6 resultados para ROCKY SHORES

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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La Piana di foce del Garigliano (al confine tra Lazio e Campania) è caratterizzata, fino ad epoche recenti, dalla presenza di aree palustri e umide. Lo studio in corso cerca di ricostruire l’evoluzione dell’ambiente costiero mettendolo in relazione alla presenza dell’uomo, alla gestione del territorio, alle vicende storiche e alle variazioni climatiche utilizzando molteplici metodologie tipiche della geoarcheologia. Si tratta di un approccio multidisciplinare che cerca di mettere insieme analisi tipiche dell’archeologia, della topografia antica, della geomorfologia, della geologia e della paleobotanica. Fino all’età del Ferro l’unica traccia di popolamento viene da Monte d’Argento, uno sperone roccioso isolato lungo la costa, posto al limite occidentale di un ambiente sottostante che sembra una palude chiusa e isolata da apporti sedimentari esterni. Con il passaggio all’età del ferro si verifica un mutamento ambientale con la fine della grande palude e la formazione di una piccola laguna parzialmente comunicante con il mare. L’arrivo dei romani alla fine del III secolo a.C. segna la scomparsa dei grandi centri degli Aurunci e la deduzione di tre colonie (Sessa Aurunca, Sinuessa, Minturno). Le attività di sistemazione territoriale non riguardarono però le aree umide costiere, che non vennero bonificate o utilizzate per scopi agricoli, ma mantennero la loro natura di piccoli laghi costieri. Quest’epoca è dunque caratterizzata da una diffusione capillare di insediamenti, basati su piccole fattorie o installazioni legate allo sfruttamento agricolo. Poche sono le aree archeologiche che hanno restituito materiali successivi al II-III secolo d.C. La città resta comunque abitata fino al VI-VII secolo, quando l’instabilità politica e l’impaludamento dovettero rendere la zona non troppo sicura favorendo uno spostamento verso le zone collinari. Un insediamento medievale è attestato solo a Monte d’Argento e una frequentazione saracena dell’inizio del IX secolo è riportata dalle fonti letterarie, ma non vi è ancora nessuna documentazione archeologica.

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Since large stretches of European coasts are already retreating and projected scenarios are worsening, many artificial structures, such as breakwaters and seawalls, are built as tool against coastal erosion. However artificial structures produce widespread changes that alter the coastal zones and affect the biological communities. My doctoral thesis analyses the consequences of different options for coastal protection, namely hard engineering ‘artificial defences’ (i.e. impact of human-made structures) and ‘no-defence’ (i.e. impact of seawater inundation). I investigated two new aspects of the potential impact of coastal defences. The first was the effect of artificial hard substrates on the fish communities structure. In particular I was interested to test if the differences among breakwaters and natural rocky reef would change depending on the nature of the surrounding habitat of the artificial structure (prevalent sandy rather than rocky). The second was the effect on the native natural sandy habitats of the organic detritus derived from hard-bottom species (green algae and mussels) detached from breakwaters. Furthermore, I investigated the ecological implication of the “no-defend” option, which allow the inundation of coastal habitats. The focus of this study was the potential effect of seawater intrusion on the degradation process of marine, salt-marsh and terrestrial detritus, including changes on the breakdown rates and the associated macrofauna. The PhD research was conducted in three areas along European coasts: North Adriatic sea, Sicilian coast and South-West England where different habitats (coastal, estuarine), biological communities (soft-bottom macro-benthos; rocky-coastal fishes; estuarine macro-invertebrates) and processes (organic enrichment; assemblage structure; leaf-litter breakdown) were analyzed. The research was carried out through manipulative and descriptive field-experiments in which specific hypothesis were tested by univariate and multivariate analyses.

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La Tesi Materiale epigrafico per la ricostruzione dei contatti nel Mediterraneo tra il 1200 a.C. e il 500 a.C. si propone di illustrare i complessi rapporti instauratisi tra i vari popoli che si affacciarono sulle rive del Mediterraneo e nelle sue vicinanze, tra il 1200 e il 500 a.C. circa, quali emergono dalle iscrizioni disponibili, principalmente greche e semitiche (soprattutto fenicie, ebraiche, aramaiche e assire), prendendo tuttavia in esame anche iscrizioni ittite, egiziane, frigie, etrusche e celtiche. Le date suddette riguardano due eventi cruciali, che sconvolsero il Mediterraneo: gli attacchi dei Popoli del Mare, che distrussero l'Impero Ittita e indebolirono l'Egitto, e le guerre Persiane. Le iscrizioni riportate sono 1546, quasi sempre traslitterate, tradotte, e accompagnate da un'immagine, da riferimenti bibliografici essenziali e da una breve motivazione del collegamento proposto. Il quadro che si delinea ben testimonia la complessità dei rapporti che si intrecciarono in quel periodo: si pensi alle centinaia di graffiti greci trovati a Naucrati, in Egitto, o alle decine di iscrizioni greche trovate a Gravisca. Anche le iscrizioni aramaiche e assire attestano gli stretti rapporti che si formarono tra Siria e Mesopotamia; ugualmente Iran e Arabia sono, direttamente o indirettamente, collegati a Etruria e Grecia; così troviamo un'iscrizione greca nel cuore dell'Impero Persiano, e un cratere laconico nel centro della Gallia. In realtà lo scopo di questo lavoro è anche quello di mettere in contatto due mondi sostanzialmente separati, ossia quello dei Semitisti e quello dei Grecisti, che solo apparentemente si conoscono e collaborano. Inoltre vorrei soavemente insinuare l'idea che la tesi di Joseph Naveh, che ipotizzò che gli alfabeti greci abbiano tratto origine in prima istanza dalle iscrizioni protocananaiche, nel XII sec. a.C., è valida, e che solo in un secondo tempo i Fenici abbiano dato il loro apporto.

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Il ritrovamento della Casa dei due peristili a Phoinike ha aperto la strada a un’intensa opera di revisione di tutti i dati relativi all’edilizia domestica nella regione, con studi comparativi verso nord (Illiria meridionale) e verso sud (il resto dell’Epiro, ovvero Tesprozia e Molossia). Tutta quest’area della Grecia nord-occidentale è stata caratterizzata nell’antichità da un’urbanizzazione scarsa numericamente e tardiva cronologicamente (non prima del IV sec. a.C.), a parte ovviamente le colonie corinzio-corciresi di area Adriatico- Ionica d’età arcaica (come Ambracia, Apollonia, Epidamnos). A un’urbanistica di tipo razionale e programmato (ad es. Cassope, Orraon, Gitani in Tesprozia, Antigonea in Caonia) si associano numerosi casi di abitati cresciuti soprattutto in rapporto alla natura del suolo, spesso diseguale e montagnoso (ad es. Dymokastro/Elina in Tesprozia, Çuka e Aitoit nella Kestrine), talora semplici villaggi fortificati, privi di una vera fisionomia urbana. D’altro canto il concetto classico di polis così come lo impieghiamo normalmente per la Grecia centro-meridionale non ha valore qui, in uno stato di tipo federale e dominato dall’economia del pascolo e della selva. In questo contesto l’edilizia domestica assume caratteri differenti fra IV e I sec. a.C.: da un lato le città ortogonali ripetono schemi egualitari con poche eccezioni, soprattutto alle origini (IV sec. a.C., come a Cassope e forse a Gitani), dall’altro si delinea una spiccata differenziazione a partire dal III sec., quando si adottano modelli architettonici differenti, come i peristili, indizio di una più forte differenziazione sociale (esemplari i casi di Antigonea e anche di Byllis in Illiria meridionale). I centri minori e fortificati d’altura impiegano formule abitative più semplici, che sfruttano l’articolazione del terreno roccioso per realizzare abitazioni a quote differenti, utilizzando la roccia naturale anche come pareti o pavimenti dei vani.

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Landslides of the lateral spreading type, involving brittle geological units overlying ductile terrains, are a common occurrence in the sandstone and limestone plateaux of the northern Apennines of Italy. These instability phenomena can become particularly risky, when historical towns and cultural heritage sites built on the top of them are endangered. Neverthless, the mechanisms controlling the developing of related instabilities, i.e. toppling and rock falls, at the edges of rock plateaux are not fully understood yet. In addition, the groundwater flow path developing at the contact between the more permeable units, i.e. the jointed rock slab, and the relatively impermeable clay-rich units have not been already studied in details, even if they may play a role in this kind of instability processes, acting as eventual predisposing and/or triggering factors. Field survey, Terrestrial Laser Scanner and Close Range Photogrammetry techniques, laboratory tests on the involved materials, hydrogeological monitoring and modelling, displacements evaluation and stability analysis through continuum and discontinuum numerical codes have been performed on the San Leo case study, with the aim to bring further insights for the understanding and the assessment of the slope processes taking place in this geological context. The current research permitted to relate the aquifer behaviour of the rocky slab to slope instability processes. The aquifer hosted in the fractured slab leads to the development of perennial and ephemeral springs at the contact between the two units. The related piping erosion phenomena, together with slope processes in the clay-shales led to the progressive undermining of the slab. The cliff becomes progressively unstable due to undermining and undergoes large-scale landslides due to fall or topple.

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La detenzione amministrativa degli stranieri, pur condividendo il carattere tipicamente afflittivo e stigmatizzante delle pene, non si fonda sulla commissione di un reato e non gode delle medesime garanzie previste dal sistema della giustizia penale. Nel nostro ordinamento l’inadeguatezza della legislazione, l’ampio margine di discrezionalità rimesso all’autorità di pubblica sicurezza, nonché il debole potere di sindacato giurisdizionale rimesso all’autorità giudiziaria, raggiungono il loro apice problematico nell’ambito delle pratiche di privazione della libertà personale che hanno per destinatari gli stranieri maggiormente vulnerabili, ossia quelli appena giunti sul territorio e il cui status giuridico non è ancora stato accertato (c.d. situazione di pre-admittance). E’ proprio sulla loro condizione che il presente lavoro si focalizza maggiormente. Le detenzioni de facto degli stranieri in condizione di pre-admittance sono analizzate, nel primo capitolo, a partire dal “caso Lampedusa”, descritto alla luce dell’indagine sul campo condotta dall’Autrice. Nel secondo capitolo viene ricostruito lo statuto della libertà personale dello straniero sulla base dei principi costituzionali e, nel terzo capitolo, sono analizzati i principi che informano il diritto alla libertà personale nell’ambito delle fonti sovranazionali, con particolare riferimento al diritto dell’Unione Europea e al sistema della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Sulla scorta dei principi indagati, nel quarto capitolo è tracciata l’evoluzione legislativa in materia di detenzione amministrativa dello straniero in Italia e, nel quinto capitolo, è approfondito il tema dei Centri dell’immigrazione e delle regole che li disciplinano. Nelle conclusioni, infine, sono tirate le fila del percorso tracciato, attraverso la valutazione degli strumenti di tutela in grado di prevenire le pratiche di privazione della libertà informali e di garantire uno standard minimo nella tutela della libertà individuale, anche nelle zone di frontiera del nostro ordinamento.