10 resultados para Political satire, American--History--18th century
em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna
Resumo:
La storiografia statunitense, a partire dagli anni Cinquanta, vide l’affermarsi di una nuova interpretazione della politica estera americana. Archiviata la storia diplomatica come storia dei trattati o storia delle interazioni delle élites dominanti, abbandonata una visione incentrata sull’equilibrio di potenza, il dibattito storiografico si arricchì della cosiddetta interpretazione «revisionista», antitetica rispetto a quella che, fino a quel momento, aveva predominato. Soggetto di analisi storica restava sempre lo Stato ma l’enfasi maggiore era posta sui fattori economici che ne influenzavano l’azione: si metteva in rilievo l’interazione tra l’interesse privato e il soggetto statale. Capofila di questa nuova scuola fu William Appleman Williams. Questa ricerca si pone l’obiettivo di delineare il contesto storiografico dal quale emersero gli studi di Williams e di cui egli ne roviesciò alcuni assunti fondamentali. Si intende tracciare il suo percorso intellettuale – storiografico e pubblico – al fine di restituire la complessità di un personaggio che divenne un vero e proprio «intellettuale pubblico». I quesiti, a cui questa ricerca vuole dar risposta riguardano l’evoluzione del percorso intellettuale di Williams tanto in ambito storiografico quanto, più in generale, in quello pubblico; il contributo alla ridefinizione dell’identità statunitense e del suo ruolo internazionale; il lascito della sua riflessione nella storiografia. Prendendo le mosse dall’idea di frontiera proposta da Turner, Williams sostenne che la fine dell’espansione territoriale «interna» aveva obbligato gli Stati Uniti a cercare nuovi mercati per il proprio surplus. Era stata tale necessità a catalizzare la Open Door Diplomacy, guidata da ragioni economiche, che presto identificarono l’interesse nazionale per trasformarsi in una vera e propria ideologia nel XX secolo.L’esito di tale politica estera fu la creazione di un impero non più territoriale ma frutto dell’espansione economica. E proprio questa riflessione sull’impero influenzò, negli anni Sessanta, la protesta studentesca che chiese un ripensamento del ruolo internazionale degli Stati Uniti.
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Cette thèse se propose d’analyser les images de la nuit et ses significations dans les romans du XVIII siècle, à partir des années 1730-1740, dans le cadre de trois littératures: la littérature anglaise, française et italienne. Deux conceptions opposées sont mises en comparaison: la première, d’exorcisation de la nuit, est typique de la première partie du siècle; elle est représentée principalement par le genre des romans libertins. La deuxième conception montre une valorisation de la nuit qu’on trouve en particulier dans les romans gothiques, qui se sont développés à partir de la seconde partie du siècle. Le but final de la présente recherche est de trouver une explication au refus de la nuit de la part de certains auteurs et ensuite de repérer les causes du bouleversement de cette vision. Puisque la nuit empêche le sens de la vue, elle a été considérée une forme de négation de l’espace physique; selon le profil psychologique et anthropologique la nuit constituerait alors la cause principale de la perte d’orientation. Selon une interprétation intellectuelle et philosophique, elle serait un symbole d’ignorance et d’irrationalité. La situation change vers la moitié du siècle des Lumières, car la nuit commence à assumer un rôle actif et nécessaire dans le processus d’apprentissage. Au niveau social, les rencontres les plus importantes adviennent pendant la nuit. Dans le revival des cathédrales gothiques et des châteaux médiévaux, on voit que la nuit s’empare désormais de l’espace, qui s’enrichit de lumières et d’ombres.
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Le musiche “popolaresche” urbane, in genere trascurate nella letteratura etnomusicologica, sono state quasi completamente ignorate nel caso della Romania. Il presente studio si propone di colmare almeno in parte questa lacuna, indagando questo fenomeno musicale nella Bucarest degli anni Trenta e Quaranta del Novecento. Le musiche esaminate sono tuttavia inserite entro una cornice storica più ampia, che data a partire dalla fine del XVIII secolo, e messe in relazione con alcune produzioni di origine rurale che con queste hanno uno stretto rapporto. Il caso di Maria Lătărețu (1911-1972) si è rivelato particolarmente fecondo in questo senso, dal momento che la cantante apparteneva ad entrambi i versanti musicali, rurale e urbano, e nepadroneggiava con disinvoltura i rispettivi repertori. Dopo il suo trasferimento nella capitale, negli anni Trenta, è diventata una delle figure di maggior spicco di quel fenomeno noto come muzică populară (creazione musicale eminentemente urbana e borghese con radici però nel mondo delle musiche rurali). L’analisi del repertorio (o, per meglio dire, dei due repertori) della Lătărețu, anche nel confronto con repertori limitrofi, ha permesso di comprendere più da vicino alcuni dei meccanismi musicali alla base di questa creazione. Un genere musicale che non nasce dal nulla nel dopo-guerra, ma piuttosto continua una tradizione di musica urbana, caratterizzata in senso locale, ma influenzata dal modello della canzone europea occidentale, che data almeno dagli inizi del Novecento. Attraverso procedimenti in parte già collaudati da compositori colti che sin dal XIX secolo, in Romania come altrove, si erano cimentati con la creazione di melodie in stile popolare o nell’armonizzazione di musiche di provenienza contadina, le melodie rurali nel bagaglio della cantante venivano trasformate in qualcosa di inedito. Una trasformazione che, come viene dimostrato efficacemente nell’ultimo capitolo, non investe solo il livello superficiale, ma coinvolge in modo profondo la sintassi musicale.
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La tesi di dottorato del dott. Wu Gongqing è il frutto di un lavoro di studio e ricerca durato tre anni e condotto usufruendo delle strutture di ricerca della Fondazione per le Scienze Religiose Giovanni XXIII di Bologna. L'obiettivo del lavoro che il candidato presenta è quello di offrire un quadro della ricezione di una delle maggiori opere di Origene, il Contra Celsum, nella cultura dell'Europa moderna. Il punto di vista scelto per condurre questa indagine è quello delle edizioni e traduzioni che il testo conobbe a partire dal 1481 sino alla fine del Settecento. La scansione del lavoro segue il susseguirsi delle diverse edizioni, con un capitolo dedicato alle edizioni umanistiche e al loro impatto sulla cultura italiana ed europea fra Quattro e Cinquecento. Seguono i capitoli dedicati alle edizioni di Hoeschel, Spencer, Bouhéreau e Delarue, Mosheim e Tamburini. In ciascun capitolo il ricercatore prende in esame le diverse edizioni e traduzioni, analizzandone le caratteristiche letterarie principali, lo stile, il rapporto con la tradizione manoscritta, la diffusione e cercando di ricondurre ciascuna di esse al proprio specifico ambito storico-culturale.
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La dissertazione è uno studio monografico delle cantate dialogiche e delle serenate a più voci e strumenti composte da Händel in Italia negli anni 1706-1710. Insieme ai drammi per musica e agli oratori coevi, le quattro cantate "Aminta e Fillide" HWV 83, "Clori, Tirsi e Fileno" HWV 96, "Il duello amoroso" HWV 82, "Apollo e Dafne" HWV 122 e le due serenate "Aci, Galatea e Polifemo" HWV 72 e "Olinto pastore arcade alle glorie del Tebro" HWV 143 costituiscono le prime importanti affermazioni di Händel come compositore di musica vocale. Le sei composizioni sono state studiate sotto l’aspetto storico-letterario, drammaturgico-musicale e della committenza, con l’obiettivo di individuare intersecazioni fra questi piani. I testi poetici, di cui si è curata l’edizione, sono stati analizzati da un punto di vista storico e stilistico e collocati nel particolare contesto romano del primo Settecento, in cui la proibizione di ogni spettacolo teatrale determinò, sotto la spinta di una raffinata committenza, un ‘drammatizzazione’ dei generi della cantata e della serenata. L’analisi musicale di ciascuna composizione è stata dunque finalizzata a una lettura ‘drammaturgica’, che ha portato alla individuazione dei dispositivi di ascendenza teatrale nella scelte compositive di Händel. Lo studio si conclude con un selettivo confronto con le cantate e le serenate scritte negli stessi anni a Roma da Alessandro Scarlatti.
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Il quadro tematico della tesi è la storia politica e culturale delle relazioni tra il cattolicesimo democratico di origine «popolare» e la tradizione del liberalismo italiano, in un arco cronologico compreso tra l’antifascismo dell’Aventino e la fondazione della Democrazia Cristiana. L’ipotesi della ricerca è che proprio in questo «lungo viaggio» la classe dirigente del cattolicesimo politico (a cominciare dalla leadership di Alcide De Gasperi) abbia completato quel processo di acculturazione in senso «liberale» che le avrebbe consentito di guidare consensualmente l’uscita dal fascismo nel secondo dopoguerra.
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La ricerca ha come oggetto l’edizione critica di circa tremila regesti di documenti di area bolognese datati al X-XII secolo. I documenti sono stati trascritti tra il XVII e XVIII secolo in undici cartulari ecclesiastici, conservati presso l’Archivio di Stato di Bologna. Il lavoro s’inserisce nel progetto di edizione delle carte bolognesi di epoca medievale in corso presso la cattedra di Paleografia latina e Diplomatica dell’Università di Bologna, attualmente incentrata sull’edizione delle carte del secolo XII. La ricerca si propone come strumento di supporto a tale progetto e come completamento delle carte già pubblicate: i cartulari, infatti, offrono spesso copie di documenti mancanti dell’originale o in cattivo stato di conservazione, e costituiscono l’unica traccia di una memoria storica altrimenti perduta. Le raccolte esaminate si collocano a ridosso del periodo napoleonico, quando la maggior parte degli enti ecclesiastici venne soppressa e i loro beni incamerati dallo Stato; esse quindi rispecchiano la condizione dei principali archivi ecclesiastici cittadini dei primi secoli del Medioevo bolognese. La ricerca è strutturata in una prima parte volta a definire in termini storico-diplomatistici la tipologia di fonte esaminata: oggi i cartulari non sono più intesi come semplici raccoglitori di documenti, ma come sistema organico di fonti in grado di far luce su aspetti importanti della storia dell’ente che li ha prodotti. L’indagine del loro contesto di produzione permette di comprenderne meglio le finalità, la forma e il valore giuridico. Parte della ricerca è stata poi incentrata sullo studio delle ragioni che hanno portato gli istituti religiosi bolognesi alla redazione dei cartulari: a tal fine è stata esaminata la legislazione ecclesiastica cinque-settecentesca in materia di conservazione della documentazione e il rapporto della legislazione stessa con la prassi archivistica. Infine è stata realizzata l’edizione critica vera e propria dei regesti, mirante a descrivere le caratteristiche principali di ciascun cartulario.
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Agostino Mitelli (1609-1660) è una figura centrale nella vicenda artistica bolognese. Rinnova profondamente la quadratura, genere in cui opera maggiormente, e diventa il principale riferimento per le generazioni successive. Infatti ha un grande numero di allievi che si fanno interpreti del suo stile e le sue opere continuano ad essere studiate fino a Settecento inoltrato. Nel suo lavoro accorda una grande importanza al mezzo grafico, in cui eccelle e che considera strumento di verifica ed esercizio. Questa predilezione influenza anche i suoi seguaci: dopo la sua morte i suoi disegni diventano molto ricercati e vengono impiegati come repertori di soluzioni di quadratura ed elementi decorativi. Sono essi stessi strumento di studio e infatti ci è pervenuto un grande numero di copie ed esercizi in stile mitelliano. L'analisi sistematica di questo materiale anonimo e poco studiato mi ha permesso di individuare alcune delle personalità di maggiore spicco tra i suoi seguaci, quali Domenico Santi, Giacomo Antonio Mannini e Marc'Antonio Chiarini. Per valutare l'influenza dell'opera di Agostino presso le generazioni successive è centrale anche la produzione calcografica che analizzo a partire dalle quattro serie di elementi di ornato che egli stesso dà alle stampe e che riscuotono molto successo, come provano le numerose ristampe, anche francesi. Dopo la sua morte vengono incise diverse imprese che si riallacciano al suo operato: la prima è quella del figlio Giuseppe Maria Mitelli che pubblica alcuni suoi disegni. Seguono le serie di Santi, Buffagnotti, Mannini, Chiarini e diversi altri che comprendono anche quadratura e veduta e che spesso sono state riassemblate da editori e collezionisti. Anche le fonti affrontano la questione della dipendenza delle successive generazioni dagli stilemi di Agostino Mitelli, oltre a quelle a stampa ho studiato approfonditamente i manoscritti inediti dell'altro figlio di Agostino, Giovanni Mitelli, che forniscono molte nuove notizie.
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Lo scopo della dissertazione “Formazione e pratica del pensiero orchestrale di Hector Berlioz. Caratteri poetici e strategie del suono” è quello di indagare i tratti essenziali del pensiero di Berlioz in merito all’orchestra riprendendo in considerazione gli elementi della sua educazione giovanile. In particolare, le nozioni ricavate dai suoi insegnanti di composizione Le Sueur e Reicha e dai corsi di medicina brevemente frequentati a Parigi sono indagate con approccio rinnovato, alla luce di nuovi filoni di studio indagati dalla musicologia negli anni più recenti. Sono analizzate anche le recensioni di Berlioz, alla ricerca di elementi che aiutino a comprendere la sua musica con le argomentazioni destinate a quella altrui. È analizzato anche il percorso della trattatistica che da un iniziale approccio di tipo pratico tipico del XVIII secolo, giunge con il trattato di Berlioz a una forte connotazione poetica delle risorse strumentali e orchestrali. Nella seconda parte della dissertazione sono analizzate invece alcune opere di Berlioz e alcune questioni generali concernenti il suo modo di scrivere per l’orchestra, specialmente in relazione ad altri parametri musicali. Nella dissertazione notevole attenzione è data al rapporto fra questioni tecniche e poetiche, proponendo un approccio leggermente rinnovato.
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Degli anni Settanta si parla, ormai quasi canonicamente, come gli anni della crisi, una crisi che compare quasi simultaneamente fuori e dentro i confini nazionali, e si configura come vera e propria crisi di sistema. Considerando il turning point rappresentato dai Seventies, è diffusa l'interpretazione nel contesto italiano del paradigma politologico secondo il quale è nella mancanza e nelle assenze del sistema politico-istituzionale alle domande di modernizzazione democratica provenienti dalle soggettività che emergono in quella che è stata definita la “stagione dei movimenti” che andrebbero individuate le radici prima della scelta della violenza come strumento di lotta politica e poi del cosiddetto “riflusso”. Questo studio cerca di analizzare le dinamiche e gli sviluppi nella relazione tra movimento femminista e violenza politica in Italia tra anni settanta e anni ottanta. Per comprendere ed analizzare le dinamiche di tale sviluppo è stato necessario prima ricostruire la genealogia del concetto di violenza politica elaborato dalla filosofia politica nel XX secolo e poi confrontarlo con il concetto di violenza proposto dal pensiero femminista nello stesso arco temporale. Allo stesso tempo si è considerato il fenomeno della violenza politicamente motivata agita nel decennio settanta, analizzando le specificità del femminismo stesso, ma anche, la possibilità di individuare lo scarto – politico, ideologico e esistenziale – tra le definizioni date dalla pratica femminista alla categoria di violenza e le peculiarità degli altri movimenti che si muovevano nella scena politica e sociale tra anni settanta e anni ottanta