3 resultados para U.S Foreign Relations 2000-2009
em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna
Resumo:
In this thesis the impact of R&D expenditures on firm market value and stock returns is examined. This is performed in a sample of European listed firms for the period 2000-2009. I apply different linear and GMM econometric estimations for testing the impact of R&D on market prices and construct country portfolios based on firms’ R&D expenditure to market capitalization ratio for studying the effect of R&D on stock returns. The results confirm that more innovative firms have a better market valuation,investors consider R&D as an asset that produces long-term benefits for corporations. The impact of R&D on firm value differs across countries. It is significantly modulated by the financial and legal environment where firms operate. Other firm and industry characteristics seem to play a determinant role when investors value R&D. First, only larger firms with lower financial leverage that operate in highly innovative sectors decide to disclose their R&D investment. Second, the markets assign a premium to small firms, which operate in hi-tech sectors compared to larger enterprises for low-tech industries. On the other hand, I provide empirical evidence indicating that generally highly R&D-intensive firms may enhance mispricing problems related to firm valuation. As R&D contributes to the estimation of future stock returns, portfolios that comprise high R&D-intensive stocks may earn significant excess returns compared to the less innovative after controlling for size and book-to-market risk. Further, the most innovative firms are generally more risky in terms of stock volatility but not systematically more risky than low-tech firms. Firms that operate in Continental Europe suffer more mispricing compared to Anglo-Saxon peers but the former are less volatile, other things being equal. The sectors where firms operate are determinant even for the impact of R&D on stock returns; this effect is much stronger in hi-tech industries.
Resumo:
La storiografia statunitense, a partire dagli anni Cinquanta, vide l’affermarsi di una nuova interpretazione della politica estera americana. Archiviata la storia diplomatica come storia dei trattati o storia delle interazioni delle élites dominanti, abbandonata una visione incentrata sull’equilibrio di potenza, il dibattito storiografico si arricchì della cosiddetta interpretazione «revisionista», antitetica rispetto a quella che, fino a quel momento, aveva predominato. Soggetto di analisi storica restava sempre lo Stato ma l’enfasi maggiore era posta sui fattori economici che ne influenzavano l’azione: si metteva in rilievo l’interazione tra l’interesse privato e il soggetto statale. Capofila di questa nuova scuola fu William Appleman Williams. Questa ricerca si pone l’obiettivo di delineare il contesto storiografico dal quale emersero gli studi di Williams e di cui egli ne roviesciò alcuni assunti fondamentali. Si intende tracciare il suo percorso intellettuale – storiografico e pubblico – al fine di restituire la complessità di un personaggio che divenne un vero e proprio «intellettuale pubblico». I quesiti, a cui questa ricerca vuole dar risposta riguardano l’evoluzione del percorso intellettuale di Williams tanto in ambito storiografico quanto, più in generale, in quello pubblico; il contributo alla ridefinizione dell’identità statunitense e del suo ruolo internazionale; il lascito della sua riflessione nella storiografia. Prendendo le mosse dall’idea di frontiera proposta da Turner, Williams sostenne che la fine dell’espansione territoriale «interna» aveva obbligato gli Stati Uniti a cercare nuovi mercati per il proprio surplus. Era stata tale necessità a catalizzare la Open Door Diplomacy, guidata da ragioni economiche, che presto identificarono l’interesse nazionale per trasformarsi in una vera e propria ideologia nel XX secolo.L’esito di tale politica estera fu la creazione di un impero non più territoriale ma frutto dell’espansione economica. E proprio questa riflessione sull’impero influenzò, negli anni Sessanta, la protesta studentesca che chiese un ripensamento del ruolo internazionale degli Stati Uniti.
Resumo:
La disciplina pubblicistica dell’energia elettrica presenta specificità rilevanti rispetto ad altri settori della regolazione economica. Il settore energetico si caratterizza infatti per una complessa regolazione, dovuta sia alle specificità dell’oggetto della disciplina, cioè l’energia elettrica come bene immateriale, sia alla molteplicità degli interessi pubblici coinvolti, che si innestano su fallimenti di mercato (i.e. il sistema a rete non duplicabile), sia agli obiettivi di politica internazionale e di sicurezza nazionale, che intercettano delicate interrelazioni con l’ambiente e il clima, come tutelati nel Green Deal, nelle normative europee e nazionali e negli accordi internazionali sulla decarbonizzazione e sullo sviluppo sostenibile. Inoltre, la filiera elettrica è “verticalmente integrata”, cioè suddivisa in attività diverse, cioè la produzione, il dispacciamento, la trasmissione, la distribuzione, la vendita all’ingrosso e al dettaglio di energia. Queste sono esercitate in regimi di mercato differenti: monopolio naturale (dovuto al carattere sub-additivo dei costi) per il dispacciamento, la trasmissione e la distribuzione di energia; libera concorrenza per la produzione e la vendita. L’esigenza di assicurare la concorrenza nel mercato energetico si contempera con la necessità di rispettare gli obblighi di servizio pubblico, in un delicato bilanciamento tra esigenze contrapposte. La Direttiva U.E. del 13 luglio 2009 n. 2009/72/Cee, all’art. 3, qualifica infatti la fornitura di energia elettrica come un servizio universale, attribuendo agli utenti il diritto di ricevere la fornitura e di mantenere prezzi ragionevoli, facilmente e chiaramente comparabili, trasparenti e non discriminatori.