43 resultados para PATOLOGIA VETERINARIA

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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Fino dagli albori della metodica scientifica, l’osservazione e la vista hanno giocato un ruolo fondamentale. La patologia è una scienza visiva, dove le forme, i colori, le interfacce e le architetture di organi, tessuti, cellule e componenti cellulari guidano l’occhio del patologo e ne indirizzano la scelta diagnostico-classificativa. L’osservazione del preparato istologico in microscopia ottica si attua mediante l’esame e la caratterizzazione di anomalie ad ingrandimenti progressivamente crescenti, a diverse scale spaziali, che partono dalla valutazione dell’assetto architettonico sovracellulare, per poi spostarsi ad investigare e descrivere le cellule e le peculiarità citomorfologiche delle stesse. A differenza di altri esami di laboratorio che sono pienamente quantificabili, l’analisi istologica è intrinsecamente soggettiva, e quindi incline ad un alto grado di variabilità nei risultati prodotti da differenti patologi. L’analisi d’immagine, l’estrazione da un’immagine digitale di contenuti utili, rappresenta una metodica oggettiva, valida e robusta ormai largamente impiegata a completamento del lavoro del patologo. Si sottolinea come l’analisi d’immagine possa essere vista come fase descrittiva quantitativa di preparati macroscopici e microscopici che poi viene seguita da una interpretazione. Nuovamente si sottolinea come questi descrittori siano oggettivi, ripetibili e riproducibili, e non soggetti a bassa concordanza inter operatore. La presente tesi si snoda attraverso un percorso concettuale orientato ad applicazioni di analisi d’immagine e patologia quantitativa che parte dalle applicazioni più elementari (densità, misure lineari), per arrivare a nozioni più avanzate, quali lo studio di complessità delle forme mediante l’analisi frattale e la quantificazione del pattern spaziale di strutture sovracellulari.

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La tesi è organizzata in 4 capitoli: -nel primo vengono brevemente riferite le patologie associate all’infezione da PCV2 con particolare riferimento all’iter diagnostico ed al ruolo rivestito dall’esame istologico e dalla identificazione dell’agente eziologico in situ contestualmente alle lesioni istologiche; -nel secondo viene presentato un iter diagnostico originale da applicare in condizioni di campo, qualora si voglia accertare la presenza del PCV2 nei tessuti dei prodotti di natimortalità/aborto del suino. In specifico si riferisce all’applicazione del protocollo in 2 aziende ed i risultati vengono analizzati per una revisione critica del protocollo impiegato; -nel terzo vengono presentati i risultati di un protocollo di infezione con PCV2 per via genitale tramite seme infetto. Scrofe convenzionali sono state sincronizzate per l’estro e fecondate con un’unica dose di seme PCV2 negativo alla PCR (gruppo controlli) o sperimentalmente esposto al PCV2 (gruppo infette). I risultati vengono analizzati in funzione delle ripercussioni che l’infezione precoce in gravidanza può produrre sulla scrofa (mancata gravidanza, ritorno in calore), sui feti e sugli invogli fetali. Viene stabilito il ruolo protettivo degli anticorpi circolanti al momento dell’infezione, stante l’evenienza che un basso titolo anticorpale si associa a viremia prolungata e maggiore numero di feti positivi al virus; -nel quarto viene presentato un esperimento sovrapponibile a quello riferito nel capitolo 3, però con la presenza anche di un gruppo di soggetti convenzionali vaccinati ed infettati con PCV2 durante la fecondazione artificiale usando seme sperimentalmente esposto al virus. Nella discussione dei risultati vengono enfatizzati 2 aspetti importanti nell’epidemiologia dell’infezione da PCV2: la eliminazione di virus è fortemente ridotta dalla vaccinazione, con conseguenze verosimilmente positive sulla circolazione del virus negli effettivi dell’allevamento; l’esposizione uterina è protetta dalla vaccinazione, stante la bassa percentuale di placente infette nel gruppo dei soggetti vaccinati rispetto a quelli non vaccinati e nei controlli.

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Gli spermatozoi di suino sottoposti alla procedura di sessaggio mediante citofluorimetria presentano una serie di modificazioni morfo-funzionali che compromettono nel tempo la loro sopravvivenza e la capacità fecondante. Questi spermatozoi, inoltre, a causa della sensibilità ai danni indotti dalla crioconservazione, vengono solitamente conservati allo stato liquido a 15-17°C, con conseguente ulteriore peggioramento nel tempo della qualità delle cellule spermatiche sessate. Lo scopo della ricerca è stato quello di valutare le modificazioni di alcune caratteristiche morfo-funzionali degli spermatozoi in seguito a sex-sorting e conseguente conservazione. Successivamente si è cercato di migliorare i parametri qualitativi del seme sessato mediante l’aggiunta di sostanze antiossidanti e la messa a punto di una nuova metodica di conservazione. I risultati ottenuti hanno evidenziato che la procedura di sessaggio e la conseguente conservazione per 24-26 ore a 15°C hanno indotto un peggioramento significativo delle caratteristiche morfo-funzionali (vitalità, integrità acrosomiale, quantità e distribuzione dell’Hsp70, capacità fecondante). Mentre l’azione degli antiossidanti non si è rivelata efficace nel miglioramento della qualità degli spermatozoi durante le fasi di colorazione e passaggio attraverso il citofluorimetro, l’azione congiunta del plasma seminale e degli antiossidanti superossido-dismutasi ed epigallocatechina-3-gallato ha indotto un miglioramento significativo della vitalità degli spermatozoi. Per la conservazione del seme di suino è stata testata la tecnica di incapsulazione in membrane di alginato di bario che permette, durante l’inseminazione artificiale, un rilascio graduale degli spermatozoi e l’utilizzo di un quantitativo inferiore di materiale seminale. L’applicazione di tale tecnica per la conservazione degli spermatozoi di suino sessati non sembra provocare un calo significativo della vitalità, dell’integrità acrosomiale e dell’efficienza totale di fecondazione rispetto al seme sortato e conservato diluito suggerendo futuri studi in vivo. Una migliore conoscenza dei danni indotti da queste tecnologie e la loro minimizzazione potrà stimolare in futuro l’utilizzo su vasta scala del seme sessato nel suino.

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Sono stati studiati gli effetti tossici dell’esposizione cronica a cobalto e cromo. In passato, questa tossicità, che colpiva lavoratori esposti per ragioni occupazionali, è stata un problema molto sentito. Tuttavia, recenti pubblicazioni hanno descritto una specifica tossicità mediata da elevati livelli di cobalto e cromo, anche in pazienti portatori di protesi metalliche, quali gli impianti d’anca. Anche se sintomi clinici tra cui, cecità, sordità e neuropatia periferica, suggeriscono uno specifico neurotropismo, ancora poco è conosciuto delle basi neuropatologiche di questo processo ed oltretutto non ne è ancora stata apportata un’evidenza sperimentale. In questo progetto di ricerca, quindi, si è voluto approfondire il meccanismo patogenetico da cui scaturiscono tali sintomi neurologici, utilizzando come modello sperimentale il coniglio. Conigli New Zealand White sono stati trattati con dosi endovenose ripetute di cobalto e cromo, inoculati singolarmente od in associazione tra loro. Nessuna evidente alterazione clinica o patologica è stata associata alla somministrazione di solo cromo, nonostante gli elevati livelli in sangue e tessuti, mentre i trattati con cobalto-cromo o solo cobalto hanno mostrato segni clinici gravanti sul sistema vestibolo-cocleare; il cobalto, quindi, è stato identificato come il maggiore elemento scatenante neurotossicità. Inoltre all’esame istopatologico gli animali hanno mostrato severa deplezione delle cellule gangliari retiniche e cocleari, assieme a danno al nervo ottico e perdita di cellule sensitive capellute dell’orecchio. È risultato infine evidente che la gravità delle alterazioni è stata correlata al dosaggio ed al tempo di esposizione; dati questi che confermano, quindi, le precedenti osservazioni fatte su pazienti umani esposti a rilascio abnorme di cobalto e cromo da usura di protesi d’anca. È stato ipotizzato che il cobalto agisca sui mitocondri provocando l’incremento di produzione di specie reattive dell’ossigeno e il rilascio di fattori proapoptotici, causando sulle cellule neuronali un danno proporzionale al loro fabbisogno energetico e grado di mielinizzazione.

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Disregolazioni dei recettori tirosinchinasici (RTK) sono di frequente riscontro nei tumori dell’uomo e in molti casi sono indicatori biologici che permettono di definire in maniera più accurata la prognosi dei pazienti. Possono rappresentare inoltre marker predittivi per la risposta a terapie antitumorali con farmaci a bersaglio molecolare. Numerosi inibitori tirosinchinasici (TKI) sono attualmente in corso di studio o già disponibili per l’utilizzo in oncologia umana, e molti di questi hanno dimostrato una significativa efficacia utilizzati singolarmente o in combinazione a terapie convenzionali. Studi recenti indicano che un quadro analogo di disregolazione dei recettori tirosinchinasici è presente anche nelle neoplasie dei piccoli animali, e ne suggeriscono in molti casi un’implicazione prognostica. Gli inibitori tirosinchinasi sono da poco entrati nell’arena dell’oncologia veterinaria, ma i primi risultati lasciano supporre che siano destinati ad essere integrati definitivamente nei protocolli terapeutici standard. La tesi consiste in una parte introduttiva in cui sono trattate le principali funzioni biologiche dei recettori tirosinchinasici, la loro struttura e il loro ruolo nell’oncogenesi e nella progressione tumorale in medicina umana e veterinaria. Si affrontano inoltre le principali metodiche di laboratorio per l’analisi molecolare in oncologia e i meccanismi d’azione dei farmaci inibitori tirosinchinasici, con un cenno ai prodotti maggiormente utilizzati e alle loro indicazioni. Segue la presentazione e la discussione dei risultati di quattro studi relativi alla valutazione delle disregolazioni del recettore tirosinchinasico Kit (espressione aberrante e mutazioni genomiche) nel mastocitoma cutaneo del gatto e del recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR) nel carcinoma squamocellulare cutaneo del gatto e nei tumori polmonari primitivi del cane, con particolare attenzione al loro ruolo prognostico.

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Nell’ambito della patologia gastroenterica del suino sono comprese alcune malattie sostenute da batteri spirillari gram negativi, di cui sono disponibili numerose trattazioni riguardanti, soprattutto, l'aspetto epidemiologico e patogenetico. Per alcuni di questi agenti microbici, e per le relative manifestazioni patologiche, poco si conosce nel cinghiale selvatico, animale correlato filogeneticamente al suino domestico, ma compreso in un’ecologia completamente differente. Da queste premesse è nato un approccio di ricerca e studio del comportamento di questi microrganismi in una metapopolazione di cinghiali, abbattuti durante il piano di controllo della popolazione densità-dipendente nel Parco dei Gessi e Calanchi dell’Abbadessa (BO), cercando di rapportare le conoscenze riportate in letteratura sul suino domestico con quanto è scaturito dalle indagini condotte sul cinghiale selvatico. In particolare è stata indagata con metodica immunoistochimica la presenza di Lawsonia intracellularis, patogeno del suino responsabile di Enterite Proliferativa (EP), in secondo luogo sono state condotte indagini batteriologiche e istologiche da stomaco e intestino, finalizzate all’isolamento di microrganismi spirillari dei generi Campylobacter e Helicobacter, da correlare all’eventuale presenza di lesioni infiammatorie e ulcerative gastriche o enteriche valutate secondo sistemi a punteggio ottenuti dalla bibliografia o realizzati in base alla tipologia di infiltrato cellulare e alla sua localizzazione. In ultimo, a fini comparativi con uno studio condotto nel 2002-2004 nello steso Parco Regionale, sono stati monitorati i livelli di antibioticoresistenza di indicatori fecali usando metodiche internazionali standardizzate (Escherichia coli e Enterococcus faecium.) nonché su un numero significativo di isolati di Campylobacter lanienae, per ottenere indicazioni preliminari sull’andamento nei 10 anni trascorsi dello stato di inquinamento da farmaco del Parco stesso. I risultati ottenuti permettono di ampliare le conoscenze sulla flora enterica del cinghiale selvatico e pongono questioni di sicurezza pubblica sulla gestione dei mammiferi selvatici.

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Il presente studio rappresenta la prima applicazione della tecnica CEUS in alcune delle più diffuse specie non convenzionali, nonché la prima nei rettili. In particolare è stata investigata la perfusione di fegato e milza in 10 conigli, 10 furetti e il fegato in 8 iguane. Per quanto riguarda i mammiferi, la tecnica è risultata di facile attuazione e i risultati ottenuti erano equiparabili a quelli documentati per i piccoli animali. Maggiore variabilità si è messa in evidenza a livello splenico in entrambe le specie e nel coniglio rispetto al furetto. Nelle iguane è stata necessaria una modifica del protocollo a seguito dei tempi più lunghi delle fasi di wash in e di wash out. Le curve ottenute erano caratterizzate da picchi più bassi e TTP più lunghi, con wash out incompleto anche dopo 10 minuti di indagine. Nelle iguane l’indagine del fegato è stata approfondita grazie all’esecuzione di TC dinamiche con MDC, studio pioneristico per quanto riguarda la medicina dei rettili. L’esecuzione è avvenuta senza problemi in anestesia generale. Diffusione del MDC e conseguenti variazione di HU a livello aortico e epatico sono state considerate contemporaneamente, con costruzione di curve HU-tempo piuttosto ripetibili, entrambe caratterizzate da un wash in rapido, un picco, particolarmente alto a livello aortico, e da una fase di wash out più lento, anche qui incompleto dopo i 600 secondi di indagine. Una certa variabilità è stata notata in tre individui, risultato attendibile conseguentemente alla forte dipendenza da fattori intriseci ed estrinseci del metabolismo e della funzionalità epatica dei rettili. L’intero protocollo è stato applicato in un furetto e due iguane patologiche, al fine di evidenziare le potenzialità cliniche delle tecniche. Sebbene il numero esiguo di casi non permetta di trarre conclusioni a questo riguardo, l’ultimo capitolo della tesi vuole essere uno spunto per studi futuri.

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The ingestion of a meal evokes a series of digestive processes, which consist of the essential functions of the digestive system: food transport, secretory activity, absorption of nutrients and the expulsion of undigested residues do not absorbed. The gastrointestinal chemosensitivity is characterized by cellular elements of the endocrine gastrointestinal mucosa and nerve fibers, in particular of vagal nature. A wide range of mediators endocrine and/or paracrine can be released from various endocrine cells in response to nutrients in the diet. These hormones, in addition to their direct activity, act through specific receptors activating some of the most important functions in the control of energy intake and energy homeostasis in the body. For integration of this complex system of control of gastrointestinal chemosensitivity, recent evidence demonstrates the presence of taste receptors (TR) belonging to the family of G proteins coupled receptor expressed in the mucosa of the gastrointestinal tract of different mammals and human. This thesis is divided into several research projects that have been conceived in order to clarify the relationship between TR and nutrients. To define this relationship I have used various scientific approaches, which have gone on to evaluate changes in signal molecules of TR, in particular of the α-transducin in the fasting state and after refeeding with standard diet in the gastrointestinal tract of the pig, the mapping of the same molecule signal in the gastrointestinal tract of fish (Dicentrarchus labrax), the signaling pathway of bitter TR in the STC-1 endocrine cell line and finally the involvement of bitter TR in particular of T2R38 in patients with an excessive caloric intake. The results showed how there is a close correlation between nutrients, TR and hormonal release and how they are useful both in taste perception but also likely to be involved in chronic diseases such as obesity.

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Il temperamento può essere definito come l’attitudine che un cane esprime verso le persone e verso altri animali, la combinazione di tratti fisici e mentali, acquisiti e non, che determinano il comportamento del cane. Tale parametro delinea perciò il carattere di un individuo, inclinazioni e tendenze, eccitabilità, tristezza, rabbia e il modo caratteristico di comportarsi di un individuo, con particolare riferimento alle interazioni sociali. La presente tesi di Dottorato rappresenta uno studio su alcuni tratti del temperamento nel cane domestico elaborato in 3 progetti sperimentali. Nei primi due progetti sono state analizzate le differenze attitudinali tra alcune razze canine attraverso l’applicazione di un test di temperamento in cuccioli di 60 giorni e in cani adulti, per valutare e confrontarne il temperamento, la socialità ed identificare profili tipici di razza. Nel terzo progetto un campione di cani morsicatori di canile e di proprietà è stato confrontato con due rispettivi gruppi di controllo. Analizzando i risultati è stato possibile mettere in evidenza caratteristiche di razza omogenee nell’interazione con stimoli inanimati, nelle interazioni sociali e in relazione alla possessività e sono stati delineati profili di razza sia nei cuccioli sia negli adulti. Si sono tuttavia, osservate variabilità individuali, intra-razza e intra-cucciolata, a testimonianza dell’influenza complessa e multifattoriale delle componenti genetica e ambientale sul comportamento dei cani. Il confronto tra cani morsicatori di canile e di proprietà ha messo in luce interessanti differenze tra i soggetti in termini di reattività, socievolezza, propensione all’interazione con il proprietario o con un estraneo, comportamenti di evitamento e velocità di reazione agli stimoli presentati. Il test applicato è risultato un valido strumento per valutare il temperamento di cani dichiarati aggressivi che sono stati sottoposti a situazioni nuove e a stimoli sconosciuti per poter ottenere una migliore visione d’insieme del temperamento del soggetto.

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Il presente studio ha indagato e valutato alcune abilità cognitive del cane: la capacità di discriminare quantità e le capacità di apprendimento mediante imitazione; quest’ultima è poi stata messa in relazione con l’attaccamento nei confronti del proprietario. Per l’esecuzione della prima indagine sono stati messi appunto due test: il primo si è basato esclusivamente sulla presentazione di uno stimolo visivo: diversi quantitativi di cibo, differenti tra loro del 50%, sono stati presentati al cane; la scelta effettuata dai soggetti testati è stata premiata con differenti tipi di rinforzo differenziale o non differenziale. Il secondo test è stato diviso in due parti: sono stati presentati al cane diversi quantitativi di cibo sempre differenti tra loro del 50% ma nella prima parte del test l’input sensoriale per il cane è stato esclusivamente uditivo mentre nella seconda parte è stato sia uditivo che visivo. Ove è stato possibile è stato applicato ai cani un cardiofrequenzimetro al fine di eseguire una valutazione delle variazioni della frequenza cardiaca nel corso del test. Lo scopo è stato quello di valutare se i soggetti testati erano in grado di discriminare la quantità maggiore. La seconda indagine ha analizzato le capacità di apprendimento di 36 soggetti che sono stati suddivisi in cani da lavoro e pet. I soggetti protagonisti dello studio hanno eseguito il Mirror Test per la valutazione dell’apprendimento per imitazione. I soggetti presi in considerazione, sono stati sottoposti a scansione termografica all’inizio ed al termine del test ed è stata rilevata la loro frequenza respiratoria nella fase iniziale e finale del test. In 11 soggetti che hanno eseguito il precedente test è stato possibile eseguire anche il Strange Situation Test per la valutazione dell’attaccamento al proprietario; i test in questione sono stati videoregistrati ed analizzati per mezzo di un software preposto (OBSERVER XT 10).

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La prima parte del nostro studio riguarda la tecnica LAMP (Loop-mediated isothermal amplification), una tecnica di amplificazione isotermica recentemente inventata (Notomi et al., 2000). Essa presenta notevoli vantaggi rispetto alle tradizionali PCR: non necessita di strumentazioni sofisticate come i termociclatori, può essere eseguita da personale non specializzato, è una tecnica altamente sensibile e specifica ed è molto tollerante agli inibitori. Tutte queste caratteristiche fanno sì che essa possa essere utilizzata al di fuori dei laboratori diagnostici, come POCT (Point of care testing), con il vantaggio di non dover gestire la spedizione del campione e di avere in tempi molto brevi risultati paragonabili a quelli ottenuti con la tradizionale PCR. Sono state prese in considerazione malattie infettive sostenute da batteri che richiedono tempi molto lunghi per la coltivazione o che non sono addirittura coltivabili. Sono stati disegnati dei saggi per la diagnosi di patologie virali che necessitano di diagnosi tempestiva. Altri test messi a punto riguardano malattie genetiche del cane e due batteri d’interesse agro-alimentare. Tutte le prove sono state condotte con tecnica real-time per diminuire il rischio di cross-contaminazione pur riuscendo a comprendere in maniera approfondita l’andamento delle reazioni. Infine è stato messo a punto un metodo di visualizzazione colorimetrico utilizzabile con tutti i saggi messi a punto, che svincola completamente la reazione LAMP dall’esecuzione in un laboratorio specializzato. Il secondo capitolo riguarda lo studio dal punto di vista molecolare di un soggetto che presenza totale assenza di attività mieloperossidasica all’analisi di citochimica automatica (ADVIA® 2120 Hematology System). Lo studio è stato condotto attraverso amplificazione e confronto dei prodotti di PCR ottenuti sul soggetto patologico e su due soggetti con fenotipo wild-type. Si è poi provveduto al sequenziamento dei prodotti di PCR su sequenziatore automatico al fine di ricercare la mutazione responsabile della carenza di MPO nel soggetto indicato.

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Il contributo di ricerca di questo lavoro è consistito nel rivalutare da un punto di vista diagnostico, classificativo e statistico, una casistica di neoplasie del gatto archiviate in 23 anni (1984-2006). Nei primi 20 anni sono state diagnosticate 1696 neoplasie su un totale di 3682 campioni prevenuti nello stesso periodo, con una prevalenza delle patologie di tipo neoplastico del 46,06%. Nei tre anni successivi sono state individuate 382 neoplasie su un totale di 601 campioni archiviati, con una prevalenza del 61,02%. Le neoplasie avevano per l'81,8% un comportamento maligno, e questo dato risulta coerente con il dato più recente sulla malignità (85,6%) e con quello fornito da altri autori. L'età dei soggetti affetti era simile nei due studi, compresa fra pochi mesi e 22 anni, con il maggior numero di casi fra 9 e 13 anni. Le due casistiche presentano inoltre dati simili riguardo gli organi coinvolti anche se i tumori della mammella sono notevolmente diminuiti negli ultimi anni, con un aumento corrispondente di neoplasie cutanee. I fibrosarcomi, che hanno subito un drastico aumento tra il 1993 e il 1994 si sono mantenuti costanti in tutti gli anni successivi, dato ancora oggi quasi certamente correlabile alle pratiche vaccinali. I linfomi sono risultati piuttosto infrequenti in entrambe le casistiche, comparate con i dati della letteratura in cui vengono riportate percentuali nettamente maggiori. I tumori del cavo orale e dell'intestino hanno mantenuto circa le stesse percentuali di insorgenza nel corso degli anni. Tra i tumori presenti in questo studio, sono stati approfonditi i tumori a carico delle sierose (mesoteliomi) e del polmone attraverso metodiche immunoistochimiche e ultrastrutturali. Nei 23 anni sono stati diagnosticati 10 casi di mesotelioma, di cui 8 coinvolgenti la pleura e due il peritoneo. Su questi casi è stata applicata una metodica immunoistochimica con un pannello anticorpale utilizzato di routine in patologia umana per la diagnosi di mesotelioma e per la diagnosi differenziale con i carcinomi polmonari. Tutti i casi presentavano una doppia positività per vimentina e citocheratine ad ampio spettro; anticorpi specifici come CK5/6 e HBME-1 hanno presentato una buona specificità. Anche la microscopia elettronica si è rivelata di ausilio, mettendo in evidenza la presenza di tonofilamenti citoplasmatici e di microvilli, tipici delle cellule mesoteliali. Le neoplasie polmonari, analogamente a quelle umane hanno, sono notevolmente aumentate negli ultimi anni. Dei 24 casi raccolti tra il materiale di archivio, 14 sono stati diagnosticati negli ultimi 5 anni. Si è rilevata una significativa predisposizione nei gatti di razza Persiana, e le metastasi più frequenti sono state a carico dei linfonodi, del miocardio e dei cuscinetti plantari, analogamente a quanto segnalato in letteratura. L’istotipo più rappresentato è stato il carcinoma squamoso, seguito da adenocarcinomi papillari e bronchioloalveolari. Il pannello immunoistochimico applicato, finalizzato a individuare l’origine broncogena o ghiandolare della neoplasia, è risultato utile per la diagnosi delle forme squamose poco differenziate (CK 5/6 e CK 14). Infine è stato testato l’anticorpo di elezione nella diagnosi differenziale fra le neoplasie primitive e secondarie del polmone, il TTF-1, che però non ha cross-reagito con tessuti di gatto; la diagnosi di neoplasia primitiva polmonare si è dunque basata sull’assenza, anche nei dati anamnestici, di masse in altri distretti corporei.