5 resultados para Outcome measures

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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Introduction: Open fractures of the leg represent a severe trauma. The combined approach, shared between plastic and orthopaedic surgeons, is considered to be important, although this multidisciplinary treatment is not routinely performed. Aim of this study was to verify whether the orthoplastic treatment is of any advantage over the traditional simply orthopedic treatment, through a multicentric inclusion of these unfrequent injuries into a prospective study. Material and methods: The following trauma centres were involved: Rizzoli Orthopaedic Institute/University of Bologna (leading centre) and Maggiore Hospital (Bologna, Italy), Frenchay Hospital (Bristol, United Kingdom), Jinnah Hospital (Lahore, Pakistan). All patients consecutively hospitalized in the mentioned centres between January 2012 and December 2013 due to tibial open fractures were included in the study and prospectively followed up to December 2014. Demographics and other clinical features were recorded, including the type of treatment (orthopaedic or orthoplastic). The considered outcome measures included duration of hospitalization, time for bone union and soft tissue closure, Enneking score at 3, 6 and 12 months, the incidence of osteomyelitis and other complications. Results: A total of 164 patients were included in the study. Out of them 68% were treated with an orthoplastic approach, whereas 32% received a purely orthopedic treatment. All considered outcome measures showed to be improved by the orthoplastic approach, compared to the orthopaedic one: time for soft tissue closure (2 versus 25 weeks), duration of hospital stay (22 versus 55 days), time for bone union (6 versus 8.5 months) , number of additional operations (0.6 versus 1.2) and functional recovery of the limb at 12 months (27 versus 19, Enneking’s score). All results were statistically significant. Conclusion: The combined orthoplastic approach to the treatment of open tibia fractures, in particular for high grade injuries (Gustilo 3B), is proven to improve the outcome of these severe injuries.

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Objective: To document the existence of a relationship between apnea of prematurity (AOP) and gastroesophageal reflux (GER) in preterm infants. Setting: One Neonatal Intensive Care Unit Patients: Twenty-six preterm infants (gestational age<32 weeks) with recurrent apneas. Intervention: Simultaneous and synchronized recording of polysomnography and pH-impedance monitoring (pH-MII). Polysomnography detects and characterizes apneas, by recording of breathing movement, nasal airflow, electrocardiogram, pulse oximeter saturation. pH-MII is the state-of-theart methodology for GER detection in preterm newborns. Main outcome measures: Relationship between AOP and GER, which were considered temporally related if both started within 30 seconds of each other. Results: One-hundred-fifty-four apneas out of 1136 were temporally related to GER. The frequency of apnea during the one-minute time around the onset of GER was significantly higher than the one detected in the GER-free period (p=0.03). Furthermore, the frequency of apnea in the 30 seconds after GER (GER-triggered apneas) was greater than that detected in the 30 seconds before (p=0.01). A great inter-individual variability was documented in the proportion of GERtriggered apneas. A strong correlation between total number of apneas and the difference between apneas detected 30 seconds after and before GER was found (p=0.034). Conclusions: Our data show that a variable rate of apneas can be triggered by GER in very preterm infant. Further studies are needed to recognise clinical features which identify those patients who are more susceptible to GER-triggered apneas.

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La neuroriabilitazione è un processo attraverso cui individui affetti da patologie neurologiche mirano al conseguimento di un recupero completo o alla realizzazione del loro potenziale ottimale benessere fisico, mentale e sociale. Elementi essenziali per una riabilitazione efficace sono: una valutazione clinica da parte di un team multidisciplinare, un programma riabilitativo mirato e la valutazione dei risultati conseguiti mediante misure scientifiche e clinicamente appropriate. Obiettivo principale di questa tesi è stato sviluppare metodi e strumenti quantitativi per il trattamento e la valutazione motoria di pazienti neurologici. I trattamenti riabilitativi convenzionali richiedono a pazienti neurologici l’esecuzione di esercizi ripetitivi, diminuendo la loro motivazione. La realtà virtuale e i feedback sono in grado di coinvolgerli nel trattamento, permettendo ripetibilità e standardizzazione dei protocolli. È stato sviluppato e valutato uno strumento basato su feedback aumentati per il controllo del tronco. Inoltre, la realtà virtuale permette l’individualizzare il trattamento in base alle esigenze del paziente. Un’applicazione virtuale per la riabilitazione del cammino è stata sviluppata e testata durante un training su pazienti di sclerosi multipla, valutandone fattibilità e accettazione e dimostrando l'efficacia del trattamento. La valutazione quantitativa delle capacità motorie dei pazienti viene effettuata utilizzando sistemi di motion capture. Essendo il loro uso nella pratica clinica limitato, una metodologia per valutare l’oscillazione delle braccia in soggetti parkinsoniani basata su sensori inerziali è stata proposta. Questi sono piccoli, accurati e flessibili ma accumulano errori durante lunghe misurazioni. È stato affrontato questo problema e i risultati suggeriscono che, se il sensore è sul piede e le accelerazioni sono integrate iniziando dalla fase di mid stance, l’errore e le sue conseguenze nella determinazione dei parametri spaziali sono contenuti. Infine, è stata presentata una validazione del Kinect per il tracking del cammino in ambiente virtuale. Risultati preliminari consentono di definire il campo di utilizzo del sensore in riabilitazione.

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L’ictus è un importante problema di salute pubblica, è causa di morte e disabilità nella popolazione anziana. La necessità di strategie di prevenzione secondaria e terziaria per migliorare il funzionamento post-ictus e prevenire o ritardare altre condizioni disabilitanti, ha portato l’Italia a sviluppare un intervento di Attività Fisica Adattata (AFA) per l’ictus, che permettesse di migliorare gli esiti della riabilitazione. Obiettivo dello studio è di valutare se l’AFA unita all’Educazione Terapeutica (ET), rispetto al trattamento riabilitativo standard, migliora il funzionamento e la qualità di vita in pazienti con ictus. Studio clinico non randomizzato, in cui sono stati valutati 229 pazienti in riabilitazione post-ictus, 126 nel gruppo sperimentale (AFA+ET) e 103 nel gruppo di controllo. I pazienti sono stati valutati al baseline, a 4 e a 12 mesi di follow-up. Le misure di esito sono il cambiamento a 4 mesi di follow-up (che corrisponde a 2 mesi post-intervento nel gruppo sperimentale) di: distanza percorsa, Berg Balance Scale, Short Physical Performance Battery, e Motricity Index. Le variabili misurate a 4 e a 12 mesi di follow-up sono: Barthel Index, Geriatric Depression Scale, SF-12 e Caregiver Strain Index. La distanza percorsa, la performance fisica, l’equilibrio e il punteggio della componente fisica della qualità di vita sono migliorate a 4 mesi nel gruppo AFA+ET e rimasti stabili nel gruppo di controllo. A 12 mesi di follow-up, il gruppo AFA+ET ottiene un cambiamento maggiore, rispetto al gruppo di controllo, nell’abilità di svolgimento delle attività giornaliere e nella qualità di vita. Infine il gruppo AFA+ET riporta, nell’ultimo anno, un minor numero di fratture e minor ricorso a visite riabilitative rispetto al gruppo di controllo. I risultati confermano che l’AFA+ET è efficace nel migliorare le condizioni cliniche di pazienti con ictus e che gli effetti, soprattutto sulla riabilitazione fisica, sono mantenuti anche a lungo termine.

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Background: sebbene la letteratura recente abbia suggerito che l’utilizzo degli impianti corti possa rappresentare una alternative preferibile alle procedure di rigenerazione ossea nelle aree posteriori atrofiche, perché è un trattamento più semplice e con meno complicazioni, esistono solo pochi studi a medio e lungo termine che abbiano comparato queste tecniche. Scopo: lo scopo di questo studio retrospettivo è quello di valutare se gli impianti corti (6-8 mm) (gruppo impianti corti) possano presentare percentuali di sopravvivenza e valori di riassorbimento osseo marginali simili a impianti di dimensioni standard (≥11 mm) inseriti contemporaneamente ad una grande rialzo di seno mascellare. Materiali e Metodi: in totale, 101 pazienti sono stati inclusi: 48 nel gruppo impianti corti e 53 nel gruppo seno. In ciascun paziente da 1 a 3 impianti sono stati inseriti e tenuti sommersi per 4-6 mesi. I parametri clinici e radiografici valutati sono: i fallimenti implantari, le complicazioni, lo stato dei tessuti molli, e il riassorbimento osseo marginale. Tutti i pazienti sono stati seguiti per almeno 3 anni dal posizionamento implantare. Risultati: il periodo di osservazione medio è stato di 43.47 ± 6.1 mesi per il gruppo impianti corti e 47.03 ± 7.46 mesi per il gruppo seno. Due su 101 impianti corti e 6 su 108 impianti standard sono falliti. Al follow-up finale, si è riscontrato un riassorbimento osseo medio di 0.47 ± 0.48 mm nel gruppo impianti corti versus 0.64 ± 0.58 mm nel gruppo seno. Non sono presenti differenze statisticamente significative fra i gruppi in termini di fallimenti implantari, complicazioni protesiche, tessuti molli, e riassorbimento osseo. Il gruppo seno ha presentato, invece, un maggior numero di complicazioni chirurgiche. Conclusioni: entrambe le tecniche hanno dimostrato un simile tasso di successo clinico e radiografico, ma gli impianti corti hanno ridotto il numero di complicazioni chirurgiche.