9 resultados para Postcolonial

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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This thesis explores the function of the theatre in Derek Walcott's literary achievements. Focusing on the semiotic theories that characterize the study of drama as a literary text and as a staged text, the initial approach aims at creating a relationship between semiotics and postcolonial theories. In particular Pavis's concept of intercultural semiotics and Peter Brook's innovative visions about the regenerative function of the space of the theatre represent a useful theoretical basis to consider the specificity of postcolonial theatre as an innovative space, where new cultural meanings emerge. Derek Walcott's dramatic production is studied according to this approach, in order to be defined as a new hybrid, syncretic and multicultural space. After considering the development of drama from a postcolonial and Caribbean perspective, this study begins with an insight into Walcott's views on theatre, taking into consideration his linguistic depth, linked to the European tradition, but also his strong concern with the Caribbean public's cultural needs. The double tension characterizing Walcott's cultural identity as well as his art represents an essential element to analyse his dramatic texts. With an ambivalent approach, which takes into consideration language and performance, this thesis offers an insight into Walcott's plays to detect their postcolonial and multicultural elements. The analysis of the different texts are divided into two chapters (third and fourth). The third chapters - mainly focused on postcolonial themes - explores issues such as language, identity and space, whereas the fourth chapter centers on multiculturalism in text and performance. Dealing with interracial interactions, issues like re-writing classical texts and the manipulation of personal and collective memory as a way to re- establish new historical perspectives, the last part of the thesis aims at demonstrating the idea that Walcott has created a new space in the theatre made by the harmonic fusion of different and opposed cultural elements, which are visible in the literary as well as in the staged text. The textual perspective of Walcott's drama fits into Pavis's definition of intercultural semiotics, as the faithful representation of a multicultural creole society: that of the West Indies.

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Il presente studio affronta la complessa relazione esistente tra i concetti di donna, identità e nazione nell’ambito del rinnovato progetto politico scozzese avviato dalla devolution. La letteratura femminile e la cultura scozzese contemporanea vengono dunque esaminate in un’ottica postcoloniale, coordinando una prospettiva storico-sociale a un’analisi discorsiva della nazione, comportando inoltre continui riferimenti alle più recenti teorie femministe e di genere. La produzione letteraria di Jackie Kay, A. L. Kennedy e Ali Smith infatti sembra rendere possibile un’apertura della nozione di Scottishness, consentendo un approfondimento dei temi della differenza sessuale e culturale, immaginando propriamente la Scozia in senso post-nazionale.

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A writer by passion and a psychiatric nurse by profession, Gisèle Pineau is described as the new feminine voice of the literature from the French Antilles (Martinique and Guadeloupe). In all her novels, she explores the human condition and more specifically that of women. Breaking the silence that oppresses Antillean women, Gisèle Pineau delves into the destinies of women from Guadeloupe, scrutinizing the environment of her island and elsewhere, reinventing the French language, and giving voice and identity to all those women who have never had the possibility to express themselves. After having introduced the author in a postcolonial context linked with the theory of the feminine writing and its expressions in Caribbean literature, the plight of women is described through the experience of their bodies in Antillean society and elsewhere. The author focuses on physical and psychological violence denouncing the treatment of women. Escaping from oppression, women look for the space to rebuild a new life and a new identity.

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In ogni capitolo, l’atto del ricordare viene indagato nelle diverse valenze che lo mettono in rapporto diretto con la nostalgia e l’oblio. L’analisi dei testi letterari copre un arco di tempo di quasi un secolo, partendo dalle innovazioni tecnico-stilistiche realizzate da Katherine Mansfield fino all’eccezionale ricchezza e al meritato successo di pubblico e critica della scrittrice canadese Alice Munro. La bibliografia dei testi primari e secondari è strutturata con criteri tematici e cronologici.

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Oggetto della ricerca è lo studio del National Institute of Design (NID), progettato da Gautam Sarabhai e sua sorella Gira, ad Ahmedabad, assunta a paradigma del nuovo corso della politica che il Primo Ministro Nehru espresse nei primi decenni del governo postcoloniale. Obiettivo della tesi è di analizzare il fenomeno che unisce modernità e tradizione in architettura. La modernità indiana, infatti, nacque e si sviluppò con i caratteri di un Giano bifronte: da un lato, la politica del Primo Ministro Nehru favorì lo sviluppo dell’industria e della scienza; dall’altro, la visione di Gandhi mirava alla riscoperta del locale, delle tradizioni e dell’artigianato. Questi orientamenti influenzarono l’architettura postcoloniale. Negli anni ‘50 e ’60 Ahmedabad divenne la culla dell’architettura moderna indiana. Kanvinde, i Sarabhai, Correa, Doshi, Raje trovarono qui le condizioni per costruire la propria identità come progettisti e come intellettuali. I motori che resero possibile questo fermento furono principalmente due: una committenza di imprenditori illuminati, desiderosi di modernizzare la città; la presenza ad Ahmedabad, a partire dal 1951, dei maestri dell’architettura moderna, tra cui i più noti furono Le Corbusier e Kahn, invitati da quella stessa committenza, per la quale realizzarono edifici di notevole rilevanza. Ad Ahmedabad si confrontarono con forza entrambe le visioni dell’India moderna. Lo sforzo maggiore degli architetti indiani si espresse nel tentativo di conciliare i due aspetti, quelli che derivavano dalle influenze internazionali e quelli che provenivano dallo spirito della tradizione. Il progetto del NID è uno dei migliori esempi di questo esercizio di sintesi. Esso recupera nella composizione spaziale la lezione di Wright, Le Corbusier, Kahn, Eames ibridandola con elementi della tradizione indiana. Nell’uso sapiente della struttura modulare e a padiglione, della griglia ordinatrice a base quadrata, dell’integrazione costante fra spazi aperti, natura e architettura affiorano nell’edificio del NID echi di una cultura millenaria.

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L’oggetto dell’analisi si situa all’intersezione di diversi ambiti disciplinari: letteratura, scienze dell’educazione, sociologia, psicologia. Nel presente lavoro, viene privilegiata un’analisi tematica della narrativa e la definizione identitaria delle “infanzie migranti” viene declinata seguendo percorsi di lettura che mettano in risalto alcune prospettive ricorrenti nei romanzi. Il corpus letterario selezionato include alcuni romanzi scritti in lingua inglese da sei scrittrici di origine indiana, in particolare Jamila Gavin, Rachna Gilmore, Anjali Banerjee, Rukhsana Khan, Ravinder Randhawa e Meera Syal. Nel primo capitolo si tracciano le premesse teoriche e metodologiche del lavoro, definendo il genere della letteratura per l’infanzia e interrogandoci sulle sue specificità in un contesto postcoloniale qual è quello indiano. Il secondo capitolo è dedicato alla definizione identitaria delle seconde generazioni, in particolar modo di quelle indo-britanniche e indo-canadesi, cui appartengono i protagonisti dei romanzi presi in esame. Nel terzo capitolo viene posta attenzione agli elementi che concorrono alla definizione identitaria dei giovani protagonisti dei romanzi, i quali si interrogano sul loro essere e sull’appartenenza interculturale. I dialoghi intergenerazionali tra i protagonisti e i nonni - o altre figure di guida - permettono alle scrittrici di raccontare la storia dell’India coloniale e della lotta per l’indipendenza dal punto di vista degli esclusi dalla storiografia ufficiale. Nel capitolo conclusivo si argomenta invece come la definizione identitaria si attui per mezzo dello spazio, tramite l’appartenenza ai luoghi, spazi caricati di significato, e per mezzo del viaggio, che può essere reale, immaginario o iniziatico. In tutti i casi, il viaggio porta alla scoperta del Sé, di un’identità ibrida e molteplice da parte dei personaggi.

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Il presente lavoro è dedicato allo studio della geografia immaginaria creata dallo scrittore indiano di lingua inglese R.K. Narayan (1906-2001), allo scopo non solo di indagare la relazione che si stabilisce tra spazio, personaggi e racconto, ma anche di rilevare l’interazione tra il mondo narrativo e le rappresentazioni dominanti dello spazio indiano elaborate nel contesto coloniale e postcoloniale. Dopo un primo capitolo di carattere teorico-metodologico (che interroga le principali riflessioni seguite allo "spatial turn" che ha interessato le scienze umane nel corso del Novecento, i concetti fondamentali formulati nell’ambito della teoria dei "fictional worlds", e i più recenti approcci al rapporto tra spazio e letteratura), la ricerca si articola in due ulteriori sezioni, che si rivolgono ai quattordici romanzi dell’autore attraverso una pratica interpretativa di ispirazione geocritica e “spazializzata”. Nel secondo capitolo, che concerne la dimensione “verticale” che si estende dal cronotopo dei romanzi a quello dell’autore e dei lettori, si procede al rilevamento, all’interno del mondo narrativo, di tre macro-paesaggi, successivamente messi a confronto con le rappresentazioni endogene e esogene dello spazio extratestuale; da questo confronto, la cittadina di Malgudi emerge come proposta autoriale di riorganizzazione sociale e urbana dal carattere innovativo e dallo statuto eterotopico, sia in rapporto alla tradizione letteraria dalla quale origina, sia rispetto alle circostanze ambientali dell’India meridionale in cui essa è finzionalmente collocata. Seguendo una dinamica “orizzontale”, il terzo capitolo esamina infine il rapporto tra lo spazio frazionato di Malgudi, i luoghi praticati dai suoi abitanti e la relazione che questi instaurano con il territorio transfrontaliero e con la figura del forestiero; inoltre, al fine di stabilire la misura in cui la natura dello spazio narrativo influisce sulla forma del racconto, si osservano le coincidenze tra il tema dell’incompiutezza che pervade le vicende dei personaggi e la forma aperta dei finali romanzeschi.

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La relazione interdisciplinare tra letteratura e fotografia, nella rilettura della storia recente del Mozambico, è l’oggetto di studio della presente tesi. Il presupposto coincide in primo luogo con la disamina interna della dialettica esistente tra archivio coloniale e oralità, modalità narrativa in parte transitata nella estória, declinazione lusofona della forma breve che permette di recuperare l’eredità popolare del racconto tradizionale. Il dialogo tra verbale e visuale consente a sua volta di stabilire nuovi paradigmi interpretativi nel dibattito postcoloniale tra memoria, trauma e rappresentazione. L’analisi comparativa tra la narrativa di João Paulo Borges Coelho e la fotografia di Ricardo Rangel rivela sguardi diversi sul mondo circostante, ma anche convergenze contemplative che si completano nell’incorporazione reciproca delle “omologie strutturali” comuni alle due modalità espressive. La fotografia colma delle lacune fornendoci delle visioni del passato, ma, in quanto “rappresentazione”, ci mostra il mondo per come appare e non per come funziona. Il testo letterario, grazie al suo approccio dialogico-narrativo, consente la rielaborazione museologica della complessa pletora di interferenze semantiche e culturali racchiuse nelle immagini, in altre parole fornisce degli “indizi di verità” da cui (ri)partire per l’elaborazione di nuovi archetipi narrativi tra l’evento rappresentato e la Storia di cui fa parte. Il punto di tangenza tra i due linguaggi è la cornice, espediente fotografico e narrativo che permette di tracciare i confini tra l’indicibile e l’invisibile, ma anche tra ciò che si narra e ciò che sta fuori dalla narrazione, ovvero fuori dalla storia. La tensione dialettica che si instaura tra questi due universi è seminale per stabilire le ragioni della specificità letteraria mozambicana perché, come afferma Luandino Vieira, “nel contesto postcoloniale gli scrittori sono dei satelliti che ruotano intorno ai «buchi neri della storia» la cui forza di attrazione permette la riorganizzazione dell’intero universo letterario.

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Il presente progetto di ricerca riguarda la terza trilogia di romanzi di Nuruddin Farah, “Past Imperfect” (2004-2011). L’analisi dei tre testi che compongono la trilogia – “Links” (2004), “Knots” (2007) e “Crossbones” (2011) – evidenzia la persistente rilevanza delle narrazioni e delle rappresentazioni della famiglia all’interno di tutta la produzione letteraria dell’autore. Questa prospettiva critica richiede l’impiego di una metodologia che riunisce vari aspetti della critica letteraria di matrice post-strutturalista e, per altri versi, di stampo materialista, assecondando così le due principali tendenze critiche presenti all’interno degli studi postcoloniali. Lo stesso approccio teorico-metodologico può essere applicato anche in altri due ambiti critici chiamati in causa dalla trilogia di Nuruddin Farah: la cosiddetta “world literature” e la cosiddetta “failed-state fiction”. L’analisi delle narrazioni e delle rappresentazioni della famiglia richiede, inoltre, un approccio interdisciplinare molto esteso, stimolando ricerche negli ambiti della semiotica, dell’antropologia, della psicanalisi, dei Gender Studies e dei Trauma Studies.