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em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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La mostra è diventata un nuovo paradigma della cultura contemporanea. Sostenuta da proprie regole e da una grammatica complessa produce storie e narrazioni. La presente ricerca di dottorato si struttura come un ragionamento critico sulle strategie del display contemporaneo, tentando di dimostrare, con strumenti investigativi eterogenei, assumendo fonti eclettiche e molteplici approcci disciplinari - dall'arte contemporanea, alla critica d'arte, la museologia, la sociologia, l'architettura e gli studi curatoriali - come il display sia un modello discorsivo di produzione culturale con cui il curatore si esprime. La storia delle esposizioni del XX secolo è piena di tentativi di cambiamento del rapporto tra lo sviluppo di pratiche artistiche e la sperimentazione di un nuovo concetto di mostra. Nei tardi anni Sessanta l’ingresso, nella scena dell’arte, dell’area del concettuale, demolisce, con un azzeramento radicale, tutte le convenzioni della rappresentazione artistica del dopoguerra, ‘teatralizzando’ il medium della mostra come strumento di potere e introducendo un nuovo “stile di presentazione” dei lavori, un display ‘dematerializzato” che rovescia le classiche relazioni tra opera, artista, spazio e istituzione, tra un curatore che sparisce (Siegelaub) e un curatore super-artista (Szeemann), nel superamento del concetto tradizionale di mostra stessa, in cui il lavoro del curatore, in quanto autore creativo, assumeva una propria autonomia strutturale all’interno del sistema dell’arte. Lo studio delle radici di questo cambiamento, ossia l’emergere di due tipi di autorialità: il curatore indipendente e l’artista che produce installazioni, tra il 1968 e il 1972 (le mostre di Siegelaub e Szeemann, la mimesi delle pratiche artistiche e curatoriali di Broodthaers e la tensione tra i due ruoli generata dalla Critica Istituzionale) permette di inquadrare teoricamente il fenomeno. Uno degli obbiettivi della ricerca è stato anche affrontare la letteratura critica attraverso una revisione/costruzione storiografica sul display e la storia delle teorie e pratiche curatoriali - formalizzata in modo non sistematico all'inizio degli anni Novanta, a partire da una rilettura retrospettiva della esperienze delle neoavanguardie – assumendo materiali e metodologie provenienti, come già dichiarato, da ambiti differenti, come richiedeva la composizione sfaccettata e non fissata dell’oggetto di studio, con un atteggiamento che si può definire comparato e post-disciplinare. Il primo capitolo affronta gli anni Sessanta, con la successione sistematica dei primi episodi sperimentali attraverso tre direzioni: l’emergere e l’affermarsi del curatore come autore, la proliferazione di mostre alternative che sovvertivano il formato tradizionale e le innovazioni prodotte dagli artisti organizzatori di mostre della Critica Istituzionale. Esponendo la smaterializzazione concettuale, Seth Siegelaub, gallerista, critico e impresario del concettuale, ha realizzato una serie di mostre innovative; Harald Szeemann crea la posizione indipendente di exhibition maker a partire When attitudes become forms fino al display anarchico di Documenta V; gli artisti organizzatori di mostre della Critica Istituzionale, soprattutto Marcel Broodhthears col suo Musée d’Art Moderne, Départment des Aigles, analizzano la struttura della logica espositiva come opera d’arte. Nel secondo capitolo l’indagine si sposta verso la scena attivista e alternativa americana degli anni Ottanta: Martha Rosler, le pratiche community-based di Group Material, Border Art Workshop/Taller de Arte Fronterizo, Guerrilla Girls, ACT UP, Art Workers' Coalition che, con proposte diverse elaborano un nuovo modello educativo e/o partecipativo di mostra, che diventa anche terreno del confronto sociale. La mostra era uno svincolo cruciale tra l’arte e le opere rese accessibili al pubblico, in particolare le narrazioni, le idee, le storie attivate, attraverso un originale ragionamento sulle implicazioni sociali del ruolo del curatore che suggeriva punti di vista alternativi usando un forum istituzionale. Ogni modalità di display stabiliva relazioni nuove tra artisti, istituzioni e audience generando abitudini e rituali diversi per guardare la mostra. Il potere assegnato all’esposizione, creava contesti e situazioni da agire, che rovesciavano i metodi e i formati culturali tradizionali. Per Group Material, così come nelle reading-room di Martha Rosler, la mostra temporanea era un medium con cui si ‘postulavano’ le strutture di rappresentazione e i modelli sociali attraverso cui, regole, situazioni e luoghi erano spesso sovvertiti. Si propongono come artisti che stanno ridefinendo il ruolo della curatela (significativamente scartano la parola ‘curatori’ e si propongono come ‘organizzatori’). La situazione cambia nel 1989 con la caduta del muro di Berlino. Oltre agli sconvolgimenti geopolitici, la fine della guerra fredda e dell’ideologia, l’apertura ai flussi e gli scambi conseguenti al crollo delle frontiere, i profondi e drammatici cambiamenti politici che coinvolgono l’Europa, corrispondono al parallelo mutamento degli scenari culturali e delle pratiche espositive. Nel terzo capitolo si parte dall’analisi del rapporto tra esposizioni e Late Capitalist Museum - secondo la definizione di Rosalind Krauss - con due mostre cruciali: Le Magiciens de la Terre, alle origini del dibattito postcoloniale e attraverso il soggetto ineffabile di un’esposizione: Les Immatériaux, entrambe al Pompidou. Proseguendo nell’analisi dell’ampio corpus di saggi, articoli, approfondimenti dedicati alle grandi manifestazioni internazionali, e allo studio dell’espansione globale delle Biennali, avviene un cambiamento cruciale a partire da Documenta X del 1997: l’inclusione di lavori di natura interdisciplinare e la persistente integrazione di elementi discorsivi (100 days/100 guests). Nella maggior parte degli interventi in materia di esposizioni su scala globale oggi, quello che viene implicitamente o esplicitamente messo in discussione è il limite del concetto e della forma tradizionale di mostra. La sfida delle pratiche contemporanee è non essere più conformi alle tre unità classiche della modernità: unità di tempo, di spazio e di narrazione. L’episodio più emblematico viene quindi indagato nel terzo capitolo: la Documenta X di Catherine David, il cui merito maggiore è stato quello di dichiarare la mostra come format ormai insufficiente a rappresentare le nuove istanze contemporanee. Le quali avrebbero richiesto - altrimenti - una pluralità di modelli, di spazi e di tempi eterogenei per poter divenire un dispositivo culturale all’altezza dei tempi. La David decostruisce lo spazio museale come luogo esclusivo dell’estetico: dalla mostra laboratorio alla mostra come archivio, l’evento si svolge nel museo ma anche nella città, con sottili interventi di dissimulazione urbana, nel catalogo e nella piattaforma dei 100 giorni di dibattito. Il quarto capitolo affronta l’ultima declinazione di questa sperimentazione espositiva: il fenomeno della proliferazione delle Biennali nei processi di globalizzazione culturale. Dalla prima mostra postcoloniale, la Documenta 11 di Okwui Enwezor e il modello delle Platforms trans-disciplinari, al dissolvimento dei ruoli in uno scenario post-szeemanniano con gli esperimenti curatoriali su larga scala di Sogni e conflitti, alla 50° Biennale di Venezia. Sono analizzati diversi modelli espositivi (la mostra-arcipelago di Edouard Glissant; il display in crescita di Zone of Urgency come estetizzazione del disordine metropolitano; il format relazionale e performativo di Utopia Station; il modello del bric à brac; la “Scuola” di Manifesta 6). Alcune Biennali sono state sorprendentemente autoriflessive e hanno consentito un coinvolgimento più analitico con questa particolare forma espressiva. Qual è l'impatto sulla storia e il dibattito dei sistemi espositivi? Conclusioni: Cos’è la mostra oggi? Uno spazio sotto controllo, uno spazio del conflitto e del dissenso, un modello educativo e/o partecipativo? Una piattaforma, un dispositivo, un archivio? Uno spazio di negoziazione col mercato o uno spazio di riflessione e trasformazione? L’arte del display: ipotesi critiche, prospettive e sviluppi recenti.

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The market’s challenges bring firms to collaborate with other organizations in order to create Joint Ventures, Alliances and Consortia that are defined as “Interorganizational Networks” (IONs) (Provan, Fish and Sydow; 2007). Some of these IONs are managed through a shared partecipant governance (Provan and Kenis, 2008): a team composed by entrepreneurs and/or directors of each firm of an ION. The research is focused on these kind of management teams and it is based on an input-process-output model: some input variables (work group’s diversity, intra-team's friendship network density) have a direct influence on the process (team identification, shared leadership, interorganizational trust, team trust and intra-team's communication network density), which influence some team outputs, individual innovation behaviors and team effectiveness (team performance, work group satisfaction and ION affective commitment). Data was collected on a sample of 101 entrepreneurs grouped in 28 ION’s government teams and the research hypotheses are tested trough the path analysis and the multilevel models. As expected trust in team and shared leadership are positively and directly related to team effectiveness while team identification and interorganizational trust are indirectly related to the team outputs. The friendship network density among the team’s members has got positive effects on the trust in team and on the communication network density, and also, through the communication network density it improves the level of the teammates ION affective commitment. The shared leadership and its effects on the team effectiveness are fostered from higher level of team identification and weakened from higher level of work group diversity, specifically gender diversity. Finally, the communication network density and shared leadership at the individual level are related to the frequency of individual innovative behaviors. The dissertation’s results give a wider and more precise indication about the management of interfirm network through “shared” form of governance.

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Analysis of the peak-to-peak output current ripple amplitude for multiphase and multilevel inverters is presented in this PhD thesis. The current ripple is calculated on the basis of the alternating voltage component, and peak-to-peak value is defined by the current slopes and application times of the voltage levels in a switching period. Detailed analytical expressions of peak-to-peak current ripple distribution over a fundamental period are given as function of the modulation index. For all the cases, reference is made to centered and symmetrical switching patterns, generated either by carrier-based or space vector PWM. Starting from the definition and the analysis of the output current ripple in three-phase two-level inverters, the theoretical developments have been extended to the case of multiphase inverters, with emphasis on the five- and seven-phase inverters. The instantaneous current ripple is introduced for a generic balanced multiphase loads consisting of series RL impedance and ac back emf (RLE). Simplified and effective expressions to account for the maximum of the output current ripple have been defined. The peak-to-peak current ripple diagrams are presented and discussed. The analysis of the output current ripple has been extended also to multilevel inverters, specifically three-phase three-level inverters. Also in this case, the current ripple analysis is carried out for a balanced three-phase system consisting of series RL impedance and ac back emf (RLE), representing both motor loads and grid-connected applications. The peak-to-peak current ripple diagrams are presented and discussed. In addition, simulation and experimental results are carried out to prove the validity of the analytical developments in all the cases. The cases with different phase numbers and with different number of levels are compared among them, and some useful conclusions have been pointed out. Furthermore, some application examples are given.

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The present thesis focuses on the problem of robust output regulation for minimum phase nonlinear systems by means of identification techniques. Given a controlled plant and an exosystem (an autonomous system that generates eventual references or disturbances), the control goal is to design a proper regulator able to process the only measure available, i.e the error/output variable, in order to make it asymptotically vanishing. In this context, such a regulator can be designed following the well known “internal model principle” that states how it is possible to achieve the regulation objective by embedding a replica of the exosystem model in the controller structure. The main problem shows up when the exosystem model is affected by parametric or structural uncertainties, in this case, it is not possible to reproduce the exact behavior of the exogenous system in the regulator and then, it is not possible to achieve the control goal. In this work, the idea is to find a solution to the problem trying to develop a general framework in which coexist both a standard regulator and an estimator able to guarantee (when possible) the best estimate of all uncertainties present in the exosystem in order to give “robustness” to the overall control loop.