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em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna
Resumo:
L’obiettivo del lavoro svolto nell’ambito del ciclo di dottorato è stato quello dell’applicazione della metodologia di analisi degli scenari, nell’ottica dello studio e applicazione di un metodo di analisi integrato e multidisciplinare che consenta individuare strategie di sviluppo sostenibile in relazione alla questione indagata. Lo studio sviluppato nel corso del dottorato è stato impostato su presupposti forniti dalla Regione Toscana (in entrambi i casi di studio trattati), che ha finanziato, attraverso la sua Agenzia Regionale per lo Sviluppo e Innovazione in ambito Agricolo (ARSIA), due Progetti di ricerca volti all’individuazione di strategie di sviluppo sostenibile concernenti due tematiche di particolare interesse in ambito regionale: lo sviluppo di coltivazioni non-food (biocarburanti, biomasse da energia, biopolimeri, biolubrificanti, fibre vegetali, coloranti naturali, fitofarmaci di origine vegetale) e la valutazione della possibilità di coesistenza tra colture convenzionali (non Geneticamente Modificate) e colture GM, in relazione alla Raccomandazione della Commissione 2003/556/CE che afferma che deve essere garantita la coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche, ovvero che devono essere presenti le condizioni per cui ciascun metodo di coltivazione possa poter essere adottato e praticato in UE. La sostenibilità delle situazioni studiate è stata valutata fornendo informazioni non solo per la situazioni attuali, ma anche per possibili evoluzioni future, così come richiesto dai principi dello sviluppo sostenibile. A tal proposito, occorre applicare metodologie di analisi che consentano di poter identificare obiettivi strategici in funzione dei cambiamenti che potrebbero essere registrati, in corrispondenza dell’evolversi delle diverse situazioni nel tempo. La metodologia di analisi in grado di soddisfare questi requisiti può essere identificata nell’analisi di scenario (scenario analysis), che si configura come uno strumento di analisi strategica in grado di riassumere numerose informazioni e dati riferiti agli attori, agli obiettivi, agli strumenti, alle cause ed agli effetti indotti da un cambiamento che potrebbe essere provocato da uno o più fattori contemplati nel corso dell’analisi. Questo metodo di analisi rappresenta un’importante strumento di ausilio alla definizione di politiche e strategie, che si rende particolarmente utile nel campo della public choice, come dimostrato dalle applicazioni presentate nel corso del lavoro.
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La ricerca di Roberta Frigeni, svolta ad ampio spettro diacronico, è condotta su di una campionatura di specula principum - editi ed inediti - elaborati tra XII e XV secolo, e ne indaga il linguaggio quale referente privilegiato, rilevandone persistenze terminologiche e nuclei sintagmatici ricorrenti, al fine di individuare concetti utili a delineare un lessico politico proprio di questa testualità, in corrispondenza al sorgere dell’entità statale europea nel XIII secolo (con particolare riguardo all’area francese, ai regni di Luigi IX e Filippo il Bello). A partire da un’analisi critica delle tesi di Quentin Skinner circa la ‘ridefinizione paradiastolica’ del sistema delle virtù classiche entro il trattato De principatibus, lo studio innesca un percorso di indagine à rebours che - sondando il linguaggio - rintraccia nella trattatistica delle institutiones regum del XV secolo (Pontano, Patrizi, Carafa, Platina) e degli specula principum medievali (Elinando di Froidmont, Gilberto di Tournai, Vincenzo di Beauvais, Guglielmo Peraldo, Egidio Romano, Guido Vernani) una consonanza di motivi nella sintassi e nell’immaginario preposti ad illustrare le potenzialità semantiche del nome di prudentia, individuata quale unica virtù sopravvissuta alla ‘ridescrizione’ del codice etico operata da Machiavelli. Indagando i progressivi ampliamenti del campo semantico sorto attorno al nome della virtù di prudenza entro la letteratura speculare, la ricerca mostra come il dialettico rapporto con i lessemi di sapientia, astutia, fides ed experientia abbia avuto un ruolo determinante per il sorgere di un’immagine del principe emancipata dalla figura biblica del “rex sapiens”, e per la formazione di un lessico ospitale delle manifestazioni concrete del vivere politico ed economico. I processi di dilatazione e rarefazione del bacino semantico di prudentia sono, infatti, funzionali ad illustrare come il linguaggio della testualità speculare registri l’acquisizione di nuove strumentazioni teoriche grazie al rinnovamento delle fonti a disposizione lungo il secolo XIII, che - sostituendo progressivamente il più recente dossier aristotelico al solo apparato veterotestamentario - permettono di integrare la concezione delle virtù in senso operativo, adattandola alle esigenze politico-economiche dei nuovi contesti istituzionali monarchici.
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Questa tesi di dottorato di ricerca ha come oggetto la nozione di fatto urbano elaborata e presentata da Aldo Rossi nel libro L’architettura della città edito nel 1966. Ne L’architettura della città sono molteplici le definizioni e le forme con cui è enunciata la nozione di fatto urbano. Nel corso della tesi si è indagato come la costruzione nel tempo di questo concetto è stata preceduta da diversi studi giovanili intrapresi dal 1953, poi riorganizzati e sintetizzati a partire dal 1963 in un quaderno manoscritto dal titolo “Manuale di urbanistica”, in diversi appunti e in due quaderni manoscritti. Il lavoro di ricerca ha ricostruito la formulazione della nozione di fatto urbano attraverso gli scritti di Rossi. In questa direzione la rilevazione della partecipazione di Rossi a dibattiti, seminari, riviste, corsi universitari o ricerche accademiche è apparsa di fondamentale importanza, per comprendere la complessità di un lavoro non riconducibile a dei concetti disciplinari, ma alla formazione di una teoria trasmissibile. Il tentativo di comprendere e spiegare la nozione di fatto urbano ha condotto ad esaminare l’accezione con cui Rossi compone L’architettura della città, che egli stesso assimila ad un trattato. L’analisi ha identificato come la composizione del libro non è direttamente riferibile ad un uso classico della stesura editoriale del trattato, la quale ha tra i riferimenti più noti nel passato la promozione di una pratica corretta come nel caso vitruviano o un’impalcatura instauratrice di una nuova categoria come nel caso dell’Alberti. La mancanza di un sistema globale e prescrittivo a differenza dei due libri fondativi e il rimando non immediato alla stesura di un trattato classico è evidente ne L’architettura della città. Tuttavia la possibilità di condurre la ricerca su una serie di documenti inediti ha permesso di rilevare come negli scritti a partire dal 1953, sia maturata una trattazione delle questioni centrali alla nozione di fatto urbano ricca di intuizioni, che aspirano ad un’autonomia, sintetizzate, seppure in modo non sistematico, nella stesura del celebre libro. Si è così cercato di mettere in luce la precisazione nel tempo della nozione di fatto urbano e della sua elaborazione nei molteplici scritti antecedenti la pubblicazione de L’architettura della città, precisando come Rossi, pur costruendo su basi teoriche la nozione di fatto urbano, ne indichi una visione progressiva, ossia un uso operativo sulla città. La ricerca si è proposta come obiettivo di comprendere le radici culturali della nozione di fatto urbano sia tramite un’esplorazione degli interessi di Rossi nel suo percorso formativo sia rispetto alla definizione della struttura materiale del fatto urbano che Rossi individua nelle permanenze e che alimenta nella sua definizione con differenti apporti derivanti da altre discipline. Compito di questa ricerca è stato rileggere criticamente il percorso formativo compiuto da Rossi, a partire dal 1953, sottolinearne gli ambiti innovativi e precisarne i limiti descrittivi che non vedranno mai la determinazione di una nozione esatta, ma piuttosto la strutturazione di una sintesi complessa e ricca di riferimenti ad altri studi. In sintesi la tesi si compone di tre parti: 1. la prima parte, dal titolo “La teoria dei fatti urbani ne L’architettura della città”, analizza il concetto di fatto urbano inserendolo all’interno del più generale contesto teorico contenuto nel libro L’architettura della città. Questo avviene tramite la scomposizione del libro, la concatenazione delle sue argomentazioni e la molteplicità delle fonti esplicitamente citate da Rossi. In questo ambito si precisa la struttura del libro attraverso la rilettura dei riferimenti serviti a Rossi per comporre il suo progetto teorico. Inoltre si ripercorre la sua vita attraverso le varie edizioni, le ristampe, le introduzioni e le illustrazioni. Infine si analizza il ruolo del concetto di fatto urbano nel libro rilevando come sia posto in un rapporto paritetico con il titolo del libro, conseguendone un’accezione di «fatto da osservare» assimilabile all’uso proposto dalla geografia urbana francese dei primi del Novecento. 2. la seconda parte, dal titolo “La formazione della nozione di fatto urbano 1953-66”, è dedicata alla presentazione dell’elaborazione teorica negli scritti di Rossi prima de L’architettura della città, ossia dal 1953 al 1966. Questa parte cerca di descrivere le radici culturali di Rossi, le sue collaborazioni e i suoi interessi ripercorrendo la progressiva definizione della concezione di città nel tempo. Si è analizzato il percorso maturato da Rossi e i documenti scritti fin dagli anni in cui era studente alla Facoltà di Architettura Politecnico di Milano. Emerge un quadro complesso in cui i primi saggi, gli articoli e gli appunti testimoniano una ricerca intellettuale tesa alla costruzione di un sapere sullo sfondo del realismo degli anni Cinquanta. Rossi matura infatti un impegno culturale che lo porta dopo la laurea ad affrontare discorsi più generali sulla città. In particolare la sua importante collaborazione con la rivista Casabella-continuità, con il suo direttore Ernesto Nathan Rogers e tutto il gruppo redazionale segnano il periodo successivo in cui compare l’interesse per la letteratura urbanistica, l’arte, la sociologia, la geografia, l’economia e la filosofia. Seguono poi dal 1963 gli anni di lavoro insieme al gruppo diretto da Carlo Aymonino all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, e in particolare le ricerche sulla tipologia edilizia e la morfologia urbana, che portano Rossi a compiere una sintesi analitica per la fondazione di una teoria della città. Dall’indagine si rileva infatti come gli scritti antecedenti L’architettura della città sviluppano lo studio dei fatti urbani fino ad andare a costituire il nucleo teorico di diversi capitoli del libro. Si racconta così la genesi del libro, la cui scrittura si è svolta nell’arco di due anni, e le aspirazioni che hanno portato quello che era stato concepito come un “manuale d’urbanistica” a divenire quello che Rossi definirà “l’abbozzo di un trattato” per la formulazione di una scienza urbana. 3. la terza parte, dal titolo “La struttura materiale dei fatti urbani: la teoria della permanenza”, indaga monograficamente lo studio della città come un fatto materiale, un manufatto, la cui costruzione è avvenuta nel tempo e del tempo mantiene le tracce. Sul tema della teoria della permanenza è stato importante impostare un confronto con il dibattito vivo negli anni della ricostruzione dopo la guerra intorno ai temi delle preesistenze ambientali nella ricostruzione negli ambienti storici. Sono emersi fin da subito importanti la relazione con Ernesto Nathan Rogers, le discussioni sulle pagine di Casabella-Continuità, la partecipazione ad alcuni dibatti e ricerche. Si è inoltre Rilevato l’uso di diversi termini mutuati dalle tesi filosofiche di alcune personalità come Antonio Banfi e Enzo Paci, poi elaborati dal nucleo redazionale di Casabella-Continuità, di cui faceva parte anche Rossi. Sono così emersi alcuni spostamenti di senso e la formulazione di un vocabolario di termini all’interno della complessa vicenda della cultura architettonica degli anni Cinquanta e Sessanta. 1. Si è poi affrontato questo tema analizzando le forme con cui Rossi presenta la definizione della teoria della permanenza e i contributi desunti da alcuni autori per la costruzione scientifica di una teoria dell’architettura, il cui fine è quello di essere trasmissibile e di offrire strumenti di indagine concreti. Questa ricerca ha permesso di ipotizzare come il lavoro dei geografi francesi della prima metà del XX secolo, e in particolare il contributo più rilevante di Marcel Poëte e di Pierre Lavedan, costituiscono le fonti principali e il campo d’indagine maggiormente esplorato da Rossi per definire la teoria della permanenza e i monumenti. Le permanenze non sono dunque presentate ne L’architettura della città come il “tutto”, ma emergono da un metodo che sceglie di isolare i fatti urbani permanenti, consentendo così di compiere un’ipotesi su “ciò che resta” dopo le trasformazioni continue che operano nella città. Le fonti su cui ho lavorato sono state quelle annunciate da Rossi ne L’architettura della città, e più precisamente i testi nelle edizioni da lui consultate. Anche questo lavoro ha permesso un confronto dei testi che ha fatto emergere ne L’architettura della città l’uso di termini mutuati da linguaggi appartenenti ad altre discipline e quale sia l’uso di concetti estrapolati nella loro interezza. Presupposti metodologici Della formulazione della nozione di fatto urbano si sono indagate l’originalità dell’espressione, le connessioni presunte o contenute negli studi di Rossi sulla città attraverso la raccolta di fonti dirette e indirette che sono andate a formare un notevole corpus di scritti. Le fonti dirette più rilevanti sono state trovare nelle collezioni speciali del Getty Research Institute di Los Angeles in cui sono conservati gli Aldo Rossi Papers, questo archivio comprende materiali inediti dal 1954 al 1988. La natura dei materiali si presenta sotto forma di manoscritti, dattiloscritti, quaderni, documenti ciclostilati, appunti sparsi e una notevole quantità di corrispondenza. Negli Aldo Rossi Papers si trovano anche 32 dei 47 Quaderni Azzurri, le bozze de L’architettura della città e dell’ Autobiografia Scientifica. Per quanto riguarda in particolare L’architettura della città negli Aldo Rossi Papers sono conservati: un quaderno con il titolo “Manuale d’urbanistica, giugno 1963”, chiara prima bozza del libro, degli “Appunti per libro urbanistica estate/inverno 1963”, un quaderno con la copertina rossa datato 20 settembre 1964-8 agosto 1965 e un quaderno con la copertina blu datato 30 agosto 1965-15 dicembre 1965. La possibilità di accedere a questo archivio ha permesso di incrementare la bibliografia relativa agli studi giovanili consentendo di rileggere il percorso culturale in cui Rossi si è formato. E’ così apparsa fondamentale la rivalutazione di alcune questioni relative al realismo socialista che hanno portato a formare un più preciso quadro dei primi scritti di Rossi sullo sfondo di un complesso scenario intellettuale. A questi testi si è affiancata la raccolta delle ricerche universitarie, degli articoli pubblicati su riviste specializzate e degli interventi a dibattiti e seminari. A proposito de L’architettura della città si è raccolta un’ampia letteratura critica riferita sia al testo in specifico che ad una sua collocazione nella storia dell’architettura, mettendo in discussione alcune osservazioni che pongono L’architettura della città come un libro risolutivo e definitivo. Per quanto riguarda il capitolo sulla teoria della permanenza l’analisi è stata svolta a partire dai testi che Rossi stesso indicava ne L’architettura della città rivelando i diversi apporti della letteratura urbanistica francese, e permettendo alla ricerca di precisare le relazioni con alcuni scritti centrali e al contempo colti da Rossi come opportunità per intraprendere l’elaborazione dell’idea di tipo. Per quest’ultima parte si può precisare come Rossi formuli la sua idea di tipo in un contesto culturale dove l’interesse per questo tema era fondamentale. Dunque le fonti che hanno assunto maggior rilievo in quest’ultima fase emergono da un ricco panorama in cui Rossi compie diverse ricerche sia con il gruppo redazionale di Casabella-continuità, sia all’interno della scuola veneziana negli anni Sessanta, ma anche negli studi per l’ILSES e per l’Istituto Nazionale d’Urbanistica. RESEARCH ON THE NOTION OF URBAN ARTIFACT IN THE ARCHITECTURE OF THE CITY BY ALDO ROSSI. Doctoral candidate: Letizia Biondi Tutor: Valter Balducci The present doctoral dissertation deals with the notion of urban artifact that was formulated and presented by Aldo Rossi in his book The Architecture of the City, published in 1966. In The Architecture of the City, the notion of urban artifact is enunciated through a wide range of definitions and forms. In this thesis, a research was done on how the construction of this concept over time was preceded by various studies started in 1953 during the author’s youth, then re-organized and synthesized since 1963 in a manuscript titled “Manual of urban planning” and in two more manuscripts later on. The work of research re-constructed the formulation of the notion of urban artifact through Rossi’s writings. In this sense, the examination of Rossi’s participation in debates, seminars, reviews, university courses or academic researches was of fundamental importance to understand the complexity of a work which is not to be attributed to disciplinary concepts, but to the formulation of a communicable theory. The effort to understand and to explain the notion of urban artifact led to an examination of the meaning used by Rossi to compose The Architecture of the City, which he defines as similar to a treatise. Through this analysis, it emerged that the composition of the book is not directly ascribable to the classical use of editorial writing of a treatise, whose most famous references in the past are the promotion of a correct practice as in the case of Vitruvio’s treatise, or the use of a structure that introduces a new category as in the Alberti case. Contrary to the two founding books, the lack of a global and prescriptive system and the not immediate reference to the writing of a classical treatise are evident in The Architecture of the City. However, the possibility of researching on some unpublished documents allowed to discover that in the writings starting from 1953 the analysis of the questions that are at the core of the notion of urban artifact is rich of intuitions, that aim to autonomy and that would be synthesized, even though not in a systematic way, in his famous book. The attempt was that of highlighting the specification over time of the notion of urban artifact and its elaboration in the various writings preceding the publication of The Architecture of the City. It was also specified that, despite building on theoretical grounds, Rossi indicates a progressive version of the notion of urban artifact, that is a performing use in the city. The present research aims to understand the cultural roots of the notion of urban artifact in two main directions: analyzing, firstly, Rossi’s interests along his formation path and, secondly, the definition of material structure of an urban artifact identified by Rossi in the permanences and enriched by various contributions from other disciplines. The purpose of the present research is to revise the formation path made by Rossi in a critical way, starting by 1953, underlining its innovative aspects and identifying its describing limits, which will never lead to the formulation of an exact notion, but rather to the elaboration of a complex synthesis, enriched by references to other studies. In brief, the thesis is composed of three parts: 1. The first part, titled “The Theory of urban artifacts in The Architecture of the City”, analyzes the concept of urban artifact in the more general theoretical context of the book The Architecture of the City. Such analysis is done by “disassembling” the book, and by linking together the argumentations and the multiplicity of the sources which are explicitly quoted by Rossi. In this context, the book’s structure is defined more precisely through the revision of the references used by Rossi to compose his theoretical project. Moreover, the author’s life is traced back through the various editions, re-printings, introductions and illustrations. Finally, it is specified which role the concept of urban artifact has in the book, pointing out that it is placed in an equal relation with the book’s title; by so doing, the concept of urban artifact gets the new meaning of “fact to be observed”, similar to the use that was suggested by the French urban geography at the beginning of the 20th century. 2. The second part, titled “The formation of the notion of urban artifact 1953-66”, introduces the theoretical elaboration in Rossi’s writings before The Architecture of the City, that is from 1953 to 1966. This part tries to describe Rossi’s cultural roots, his collaborations and his interests, tracing back the progressive definition of his conception of city over time. The analysis focuses on the path followed by Rossi and on the documents that he wrote since the years as a student at the Department of Architecture at the Politecnico in Milan. This leads to a complex scenario of first essays, articles and notes that bear witness to the intellectual research aiming to the construction of a knowledge on the background of the Realism of the 1950s. Rossi develops, in fact, a cultural engagement that leads him after his studies to deal with more general issues about the city. In particular, his important collaboration with the architecture magazine “Casabella-continuità”, with the director Ernesto Nathan Rogers and with the whole redaction staff mark the following period when he starts getting interested in city planning literature, art, sociology, geography, economics and philosophy. Since 1963, Rossi has worked with the group directed by Carlo Aymonino at the “Istituto Universitario di Architettura” (University Institute of Architecture) in Venice, especially researching on building typologies and urban morphology. During these years, Rossi elaborates an analytical synthesis for the formulation of a theory about the city. From the present research, it is evident that the writings preceding The Architecture of the City develop the studies on urban artifacts, which will become theoretical core of different chapters of the book. In conclusion, the genesis of the book is described; written in two years, what was conceived to be an “urban planning manual” became a “treatise draft” for the formulation of an urban science, as Rossi defines it. 3. The third part is titled “The material structure of urban artifacts: the theory of permanence”. This research is made on the study of the city as a material fact, a manufacture, whose construction was made over time, bearing the traces of time. As far as the topic of permanence is concerned, it was also important to draw a comparison with the debate about the issues of environmental pre-existence of re-construction in historical areas, which was very lively during the years of the Reconstruction. Right from the beginning, of fundamental importance were the relationship with Ernesto Nathan Rogers, the discussions on the pages of Casabella-Continuità and the participation to some debates and researches. It is to note that various terms were taken by the philosophical thesis by some personalities such as Antonio Banfi and Enzo Paci, and then re-elaborated by the redaction staff at Casabella-Continuità, which Rossi took part in as well. Through this analysis, it emerged that there were some shifts in meaning and the formulation of a vocabulary of terms within the complex area of the architectonic culture in the 1950s and 1960s. Then, I examined the shapes in which Rossi introduces the definition of the theory of permanence and the references by some authors for the scientific construction of an architecture theory whose aim is being communicable and offering concrete research tools. Such analysis allowed making a hypothesis about the significance for Rossi of the French geographers of the first half of the 20th century: in particular, the work by Marcel Poëte and by Pierre Lavedan is the main source and the research area which Rossi mostly explored to define the theory of permanence and monuments. Therefore, in The Architecture of the City, permanencies are not presented as the “whole”, but they emerge from a method which isolates permanent urban artifacts, in this way allowing making a hypothesis on “what remains” after the continuous transformations made in the city. The sources examined were quoted by Rossi in The Architecture of the City; in particular I analyzed them in the same edition which Rossi referred to. Through such an analysis, it was possible to make a comparison of the texts with one another, which let emerge the use of terms taken by languages belonging to other disciplines in The Architecture of the City and which the use of wholly extrapolated concepts is. Methodological premises As far as the formulation of the notion of urban artifact is concerned, the analysis focuses on the originality of the expression, the connections that are assumed or contained in Rossi’s writings about the city, by collecting direct and indirect sources which formed a significant corpus of writings. The most relevant direct sources were found in the special collections of the Getty Research Institute in Los Angeles, where the “Aldo Rossi Papers” are conserved. This archive contains unpublished material from 1954 to 1988, such as manuscripts, typescripts, notebooks, cyclostyled documents, scraps and notes, and several letters. In the Aldo Rossi Papers there are also 32 out of the 47 Light Blue Notebooks (Quaderni Azzurri), the rough drafts of The Architecture of the City and of the “A Scientific Autobiography”. As regards The Architecture of the City in particular, the Aldo Rossi Papers preserve: a notebook by the title of “Urban planning manual, June, 1963”, which is an explicit first draft of the book; “Notes for urban planning book summer/winter 1963”; a notebook with a red cover dated September 20th, 1964 – August 8th, 1965; and a notebook with a blue cover dated August 30th, 1965 – December 15th, 1965. The possibility of accessing this archive allowed to increase the bibliography related to the youth studies, enabling a revision of the cultural path followed by Rossi’s education. To that end, it was fundamental to re-evaluate some issues linked to the socialist realism which led to a more precise picture of the first writings by Rossi against the background of the intellectual scenario where he formed. In addition to these texts, the collection of university researches, the articles published on specialized reviews and the speeches at debates and seminars were also examined. About The Architecture of the City, a wide-ranging critical literature was collected, related both to the text specifics and to its collocation in the story of architecture, questioning some observations which define The Architecture of the City as a conclusive and definite book. As far as the chapter on the permanence theory is concerned, the analysis started by the texts that Rossi indicated in The Architecture of the City, revealing the different contributions from the French literature on urban planning. This allowed to the present research a more specific definition of the connections to some central writings which, at the same time, were seen by Rossi as an opportunity to start up the elaboration of the idea of type. For this last part, it can be specified that Rossi formulates his idea of type in a cultural context where the interest in this topic was fundamental. Therefore, the sources which played a central role in this final phase emerge from an extensive panorama in which Rossi researched not only with the redaction staff at Casablanca-continuità and within the School of Venice in the 1960s, but also in his studies for the ILSES (Institute of the Region Lombardia for Economics and Social Studies) and for the National Institute of Urban Planning.
Resumo:
Nelle attuali organizzazioni sanitarie non è raro trovare operatori sanitari i quali ritengono che la relazione con il paziente consista nell'avere adeguate competenze tecniche inerenti la professione e nell'applicarle con attenzione e diligenza. Peraltro si tende ad invocare il “fattore umano”, ma si lamenta poi che l’operatore si rapporti col paziente in modo asettico e spersonalizzato. Da un punto di vista scientifico il termine “relazione” in psicologia si riferisce essenzialmente ai significati impliciti e quasi sempre non consapevoli veicolati da qualunque relazione: dipende pertanto dalla struttura psichica dei due interlocutori investendo in particolare la sfera dell’affettività e procede per processi comunicativi che travalicano il linguaggio verbale e con esso le intenzioni razionali e coscienti. La relazione interpersonale quindi rientra nel più ampio quadro dei processi di comunicazione: sono questi o meglio i relativi veicoli comunicazionali, che ci dicono della qualità delle relazioni e non viceversa e cioè che i processi comunicazionali vengano regolati in funzione della relazione che si vuole avere (Imbasciati, Margiotta, 2005). Molti studi in materia hanno dimostrato come, oltre alle competenze tecnicamente caratterizzanti la figura dell’infermiere, altre competenze, di natura squisitamente relazionale, giochino un ruolo fondamentale nel processo di ospedalizzazione e nella massimizzazione dell’aderenza al trattamento da parte del paziente, la cui non osservanza è spesso causa di fallimenti terapeutici e origine di aumentati costi sanitari e sociali. Questo aspetto è però spesso messo in discussione a favore di un maggiore accento sugli aspetti tecnico professionali. Da un “modello delle competenze” inteso tecnicisticamente prende origine infatti un protocollo di assistenza infermieristica basato sull’applicazione sistematica del problem solving method: un protocollo preciso (diagnosi e pianificazione) guida l’interazione professionale fra infermiere e la persona assistita. A lato di questa procedura il processo di assistenza infermieristica riconosce però anche un versante relazionale, spesso a torto detto umanistico riferendosi alla soggettività dei protagonisti interagenti: il professionista e il beneficiario dell’assistenza intesi nella loro globalità bio-fisiologica, psicologica e socio culturale. Nel pensiero infermieristico il significato della parola relazione viene però in genere tradotto come corrispondenza continua infermiere-paziente, basata sulle dimensioni personali del bisogno di assistenza infermieristica e caratterizzata da un modo di procedere dialogico e personalizzato centrato però sugli aspetti assistenziali, in cui dall’incontro degli interlocutori si determinerebbe la natura delle cure da fornire ed i mezzi con cui metterle in opera (Colliere, 1992; Motta, 2000). Nell’orientamento infermieristico viene affermata dunque la presenza di una relazione. Ma di che relazione si tratta? Quali sono le capacità necessarie per avere una buona relazione? E cosa si intende per “bisogni personali”? Innanzitutto occorre stabilire cosa sia la buona relazione. La buona o cattiva relazione è il prodotto della modalità con cui l’operatore entra comunque in interazione con il proprio paziente ed è modulata essenzialmente dalle capacità che la sua struttura, consapevole o no, mette in campo. DISEGNO DELLA LA RICERCA – 1° STUDIO Obiettivo del primo studio della presente ricerca, è un’osservazione delle capacità relazionali rilevabili nel rapporto infermiere/paziente, rapporto che si presume essere un caring. Si è voluto fissare l’attenzione principalmente su quelle dimensioni che possono costituire le capacità relazionali dell’infermiere. Questo basandoci anche su un confronto con le aspettative di relazione del paziente e cercando di esplorare quali collegamenti vi siano tra le une e le altre. La relazione e soprattutto la buona relazione non la si può stabilire con la buona volontà, né con la cosiddetta sensibilità umana, ma necessita di capacità che non tutti hanno e che per essere acquisite necessitano di un tipo di formazione che incida sulle strutture profonde della personalità. E’ possibile ipotizzare che la personalità e le sue dimensioni siano il contenitore e gli elementi di base sui quali fare crescere e sviluppare capacità relazionali mature. Le dimensioni di personalità risultano quindi lo snodo principale da cui la ricerca può produrre i suoi risultati e da cui si è orientata per individuare gli strumenti di misura. La motivazione della nostra scelta dello strumento è da ricercare quindi nel tentativo di esplorare l’incidenza delle dimensioni e sottodimensioni di personalità. Tra queste si è ritenuto importante il costrutto dell’Alessitimia, caratteristico nel possesso e quindi nell’utilizzo, più o meno adeguato, di capacità relazionali nel processo di caring,
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Scopo dell’elaborato risulta l’analisi del rapporto tra atto politico e motivazione politica. Partendo da una ricostruzione storica, l’obiettivo del lavoro è mettere in luce i profili problematici ed i riflessi che l’atto politico – tema apparentemente sopito tanto a livello dottrinale, quanto giurisprudenziale - ricomincia, soprattutto grazie a un certo numero di recenti pronunce dei giudici amministrativi, ad avere, fornendo nuovi spunti di riflessione. Proprio questa nuova tendenza giurisprudenziale, diventa l’oggetto di analisi del terzo capitolo. In esso si esamina il repertorio di casistica giurisprudenziale in materia di atti di alta amministrazione. In breve, tale capitolo viene orientato all’esame di tutte quelle tipologie di atti emergenti dalla valutazione caso per caso effettuata dalla giurisprudenza che, nel tempo, sono state fatte rientrare nel novero degli atti di alta amministrazione, al fine di mettere in evidenza la necessità di un riequilibrio della categoria dell’atto di alta amministrazione, che ormai sembra non apparire più rispondente alla ratio della sua previsione, verso l’emersione di una nuova categoria: il provvedimento amministrativo a motivazione politica. In particolare, si sostiene come non si possano ritenere rientranti tra gli atti di alta amministrazione quegli atti a carattere puntuale a motivazione politica, cioè sorretti da ragioni di fiduciarietà politica, quali, ad esempio, le nomine di carattere fiduciario, strettamente informate dalla contingenza politica. Evidentemente, se tale base giustificativa costituisce la ratio sottesa alla legittimità di tali nomine, non si comprende la ragione per cui l’atto di revoca degli incarichi derivanti da tali nomine sia sottoposto ad un sindacato di ragionevolezza cui sfugge la nomina stessa da cui origina. Ed allora non può non ammettersi che anche l’atto di revoca possa essere sorretto da una motivazione politica perché, altrimenti, perderebbe ragione d’essere anche la nomina stessa. La corrispondenza di disciplina tra nomina e revoca si renderebbe necessaria in quanto, in caso contrario, risulterebbero vanificate fin dall’inizio le esigenze garantiste da assicurare ai singoli e si rischierebbe di bloccare il corretto esercizio della funzione di governo. Si propone, allora, la prospettazione della nuova categoria del provvedimento amministrativo a motivazione politica come quella categoria che, contraddistinta dal carattere della fiduciarietà, venga in soccorso agli organi politici per un recupero effettivo del loro ruolo senza impingere con le esigenze di tutela dei singoli. L’ultimo capitolo della tesi, quindi, si incentra su “Il provvedimento a motivazione politica: una nuova categoria della politicità”. Si tenta di ricostruirne il particolare regime di disciplina, mettendo in evidenza i limiti e le deroghe alle previsioni della l. n. 241/1990, nonchè la peculiarietà di ritenere integrato il requisito della motivazione nella forma del “venir meno della fiducia”. Scopo dell’ultima parte del lavoro diviene, quindi, quello di comprendere quale volto assume la politicità degli atti nell’ordinamento contemporaneo. Si ipotizzano, infatti, tre facce della politicità degli atti, dislocate su tre diversi livelli: atto politico, atto di alta amministrazione e provvedimento amministrativo a motivazione politica.
Resumo:
Le vesti e le insegne degli imperatori nonché degli alti dignitari, sono ornate e “appesantite” da pietre preziose, lì disposte non a caso. Esse spesso divengono emblemi dei personaggi che le portano e offrono loro virtù e qualità che spesso si ricollegano anche a caratteristiche di alto valore ideologico. Già dai tempi pre-biblici le pietre sono considerate creature vive, messe in corrispondenza con gli astri, secondo la dottrina della simpathia. Questa concezione perdura anche nel Medioevo: infatti, nei vari lapidari vi sono pietre capaci di generare, e pietre “incinte”; esistono pietre dalle virtù talismaniche e taumaturgiche; altre guariscono, allontanano i mali, ottengono il favore dei potenti, consentono di portare a felice compimento tutto quel che si intraprende; rendono eloquenti, simpatici, graditi. Tornando all’ambito imperiale, l’imperatore per governare deve manifestare qualità che vengono condivise anche da Dio, quali la filantrophia, l’eunomia; rispettare la taxis; essere capace di autocontrollo; mostrare pietà; essere filocristos, vittorioso, misericordioso; essere temperante e giusto. Alcune di queste qualità gli vengono offerte anche dall’uso delle pietre preziose; così ad esempio il diamante dà forza e coraggio: preserva l’integrità del carattere e la buona fede; il rubino allude alla fiamma della carità; lo zaffiro è simbolo della ricchezza e dei cieli, custode dell’innocenza e della verità; lo smeraldo è anche esso simbolo della fede e allude simbolicamente alla capacità di intuire e trasmettere il messaggio divino propria del personaggio che ne è adornato. Le fonti prese in esame anche se vengono separate da un’arco di tempo grande e non rispecchiano un limite cronologico fisso, neccessario per ogni ricerca, tuttavia permettono di delineare il percorso evolutivo delle virtù delle gemme attraverso i secoli; e quindi di avere un’ idea molto più chiara sulla concezione delle pietre stesse, e su come, col passare degli anni, queste virtù si evolvono o svaniscono.
Resumo:
Al principio iura novit curia si assegnano tradizionalmente due significati: il giudice conosce le norme, quindi le parti non hanno onori al riguardo, e il giudice non è vincolato dalle indicazioni delle parti, quanto alle norme di diritto da applicare. La tesi delimita inizialmente la nozione di questione di diritto, quindi affronta partitamente due problemi che si pongono con riferimento alle questioni di diritto e che sono soliti essere risolti con il richiamo al principio iura novit curia: la conoscenza delle norme da una parte e la qualificazione giuridica della domanda e quindi della situazione soggettiva dall’altra. Quanto alla conoscenza delle norme, motivata la scelta per l’obbligatorietà della conoscenza ufficiosa di tutte le fonti di diritto, la tesi verifica la regola in relazione alle diverse fonti descrivendone la disciplina. Quanto alla qualificazione giuridica della domanda, la tesi, verificata la vigenza del principio iura novit curia, descrive sul piano processuale le relazioni del potere-dovere di qualificazione giuridica a) individuandone i limiti oggettivi, ricompresi nei limiti della domanda, e risultanti dal confronto con la regola della corrispondenza del chiesto con il pronunciato, del concorso di diritti, della natura autodeterminata dei diritti, b) tracciandone le modalità legittime di esercizio in conformità al principio del contradditorio; c) verificandone i limiti esterni, ravvisati in quegli istituti che impediscono al giudice di formulare un giudizio sulla questione di diritto: le sentenze non definitive su questioni di diritto, il principio di diritto, il giudicato interno e i limiti alla cognizione del giudice dell’impugnazione tra i gradi di giudizio.
Resumo:
Nella prima parte viene ricostruito il concetto di vincolo espropriativo alla luce dell’elaborazione della giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte EDU, giungendo alla conclusione che rientrano in tale concetto le limitazioni al diritto di proprietà che: - derivano da scelte discrezionali dell’Amministrazione non correlate alle caratteristiche oggettive del bene; - superano la normale tollerabilità nel senso che impediscono al proprietario la prosecuzione dell’uso in essere o incidono sul valore di mercato del bene in modo sproporzionato rispetto alle oggettive caratteristiche del bene e all’interesse pubblico perseguito. Ragione di fondo della teoria dei vincoli è censurare l’eccessiva discrezionalità del potere urbanistico, imponendo una maggiore obiettività e controllabilità delle scelte urbanistiche. Dalla teoria dei vincoli consegue altresì che nell’esercizio del potere urbanistico l’Amministrazione, pur potendo differenziare il territorio, deve perseguire l’obiettivo del riequilibrio economico degli interessi incisi dalle sue determinazioni. L’obbligo della corresponsione dell’indennizzo costituisce la prima forma di perequazione urbanistica. Nel terzo e nel quarto capitolo viene analizzata la giurisprudenza civile e amministrativa in tema di vincoli urbanistici, rilevandone la non corrispondenza rispetto all’elaborazione della Corte costituzionale e l’incongruità dei risultati applicativi. Si evidenzia in particolare la necessità del superamento del criterio basato sulla distinzione zonizzazioni-localizzazioni e di considerare conformative unicamente quelle destinazioni realizzabili ad iniziativa privata che in concreto consentano al proprietario di conseguire un’utilità economica proporzionata al valore di mercato del bene. Nel quinto capitolo viene analizzato il rapporto tra teoria dei vincoli e perequazione urbanistica, individuandosi il discrimine tra i due diversi istituti non solo nel consenso, ma anche nella proporzionalità delle reciproche prestazioni negoziali. Attraverso la perequazione non può essere attribuito al proprietario un’utilità inferiore a quella che gli deriverebbe dall’indennità di esproprio.
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The aim of this thesis is to apply multilevel regression model in context of household surveys. Hierarchical structure in this type of data is characterized by many small groups. In last years comparative and multilevel analysis in the field of perceived health have grown in size. The purpose of this thesis is to develop a multilevel analysis with three level of hierarchy for Physical Component Summary outcome to: evaluate magnitude of within and between variance at each level (individual, household and municipality); explore which covariates affect on perceived physical health at each level; compare model-based and design-based approach in order to establish informativeness of sampling design; estimate a quantile regression for hierarchical data. The target population are the Italian residents aged 18 years and older. Our study shows a high degree of homogeneity within level 1 units belonging from the same group, with an intraclass correlation of 27% in a level-2 null model. Almost all variance is explained by level 1 covariates. In fact, in our model the explanatory variables having more impact on the outcome are disability, unable to work, age and chronic diseases (18 pathologies). An additional analysis are performed by using novel procedure of analysis :"Linear Quantile Mixed Model", named "Multilevel Linear Quantile Regression", estimate. This give us the possibility to describe more generally the conditional distribution of the response through the estimation of its quantiles, while accounting for the dependence among the observations. This has represented a great advantage of our models with respect to classic multilevel regression. The median regression with random effects reveals to be more efficient than the mean regression in representation of the outcome central tendency. A more detailed analysis of the conditional distribution of the response on other quantiles highlighted a differential effect of some covariate along the distribution.
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Gonocerus acuteangulatus (Hemiptera: Coreidae) è considerato uno dei principali fitofagi del nocciolo, in grado di causare con l’attività trofica pesanti perdite quali-quantitative di produzione. Nel triennio sono state quindi condotte indagini sulla bioetologia di G. acuteangulatus volte a: I) studiare comportamento alimentare ed effetti sulla produzione corilicola, II) identificare i feromoni e valutarne l’attività mediante biosaggi fisiologici e comportamentali in laboratorio, semi-campo e campo, III) rilevare le piante ospiti alternative al nocciolo. Mediante isolamento di adulti del coreide su rami di nocciolo con frutti è stata confermata l’assenza di correlazione fra entità del danno e numerosità degli individui presenti in corileto. Dalle analisi sensoriali su nocciole sane e danneggiate è emerso che le alterazioni causate delle punture di nutrizione sono rese più evidenti da conservazione e tostatura. Variazioni di tempi e temperature di tostatura potrebbero mitigare gli effetti del cimiciato. Nello studio dei feromoni, G. acuteangulatus, molto mobile nell’ambiente, è risultato poco adatto ai biosaggi in condizioni artificiali, come quelle in olfattometro e semi-campo. Le femmine sono tuttavia apparse attrattive per adulti di entrambi i sessi, mentre la miscela feromonale sintetizzata ha mostrato un’azione attrattiva, seppure non costante. Pertanto, ulteriori ripetizioni sono necessarie per convalidare questi risultati preliminari, modificando le condizioni di saggio in relazione alle caratteristiche della specie. Infine è stata accertata la preferenza del fitofago per alcune specie vegetali rispetto al nocciolo. Nel corso del triennio, popolazioni molto consistenti di G. acuteangulatus sono state rilevate su bosso, ciliegio di Santa Lucia, rosa selvatica, sanguinello, spino cervino, in corrispondenza del periodo di comparsa e maturazione dei frutti. Nell’impostazione di una strategia di difesa a basso impatto ambientale, l’attrattività di queste piante, in sinergia con eventuali feromoni di aggregazione, potrebbe essere utilmente sfruttata, per mantenere il coreide lontano dalla coltura.
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Nella presente tesi è proposta una metodologia per lo studio e la valutazione del comportamento sismico di edifici a telaio. Il metodo prevede la realizzazione di analisi non-lineari su modelli equivalenti MDOF tipo stick, in accordo alla classificazione data nel report FEMA 440. Gli step per l’applicazione del metodo sono descritti nella tesi. Per la validazione della metodologia si sono utilizzati confronti con analisi time-history condotte su modelli tridimensionali dettagliati delle strutture studiate (detailed model). I parametri ingegneristici considerati nel confronto, nell’ottica di utilizzare il metodo proposto in un approccio del tipo Displacement-Based Design sono lo spostamento globale in sommità, gli spostamenti di interpiano, le forze di piano e la forza totale alla base. I risultati delle analisi condotte sui modelli stick equivalenti, mostrano una buona corrispondenza, ottima in certi casi, con quelli delle analisi condotte sui modelli tridimensionali dettagliati. Le time-history realizzate sugli stick model permettono però, un consistente risparmio in termini di onere computazionale e di tempo per il post-processing dei risultati ottenuti.
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Questa ricerca ha l’obiettivo di dare nuovi contributi alla conoscenza della pittura di paesaggio francese nell’Ottocento attraverso lo studio dell’opera di Paul Flandrin (1811-1902). Flandrin si colloca al crocevia di esperienze fondamentali nella ricerca artistica di metà Ottocento: l’eredità di Camille Corot, l’insegnamento di Jean-Auguste Dominique Ingres, la pratica del lavoro en plein air, la tradizione del paesaggio neoclassico. Il corpus di opere del pittore lionese Paul Flandrin (1811-1902) ricostruito in questa tesi è frutto di una sistematica operazione di ricerca sul campo e viene in seguito analizzato alla luce dei recenti studi sulla pittura di paesaggio neoclassico in Francia nel XIX secolo. La ricerca si fonda su una grande quantità di materiale inedito: dipinti, disegni, taccuini di studio en plein air, corrispondenza con colleghi e amici. Da questa ricerca la fisionomia artistica di Paul Flandrin emerge ben individuata singolarmente e al tempo stesso ancorata al contesto storico-artistico attraverso le relazioni con i colleghi, l’utilizzo di determinate tecniche, la frequentazione di mete comuni ai paesaggisti suoi contemporanei, la decisa presa di posizione a favore del paesaggio neoclassico.
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The object of this work has been the analysis of natural processes controlling the geological evolution of the Montenegro and Northern Albania Continental Margin (MACM) during the Late Quaternary. These include the modern sediment dispersal system and oceanographic regime, the building and shaping of the shelf margin at the scale of 100 kyr and relative to the most recent transition between glacial and interglacial periods. The analysis of the new data shows that the MACM is a shelf-slope system formed by a suite of physiographic elements, including: an inner and an outer continental shelf, separated by two tectonically-controlled morphological highs; a lobated drowned mid-shelf paleodelta, formed during the last sea level fall and low stand; an upper continental slope, affected by gravity-driven instability and a system of extensional faults with surficial displacement, featuring an orientation coherent with the regional tectonics. The stratigraphic study of the MACM shows a clear correspondence between the Late Pleistocene/Holocene mud-wedge and the low reflectivity sectors of the inner shelf. Conversely, most of the outer shelf and part of the continental slope expose deposits from the last sea level low stand, featuring a general sediment starving condition or the presence of a thin postglacial sediments cover. The MACM shows uplift in correspondence of the Kotor and Bar ridges, and subsidence in the outer shelf and upper slope sectors. In fact, seaward of these tectonic ridges, the sparker seismic profile show the presence of four well-defined seismo-stratigraphic sequences, interpreted as forced regression deposits, formed during the last four main glacial phases. In this way, the MACM records the 100 kyr scale sea level fluctuations on its seismo-stratigraphic architecture over the last 350 kyr. Over such time range, through the identification of the paleoshoreline deposits, we estimated an average subsidence rate of about 1.2 mm/yr.
Resumo:
Tradizionalmente, l'obiettivo della calibrazione di un modello afflussi-deflussi è sempre stato quello di ottenere un set di parametri (o una distribuzione di probabilità dei parametri) che massimizzasse l'adattamento dei dati simulati alla realtà osservata, trattando parzialmente le finalità applicative del modello. Nel lavoro di tesi viene proposta una metodologia di calibrazione che trae spunto dell'evidenza che non sempre la corrispondenza tra dati osservati e simulati rappresenti il criterio più appropriato per calibrare un modello idrologico. Ai fini applicativi infatti, può risultare maggiormente utile una miglior rappresentazione di un determinato aspetto dell'idrogramma piuttosto che un altro. Il metodo di calibrazione che viene proposto mira a valutare le prestazioni del modello stimandone l'utilità nell'applicazione prevista. Tramite l'utilizzo di opportune funzioni, ad ogni passo temporale viene valutata l'utilità della simulazione ottenuta. La calibrazione viene quindi eseguita attraverso la massimizzazione di una funzione obiettivo costituita dalla somma delle utilità stimate nei singoli passi temporali. Le analisi mostrano come attraverso l'impiego di tali funzioni obiettivo sia possibile migliorare le prestazioni del modello laddove ritenute di maggior interesse per per le finalità applicative previste.
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Il lavoro di ricerca è rivolto ad indagare l’emersione di schemi di variazione comuni all’arte e al design, limitatamente al contesto italiano e in un arco di tempo che va dalla metà degli anni Sessanta del secolo scorso a oggi. L’analisi vuole rintracciare, mediante l’applicazione della metodologia fenomenologica, un sentire condiviso tra le due discipline e, nel pieno rispetto dei relativi linguaggi e con nessuna volontà di sudditanza degli uni rispetto agli altri, individuare i rapporti di corrispondenza omologica capaci di mettere in luce lo spirito del tempo che le ha generate. La ricerca si pone l’obiettivo di estendere gli studi sul contemporaneo attraverso un’impostazione che intende applicare gli strumenti metodologici della critica d’arte all’evoluzione stilistica delle tendenze del design italiano. Non si è voluto redigere una “storia” del design italiano ma, considerata anche l’ampiezza dell’argomento, si è necessariamente proceduto a delimitare il territorio di applicazione scegliendo di prendere in considerazione il solo settore del design dell’arredo. Si è dunque optato per una visione globale delle vicende del design del prodotto, tesa ad indagare gli snodi principali, concentrando pertanto l’analisi su alcuni protagonisti della cultura del progetto, ossia su quelle figure risultate dominanti nel proprio tempo perché capaci con il loro lavoro di dare un contribuito determinante alla comprensione delle fasi evolutive del design italiano. Gli strumenti utili a condurre l’analisi provengono principalmente dalla metodologia binaria individuata dallo storico dell’arte Heinrich Wölfflin e dagli studi di Renato Barilli, il cui impianto culturologico ha fornito un indispensabile contributo al processo di sistematizzazione dei meccanismi di variazione interni alle arti; sia quelli di tipo orizzontale, di convergenza reciproca con gli altri saperi, che di tipo verticale, in rapporto cioè con le scoperte scientifiche e tecnologiche della coeva cultura materiale.