions anthropologiques fondamentales : l’imaginaire religieux et l’héritage des anciens, c’est–à-dire le rapport que l’époque établit avec la tradition culturelle qui la précède ; l’imaginaire amoureux, qui se concentre sur les rapports entre les deux sexes et sur la « féminisation » du héros romanesque sentimental ; l’imaginaire familial, qui aborde les conséquences de ce changement dans la représentation de la masculinité au sein de la représentation de la famille et des rapports intergénérationnels.
Resumo:
La dissertazione è uno studio monografico delle cantate dialogiche e delle serenate a più voci e strumenti composte da Händel in Italia negli anni 1706-1710. Insieme ai drammi per musica e agli oratori coevi, le quattro cantate "Aminta e Fillide" HWV 83, "Clori, Tirsi e Fileno" HWV 96, "Il duello amoroso" HWV 82, "Apollo e Dafne" HWV 122 e le due serenate "Aci, Galatea e Polifemo" HWV 72 e "Olinto pastore arcade alle glorie del Tebro" HWV 143 costituiscono le prime importanti affermazioni di Händel come compositore di musica vocale. Le sei composizioni sono state studiate sotto l’aspetto storico-letterario, drammaturgico-musicale e della committenza, con l’obiettivo di individuare intersecazioni fra questi piani. I testi poetici, di cui si è curata l’edizione, sono stati analizzati da un punto di vista storico e stilistico e collocati nel particolare contesto romano del primo Settecento, in cui la proibizione di ogni spettacolo teatrale determinò, sotto la spinta di una raffinata committenza, un ‘drammatizzazione’ dei generi della cantata e della serenata. L’analisi musicale di ciascuna composizione è stata dunque finalizzata a una lettura ‘drammaturgica’, che ha portato alla individuazione dei dispositivi di ascendenza teatrale nella scelte compositive di Händel. Lo studio si conclude con un selettivo confronto con le cantate e le serenate scritte negli stessi anni a Roma da Alessandro Scarlatti.
Resumo:
Joaquín Camaño fu un gesuita della Provincia del Paraguay, vissuto nell' esilio italiano la maggior parte della sua vita dal 1767 al 1820. Il suo lavoro e la sua fama possono essere considerati di minore importanza se paragonati a molti altri gesuiti esiliati per ordine di Carlo III alla fine del XVIII secolo in Emilia-Romagna. Attraverso la mia ricerca approfondisco il ruolo di J. Camaño quale personaggio minore che entra nella vita degli altri espulsi tramite un dinamico network relazionale di cui è stato uno dei principali artefici. Il mio obiettivo è stato quello di studiare l'impatto che ebbero gli esuli gesuiti americani, attraverso la vita di Joaquin Camaño, sul mondo intellettuale italiano, europeo ed americano dopo l'espulsione del 1767. Egli, con i suoi studi, si inserisce nella rinnovata e vivace retorica del “Mondo Nuovo” che in quegli anni assume un grande dinamismo. Nato nella modesta città di La Rioja, in Argentina, si erge come un brillante cartografo, etnografo e linguista nel contesto dell'Illustrazione europea grazie alla sua particolare vita da missionario. Dopo l'espulsione, Joaquin Camaño, insieme ad altri numerosi confratelli americani, arriverà a Faenza, nello Stato Pontificio, dedicandosi allo studio della cartografia, dell'etnografia e delle lingue americane. Le sue ricerche si collocano in un momento nevralgico per la storia del pensiero linguistico-antropologico, quando l'osservazione diretta e la riflessione teorica dei fenomeni si misuravano con la grande varietà umana ormai riscontrata nel mondo.
Resumo:
Nella tesi si osserva come nella cultura russa cambiava l’immagine di Roma. Se ancora alla fine del settecento l’antichità romana poteva risultare solamente uno strumento retorico-filologico da utilizzare per fare il proprio discorso più convincente, la generazione dei decabristi la stessa antica romanità la accostava alla cultura e storia russe tramite gli elevati ideali civici. La romanità ora risultava uno strumento di analisi della esperienza storica e politica della Russia anche nel contesto europeo. Da qui nasceva una serie di modelli russi legati all’antica Roma: il Catone di Radiscev, il Bruto dei decabristi, ecc. Vi attingeva generosamente anche una corrente di lirica russo-antica con i suoi ricchi riferimenti agli autori classici, Ovidio, Tacito, Orazio. Nasceva così una specie di Roma antica russa che viveva secondo le sue regole etiche ed estetiche. Con il fallimento dell’esperienza decabrista cambia anche l’approccio alle antichità: ci si distacca dalla visione storico-morale dell’antico, Roma non è più una categoria da emulare, ma una storia a sé stante e chiusa in sé stessa come ogni periodo storico. Essa smette di essere un criterio universale di giudizio etico e morale. Allo stesso tempo, una parte integrante della cultura russa all’epoca era il viaggio a Roma. I russi cresciuti con interesse e amore verso la Roma antica, impazienti ed emozionati, desideravano ora di vedere quella patria dei classici. Era come se fosse un appuntamento fra gli amici di vecchia data. Si affrettava a verificare di persona le muse di storia e di poesia. E con tutto questo si imparavano ad amare tutti i defetti della Roma reale, spesso inospitale, la Roma del dolore e della fatica. La voce importante nel racconto romano dei russi era anche la Roma del cristianesimo, dove ritrovare e ricoprire la propria “anima cristiana”.
Resumo:
La nozione di ambiente non è una nozione recente. Al giorno d’oggi il riferimento all’ambiente compare in maniera sempre più diffusa nei dibattiti, nelle opere scientifiche e artistiche, negli spazi di divulgazione e sempre più entra all’interno degli spazi affettivi individuali e all’interno delle teorie e delle prassi politiche individuali e collettive. L’ambiente tanto entra nel campo assiologico, quanto vi entra come elemento fragile, indissociabile dall’azione antropica individuale e collettiva, attraverso ciò che noi riassumiamo con la nozione di crisi ambientale. La crisi ambientale permette di riaprire degli ambiti di valore e di interesse nel presente, allo stesso tempo provoca una reinterpretazione e un riorientamento delle teorie e delle prassi del passato. Dal nostro presente di crisi ambientale, è possibile rintracciare delle figure che, nel passato, hanno rappresentato l’inerenza degli enti con il loro ambiente e, tra questi, dell’uomo con il suo ambiente di vita. Sono due le principali figure attraverso le quali si intende riprendere un rapporto con il nostro passato letto attraverso la crisi ambientale: la figura dell’interfaccia come ciò che demarca un rapporto di inerenza e di separazione tra un interno e un esterno che hanno un rapporto tra loro necessario e tuttavia contingente, e la figura della relazione di “esposizione”, tramite la quale si vuole pensare a forme di soggettività vulnerabili, esposte alle relazioni e ai concatenamenti nei quali sono inserite e che tuttavia non possono che esporre a loro volta le altre soggettività e l’ambiente di vita comune a continue modificazioni. Tramite i concetti di interfaccia e di esposizione abbiamo potuto seguire il prodursi di forme di sapere relative all’inerenza tra forme e modi dell’interiorità rispetto all’ambiente che si sono prodotte nella storia e che sono emerse tramite la provocazione di un passato indotto dalla trasformazione che è il nostro presente di crisi ambientale.
Resumo:
La storiografia si interessata solo marginalmente alla vita musicale nella Genova del XVIII secolo, forse’anche scoraggiata dalla delusione espressa in una celebre dichiarazione di Charles Burney: «Genova non rispose alla mia aspettativa». Solo di recente alcuni studiosi locali, con approcci e intenti differenti, si sono interessati all’argomento senza tuttavia giungere a elaborare uno studio complessivo. Il progetto ha avviato uno studio storicamente documentato sulla gestione dei teatri a Genova nel periodo compreso tra la stesura dell’ultimo regolamento teatrale (1772) e la fine della Repubblica aristocratica (1797). La tesi si basa sullo studio di più di 3000 documenti inediti che descrivono la cessione delle tre principali sale cittadine (Teatro del Falcone, Teatro da Sant’Agostino, Teatro delle Vigne) agli impresari, i comportamenti del pubblico in sala; le opere rappresentate, l’immoralità dei ballerini e cantanti, le incidenze nei palchetti e in platea. Questi aspetti di vita teatrale quotidiana sono trattati conciliando una prospettiva storica con una sociologica. In una visione globale del teatro del XVIII secolo, l’obiettivo della tesi è quello di indagare le relazioni tra spettatori appartenenti a gruppi sociali differenti, le reazioni del pubblico, gli usi e gli obblighi di etichetta durante spettacoli e feste da ballo. Queste testimonianze non sono semplicemente pettegolezzi: esse raccontano come il teatro fosse parte integrante della vita quotidiana delle persone e come la società del XVIII secolo intendesse questo rituale d’élite. La dissertazione è correda da una cronologia degli spettacoli genovesi tra il 1772 e il 1797 e da una appendice documentaria.
Resumo:
Attraverso uno studio di caso, centrato su Marie-Anne Paulze-Lavoisier (1758-1836), la tesi tratta di pratiche legate all’annotazione e, più in generale, alla registrazione di informazioni su supporti cartacei tra gli anni ’70 del Settecento e gli anni ‘30 dell’Ottocento. Nota oggi come moglie e collaboratrice del chimico Antoine-Laurent Lavoisier (1743-1794), di cui avrebbe promosso le teorie attraverso un’attività di traduttrice e illustratrice, Paulze-Lavoisier è qui presentata nella veste di “secrétaire”, ossia di figura incaricata di mettere per iscritto osservazioni di varia natura. Ci si concentra, in particolare, sui Registres de laboratoire di Lavoisier, 14 quaderni petit in-folio a cui sono affidati i resoconti di esperimenti condotti a Parigi tra il 1772 e il 1788 e che rilevano in misura significativa della mano di lei. Oggetto finora di una storia del pensiero scientifico, interessata alle “idee” in essi contenute, i Registres sono da noi riletti alla luce di un approccio “materiale”, attento alle pratiche e alle condizioni della loro compilazione e del loro riutilizzo nel tempo. Si indagano quindi le funzioni di questi quaderni rispetto alla pratica sperimentale, ricostruendo al contempo i tratti e le evoluzioni del ruolo di segretaria affidato a Paulze-Lavoisier. Il focus su Paulze-Lavoisier permette da un lato a sollevare nuove domande in merito al rapporto tra scrittura delle note, genere e sociabilità ma anche, ad un altro livello, alla cosiddetta “invisibilità” degli assistenti; dall’altro offre la materia per una storia lunga dei Registres, che dai primi gesti in essi da lei operati agli inizi degli anni ’70 del Settecento arriva fino alle manipolazioni a cui sono sottoposti, per sua volontà, nei primi decenni dell’Ottocento.
Resumo:
La ricerca ricostruisce e analizza la storia della raccolta d’arte appartenuta al ramo senatorio della famiglia Malvezzi della Ca’ Grande all’interno del variegato panorama collezionistico bolognese settecentesco. La volontà di indagarne lo sviluppo è motivata sia dalla sua esemplarità che dal suo carattere eccezionale. Fondata da Piriteo III (1658-1728) con l’acquisto e la commissione di una cinquantina di dipinti, sia di artisti contemporanei sia di maestri antichi, a cui si aggiungono le opere ereditate dagli antenati, la raccolta fu accresciuta nell’arco di sole tre generazioni. Il principale artefice dell’ampliamento del patrimonio pittorico del casato fu il figlio Sigismondo III (1703-1787), tramite il quale confluì nella quadreria anche l’importante collezione del marchese Paolo Magnani, suo zio materno. Compiendo scelte collezionistiche originali rispetto a quelle d’ordine marcatamente municipalistico, Sigismondo raccolse per la galleria della Ca’ Grande numerose opere di artisti stranieri, glorificati e ricercati in campo europeo, ma estranei di norma al gusto petroniano dell’epoca. Al marchese spetta, inoltre, l’acquisizione del celebre nucleo di opere tre-quattrocentesche, che andò a formare la Camera degli Antichi. Secondo principi illuministici, questi mirava a possedere una sorta di ideale museo privato, ove fosse possibile ammirare il progresso dell’arte petroniana dalle origini sino alla modernità e istituire paragoni fra le più importanti scuole pittoriche. Anche l’erede Piriteo IV (1734-1806) continuò ad ampliare la collezione, compiendo acquisti più limitati, ma non per questo meno significativi. Alla sua morte si estinse la linea maschile del ramo senatorio, per cui la prestigiosa quadreria fu divisa tra le figlie Maria (1780-1865) e Teresa (1782-1811). La raccolta Malvezzi non ebbe la fortuna di confluire entro collezioni durature, cosicché in cinquant’anni quella che fu una delle più importanti gallerie della Bologna settecentesca è stata irrimediabilmente dispersa.
Le radici del monoteismo israelitico come riflesso dell'idea di regalita divina in epoca pre-esilica
Resumo:
Questa tesi è un contributo al dibattito meta-terminologico sull'uso scientifico del termine "monoteismo" in relazione alla religione dell'Israele antico. L'attenzione è rivolta principalmente a un tema specifico: l'esplorazione della nozione teistica di "esistenza" divina (implicita nell'uso di "monoteismo" come lente di osservazione) e il problema della sua applicazione alle concettualizzazioni della divinità che emergono nella Bibbia ebraica. In primo luogo, il "monoteismo" come termine e concetto viene ricondotto alle sue origini storiche nell'ambiente intellettuale del platonismo di Cambridge nell'Inghilterra del XVII secolo. Poi, si affronta il dibattito contemporaneo sull'uso del termine "monoteismo" in relazione alla religione dell'Israele antico e si evidenzia il ruolo dell'"esistenza" teistica come lente distorcente nella lettura dei testi biblici. La maggior parte della tesi sostiene questo assunto con una lettura esegetica dettagliata di tre passi biblici scelti come casi di studio: Sal 82; 1Re 18,20-40* e Zc 14,9. Queste analisi mostrano come la nozione teistica di un'esistenza divina astratta non sia in grado di spiegare la rappresentazione del divino che emerge da questi testi. Allo stesso tempo, il potere divino come categoria euristica viene proposto come un'alternativa più adatta a spiegare queste concettualizzazioni della divinità. L'ultima sezione elabora ulteriormente questi risultati. Qui la regalità di YHWH, come immagine metaforica del suo potere, viene utilizzata per descrivere i cambiamenti nella concettualizzazione di questa divinità. L'argomentazione finale è che in nessuna parte del materiale biblico affrontato in questa tesi si trova una nozione simile a quella di esistenza divina astratta. Poiché tale nozione è implicita nell'uso del termine "monoteismo", questi risultati richiedono una considerazione ancora più attenta del suo uso nel dibattito scientifico.