8 resultados para TEORÍA DEL TEATRO
em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna
Resumo:
INTRODUZIONE. Presentazione della ricerca e del metedo seguito per realizzarla. CAPITOLO PRIMO. Il contesto storico, politico e sociale di riferimento. - Storia della Siria, - La Siria politica e il conflitto israelo-palestinese - La società siriana: multiculturalismo, tradizione, islam. - Teatro e letteratura in Siria, e nel Bilad AlSham. CAPITOLO SECONDO. I testi. Traduzione integrale di due opere teatrali di Sa’d Allah Wannus. Breve presentazione. - “ Riti di segni e trasformazioni.”, (tukus al-isharat wa-l-tahawwulat), 1994. Il dramma si svolge nella Damasco del XIX secolo, dove un affare di morale e buon costume è il punto di partenza per la metamorfosi dei suoi protagonisti, mettendo a nudo le riflessioni, i desideri più intimi, le contraddizioni e le angosce di una società in crisi. Interessante l’analisi delle figure femminili di questa piece, le loro scelte, il loro ruolo nella società e soprattutto la presa di coscienza delle loro posizioni. - “ I giorni ubriachi.” , (Alayyam Almakhmura), 1997. Il ritratto di una famiglia siriana degli anni trenta. Due genitori, quattro figli, e un nipote che a distanza di anni decide di ripercorrere e raccontarci le loro storie.Una madre che vive tormentata dal suo spettro e che decide di abbandonare la propria famiglia e i propri figli per seguire un altro uomo. Un padre che tiene con violenza le redini delle proprie relazioni, e che rifiuta l’occidente in tutte le sue forme per restare aggrappato alle proprie tradizioni. Un figlio che sceglie l’ordine e la carriera militare, e che, incapace di risolvere il suo rapporto di dipendenza dalla madre, e di risolvere il conflitto tra la legge e un affetto quasi morboso, sceglie di suicidarsi. Un figlio che sceglie la via della perdizione, delle droghe, del furto e degli affari illegali, e che va incontro al successo e alla ricchezza... CAPITOLO TERZO. Biografia di Sa’d Allah Wannus, presentazione delle sue opere principali. Sa’d Allah Wannus (1941 – 1997) è sicuramente uno dei principali protagonisti nell’ambito del teatro arabo contemporaneo. Scrittore, critico, drammaturgo, riformatore, uomo impegnato politicamente, e infine essere umano nella lotta tra la vita e la morte (muore a 56 anni per tumore, dopo un lungo periodo di degenza). Mio intento è quello di analizzare l’opera di quest’autore, attraverso i suoi numerosi scritti e piece teatrali (purtroppo al giorno d’oggi ancora quasi interamente non tradotte dall’arabo), fino ad arrivare, attraverso queste, ad una lettura della società araba contemporanea, e al ruolo che il teatro assume al suo interno. Vita e opere di Sa’ad Allah Wannus. Nasce in Siria nel 1941 in un piccolo villaggio vicino alla città di Tartous, sulla costa mediterranea. Dopo aver terminato gli studi superiori, nel 1959, parte per Il Cairo (Egitto), per studiare giornalismo e letteratura. Rientra a Damasco nel 1964, lavorando al tempo stesso come funzionario al ministero della cultura e come redattore o giornalista in alcune riviste e quotidiani siriani. Nel 1966 parte per Parigi, dove studierà con Jean-Louis Barrault, e dove farà la conoscenza delle tendenze del teatro contemporaneo. Ha l’occasione di incontrare scrittori e critici importanti come Jean Genet e Bernard Dort, nonché di conoscere le teorie sul teatro di Brech e di Piscator, dai quali sarà chiaramente influenzato. In questi anni, e soprattutto in seguito agli avvenimenti del Maggio 1968, si sviluppa in modo determinante la sua coscienza politica, e sono questi gli anni in cui compone alcune tra le sue piece più importanti, come: Serata di gala per il 5 giugno (haflat samar min ajl khamsa huzayran) nel 1968, L’elefante, oh re del tempo! (al-fil, ya malik al-zaman!) 1969, Le avventure della testa del Mamelucco Jaber (Meghamarat ra’s al-mamluk Jabiir) 1970, Una serata con Abu-Khalil al- Qabbani (Sahra ma’a Abi Khalil Al-Qabbani) 1972, Il re è il re (al-malik uwa al-malik) 1977. Parallelamente porta avanti una intensa attività artistica e intellettuale. Soggiorna di nuovo in Francia e a Weimar, per portare a termine la sua formazione teatrale, fonda il Festival di teatro di Damasco, traduce e mette in scena numerosi spettacoli, scrive e pubblica numerosi articoli e una importante serie di studi sul teatro, intitolata: Manifesto per un nuovo teatro arabo (bayanat limasrah ‘arabi jadid) (1970). Scrive in numerose riviste e giornali e fonda la rivista La vita teatrale (al-hayyat al-masrahiyya), del quale sarà capo redattore. La visita del presidente egiziano Anouar Sadat a Gerusalemme nel 1977 e gli accordi di Camp David l’anno seguente, lo gettano in una profonda depressione. E’ l’inizio di un lungo periodo di silenzio e di smarrimento. Ritornerà a scrivere solamente nel 1989, con l’inizio della prima Intifada palestinese, scrive allora una piece teatrale intitolata Lo stupro (al-ightisab), dove presenta un’analisi della struttura dell’elite al potere in Israele. Questo testo apre una nuova epoca creativa, durante la quale Wannus compone alcuni testi molto importanti, nonostante la malattia e il cancro che gli viene diagnosticato nel 1992. Tra questi le pieces Miniature storiche (munamnamat tarakhiyya), nel 1993, e Rituali per una metamorfosi (tukus al-isharat wa-l-tahawwulat), nel 1994 e A proposito della memoria e della morte (‘an al-dhakira wa-l-mawt) nel 1996, una sua ultima opera in cui sono raccolti dei racconti, drammi brevi e una lunga meditazione sulla malattia e la morte. Nel 1997 l’UNESCO gli chiede di redigere il messaggio per la Giornata Mondiale del Teatro, che si tiene ogni anno il 27 marzo. Nel 1997, poche settimane prima della sua scomparsa, realizza insieme ad Omar Almiralay il film documentario Il y a tant de choses a reconter, una intervista in cui Wannus parla della sua opera, e del conflitto Israelo-Palestinese. Muore a 56 anni, il 15 maggio 1997, per un’amara coincidenza proprio il giorno anniversario della creazione di Israele. Wannus drammaturgo engagè: l’importanza del conflitto israelo palestinese nella sua opera. Un’analisi dell’influenza e dell’importanza che le opere di Wannus hanno avuto nel seno della società araba, e soprattutto il suo impegno costante nell’uso del teatro come mezzo per la presa di coscienza del pubblico dei problemi della società contemporanea. Punto cardine dell’opera di Wannus, il conflitto israelo palestinese, e il tentativo costante in alcune sue opere di analizzarne le cause, le strutture, le parti, i giochi di potere. E’ il simbolo di tutta la generazione di Wannus, e delle successive. Analisi delle illusioni e dei miti che la società araba ripropone e che Wannus ha cercato più volte di mettere a nudo. La lotta contro le ipocrisie dei governi, e il tentativo di far prendere coscienza alla società araba del suo ruolo, e delle conseguenze delle sue azioni. L’individuo, la famiglia, la società ... il teatro. Distruggere le apparenze per mettere a nudo l’essere umano nella sua fragilità. CONCLUSIONI. APPENDICE: Intervista con Marie Elias BIBLIOGRAFIA.
Resumo:
Sorto alla fine degli anni ottanta del Novecento, il teatro di narrazione ha raggiunto un notevole successo di pubblico a partire dagli anni Novanta. I suoi legami con il giornalismo d'inchiesta hanno condotto questo genere teatrale verso la narrazione di alcuni tra gli eventi pi controversi della storia dell'Italia repubblicana; eventi non ancora risolti sul piano processuale o al centro di una memoria storica fortemente divisa. Marco Baliani, Marco Paolini e Ascanio Celestini sono i tre autori che abbiamo scelto per affrontare un'analisi delle loro narrazioni in merito, rispettivamente, all'omicidio di Aldo Moro, alla strage di Ustica e all'eccidio delle Fosse Ardeatine. Oggetto della ricerca l'analisi dell'utilizzo delle fonti da dichiarate o comunque utilizzate dai narratori per la costruzione delle loro performances la loro selezione, la loro interpretazione e la loro disposizione nel testo e la messa in evidenza del problema della verità e del suo rapporto con il verosimile nelle narrazioni teatrali di eventi storici. Particolare attenzione viene inoltre posta al grande dibattito internazionale tra storia e fiction, alle strategie di coinvolgimento dell'opinione pubblica su temi morali e politici nonché all'analisi dei fattori economici e delle committenze che sono alla base di tali narrazioni.
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Il continuo sdoppiamento e la riverberazione sono le matrici di sviluppo di questa tesi, in cui le ricerche di Grotowski legate al Parateatro e al Teatro delle Fonti sono indagate e interpretate a partire da un pensiero polivalente che prende avvio nella sociologia della cultura e si radica in un terreno antropologico. La ricerca si configura come un’interpretazione possibile delle scelte operate da Grotowski e, complessivamente, dal Teatro Laboratorio, nel contesto delle trasformazioni socio-culturali successive agli anni Sessanta verificando come nel periodo dal '70 all'82 le scelte stesse rispecchino i valori culturali dell’epoca.La ricerca ricorre alla categoria della “festa” - intesa come realtà quotidiana elevata alla forma rituale, attraverso gli elementi culturali e identitari del gruppo di appartenenza - e, a partire da essa, sovrappone criticamente la logica dell’“identità in performance” con la nozione di “Incontro” elaborata da Grotowski. Questa logica è, successivamente, problematizzata attraverso il “diamante culturale”, un dispositivo di analisi della sociologia della culturache, a sua volta, è discusso eridimensionato a partire dalpresuppostodi “Decostruzione” e dall’idea di “Decondizionamento”legata al lavoro del Performer, inteso come individuo.Tre immagini e un’incognita rivelano i campi d’azioneed i principi che permeano l’intera ricerca raddoppiandosi e congiungendo l’immagine del Performer come individuo riflessivo. L’immagine riflessa si configura nel contrasto fra apparenza e presenza: nella domanda posta da Grotowski “che si può fare con la propria solitudine?” si evidenzia uno dei problemi a cui deve far fronte l’individuo in una determinata struttura culturale e, al contempo, viene suggerita una possibilità di amplificazione della percezione di “se stesso” da parte dell’Attore-Performer come Individuo.
Resumo:
Lo studio analizza le svolte nel teatro di innovazione francese prodotte dalla rivolta sociale e dalla sua rivoluzione culturale del 1968. La ricerca si è concentrata su tre livelli di analisi: un'analisi – storica, politica, sociale, culturale – dell'anno-tournant; un'analisi delle reazioni nel mondo del teatro contemporanee alla rivolta; un'analisi delle prassi spettacolari di lunga durata originate dall'evento. Sono stati, quindi, esaminati criticamente i testi cardine degli intellettuali ispiratori, protagonisti e interpreti della breccia culturale, per poi rintracciare i valori emersi all'interno del mondo dello spettacolo. La contestazione sociale ha agito sul mondo del teatro producendo delle ripercussioni immediate – l'occupazione dell'Odéon, la contestazione al XXII Festival d'Avignon, la produzione della Déclaration de Villeurbanne – e delle prassi di lunga durata che hanno agito sui processi formativi e creativi delle compagnie francesi che, dalla fine degli anni Sessanta, hanno prodotto creazioni collettive (in particolare il Théâtre du Soleil e il Théâtre de l'Aquarium, ma anche la Nouvelle Compagnie d'Avignon, il Grand Magic Circus e il Théâtre Populaire di Lorraine) e sul corpus drammaturgico e teorico di Michel Vinaver. Sono state, quindi, analizzate le relazioni che si sono instaurate tra i protagonisti appena nominati e i differenziati contesti, sociali e teatrali, facendo emergere nuove istanze creative. Tali istanze hanno saputo rispondere alle spinte etiche ed estetiche del momento storico, le hanno declinate sul piano delle prassi teatrali e rilanciate verso modalità nuove che hanno favorito l'emersione di una nuova civiltà del testuale.
Resumo:
La tesi ha come oggetto lo studio dei legami culturali posti in essere tra la Russia e l’Italia nel Settecento effettuato a partire dall’analisi del teatro di Arkhangelskoe (nei pressi di Mosca), ideato da Pietro Gonzaga. Ciò ha consentito di inquadrare l’atmosfera culturale del periodo neoclassico a partire da un’angolazione insolita: il monumento in questione, a dispetto della scarsa considerazione di cui gode all’interno degli studi di storia dell’arte, racchiude diverse ed interessanti problematiche artistiche. Queste ultime sono state tenute in debito conto nel processo dell’organizzazione della struttura del lavoro in relazione ai differenti livelli di analisi emersi in riferimento alla tematica scelta. Ogni capitolo rappresenta un punto di partenza che va utilizzato al fine di approfondire problematiche relative all’arte ed al teatro nei due Paesi, il tutto reso possibile grazie all’applicazione di un originale orientamento analitico. All’interno della tesi vengono infatti adoperati approcci e tecniche metodologiche che vanno dalla storia dell’arte all’analisi diretta dei monumenti, dall’interpretazione iconografica alla semiotica, per arrivare agli studi sociologici. Ciò alla fine ha consentito di rielaborare il materiale già noto e ampiamente studiato in modo convincente ed efficace, grazie al ragionamento sintetico adottato e alla possibilità di costruire paralleli letterari e artistici, frutto delle ricerche svolte nei diversi contesti. Il punto focale della tesi è rappresentato dalla figura di Pietro Gonzaga. Tra i decoratori e gli scenografi italiani attivi presso la corte russa tra il Settecento e l’Ottocento, questi è stato senza dubbio la figura più rilevante ed affascinante, in grado di lasciare una ricca eredità culturale e materiale nell’ambito dell’arte scenografica russa. Dimenticata per lungo tempo, l’opera di Pietro Gonzaga è attualmente oggetto di una certa riconsiderazione critica, suscitando curiosità e interesse da più parti. Guidando la ricerca su di un duplice binario, sia artistico che interculturale, si è quindi cercato di trovare alcune risonanze tra l’arte ed il pensiero di Gonzaga ed altre figure di rilievo non solo del suo secolo ma anche del Novecento, periodo in cui la cultura scenografica russa è riuscita ad affrancarsi dai dettami impartiti dalla lezione settecentesca, seguendo nuove ed originali strade espressive. In questo contesto spicca, ad esempio, la figura di Vsevolod Meyerchold, regista teatrale (uno dei protagonisti dell’ultimo capitolo della tesi) che ha instaurato un legame del tutto originale con i principi della visione scenica comunicati da Pietro Gonzaga. Lo sviluppo dell’argomento scelto ha richiesto di assumere una certa responsabilità critica, basandosi sulla personale sicurezza metodologica ed esperienza multidisciplinare al fine di tener conto dall’architettura, della teoria e della pratica teatrale – dalla conoscenza delle fonti fino agli studi del repertorio teatrale, delle specifiche artistiche locali, del contesto sociale dei due paesi a cavallo tra il ‘700 e l’‘800. Le problematiche toccate nella tesi (tra le quali si ricordano il ruolo specifico rivestito dal committente, le caratteristiche proprie della villa neoclassica russa, il fenomeno di ‘spettacoli muti’, la “teatralità” presente nel comportamento dei russi nell’epoca dei Lumi, la risonanza delle teorie italiane all’interno del arte russa) sono di chiara attualità per quanto concerne le ricerche relative al dialogo storico-artistico tra i due Paesi.
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Il fulcro tematico e concettuale della tesi consiste nel rapporto complesso, paradossale e spesso anche controverso esistente fra il teatro e la performance (art) – e cioè il rapporto fra i concetti di “teatralità” e di “performatività”. L’attenzione è posta su quelle correnti nelle arti performative contemporanee che tendono allo scioglimento delle nozioni di genere, disciplina, tecnica e autorialità e che mettono in questione lo status stesso dell’opera performativa (lo spettacolo) in quanto prodotto esclusivamente estetico, cioè spettacolare. Vengono esaminate – prelevando rispettivamente dal campo del teatro, della danza e della performance art – le pratiche di Jerzy Grotowski e Thomas Richards, Jérôme Bel e Marina Abramović. Quello che accomuna queste pratiche ben diverse tra loro non è soltanto la problematica del rapporto fra teatralità e performatività ma soprattutto l’aspetto particolarmente radicale e assiduo (e anche paradossale) del loro doppio sforzo, che consiste nello spingere la propria disciplina oltre ogni confine prestabilito e nello stesso tempo nel cercare di ri-definire i suoi codici fondanti e lo statuto ontologico che la distinguerebbero dalle altre discipline performative. Sono esaminate anche diverse teorizzazioni della performance con particolare attenzione a quei contributi che mettono in luce (e in questione) il delicato rapporto fra il teatro e la performance (art) attraverso una (ri)concettualizzazione e comparazione dei termini di teatralità e di performatività. La tesi esamina l’evoluzione della comprensione di quel rapporto all’interno del campo teorico-storico e artistico che inizialmente riflette la tendenza a percepire il rapporto in termini di opposizione e addirittura esclusione per approdare col tempo a una visione più riconciliante e complementare. Le radicali pratiche contemporanee fra il teatro e la performance rappresentano forse una nuova forma-processo performativa specifica e autonoma – che potrebbe essere definita tout court “performance” – e con cui viene definitivamente superato il progetto teatrale modernista?
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La crisi del “teatro come servizio pubblico” degli Stabili, Piccolo Teatro in testa, si manifesta allo stadio di insoddisfazione interna già alla fine degli anni Cinquanta. Se dal punto di vista della pratica scenica, la prima faglia di rottura è pressoché unanimemente ricondotta alla comparsa delle primissime messe in scena –discusse, irritanti e provocatorie- di Carmelo Bene e Quartucci (1959-60) più difficile è individuare il corrispettivo di un critico-intellettuale apportatore di una altrettanto deflagrante rottura. I nomi di Arbasino e di Flaiano sono, in questo caso, i primi che vengono alla mente, ma, seppure portatori di una critica sensibile al “teatro ufficiale”, così come viene ribattezzato dopo il Convegno di Ivrea (1967) il modello attuato dagli Stabili, essi non possono, a ben vedere, essere considerati i veri promotori di una modalità differente di fare critica che, a partire da quel Convegno, si accompagnerà stabilmente alla ricerca scenica del Nuovo Teatro. Ma in cosa consiste, allora, questa nuova “operatività” critica? Si tratta principalmente di una modalità capace di operare alle soglie della scrittura, abbracciando una progressiva, ma costante fuoriuscita dalla redazione di cronache teatrali, per ripensare radicalmente la propria attività in nuovi spazi operativi quali le riviste e l’editoria di settore, un rapporto sempre più stretto con i mass-media quali radio e televisione e la pratica organizzativa di momenti spettacolari e teorici al contempo -festival, convegni, rassegne e premi- per una forma di partecipazione poi identificata come “sporcarsi le mani”. La seconda parte della tesi è una raccolta documentaria sull’oggi. A partire dal Manifesto dei Critici Impuri redatto nel 2003 a Prato da un gruppo di critici dell'ultima generazione, la tesi utilizza quella dichiarazione come punto di partenza per creare un piccolo archivio sull’oggi raccogliendo le elaborazioni di alcune delle esperienze più significative di questi dieci anni. Ricca appendice di materiali.
Resumo:
La tesi indaga l’esperienza del teatro comunitario, una delle espressioni artistiche più originali e pressoché sconosciute nel panorama teatrale novecentesco, che ha avuto in Argentina un punto di riferimento fondamentale. Questo fenomeno, che oggi conta cinquanta compagnie dal nord al sud del paese latinoamericano, e qualcuna in Europa, affonda le sue radici nella Buenos Aires della post-dittatura, in una società che continua a risentire degli esiti del terrore di Stato. Il teatro comunitario nasce dalla necessità di un gruppo di persone di un determinato quartiere di riunirsi in comunità e comunicare attraverso il teatro, con l'obiettivo di costruire un significato sociale e politico. La prima questione messa a fuoco riguarda la definizione della categoria di studio: quali sono i criteri che consentono di identificare, all’interno della molteplicità di pratiche teatrali collettive, qualcosa di sicuramente riconducibile a questo fenomeno. Nel corso dell’indagine si è rivelata fondamentale la comprensione dei conflitti dell’esperienza reale e l’individuazione dei caratteri comuni, al fine di procedere a un esercizio di generalizzazione. La ricerca ha imposto la necessità di comprendere i meccanismi mnemonici e identitari che hanno determinato e, a loro volta, sono stati riattivati dalla nascita di questa esperienza. L’analisi, supportata da studi filosofici e antropologici, è volta a comprendere come sia cambiata la percezione della corporeità in un contesto di sparizione dei corpi, dove il lavoro sulla memoria riguarda in particolare i corpi assenti (desaparecidos). L’originalità del tema ha imposto la riflessione su un approccio metodologico in grado di esercitare una adeguata funzione euristica, e di fungere da modello per studi futuri. Sono stati pertanto scavalcati i confini degli studi teatrologici, con particolare attenzione alle svolte culturali e storiche che hanno preceduto e affiancato l’evoluzione del fenomeno.