26 resultados para Théories de la quatrième dimension

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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Les recherches relatives à l'utilisation des TICE se concentrent fréquemment soit sur la dimension cognitive, sur la dimension linguistique ou sur la dimension culturelle. Le plus souvent, les recherches empiriques se proposent d'évaluer les effets directs des TICE sur les performances langagières des apprenants. En outre, les recherches, surtout en psychologie cognitive, sont le plus souvent effectuées en laboratoire. C'est pourquoi le travail présenté dans cette thèse se propose d'inscrire l'utilisation des TICE dans une perspective écologique, et de proposer une approche intégrée pour l'analyse des pratiques effectives aussi bien en didactique des langues qu'en didactique de la traduction. En ce qui concerne les aspects cognitifs, nous recourons à un concept apprécié des praticiens, celui de stratégies d'apprentissage. Les quatre premiers chapitres de la présente thèse sont consacrés à l'élaboration du cadre théorique dans lequel nous inscrivons notre recherche. Nous aborderons en premier lieu les aspects disciplinaires, et notamment l’interdisciplinarité de nos deux champs de référence. Ensuite nous traiterons les stratégies d'apprentissage et les stratégies de traduction. Dans un troisième mouvement, nous nous efforcerons de définir les deux compétences visées par notre recherche : la production écrite et la traduction. Dans un quatrième temps, nous nous intéresserons aux modifications introduites par les TICE dans les pratiques d'enseignement et d'apprentissage de ces deux compétences. Le cinquième chapitre a pour objet la présentation, l'analyse des données recueillies auprès de groupes d'enseignants et d'étudiants de la section de français de la SSLMIT. Il s’agira dans un premier temps, de présenter notre corpus. Ensuite nous procéderons à l’analyse des données. Enfin, nous présenterons, après une synthèse globale, des pistes didactiques et scientifiques à même de prolonger notre travail.

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L’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer – indubbiamente uno dei capisaldi del pensiero novecentesco – rappresenta una filosofia molto composita, sfaccettata e articolata, per così dire formata da una molteplicità di dimensioni diverse che si intrecciano l’una con l’altra. Ciò risulta evidente già da un semplice sguardo alla composizione interna della sua opera principale, Wahrheit und Methode (1960), nella quale si presenta una teoria del comprendere che prende in esame tre differenti dimensioni dell’esperienza umana – arte, storia e linguaggio – ovviamente concepite come fondamentalmente correlate tra loro. Ma questo quadro d’insieme si complica notevolmente non appena si prendano in esame perlomeno alcuni dei numerosi contributi che Gadamer ha scritto e pubblicato prima e dopo il suo opus magnum: contributi che testimoniano l’importante presenza nel suo pensiero di altre tematiche. Di tale complessità, però, non sempre gli interpreti di Gadamer hanno tenuto pienamente conto, visto che una gran parte dei contributi esegetici sul suo pensiero risultano essenzialmente incentrati sul capolavoro del 1960 (ed in particolare sui problemi della legittimazione delle Geisteswissenschaften), dedicando invece minore attenzione agli altri percorsi che egli ha seguito e, in particolare, alla dimensione propriamente etica e politica della sua filosofia ermeneutica. Inoltre, mi sembra che non sempre si sia prestata la giusta attenzione alla fondamentale unitarietà – da non confondere con una presunta “sistematicità”, da Gadamer esplicitamente respinta – che a dispetto dell’indubbia molteplicità ed eterogeneità del pensiero gadameriano comunque vige al suo interno. La mia tesi, dunque, è che estetica e scienze umane, filosofia del linguaggio e filosofia morale, dialogo con i Greci e confronto critico col pensiero moderno, considerazioni su problematiche antropologiche e riflessioni sulla nostra attualità sociopolitica e tecnoscientifica, rappresentino le diverse dimensioni di un solo pensiero, le quali in qualche modo vengono a convergere verso un unico centro. Un centro “unificante” che, a mio avviso, va individuato in quello che potremmo chiamare il disagio della modernità. In altre parole, mi sembra cioè che tutta la riflessione filosofica di Gadamer, in fondo, scaturisca dalla presa d’atto di una situazione di crisi o disagio nella quale si troverebbero oggi il nostro mondo e la nostra civiltà. Una crisi che, data la sua profondità e complessità, si è per così dire “ramificata” in molteplici direzioni, andando ad investire svariati ambiti dell’esistenza umana. Ambiti che pertanto vengono analizzati e indagati da Gadamer con occhio critico, cercando di far emergere i principali nodi problematici e, alla luce di ciò, di avanzare proposte alternative, rimedi, “correttivi” e possibili soluzioni. A partire da una tale comprensione di fondo, la mia ricerca si articola allora in tre grandi sezioni dedicate rispettivamente alla pars destruens dell’ermeneutica gadameriana (prima e seconda sezione) ed alla sua pars costruens (terza sezione). Nella prima sezione – intitolata Una fenomenologia della modernità: i molteplici sintomi della crisi – dopo aver evidenziato come buona parte della filosofia del Novecento sia stata dominata dall’idea di una crisi in cui verserebbe attualmente la civiltà occidentale, e come anche l’ermeneutica di Gadamer possa essere fatta rientrare in questo discorso filosofico di fondo, cerco di illustrare uno per volta quelli che, agli occhi del filosofo di Verità e metodo, rappresentano i principali sintomi della crisi attuale. Tali sintomi includono: le patologie socioeconomiche del nostro mondo “amministrato” e burocratizzato; l’indiscriminata espansione planetaria dello stile di vita occidentale a danno di altre culture; la crisi dei valori e delle certezze, con la concomitante diffusione di relativismo, scetticismo e nichilismo; la crescente incapacità a relazionarsi in maniera adeguata e significativa all’arte, alla poesia e alla cultura, sempre più degradate a mero entertainment; infine, le problematiche legate alla diffusione di armi di distruzione di massa, alla concreta possibilità di una catastrofe ecologica ed alle inquietanti prospettive dischiuse da alcune recenti scoperte scientifiche (soprattutto nell’ambito della genetica). Una volta delineato il profilo generale che Gadamer fornisce della nostra epoca, nella seconda sezione – intitolata Una diagnosi del disagio della modernità: il dilagare della razionalità strumentale tecnico-scientifica – cerco di mostrare come alla base di tutti questi fenomeni egli scorga fondamentalmente un’unica radice, coincidente peraltro a suo giudizio con l’origine stessa della modernità. Ossia, la nascita della scienza moderna ed il suo intrinseco legame con la tecnica e con una specifica forma di razionalità che Gadamer – facendo evidentemente riferimento a categorie interpretative elaborate da Max Weber, Martin Heidegger e dalla Scuola di Francoforte – definisce anche «razionalità strumentale» o «pensiero calcolante». A partire da una tale visione di fondo, cerco quindi di fornire un’analisi della concezione gadameriana della tecnoscienza, evidenziando al contempo alcuni aspetti, e cioè: primo, come l’ermeneutica filosofica di Gadamer non vada interpretata come una filosofia unilateralmente antiscientifica, bensì piuttosto come una filosofia antiscientista (il che naturalmente è qualcosa di ben diverso); secondo, come la sua ricostruzione della crisi della modernità non sfoci mai in una critica “totalizzante” della ragione, né in una filosofia della storia pessimistico-negativa incentrata sull’idea di un corso ineluttabile degli eventi guidato da una razionalità “irrazionale” e contaminata dalla brama di potere e di dominio; terzo, infine, come la filosofia di Gadamer – a dispetto delle inveterate interpretazioni che sono solite scorgervi un pensiero tradizionalista, autoritario e radicalmente anti-illuminista – non intenda affatto respingere l’illuminismo scientifico moderno tout court, né rinnegarne le più importanti conquiste, ma più semplicemente “correggerne” alcune tendenze e recuperare una nozione più ampia e comprensiva di ragione, in grado di render conto anche di quegli aspetti dell’esperienza umana che, agli occhi di una razionalità “limitata” come quella scientista, non possono che apparire come meri residui di irrazionalità. Dopo aver così esaminato nelle prime due sezioni quella che possiamo definire la pars destruens della filosofia di Gadamer, nella terza ed ultima sezione – intitolata Una terapia per la crisi della modernità: la riscoperta dell’esperienza e del sapere pratico – passo quindi ad esaminare la sua pars costruens, consistente a mio giudizio in un recupero critico di quello che egli chiama «un altro tipo di sapere». Ossia, in un tentativo di riabilitazione di tutte quelle forme pre- ed extra-scientifiche di sapere e di esperienza che Gadamer considera costitutive della «dimensione ermeneutica» dell’esistenza umana. La mia analisi della concezione gadameriana del Verstehen e dell’Erfahrung – in quanto forme di un «sapere pratico (praktisches Wissen)» differente in linea di principio da quello teorico e tecnico – conduce quindi ad un’interpretazione complessiva dell’ermeneutica filosofica come vera e propria filosofia pratica. Cioè, come uno sforzo di chiarificazione filosofica di quel sapere prescientifico, intersoggettivo e “di senso comune” effettivamente vigente nella sfera della nostra Lebenswelt e della nostra esistenza pratica. Ciò, infine, conduce anche inevitabilmente ad un’accentuazione dei risvolti etico-politici dell’ermeneutica di Gadamer. In particolare, cerco di esaminare la concezione gadameriana dell’etica – tenendo conto dei suoi rapporti con le dottrine morali di Platone, Aristotele, Kant e Hegel – e di delineare alla fine un profilo della sua ermeneutica filosofica come filosofia del dialogo, della solidarietà e della libertà.

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La ricerca si propone di definire le linee guida per la stesura di un Piano che si occupi di qualità della vita e di benessere. Il richiamo alla qualità e al benessere è positivamente innovativo, in quanto impone agli organi decisionali di sintonizzarsi con la soggettività attiva dei cittadini e, contemporaneamente, rende evidente la necessità di un approccio più ampio e trasversale al tema della città e di una più stretta relazione dei tecnici/esperti con i responsabili degli organismi politicoamministrativi. La ricerca vuole indagare i limiti dell’urbanistica moderna di fronte alla complessità di bisogni e di nuove necessità espresse dalle popolazioni urbane contemporanee. La domanda dei servizi è notevolmente cambiata rispetto a quella degli anni Sessanta, oltre che sul piano quantitativo anche e soprattutto sul piano qualitativo, a causa degli intervenuti cambiamenti sociali che hanno trasformato la città moderna non solo dal punto di vista strutturale ma anche dal punto di vista culturale: l’intermittenza della cittadinanza, per cui le città sono sempre più vissute e godute da cittadini del mondo (turisti e/o visitatori, temporaneamente presenti) e da cittadini diffusi (suburbani, provinciali, metropolitani); la radicale trasformazione della struttura familiare, per cui la famiglia-tipo costituita da una coppia con figli, solido riferimento per l’economia e la politica, è oggi minoritaria; l’irregolarità e flessibilità dei calendari, delle agende e dei ritmi di vita della popolazione attiva; la mobilità sociale, per cui gli individui hanno traiettorie di vita e pratiche quotidiane meno determinate dalle loro origini sociali di quanto avveniva nel passato; l’elevazione del livello di istruzione e quindi l’incremento della domanda di cultura; la crescita della popolazione anziana e la forte individualizzazione sociale hanno generato una domanda di città espressa dalla gente estremamente variegata ed eterogenea, frammentata e volatile, e per alcuni aspetti assolutamente nuova. Accanto a vecchie e consolidate richieste – la città efficiente, funzionale, produttiva, accessibile a tutti – sorgono nuove domande, ideali e bisogni che hanno come oggetto la bellezza, la varietà, la fruibilità, la sicurezza, la capacità di stupire e divertire, la sostenibilità, la ricerca di nuove identità, domande che esprimono il desiderio di vivere e di godere la città, di stare bene in città, domande che non possono essere più soddisfatte attraverso un’idea di welfare semplicemente basata sull’istruzione, la sanità, il sistema pensionistico e l’assistenza sociale. La città moderna ovvero l’idea moderna della città, organizzata solo sui concetti di ordine, regolarità, pulizia, uguaglianza e buon governo, è stata consegnata alla storia passata trasformandosi ora in qualcosa di assai diverso che facciamo fatica a rappresentare, a descrivere, a raccontare. La città contemporanea può essere rappresentata in molteplici modi, sia dal punto di vista urbanistico che dal punto di vista sociale: nella letteratura recente è evidente la difficoltà di definire e di racchiudere entro limiti certi l’oggetto “città” e la mancanza di un convincimento forte nell’interpretazione delle trasformazioni politiche, economiche e sociali che hanno investito la società e il mondo nel secolo scorso. La città contemporanea, al di là degli ambiti amministrativi, delle espansioni territoriali e degli assetti urbanistici, delle infrastrutture, della tecnologia, del funzionalismo e dei mercati globali, è anche luogo delle relazioni umane, rappresentazione dei rapporti tra gli individui e dello spazio urbano in cui queste relazioni si muovono. La città è sia concentrazione fisica di persone e di edifici, ma anche varietà di usi e di gruppi, densità di rapporti sociali; è il luogo in cui avvengono i processi di coesione o di esclusione sociale, luogo delle norme culturali che regolano i comportamenti, dell’identità che si esprime materialmente e simbolicamente nello spazio pubblico della vita cittadina. Per studiare la città contemporanea è necessario utilizzare un approccio nuovo, fatto di contaminazioni e saperi trasversali forniti da altre discipline, come la sociologia e le scienze umane, che pure contribuiscono a costruire l’immagine comunemente percepita della città e del territorio, del paesaggio e dell’ambiente. La rappresentazione del sociale urbano varia in base all’idea di cosa è, in un dato momento storico e in un dato contesto, una situazione di benessere delle persone. L’urbanistica moderna mirava al massimo benessere del singolo e della collettività e a modellarsi sulle “effettive necessità delle persone”: nei vecchi manuali di urbanistica compare come appendice al piano regolatore il “Piano dei servizi”, che comprende i servizi distribuiti sul territorio circostante, una sorta di “piano regolatore sociale”, per evitare quartieri separati per fasce di popolazione o per classi. Nella città contemporanea la globalizzazione, le nuove forme di marginalizzazione e di esclusione, l’avvento della cosiddetta “new economy”, la ridefinizione della base produttiva e del mercato del lavoro urbani sono espressione di una complessità sociale che può essere definita sulla base delle transazioni e gli scambi simbolici piuttosto che sui processi di industrializzazione e di modernizzazione verso cui era orientata la città storica, definita moderna. Tutto ciò costituisce quel complesso di questioni che attualmente viene definito “nuovo welfare”, in contrapposizione a quello essenzialmente basato sull’istruzione, sulla sanità, sul sistema pensionistico e sull’assistenza sociale. La ricerca ha quindi analizzato gli strumenti tradizionali della pianificazione e programmazione territoriale, nella loro dimensione operativa e istituzionale: la destinazione principale di tali strumenti consiste nella classificazione e nella sistemazione dei servizi e dei contenitori urbanistici. E’ chiaro, tuttavia, che per poter rispondere alla molteplice complessità di domande, bisogni e desideri espressi dalla società contemporanea le dotazioni effettive per “fare città” devono necessariamente superare i concetti di “standard” e di “zonizzazione”, che risultano essere troppo rigidi e quindi incapaci di adattarsi all’evoluzione di una domanda crescente di qualità e di servizi e allo stesso tempo inadeguati nella gestione del rapporto tra lo spazio domestico e lo spazio collettivo. In questo senso è rilevante il rapporto tra le tipologie abitative e la morfologia urbana e quindi anche l’ambiente intorno alla casa, che stabilisce il rapporto “dalla casa alla città”, perché è in questa dualità che si definisce il rapporto tra spazi privati e spazi pubblici e si contestualizzano i temi della strada, dei negozi, dei luoghi di incontro, degli accessi. Dopo la convergenza dalla scala urbana alla scala edilizia si passa quindi dalla scala edilizia a quella urbana, dal momento che il criterio del benessere attraversa le diverse scale dello spazio abitabile. Non solo, nei sistemi territoriali in cui si è raggiunto un benessere diffuso ed un alto livello di sviluppo economico è emersa la consapevolezza che il concetto stesso di benessere sia non più legato esclusivamente alla capacità di reddito collettiva e/o individuale: oggi la qualità della vita si misura in termini di qualità ambientale e sociale. Ecco dunque la necessità di uno strumento di conoscenza della città contemporanea, da allegare al Piano, in cui vengano definiti i criteri da osservare nella progettazione dello spazio urbano al fine di determinare la qualità e il benessere dell’ambiente costruito, inteso come benessere generalizzato, nel suo significato di “qualità dello star bene”. E’ evidente che per raggiungere tale livello di qualità e benessere è necessario provvedere al soddisfacimento da una parte degli aspetti macroscopici del funzionamento sociale e del tenore di vita attraverso gli indicatori di reddito, occupazione, povertà, criminalità, abitazione, istruzione, etc.; dall’altra dei bisogni primari, elementari e di base, e di quelli secondari, culturali e quindi mutevoli, trapassando dal welfare state allo star bene o well being personale, alla wellness in senso olistico, tutte espressioni di un desiderio di bellezza mentale e fisica e di un nuovo rapporto del corpo con l’ambiente, quindi manifestazione concreta di un’esigenza di ben-essere individuale e collettivo. Ed è questa esigenza, nuova e difficile, che crea la diffusa sensazione dell’inizio di una nuova stagione urbana, molto più di quanto facciano pensare le stesse modifiche fisiche della città.

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The experience of void, essential to the production of forms and to make use them, can be considered as the base of the activities that attend to the formative processes. If void and matter constitutes the basic substances of architecture. Their role in the definition of form, the symbolic value and the constructive methods of it defines the quality of the space. This job inquires the character of space in the architecture of Moneo interpreting the meaning of the void in the Basque culture through the reading of the form matrices in the work of Jorge Oteiza and Eduardo Chillida. In the tie with the Basque culture a reading key is characterized by concurring to put in relation some of the theoretical principles expressed by Moneo on the relationship between place and time, in an unique and specific vision of the space. In the analysis of the process that determines the genesis of the architecture of Moneo emerges a trajectory whose direction is constructed on two pivos: on the one hand architecture like instrument of appropriation of the place, gushed from an acquaintance process who leans itself to the reading of the relations that define the place and of the resonances through which measuring it, on the other hand the architecture whose character is able to represent and to extend the time in which he is conceived, through the autonomy that is conferred to them from values. Following the trace characterized from this hypothesis, that is supported on the theories elaborated from Moneo, surveying deepens the reading of the principles that construct the sculptural work of Oteiza and Chillida, features from a search around the topic of the void and to its expression through the form. It is instrumental to the definition of a specific area that concurs to interpret the character of the space subtended to a vision of the place and the time, affine to the sensibility of Moneo and in some way not stranger to its cultural formation. The years of the academic formation, during which Moneo enters in contact with the Basque artistic culture, seem to be an important period in the birth of that knowledge that will leads him to the formulation of theories tied to the relationship between time, place and architecture. The values expressed through the experimental work of Oteiza and Chillida during years '50 are valid bases to the understanding of such relationships. In tracing a profile of the figures of Oteiza and Chillida, without the pretension that it is exhaustive for the reading of the complex historical period in which they are placed, but with the needs to put the work in a context, I want to be evidenced the important role carried out from the two artists from the Basque cultural area within which Moneo moves its first steps. The tie that approaches Moneo to the Basque culture following the personal trajectory of the formative experience interlaces to that one of important figures of the art and the Spanish architecture. One of the more meaningful relationships is born just during the years of his academic formation, from 1958 to the 1961, when he works like student in the professional office of the architect Francisco Sáenz de Oiza, who was teaching architectural design at the ETSAM. In these years many figures of Basque artists alternated at the professional office of Oiza that enjoys the important support of the manufacturer and maecenas Juan Huarte Beaumont, introduced to he from Oteiza. The tie between Huarte and Oteiza is solid and continuous in the years and it realizes in a contribution to many of the initiatives that makes of Oteiza a forwarder of the Basque culture. In the four years of collaboration with Oiza, Moneo has the opportunity to keep in contact with an atmosphere permeated by a constant search in the field of the plastic art and with figures directly connected to such atmosphere. It’s of a period of great intensity as in the production like in the promotion of the Basque art. The collective “Blanco y Negro”, than is held in 1959 at the Galería Darro to Madrid, is only one of the many times of an exhibition of the work of Oteiza and Chillida. The end of the Fifties is a period of international acknowledgment for Chillida that for Oteiza. The decade of the Fifties consecrates the hypotheses of a mythical past of the Basque people through the spread of the studies carried out in the antecedent years. The archaeological discoveries that join to a context already rich of signs of the prehistoric era, consolidate the knowledge of a strong cultural identity. Oteiza, like Chillida and other contemporary artists, believe in a cosmogonist conception belonging to the Basques, connected to their matriarchal mythological past. The void in its meaning of absence, in the Basque culture, thus as in various archaic and oriental religions, is equivalent to the spiritual fullness as essential condition to the revealing of essence. Retracing the archaic origins of the Basque culture emerges the deep meaning that the void assumes as key element in the religious interpretation of the passage from the life to the death. The symbology becomes rich of meaningful characters who derive from the fact that it is a chthonic cult. A representation of earth like place in which divine manifest itself but also like connection between divine and human, and this manipulation of the matter of which the earth it is composed is the tangible projection of the continuous search of the man towards God. The search of equilibrium between empty and full, that characterizes also the development of the form in architecture, in the Basque culture assumes therefore a peculiar value that returns like constant in great part of the plastic expressions, than in this context seem to be privileged regarding the other expressive forms. Oteiza and Chillida develop two original points of view in the representation of the void through the form. Both use of rigorous systems of rules sensitive to the physics principles and the characters of the matter. The last aim of the Oteiza’s construction is the void like limit of the knowledge, like border between known and unknown. It doesn’t means to reduce the sculptural object to an only allusive dimension because the void as physical and spiritual power is an active void, that possesses that value able to reveal the being through the trace of un-being. The void in its transcendental manifestation acts at the same time from universal and from particular, like in the atomic structure of the matter, in which on one side it constitutes the inner structure of every atom and on the other one it is necessary condition to the interaction between all the atoms. The void can be seen therefore as the action field that concurs the relations between the forms but is also the necessary condition to the same existence of the form. In the construction of Chillida the void represents that counterpart structuring the matter, inborn in it, the element in absence of which wouldn’t be variations neither distinctive characters to define the phenomenal variety of the world. The physics laws become the subject of the sculptural representation, the void are the instrument that concurs to catch up the equilibrium. Chillida dedicate himself to experience the space through the senses, to perceive of the qualities, to tell the physics laws which forge the matter in the form and the form arranges the places. From the artistic experience of the two sculptors they can be transposed, to the architectonic work of Moneo, those matrices on which they have constructed their original lyric expressions, where the void is absolute protagonist. An ambit is defined thus within which the matrices form them drafts from the work of Oteiza and Chillida can be traced in the definition of the process of birth and construction of the architecture of Moneo, but also in the relation that the architecture establishes with the place and in the time. The void becomes instrument to read the space constructed in its relationships that determine the proportions, rhythms, and relations. In this way the void concurs to interpret the architectonic space and to read the value of it, the quality of the spaces constructing it. This because it’s like an instrument of the composition, whose role is to maintain to the separation between the elements putting in evidence the field of relations. The void is that instrument that serves to characterize the elements that are with in the composition, related between each other, but distinguished. The meaning of the void therefore pushes the interpretation of the architectonic composition on the game of the relations between the elements that, independent and distinguished, strengthen themselves in their identity. On the one hand if void, as measurable reality, concurs all the dimensional changes quantifying the relationships between the parts, on the other hand its dialectic connotation concurs to search the equilibrium that regulated such variations. Equilibrium that therefore does not represent an obtained state applying criteria setting up from arbitrary rules but that depends from the intimate nature of the matter and its embodiment in the form. The production of a form, or a formal system that can be finalized to the construction of a building, is indissolubly tied to the technique that is based on the acquaintance of the formal vocation of the matter, and what it also can representing, meaning, expresses itself in characterizing the site. For Moneo, in fact, the space defined from the architecture is above all a site, because the essence of the site is based on the construction. When Moneo speaks about “birth of the idea of plan” like essential moment in the construction process of the architecture, it refers to a process whose complexity cannot be born other than from a deepened acquaintance of the site that leads to the comprehension of its specificity. Specificity arise from the infinite sum of relations, than for Moneo is the story of the oneness of a site, of its history, of the cultural identity and of the dimensional characters that that they are tied to it beyond that to the physical characteristics of the site. This vision is leaned to a solid made physical structure of perceptions, of distances, guideline and references that then make that the process is first of all acquaintance, appropriation. Appropriation that however does not happen for directed consequence because does not exist a relationship of cause and effect between place and architecture, thus as an univocal and exclusive way does not exist to arrive to a representation of an idea. An approach that, through the construction of the place where the architecture acquires its being, searches an expression of its sense of the truth. The proposal of a distinction for areas like space, matter, spirit and time, answering to the issues that scan the topics of the planning search of Moneo, concurs a more immediate reading of the systems subtended to the composition principles, through which is related the recurrent architectonic elements in its planning dictionary. From the dialectic between the opposites that is expressed in the duality of the form, through the definition of a complex element that can mediate between inside and outside as a real system of exchange, Moneo experiences the form development of the building deepening the relations that the volume establishes in the site. From time to time the invention of a system used to answer to the needs of the program and to resolve the dual character of the construction in an only gesture, involves a deep acquaintance of the professional practice. The technical aspect is the essential support to which the construction of the system is indissolubly tied. What therefore arouses interest is the search of the criteria and the way to construct that can reveal essential aspects of the being of the things. The constructive process demands, in fact, the acquaintance of the formative properties of the matter. Property from which the reflections gush on the relations that can be born around the architecture through the resonance produced from the forms. The void, in fact, through the form is in a position to constructing the site establishing a reciprocity relation. A reciprocity that is determined in the game between empty and full and of the forms between each other, regarding around, but also with regard to the subjective experience. The construction of a background used to amplify what is arranged on it and to clearly show the relations between the parts and at the same time able to tie itself with around opening the space of the vision, is a system that in the architecture of Moneo has one of its more effective applications in the use of the platform used like architectonic element. The spiritual force of this architectonic gesture is in the ability to define a place whose projecting intention is perceived and shared with who experience and has lived like some instrument to contact the cosmic forces, in a delicate process that lead to the equilibrium with them, but in completely physical way. The principles subtended to the construction of the form taken from the study of the void and the relations that it concurs, lead to express human values in the construction of the site. The validity of these principles however is tested from the time. The time is what Moneo considers as filter that every architecture is subordinate to and the survival of architecture, or any of its formal characters, reveals them the validity of the principles that have determined it. It manifests thus, in the tie between the spatial and spiritual dimension, between the material and the worldly dimension, the state of necessity that leads, in the construction of the architecture, to establish a contact with the forces of the universe and the intimate world, through a process that translate that necessity in elaboration of a formal system.

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ABSTRACT: The dimension stone qualification through the use of non-destructive tests (NDT) is a relevant research topic for the industrial characterisation of finite products, because the competition of low-costs products can be sustained by an offer of highqualification and a top-guarantee products. The synthesis of potentialities offered by the NDT is the qualification and guarantee similar to the well known agro-industrial PDO, Protected Denomination of Origin. In fact it is possible to guarantee both, the origin and the quality of each stone product element, even through a Factory Production Control on line. A specific disciplinary is needed. A research developed at DICMA-Univ. Bologna in the frame of the “OSMATER” INTERREG project, allowed identifying good correlations between destructive and non-destructive tests for some types of materials from Verbano-Cusio-Ossola region. For example non conventional ultrasonic tests, image analysis parameters, water absorption and other measurements showed to be well correlated with the bending resistance, by relationships varying for each product. In conclusion it has been demonstrated that a nondestructive approach allows reaching several goals, among the most important: 1) the identification of materials; 2) the selection of products; 3) the substitution of DT by NDT. Now it is necessary to move from a research phase to the industrial implementation, as well as to develop new ND technologies focused on specific aims.

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This study concerns the representation of space in Caribbean literature, both francophone and Anglophone and, in particular, but not only, in the martinican literature, in the works of the authors born in the island. The analysis focus on the second half of the last century, a period in which the martinican production of novels and romances increased considerably, and where the representation and the rule of space had a relevant place. So, the thesis explores the literary modalities of this representation. The work is constituted of 5 chapters and the critical and methodological approaches are both of an analytical and comparative type. The first chapter “The caribbean space: geography, history and society” presents the geographic context, through an analysis of the historical and political major events occurred in the Caribbean archipelago, in particular of the French Antilles, from the first colonization until the départementalisation. The first paragraph “The colonized space: historical-political excursus” the explores the history of the European colonization that marked forever the theatre of the relationship between Europe, Africa and the New World. This social situation take a long and complex process of “Re-appropriation and renegotiation of the space”, (second paragraph) always the space of the Other, that interest both the Antillean society and the writers’ universe. So, a series of questions take place in the third paragraph “Landscape and identity”: what is the function of space in the process of identity construction? What are the literary forms and representations of space in the Caribbean context? Could the writing be a tool of cultural identity definition, both individual and collective? The second chapter “The literary representation of the Antillean space” is a methodological analysis of the notions of literary space and descriptive gender. The first paragraph “The literary space of and in the novel” is an excursus of the theory of such critics like Blanchot, Bachelard, Genette and Greimas, and in particular the recent innovation of the 20th century; the second one “Space of the Antilles, space of the writing” is an attempt to apply this theory to the Antillean literary space. Finally the last paragraph “Signs on the page: the symbolic places of the antillean novel landscape” presents an inventory of the most recurrent antillean places (mornes, ravines, traces, cachots, En-ville,…), symbols of the history and the past, described in literary works, but according to new modalities of representation. The third chapter, the core of the thesis, “Re-drawing the map of the French Antilles” focused the study of space representation on francophone literature, in particular on a selected works of four martinican writers, like Roland Brival, Édouard Glissant, Patrick Chamoiseau and Raphaël Confiant. Through this section, a spatial evolution comes out step by step, from the first to the second paragraph, whose titles are linked together “The novel space evolution: from the forest of the morne… to the jungle of the ville”. The virgin and uncontaminated space of the Antilles, prior to the colonisation, where the Indios lived in harmony with the nature, find a representation in both works of Brival (Le sang du roucou, Le dernier des Aloukous) and of Glissant (Le Quatrième siècle, Ormerod). The arrival of the European colonizer brings a violent and sudden metamorphosis of the originary space and landscape, together with the traditions and culture of the Caraïbes population. These radical changes are visible in the works of Chamoiseau (Chronique des sept misères, Texaco, L’esclave vieil homme et le molosse, Livret des villes du deuxième monde, Un dimanche au cachot) and Confiant (Le Nègre et l’Amiral, Eau de Café, Ravines du devant-jour, Nègre marron) that explore the urban space of the creole En-ville. The fourth chapter represents the “2nd step: the Anglophone novel space” in the exploration of literary representation of space, through an analytical study of the works of three Anglophone writers, the 19th century Lafcadio Hearn (A Midsummer Trip To the West Indies, Two Years in the French West Indies, Youma) and the contemporary authors Derek Walcott (Omeros, Map of the New World, What the Twilight says) and Edward Kamau Brathwaite (The Arrivants: A New World Trilogy). The Anglophone voice of the Caribbean archipelago brings a very interesting contribution to the critical idea of a spatial evolution in the literary representation of space, started with francophone production: “The spatial evolution goes on: from the Martiniques Sketches of Hearn… to the modern bards of Caribbean archipelago” is the new linked title of the two paragraphs. The fifth chapter “Extended look, space shared: the Caribbean archipelago” is a comparative analysis of the results achieved in the prior sections, through a dialogue between all the texts in the first paragraph “Francophone and Anglophone representation of space compared: differences and analogies”. The last paragraph instead is an attempt of re-negotiate the conventional notions of space and place, from a geographical and physical meaning, to the new concept of “commonplace”, not synonym of prejudice, but “common place” of sharing and dialogue. The question sets in the last paragraph “The “commonplaces” of the physical and mental map of the Caribbean archipelago: toward a non-place?” contains the critical idea of the entire thesis.

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Abstract Il tema delle infrastrutture, intese come parte dell’architettura dello spazio urbano e del territorio, assume un ruolo centrale in molti progetti contemporanei e costituisce la ragione di questa ricerca. E’ preso in esame, in particolare, il tracciato extraurbano della via Emilia, antica strada consolare romana la cui definizione risale al II sec. a.C., nel tratto compreso tra le città di Rimini e Forlì. Studiare la strada nel suo rapporto con il territorio locale ha significato in primo luogo prendere in considerazione la via Emilia in quanto manufatto, ma anche in quanto percorso che si compie nel tempo. Si è dunque cercato di mostrare come, in parallelo all’evoluzione della sua sezione e della geometria del suo tracciato, sia cambiata anche la sua fruizione, e come si sia evoluto il modo in cui la strada viene “misurata”, denominata e gestita. All’interno di una riflessione critica sulla forma e sul ruolo della strada nel corso dei secoli la Tesi rilegge il territorio nella sua dimensione di “palinsesto”, riconoscendo e isolando alcuni momenti in cui la via Emilia ha assunto un valore “simbolico” che rimanda alla Roma imperiale. La perdita del significato via Emilia, intesa come elemento di “costruzione” del territorio, ha origine con il processo di urbanizzazione diffusa che ha investito il territorio extraurbano a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. La condizione attuale della strada, sempre più congestionata dal traffico veicolare, costituisce la premesse per una riflessione sul futuro della sua forma e degli insediamenti che attraversa. La strategia proposta dagli Enti locali che prevede il raddoppio della strada, con la costruzione della via Emilia Bis, non garantisce solo un potenziamento infrastrutturale ma rappresenta l’occasione per sottrarre al tracciato attuale la funzione di principale asse di comunicazione extraurbana. La via Emilia potrebbe così recuperare il ruolo di itinerario narrativo, attraverso la configurazione dei suoi spazi collettivi, l’architettura dei suoi edifici, il significato dei suoi monumenti, e diventare spazio privilegiato di relazione e di aggregazione. The theme of urban infrastructures, thought as part of the design of urban space and territory, has a central role in several contemporary projects and is the reason of this research. The object of the study is the extra urban route of the via Emilia, an ancient roman road which has been defined in the II century b. C., in its stretch between the cities of Rimini and Forlì. Studying the road in its relationship with the local environment has meant first of all considering the via Emilia as an “artefact” but also as a path that takes place over time. The aim of this research was also to demonstrate how its fruition has changed together with the evolution of the section and geometry of the route, and how the road itself is measured, named and managed. Within a critical approach on the shape and on the role played by the road through the centuries, this Essay reinterprets the territory in its dimension of “palimpsest”, identifying and isolating some periods of time when the via Emilia assumed a symbolic value which recalls the Imperial Rome. The loss of the meaning of the via Emilia, intended as an element that “constitutes” the territory originates from a process of diffused urbanization, which spread in the extra urban environment from the end of the second world war. The actual condition of the road, more and more congested by traffic, is the premise of a reflection about the future of its shape and of the settlements alongside. The strategy proposed by the local authorities, that foresees to double the size of the road, building the via Emilia Bis, not only guarantees an infrastructural enhancement but also it represents an opportunity to take off from the road itself the current function of being the principal axis of extra urban connection. In this way the via Emilia could regain its role as a narrative itinerary, through the configuration of its public spaces, the architecture of its buildings, the meaning of its monuments, and then become a privileged space of relationship and aggregation.

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Questa tesi ricostruisce la storia della giurisprudenza italiana che ha riguardato la legittimità o meno dell’impiego della diagnosi genetica preimpianto nell’ambito della procreazione medicalmente assistita, dall’emanazione della legge 40 del 2004 a tutt’oggi. Ed in particolare questa tesi si prefigge due obiettivi: uno, individuare ed illustrare le tipologie di argomenti utilizzati dal giurista-interprete per giudicare della legittimità o meno della pratica della diagnosi preimpianto degli embrioni prodotti, mediante le tecniche relative alla procreazione assistita; l’altro obiettivo, mostrare sia lo scontro fra i differenti argomenti, sia le ragioni per le quali prevalgono gli argomenti usati per legittimare la pratica della diagnosi preimpianto. Per raggiungere questi obiettivi, e per mostrare in maniera fenomenologica come avviene l’interpretazione giuridica in materia di diagnosi preimpianto, si è fatto principalmente riferimento alla visione che ha della detta interpretazione la prospettiva ermeneutica (concepita originariamente sul piano teoretico, quale ermeneutica filosofica, da H.G. Gadamer; divulgata ed approfondita sul piano giusfilosofico e della teoria dell’interpretazione giudica in Italia, fra gli altri, da F. Viola e G. Zaccaria). Così, in considerazione dei vari argomenti utilizzati per valutare la legittimità o meno della pratica della diagnosi preimpianto, i motivi per i quali in ultimo il giurista-interprete per giudicare ragionevolmente, deve ritenere legittima la pratica della diagnosi preimpianto sono i seguenti. I principi superiori dell’ordinamento e talune direttive giuridiche fondamentali dell’ordinamento, elaborate della giurisprudenza, le quali costituiscono la concretizzazione di detti principi e di una serie di disposizioni normative fondamentali per disciplinare il fenomeno procreativo, depongono per la legittimità della diagnosi preimpianto. Le tipologie degli argomenti impiegati per avallare la legittimità della diagnosi preimpianto attengono al tradizionale repertorio argomentativo a cui attinge il giurista, mentre la stessa cosa non si può dire per gli argomenti usati per negare la legittimità della diagnosi. Talune tipologie di argomenti utilizzate per negare la legittimità della diagnosi preimpianto costituiscono delle fallacie logiche, per esempio l’argomento del pendio scivoloso, e soprattutto le tipologie degli argomenti utilizzati per sostenere la legittimità della diagnosi preimpianto sono per lo più caratterizzate dalla ragionevolezza ed applicate per lo più opportunamente. Poi, si può osservare che: determinati argomenti, associati dal giurista-interprete ai principi i quali depongono per l’illegittimità della diagnosi preimpianto, facendo leva sulla categoria della possibilità, ed equiparando attualità e possibilità, privilegiano l’immaginazione alla realtà e portano a risultati interpretativi non razionalmente fondati; mentre gli argomenti associati dal giurista-interprete ai principi i quali depongono per la legittimità della diagnosi preimpianto, facendo leva sulla categoria della attualità, e tenendo ben distinte attualità e possibilità, privilegiano l’osservazione della realtà e portano a risultati razionalmente fondati.

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The importance of organizational issues to assess the success of international development project has not been fully considered yet. After a brief overview, in 1st chapter, on main actors involved on international cooperation, in the 2nd chapter an analysis of the literature on the project success definition, focused on the success criteria and success factors, was carried out by surveying the contribution of different authors and approaches. Traditionally projects were perceived as successful when they met time, budget and performance goals, assuming a basic similarity among projects (universalistic approach). However, starting from a non-universalistic approach, the importance of organization’s effectiveness, in terms of Relations Sustainability, emerged as a dimension able to define and assess a project success. The identification of the factors influencing the relationship between and inside the organizations becomes consequently a priority. In 3th chapter, starting from a literature survey, the different analytical approaches related to the inter and intra-organization relationships are analysed. They involve two different groups: the first includes studies focused on the type of organizations relationship structure (Supply Chains, Networks, Clusters and Industrial Districts); the second group includes approaches related to the general theories on firms relationship interpretation (Transaction Costs Economics, Resource Based View, Organization Theory). The variables and logical frameworks provided by these different theoretical contributions are compared and classified in order to find out possible connections and/or juxtapositions. Being an exhaustive collection of the literature on the subject is impossible, the main goal is to underline the existence of potentially overlapping and/or integrating approaches examining the contribution provided by different representative authors. The survey showed first of all many variables in common between approaches coming from different disciplines; furthermore the non overlapping variables can be integrated contributing to a broader picture of the variables influencing the organization relations; in particular a theoretical design for the identification of connections between the inter and the intra-organizations relations was made possible. The results obtained in 3th chapter help to defining a general theoretical framework linking the different interpretative variables. Based on extensive research contributions on the factors influencing the relations between organizations, the 4th chapter expands the analysis of the influence of variables like Human Resource Management, Organizational Climate, Psychological Contract and KSA (Knowledge, Skills, Abilities) on the relation sustainability. A detailed analysis of these relations is provided and a research hypothesis are built. According to this new framework in 5th chapter a statistical analysis was performed to qualify and quantify the influence of Organizational Climate on the Relations Sustainability. To this end the Structural Equation Modeling (SEMs) has adopted as method for the definition of the latent variables and the measure of their relations. The results obtained are satisfactory. An effective strategy to motivate the respondents to participate in the survey seems to be at the moment one of the major obstacles to the analysis implementation since the organizational performances are not specifically required by the projects’ evaluation guidelines and they represent an increase in the project related transaction costs. Their explicit introduction in the project presentation guidelines should be explored as an opportunity to increase the chances of success of these projects.

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The contemporary media landscape is characterized by the emergence of hybrid forms of digital communication that contribute to the ongoing redefinition of our societies cultural context. An incontrovertible consequence of this phenomenon is the new public dimension that characterizes the transmission of historical knowledge in the twenty-first century. Awareness of this new epistemic scenario has led us to reflect on the following methodological questions: what strategies should be created to establish a communication system, based on new technology, that is scientifically rigorous, but at the same time engaging for the visitors of museums and Internet users? How does a comparative analysis of ancient documentary sources form a solid base of information for the virtual reconstruction of thirteenth century Bologna in the Metaverse? What benefits can the phenomenon of cross-mediality give to the virtual heritage? The implementation of a new version of the Nu.M.E. project allowed for answering many of these instances. The investigation carried out between 2008 and 2010 has shown that, indeed, real-time 3D graphics and collaborative virtual environments can be feasible tools for representing philologically the urban medieval landscape and for communicating properly validated historical data to the general public. This research is focused on the study and implementation of a pipeline that permits mass communication of historical information about an area of vital importance in late medieval Bologna: Piazza di Porta Ravegnana. The originality of the developed project is not limited solely to the methodological dimension of historical research. Adopted technological perspective is an excellent example of innovation that digital technologies can bring to the cultural heritage. The main result of this research is the creation of Nu.ME 2010, a cross-media system of 3D real-time visualization based on some of the most advanced free software and open source technologies available today free of charge.

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This thesis was carried out in the context of a co-tutoring program between Centro Ceramico Bologna (Italy) and Instituto di Tecnologia Ceramica, Castellón de la Plana (Spain). The subject of the thesis is the synthesis of silver nanoparticles and at their likely decorative application in the productive process of porcelain ceramic tiles. Silver nanoparticles were chosen as a case study, because metal nanoparticles are thermally stable, and they have non-linear optical properties when nano-structured, and therefore they develop saturated colours. The nanoparticles were synthesized by chemical reduction in aqueous solution, a method chosen because of its reduced working steps and energy costs. Besides such a synthesis method uses non-expensive and non-toxic raw material. By adopting this synthesis technique, it was also possible to control the dimension and the final shape of the nanoparticles. Several syntheses were carried out during the research work, modifying the molecular weight of the reducing agent and/or the firing temperature, in order to evaluate the influence such parameters have on the Ag-nanoparticles formation. The syntheses were monitored with the use of UV-Vis spectroscopy and the average dimension as well as the morphology of the nanoparticles was analysed by SEM. From the spectroscopic data obtained from each synthesis, a kinetic study was completed, relating the progress of the reaction to the two variables (ie temperature and molecular weight of the reducing agent). The aim was finding equations that allow the establishing of a relationship between the operating conditions during the synthesis and the characteristics of the final product. The next step was finding the best method of synthesis for the decorative application. For such a purpose the amount of nanoparticles, their average particle size, the shape and the agglomeration are considered. An aqueous suspension containing the nanoparticles is then sprayed over the fired ceramic tiles and they are subsequently thermally treated in conditions similar to the industrial one. The colorimetric parameters of the obtained ceramic tiles were studied and the method proved successful, giving the ceramic tiles stable and intense colours.

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La specificità dell'acquisizione di contenuti attraverso le interfacce digitali condanna l'agente epistemico a un'interazione frammentata, insufficiente da un punto di vista computazionale, mnemonico e temporale, rispetto alla mole informazionale oggi accessibile attraverso una qualunque implementazione della relazione uomo-computer, e invalida l'applicabilità del modello standard di conoscenza, come credenza vera e giustificata, sconfessando il concetto di credenza razionalmente fondata, per formare la quale, sarebbe invece richiesto all'agente di poter disporre appunto di risorse concettuali, computazionali e temporali inaccessibili. La conseguenza è che l'agente, vincolato dalle limitazioni ontologiche tipiche dell'interazione con le interfacce culturali, si vede costretto a ripiegare su processi ambigui, arbitrari e spesso più casuali di quanto creda, di selezione e gestione delle informazioni che danno origine a veri e propri ibridi (alla Latour) epistemologici, fatti di sensazioni e output di programmi, credenze non fondate e bit di testimonianze indirette e di tutta una serie di relazioni umano-digitali che danno adito a rifuggire in una dimensione trascendente che trova nel sacro il suo più immediato ambito di attuazione. Tutto ciò premesso, il presente lavoro si occupa di costruire un nuovo paradigma epistemologico di conoscenza proposizionale ottenibile attraverso un'interfaccia digitale di acquisizione di contenuti, fondato sul nuovo concetto di Tracciatura Digitale, definito come un un processo di acquisizione digitale di un insieme di tracce, ossia meta-informazioni di natura testimoniale. Tale dispositivo, una volta riconosciuto come un processo di comunicazione di contenuti, si baserà sulla ricerca e selezione di meta-informazioni, cioè tracce, che consentiranno l'implementazione di approcci derivati dall'analisi decisionale in condizioni di razionalità limitata, approcci che, oltre ad essere quasi mai utilizzati in tale ambito, sono ontologicamente predisposti per una gestione dell'incertezza quale quella riscontrabile nell'istanziazione dell'ibrido informazionale e che, in determinate condizioni, potranno garantire l'agente sulla bontà epistemica del contenuto acquisito.

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Nei processi di progettazione e produzione tramite tecnologie di colata di componenti in alluminio ad elevate prestazioni, risulta fondamentale poter prevedere la presenza e la quantità di difetti correlabili a design non corretti e a determinate condizioni di processo. Fra le difettologie più comuni di un getto in alluminio, le porosità con dimensioni di decine o centinaia di m, note come microporosità, hanno un impatto estremamente negativo sulle caratteristiche meccaniche, sia statiche che a fatica. In questo lavoro, dopo un’adeguata analisi bibliografica, sono state progettate e messe a punto attrezzature e procedure sperimentali che permettessero la produzione di materiale a difettologia e microstruttura differenziata, a partire da condizioni di processo note ed accuratamente misurabili, che riproducessero la variabilità delle stesse nell’ambito della reale produzione di componenti fusi. Tutte le attività di progettazione delle sperimentazioni, sono state coadiuvate dall’ausilio di software di simulazione del processo fusorio che hanno a loro volta beneficiato di tarature e validazioni sperimentali ad hoc. L’apparato sperimentale ha dimostrato la propria efficacia nella produzione di materiale a microstruttura e difettologia differenziata, in maniera robusta e ripetibile. Utilizzando i risultati sperimentali ottenuti, si è svolta la validazione di un modello numerico di previsione delle porosità da ritiro e gas, ritenuto ad oggi allo stato dell’arte e già implementato in alcuni codici commerciali di simulazione del processo fusorio. I risultati numerici e sperimentali, una volta comparati, hanno evidenziato una buona accuratezza del modello numerico nella previsione delle difettologie sia in termini di ordini di grandezza che di gradienti della porosità nei getti realizzati.

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Ce travail est une analyse de la représentation du pathétique masculin dans le roman dit sentimental dans la deuxième moitié du dix-huitième siècle en Europe, ou plutôt dans les littératures anglaise, française, allemande et italienne. La thèse soutenue est celle de la dérivation du pathétique romanesque de l’âge des Lumières des pratiques de prédication religieuse du siècle précédent et donc de la valeur normative du roman sentimental à ses débuts : celui-ci aurait relayé le rôle des manuels de conduite des siècles précédents et se serait posé comme un répertoire d’exempla comportementaux adaptés aux différentes situations de la vie. Nous avons suivi les évolutions historiques du genre à travers l’analyse thématique du motif des larmes masculines. Pour ce faire, nous avons examiné la complexe proxémique de représentation de l’émotion et la diégèse qui en résulte, qui peut être nuancée, selon une terminologie récente, en pathétique attendrissant, sentimental et spectaculaire. Cela a entraîne la prise en compte de diverses formes artistiques, de la peinture au théâtre. La méthodologie utilisé conjugue l’histoire des idées et l’étude des formes de l’imaginaire, le pathétique appartenant au domaine de la philosophie autant qu’à celui de la représentation artistique : le concept glisse au dix-huitième siècle du champ rhétorique et stylistique à une dimension esthétique et anthropologique. Le travail a donc été divisé en trois grandes parties qui analysent les trois dimensions anthropologiques fondamentales : l’imaginaire religieux et l’héritage des anciens, c’est–à-dire le rapport que l’époque établit avec la tradition culturelle qui la précède ; l’imaginaire amoureux, qui se concentre sur les rapports entre les deux sexes et sur la « féminisation » du héros romanesque sentimental ; l’imaginaire familial, qui aborde les conséquences de ce changement dans la représentation de la masculinité au sein de la représentation de la famille et des rapports intergénérationnels.

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Conformemente ai trattati, l'UE sviluppa una politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà e sul rispetto dei diritti fondamentali e, a tal fine, avvia relazioni strategiche con i Paesi terzi e le Organizzazioni internazionali. Un fenomeno “senza frontiere”, quale quello migratorio, esige del resto un'azione coerente e coordinata sia sul piano interno sia su quello esterno. La messa in atto di quest'ultima, tuttavia, si scontra con difficoltà di rilievo. Innanzitutto, l'UE e i suoi Stati membri devono creare i presupposti per l'avvio della collaborazione internazionale, vale a dire stimolare la fiducia reciproca con i Paesi terzi, rafforzando la propria credibilità internazionale. A tal fine, le istituzioni, gli organi e gli organismi dell'UE e gli Stati membri devono impegnarsi a fornire un modello coerente di promozione dei valori fondanti, quali la solidarietà e il rispetto dei diritti fondamentali, nonché a coordinare le proprie iniziative, per individuare, insieme ai Paesi terzi e alle Organizzazioni internazionali, una strategia d'azione comune. In secondo luogo, l'UE e gli Stati membri devono adottare soluzioni volte a promuovere l'efficacia della collaborazione internazionale e, più precisamente, assicurare che la competenza esterna sia esercitata dal livello di governo in grado di apportare il valore aggiunto e utilizzare la forma collaborativa di volta in volta più adeguata alla realizzazione degli obiettivi previsti. In definitiva, l'azione esterna dell'UE in materia di politica migratoria necessita di una strategia coerente e flessibile. Se oggi la coerenza è garantita dalla giustiziabilità dei principi di solidarietà, di rispetto dei diritti fondamentali e, giustappunto, di coerenza, la flessibilità si traduce nel criterio del valore aggiunto che, letto in combinato disposto con il principio di leale cooperazione, si pone al centro del nuovo modello partenariale proposto dall'approccio globale, potenzialmente idoneo a garantire la gestione efficace del fenomeno migratorio.