2 resultados para POLICING

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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La ricerca esamina il ruolo delle imprese che svolgono attività di sicurezza privata in Italia (oggi definita anche "sussidiaria" o "complementare") in relazione allo sviluppo delle recenti politiche sociali che prevedono il coinvolgimento di privati nella gestione della sicurezza in una prospettiva di community safety. Nel 2008/2009 le politiche pubbliche di sicurezza legate al controllo del territorio hanno prodotto norme con nuovi poteri “di polizia” concessi agli amministratori locali e la previsione di associazione di cittadini per la segnalare eventi dannosi alla sicurezza urbana (“ronde”). Nello stesso periodo è iniziata un’importante riforma del settore della sicurezza privata, ancora in fase di attuazione, che definisce le attività svolte dalle imprese di security, individua le caratteristiche delle imprese e fissa i parametri per la formazione del personale. Il quadro teorico del lavoro esamina i concetti di sicurezza/insicurezza urbana e di società del rischio alla luce delle teorie criminologiche legate alla prevenzione situazionale e sociale e alla community policing. La ricerca sul campo si basa sull’analisi del contenuto di diverse interviste in profondità con esponenti del mondo della sicurezza privata (imprenditori, dirigenti, studiosi). Le interviste hanno fatto emergere che il ruolo della sicurezza privata in Italia risulta fortemente problematico; anche la riforma in corso sulla normativa del settore è considerata con scarso entusiasmo a causa delle difficoltà della congiuntura economica che rischia di compromettere seriamente la crescita. Il mercato della sicurezza in Italia è frastagliato e scarsamente controllato; manca un’azione di coordinamento fra le diverse anime della sicurezza (vigilanza privata, investigazione, facility/security management); persiste una condizione di subalternità e di assenza di collaborazione con il settore pubblico che rende la sicurezza privata relegata in un ruolo marginale, lontano dalle logiche di sussidiarietà.

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Nowadays, cities deal with unprecedented pollution and overpopulation problems, and Internet of Things (IoT) technologies are supporting them in facing these issues and becoming increasingly smart. IoT sensors embedded in public infrastructure can provide granular data on the urban environment, and help public authorities to make their cities more sustainable and efficient. Nonetheless, this pervasive data collection also raises high surveillance risks, jeopardizing privacy and data protection rights. Against this backdrop, this thesis addresses how IoT surveillance technologies can be implemented in a legally compliant and ethically acceptable fashion in smart cities. An interdisciplinary approach is embraced to investigate this question, combining doctrinal legal research (on privacy, data protection, criminal procedure) with insights from philosophy, governance, and urban studies. The fundamental normative argument of this work is that surveillance constitutes a necessary feature of modern information societies. Nonetheless, as the complexity of surveillance phenomena increases, there emerges a need to develop more fine-attuned proportionality assessments to ensure a legitimate implementation of monitoring technologies. This research tackles this gap from different perspectives, analyzing the EU data protection legislation and the United States and European case law on privacy expectations and surveillance. Specifically, a coherent multi-factor test assessing privacy expectations in public IoT environments and a surveillance taxonomy are proposed to inform proportionality assessments of surveillance initiatives in smart cities. These insights are also applied to four use cases: facial recognition technologies, drones, environmental policing, and smart nudging. Lastly, the investigation examines competing data governance models in the digital domain and the smart city, reviewing the EU upcoming data governance framework. It is argued that, despite the stated policy goals, the balance of interests may often favor corporate strategies in data sharing, to the detriment of common good uses of data in the urban context.