264 resultados para NTRU, LLL, reticoli, crittografia, sistemi a chiave pubblica.

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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La ricerca si colloca all’interno di un complesso intervento di cooperazione internazionale realizzato in El Salvador tra il 2009 e il 2014. Il Progetto di cooperazione è stato promosso dal Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna e finanziato dalla Cooperazione Italiana. L’esperienza studiata rappresenta un esempio di promozione dell’inclusione nei sistemi scolastici di Paesi del Sud del mondo e si propone due obiettivi: 1) analizzare il processo di cambiamento della prospettiva di intervento promossa dalla cooperazione internazionale, evidenziando la dimensione educativa che sostiene processi di empowerment e ownership delle istituzioni locali; 2) contribuire al dibattito sull’ “inclusive education”, sostenendo processi di inclusione scolastica e sociale rivolti a tutti coloro che si trovano in situazione di svantaggio psico-fisico e/o socio-culturale. Le politiche locali del Ministero dell’Educazione dal 2009 hanno promosso un modello educativo con l’obiettivo di garantire il diritto all’educazione per tutti nella scuola pubblica. Lo studio costituisce un'indagine di tipo valutativo sul processo di sviluppo della scuola inclusiva in El Salvador, supportato dall’intervento di cooperazione internazionale. La ricerca utilizza in modo integrato strumenti di natura quantitativa (questionari) e qualitativa (interviste). Dai dati raccolti emerge come il processo di cooperazione sia stato caratterizzato dal principio della pari dignità tra esperti internazionali e autorità politiche e tecniche locali. Inoltre, la ricerca ha consentito di verificare come la cultura dell'inclusione si sia radicata in modo diffuso nella percezione della missione della scuola e il suo ruolo tra i protagonisti del sistema scolastico. Alla luce dei risultati, appare fondamentale continuare a investire sulla formazione tecnica delle figure chiave del sistema educativo; facilitare il processo di inclusione dei disabili nelle scuole regolari con una parallela trasformazione delle scuole speciali in centri di supporto all’integrazione; promuovere una sinergia di azione formativa tra il ministero, mondo accademico e della formazione professionale.

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Il tema della Logistica Urbana è un argomento complesso che coinvolge diverse discipline. Infatti, non è possibile affrontare la distribuzione delle merci da un solo punto di vista. Da un lato, infatti, manifesta l’esigenza della città e della società in generale di migliorare la qualità della vita anche attraverso azioni di contenimento del traffico, dell’inquinamento e degli sprechi energetici. A questo riguardo, è utile ricordare che il trasporto merci su gomma costituisce uno dei maggiori fattori di impatto su ambiente, sicurezza stradale e congestione della viabilità urbana. Dall’altro lato vi sono le esigenze di sviluppo economico e di crescita del territorio dalle quali non è possibile prescindere. In questa chiave, le applicazioni inerenti la logistica urbana si rivolgono alla ricerca di soluzioni bilanciate che possano arrecare benefici sociali ed economici al territorio anche attraverso progetti concertati tra i diversi attori coinvolti. Alla base di tali proposte di pratiche e progetti, si pone il concetto di esternalità inteso come l’insieme dei costi esterni sostenuti dalla società imputabili al trasporto, in particolare al trasporto merci su gomma. La valutazione di questi costi, che rappresentano spesso una misurazione qualitativa, è un argomento delicato in quanto, come è facile immaginare, non può essere frutto di misure dirette, ma deve essere dedotto attraverso meccanismi inferenziali. Tuttavia una corretta definizione delle esternalità definisce un importante punto di partenza per qualsiasi approccio al problema della Logistica Urbana. Tra gli altri fattori determinanti che sono stati esplorati con maggiore dettaglio nel testo integrale della tesi, va qui accennata l’importanza assunta dal cosiddetto Supply Chain Management nell’attuale assetto organizzativo industriale. Da esso dipendono approvvigionamenti di materie prime e consegne dei prodotti finiti, ma non solo. Il sistema stesso della distribuzione fa oggi parte di quei servizi che si integrano con la qualità del prodotto e dell’immagine della Azienda. L’importanza di questo settore è accentuata dal fatto che le evoluzioni del commercio e l’appiattimento dei differenziali tra i sistemi di produzione hanno portato agli estremi la competizione. In questa ottica, minimi vantaggi in termini di servizio e di qualità si traducono in enormi vantaggi in termini di competitività e di acquisizione di mercato. A questo si aggiunge una nuova logica di taglio dei costi che porta a ridurre le giacenze di magazzino accorciando la pipeline di produzione ai minimi termini in tutte le fasi di filiera. Naturalmente questo si traduce, al punto vendita in una quasi totale assenza di magazzino. Tecnicamente, il nuovo modello di approvvigionamento viene chiamato just-in-time. La ricerca che è stata sviluppata in questi tre anni di Dottorato, sotto la supervisione del Prof. Piero Secondini, ha portato ad un approfondimento di questi aspetti in una chiave di lettura ad ampio spettro. La ricerca si è quindi articolata in 5 fasi: 1. Ricognizione della letteratura italiana e straniera in materia di logistica e di logistica urbana; 2. Studio delle pratiche nazionali ed europee 3. Analisi delle esperienze realizzate e delle problematiche operative legate ai progetti sostenuti dalla Regione Emilia Romagna 4. Il caso di studio di Reggio Emilia e redazione di più proposte progettuali 5. Valutazione dei risultati e conclusioni Come prima cosa si è quindi studiata la letteratura in materia di Logistica Urbana a livello nazionale. Data la relativamente recente datazione dei primi approcci nazionali ed europei al problema, non erano presenti molti testi in lingua italiana. Per contro, la letteratura straniera si riferisce generalmente a sistemi urbani di dimensione e configurazione non confrontabili con le realtà nazionali. Ad esempio, una delle nazioni che hanno affrontato per prime tale tematica e sviluppato un certo numero di soluzioni è stata il Giappone. Naturalmente, città come Tokyo e Kyoto sono notevolmente diverse dalle città europee ed hanno necessità ed esigenze assai diverse. Pertanto, soluzioni tecnologiche e organizzative applicate in questi contesti sono per la maggior parte inattuabili nei contesti del vecchio continente. Le fonti che hanno costituito maggiore riferimento per lo sviluppo del costrutto teorico della tesi, quindi, sono state i saggi che la Regione Emilia Romagna ha prodotto in occasione dello sviluppo del progetto City Ports di cui la Regione stessa era coordinatore di numerosi partners nazionali ed europei. In ragione di questo progetto di ricerca internazionale, l’Emilia Romagna ha incluso il trattamento della logistica delle merci negli “Accordi di Programma per il miglioramento della qualità dell’aria” con le province ed i capoluoghi. In Questo modo si è posta l’attenzione sulla sensibilizzazione delle Pubbliche Amministrazioni locali verso la mobilità sostenibile anche nell’ambito di distribuzione urbana delle merci. Si noti infatti che l’impatto sulle esternalità dei veicoli leggeri per il trasporto merci, quelli cioè che si occupano del cosiddetto “ultimo miglio” sono di due ordini di grandezza superiori rispetto a quelli dei veicoli passeggeri. Nella seconda fase, la partecipazione a convegni di ambito regionale e nazionale ha permesso di arricchire le conoscenze delle best-practice attuate in Italia per lo sviluppo di strumenti finalizzati ad condividere i costi esterni della mobilità delle merci con gli operatori logistici. In questi contesti è stato possibile verificare la disponibilità di tre linee di azione sulle quali, all’interno del testo della tesi si farà riferimento molto spesso: - linea tecnologica; - linea amministrativa; - linea economico/finanziaria. Nel discutere di questa tematica, all’interno di questi contesti misti in cui partecipavano esponenti della cultura accademica, delle pubbliche amministrazioni e degli operatori, ci si è potuti confrontare con la complessità che il tema assume. La terza fase ha costituito la preparazione fondamentale allo studio del caso di studio. Come detto sopra, la Regione Emilia Romagna, all’interno degli Accordi di Programma con le Province, ha deliberato lo stanziamento di co-finanziamenti per lo sviluppo di progetti, integrati con le pratiche della mobilità, inerenti la distribuzione delle merci in città. Inizialmente, per tutti i capoluoghi di provincia, la misura 5.2 degli A.d.P. prevedeva la costruzione di un Centro di Distribuzione Urbana e l’individuazione di un gestore dei servizi resi dallo stesso. Successive considerazioni hanno poi portato a modifiche della misura lasciando una maggiore elasticità alle amministrazioni locali. Tramite una esperienza di ricerca parallela e compatibile con quella del Dottorato finanziata da un assegno di ricerca sostenuto dall’Azienda Consorziale Trasporti di Reggio Emilia, si è potuto partecipare a riunioni e seminari presentati dalla Regione Emilia Romagna in cui si è potuto prendere conoscenza delle proposte progettuali di tutte le province. L’esperienza di Reggio Emilia costituisce il caso di studio della tesi di Dottorato. Le molteplici problematiche che si sono affrontate si sono protratte per tempi lunghi che hanno visto anche modifiche consistenti nell’assetto della giunta e del consiglio comunali. Il fatto ha evidenziato l’ennesimo aspetto problematico legato al mantenimento del patrimonio conoscitivo acquisito, delle metodiche adottate e di mantenimento della coerenza dell’impostazione – in termini di finalità ed obiettivi – da parte dell’Amministrazione Pubblica. Essendo numerosi gli attori coinvolti, in un progetto di logistica urbana è determinante per la realizzazione e la riuscita del progetto che ogni fattore sia allineato e ben informato dell’evoluzione del progetto. In termini di programmazione economica e di pianificazione degli interventi, inoltre, la pubblica amministrazione deve essere estremamente coordinata internamente. Naturalmente, questi sono fattori determinanti per ogni progetto che riguarda le trasformazioni urbane e lo sviluppo delle città. In particolare, i diversi settori (assessorati) coinvolti su questa tematica, fanno o possno fare entrare in situazioni critiche e rischiose la solidità politica dello schieramento di maggioranza. Basti pensare che la distribuzione delle merci in città coinvolge gli assessorati della mobilità, del commercio, del centro storico, dell’ambiente, delle attività produttive. In funzione poi delle filiere che si ritiene di coinvolgere, anche la salute e la sicurezza posso partecipare al tavolo in quanto coinvolte rispettivamente nella distribuzione delle categorie merceologiche dei farmaci e nella security dei valori e della safety dei trasporti. L’esperienza di Reggio Emilia è stata una opportunità preziosissima da molteplici punti di vista. Innanzitutto ha dato modo di affrontare in termini pratici il problema, di constatare le difficoltà obiettive, ad esempio nella concertazione tra gli attori coinvolti, di verificare gli aspetti convergenti su questo tema. Non ultimo in termini di importanza, la relazione tra la sostenibilità economica del progetto in relazione alle esigenze degli operatori commerciali e produttivi che ne configurano gli spazi di azione. Le conclusioni del lavoro sono molteplici. Da quelle già accennate relative alla individuazione delle criticità e dei rischi a quelle dei punti di forza delle diverse soluzioni. Si sono affrontate, all’interno del testo, le problematiche più evidenti cercando di darne una lettura costruttiva. Si sono evidenziate anche le situazioni da evitare nel percorso di concertazione e si è proposto, in tal proposito, un assetto organizzativo efficiente. Si è presentato inoltre un modello di costruzione del progetto sulla base anche di una valutazione economica dei risultati per quanto riguarda il Business Plan del gestore in rapporto con gli investimenti della P.A.. Si sono descritti diversi modelli di ordinanza comunale per la regolamentazione della circolazione dei mezzi leggeri per la distribuzione delle merci in centro storico con una valutazione comparativa di meriti ed impatti negativi delle stesse. Sono inoltre state valutate alcune combinazioni di rapporto tra il risparmio in termini di costi esterni ed i possibili interventi economico finanziario. Infine si è analizzato il metodo City Ports evidenziando punti di forza e di debolezza emersi nelle esperienze applicative studiate.

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La ricerca svolta ha individuato fra i suoi elementi promotori l’orientamento determinato da parte della comunità europea di dare vita e sostegno ad ambiti territoriali intermedi sub nazionali di tipo regionale all’interno dei quali i sistemi di città potessero raggiungere le massime prestazioni tecnologiche per cogliere gli effetti positivi delle innovazioni. L’orientamento europeo si è confrontato con una realtà storica e geografica molto variata in quanto accanto a stati membri, nei quali le gerarchie fra città sono storicamente radicate e funzionalmente differenziate secondo un ordine che vede la città capitale dominante su città subalterne nelle quali la cultura di dominio del territorio non è né continua né gerarchizzata sussistono invece territori nazionali compositi con una città capitale di riconosciuto potere ma con città di minor dimensione che da secoli esprimono una radicata incisività nella organizzazione del territorio di appartenenza. Alla prima tipologia di stati appartengono ad esempio i Paesi del Nord Europa e l’Inghilterra, esprimendo nella Francia una situazione emblematica, alla seconda tipologia appartengono invece i Paesi dell’aera mediterranea, Italia in primis, con la grande eccezione della Germania. Applicando gli intendimenti comunitari alla realtà locale nazionale, questa tesi ha avviato un approfondimento di tipo metodologico e procedurale sulla possibile organizzazione a sistema di una regione fortemente policentrica nel suo sviluppo e “artificiosamente” rinata ad unità, dopo le vicende del XIX secolo: l’Emilia-Romagna. Anche nelle regioni che si presentano come storicamente organizzate sulla pluralità di centri emergenti, il rapporto col territorio è mediato da centri urbani minori che governano il tessuto cellulare delle aggregazioni di servizi di chiara origine agraria. Questo stato di cose comporta a livello politico -istituzionale una dialettica vivace fra territori voluti dalle istituzioni e territori legittimati dal consolidamento delle tradizioni confermato dall’uso attuale. La crescente domanda di capacità di governo dello sviluppo formulata dagli operatori economici locali e sostenuta dalle istituzioni europee si confronta con la scarsa capacità degli enti territoriali attuali: Regioni, Comuni e Province di raggiungere un livello di efficienza sufficiente ad organizzare sistemi di servizi adeguati a sostegno della crescita economica. Nel primo capitolo, dopo un breve approfondimento sulle “figure retoriche comunitarie”, quali il policentrismo, la governance, la coesione territoriale, utilizzate per descrivere questi fenomeni in atto, si analizzano gli strumenti programmatici europei e lo S.S.S.E,. in primis, che recita “Per garantire uno sviluppo regionale equilibrato nella piena integrazione anche nell’economia mondiale, va perseguito un modello di sviluppo policentrico, al fine di impedire un’ulteriore eccessiva concentrazione della forza economica e della popolazione nei territori centrali dell’UE. Solo sviluppando ulteriormente la struttura, relativamente decentrata, degli insediamenti è possibile sfruttare il potenziale economico di tutte le regioni europee.” La tesi si inserisce nella fase storica in cui si tenta di definire quali siano i nuovi territori funzionali e su quali criteri si basa la loro riconoscibilità; nel tentativo di adeguare ad essi, riformandoli, i territori istituzionali. Ai territori funzionali occorre riportare la futura fiscalità, ed è la scala adeguata per l'impostazione della maggior parte delle politiche, tutti aspetti che richiederanno anche la necessità di avere una traduzione in termini di rappresentanza/sanzionabilità politica da parte dei cittadini. Il nuovo governo auspicato dalla Comunità Europea prevede una gestione attraverso Sistemi Locali Territoriali (S.Lo.t.) definiti dalla combinazione di milieu locale e reti di attori che si comportano come un attore collettivo. Infatti il secondo capitolo parte con l’indagare il concetto di “regione funzionale”, definito sulla base della presenza di un nucleo e di una corrispondente area di influenza; che interagisce con altre realtà territoriali in base a relazioni di tipo funzionale, per poi arrivare alla definizione di un Sistema Locale territoriale, modello evoluto di regione funzionale che può essere pensato come una rete locale di soggetti i quali, in funzione degli specifici rapporti che intrattengono fra loro e con le specificità territoriali del milieu locale in cui operano e agiscono, si comportano come un soggetto collettivo. Identificare un sistema territoriale, è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per definire qualsiasi forma di pianificazione o governance territoriale, perchè si deve soprattutto tener conto dei processi di integrazione funzionale e di networking che si vengono a generare tra i diversi sistemi urbani e che sono specchio di come il territorio viene realmente fruito., perciò solo un approccio metodologico capace di sfumare e di sovrapporre le diverse perimetrazioni territoriali riesce a definire delle aree sulle quali definire un’azione di governo del territorio. Sin dall’inizio del 2000 il Servizio Sviluppo Territoriale dell’OCSE ha condotto un’indagine per capire come i diversi paesi identificavano empiricamente le regioni funzionali. La stragrande maggioranza dei paesi adotta una definizione di regione funzionale basata sul pendolarismo. I confini delle regioni funzionali sono stati definiti infatti sulla base di “contorni” determinati dai mercati locali del lavoro, a loro volta identificati sulla base di indicatori relativi alla mobilità del lavoro. In Italia, la definizione di area urbana funzionale viene a coincidere di fatto con quella di Sistema Locale del Lavoro (SLL). Il fatto di scegliere dati statistici legati a caratteristiche demografiche è un elemento fondamentale che determina l’ubicazione di alcuni servizi ed attrezzature e una mappa per gli investimenti nel settore sia pubblico che privato. Nell’ambito dei programmi europei aventi come obiettivo lo sviluppo sostenibile ed equilibrato del territorio fatto di aree funzionali in relazione fra loro, uno degli studi di maggior rilievo è stato condotto da ESPON (European Spatial Planning Observation Network) e riguarda l’adeguamento delle politiche alle caratteristiche dei territori d’Europa, creando un sistema permanente di monitoraggio del territorio europeo. Sulla base di tali indicatori vengono costruiti i ranking dei diversi FUA e quelli che presentano punteggi (medi) elevati vengono classificati come MEGA. In questo senso, i MEGA sono FUA/SLL particolarmente performanti. In Italia ve ne sono complessivamente sei, di cui uno nella regione Emilia-Romagna (Bologna). Le FUA sono spazialmente interconnesse ed è possibile sovrapporre le loro aree di influenza. Tuttavia, occorre considerare il fatto che la prossimità spaziale è solo uno degli aspetti di interazione tra le città, l’altro aspetto importante è quello delle reti. Per capire quanto siano policentrici o monocentrici i paesi europei, il Progetto Espon ha esaminato per ogni FUA tre differenti parametri: la grandezza, la posizione ed i collegamenti fra i centri. La fase di analisi della tesi ricostruisce l’evoluzione storica degli strumenti della pianificazione regionale analizzandone gli aspetti organizzativi del livello intermedio, evidenziando motivazioni e criteri adottati nella suddivisione del territorio emilianoromagnolo (i comprensori, i distretti industriali, i sistemi locali del lavoro…). La fase comprensoriale e quella dei distretti, anche se per certi versi effimere, hanno avuto comunque il merito di confermare l’esigenza di avere un forte organismo intermedio di programmazione e pianificazione. Nel 2007 la Regione Emilia Romagna, nell’interpretare le proprie articolazioni territoriali interne, ha adeguato le proprie tecniche analitiche interpretative alle direttive contenute nel Progetto E.S.P.O.N. del 2001, ciò ha permesso di individuare sei S.Lo.T ( Sistemi Territoriali ad alta polarizzazione urbana; Sistemi Urbani Metropolitani; Sistemi Città – Territorio; Sistemi a media polarizzazione urbana; Sistemi a bassa polarizzazione urbana; Reti di centri urbani di piccole dimensioni). Altra linea di lavoro della tesi di dottorato ha riguardato la controriprova empirica degli effettivi confini degli S.Lo.T del PTR 2007 . Dal punto di vista metodologico si è utilizzato lo strumento delle Cluster Analisys per impiegare il singolo comune come polo di partenza dei movimenti per la mia analisi, eliminare inevitabili approssimazioni introdotte dalle perimetrazioni legate agli SLL e soprattutto cogliere al meglio le sfumature dei confini amministrativi dei diversi comuni e province spesso sovrapposti fra loro. La novità è costituita dal fatto che fino al 2001 la regione aveva definito sullo stesso territorio una pluralità di ambiti intermedi non univocamente circoscritti per tutte le funzioni ma definiti secondo un criterio analitico matematico dipendente dall’attività settoriale dominante. In contemporanea col processo di rinnovamento della politica locale in atto nei principali Paesi dell’Europa Comunitaria si va delineando una significativa evoluzione per adeguare le istituzioni pubbliche che in Italia comporta l’attuazione del Titolo V della Costituzione. In tale titolo si disegna un nuovo assetto dei vari livelli Istituzionali, assumendo come criteri di riferimento la semplificazione dell’assetto amministrativo e la razionalizzazione della spesa pubblica complessiva. In questa prospettiva la dimensione provinciale parrebbe essere quella tecnicamente più idonea per il minimo livello di pianificazione territoriale decentrata ma nel contempo la provincia come ente amministrativo intermedio palesa forti carenze motivazionali in quanto l’ente storico di riferimento della pianificazione è il comune e l’ente di gestione delegato dallo stato è la regione: in generale troppo piccolo il comune per fare una programmazione di sviluppo, troppo grande la regione per cogliere gli impulsi alla crescita dei territori e delle realtà locali. Questa considerazione poi deve trovare elementi di compatibilità con la piccola dimensione territoriale delle regioni italiane se confrontate con le regioni europee ed i Laender tedeschi. L'individuazione di criteri oggettivi (funzionali e non formali) per l'individuazione/delimitazione di territori funzionali e lo scambio di prestazioni tra di essi sono la condizione necessaria per superare l'attuale natura opzionale dei processi di cooperazione interistituzionale (tra comuni, ad esempio appartenenti allo stesso territorio funzionale). A questo riguardo molto utile è l'esperienza delle associazioni, ma anche delle unioni di comuni. Le esigenze della pianificazione nel riordino delle istituzioni politico territoriali decentrate, costituiscono il punto finale della ricerca svolta, che vede confermato il livello intermedio come ottimale per la pianificazione. Tale livello è da intendere come dimensione geografica di riferimento e non come ambito di decisioni amministrative, di governance e potrebbe essere validamente gestito attraverso un’agenzia privato-pubblica dello sviluppo, alla quale affidare la formulazione del piano e la sua gestione. E perché ciò avvenga è necessario che il piano regionale formulato da organi politici autonomi, coordinati dall’attività dello stato abbia caratteri definiti e fattibilità economico concreta.

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La raccolta e l’utilizzo in chiave comparativa di dati di performance sanitaria risponde, tra le altre esigenze, a bisogni di accountability. Si osserva infatti a livello internazionale la diffusione di politiche di pubblicizzazione della qualità dei risultati: uno studio della letteratura di settore consente di confrontare i fattori più rilevanti delle principali esperienze di reporting già realizzate in Paesi dai sistemi sanitari molto diversi. Nel contesto italiano l’attenzione ai diritti dell’utente di concerto con la riforma del sistema informativo sanitario si pongono come premesse alla potenziale diffusione di dati di performance alla cittadinanza. Una interpretazione delle fonti normative e della giurisprudenza tramite il principio di trasparenza pare sostenere la tesi di una doverosità di informazione in capo alle amministrazioni pubbliche; l’analisi dei possibili scenari di impatto delle politiche di comunicazione ne condiziona però l’attuazione ad una programmazione strutturata e consapevole.

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A livello globale una delle problematiche più urgenti della sanità pubblica umana e veterinaria è rappresentata dal controllo delle infezioni virali. L’emergenza di nuove malattie, la veloce diffusione di patologie finora confinate ad alcune aree geografiche, lo sviluppo di resistenza dei patogeni alle terapie utilizzate e la mancanza di nuove molecole attive, sono gli aspetti che influiscono più negativamente livello socio-economico in tutto il mondo. Misure per limitare la diffusione delle infezioni virali prevedono strategie per prevenire e controllare le infezioni in soggetti a rischio . Lo scopo di questa tesi è stato quello di indagare il possibile utilizzo di prototipi virali utilizzati come modello di virus umani per valutare l’efficacia di due diversi metodi di controllo delle malattie virali: la rimozione mediante filtrazione di substrati liquidi e gli antivirali di sintesi e di origine naturale. Per quanto riguarda la rimozione di agenti virali da substrati liquidi, questa è considerata come requisito essenziale per garantire la sicurezza microbiologica non solo di acqua ad uso alimentare , ma anche dei prodotti utilizzati a scopo farmaceutico e medico. Le Autorità competenti quali WHO ed EMEA hanno redatto delle linee guida molto restrittive su qualità e sicurezza microbiologica dei prodotti biologici per garantire la rimozione di agenti virali che possono essere trasmessi con prodotti utilizzati a scopo terapeutico. Nell'industria biomedicale e farmaceutica c'è l'esigenza di una tecnologia che permetta la rimozione dei virus velocemente, in grande quantità, a costi contenuti, senza alterare le caratteristiche del prodotto finale . La collaborazione con l’azienda GVS (Zola Predosa, Italia) ha avuto come obiettivo lo studio di una tecnologia di filtrazione che permette la rimozione dei virus tramite membrane innovative e/o tessuti-non-tessuti funzionalizzati che sfruttano l’attrazione elettrostatica per ritenere ed asportare i virus contenuti in matrici liquide. Anche gli antivirali possono essere considerati validi mezzi per il controllo delle malattie infettive degli animali e nell’uomo quando la vaccinazione non è realizzabile come ad esempio in caso di scoppio improvviso di un focolaio o di un attacco bioterroristico. La scoperta degli antivirali è relativamente recente ed il loro utilizzo è attualmente limitato alla patologia umana, ma è in costante aumento l’interesse per questo gruppo di farmaci. Negli ultimi decenni si è evidenziata una crescente necessità di mettere a punto farmaci ad azione antivirale in grado di curare malattie ad alta letalità con elevato impatto socio-economico, per le quali non esiste ancora un’efficace profilassi vaccinale. Un interesse sempre maggiore viene rivolto agli animali e alle loro patologie spontanee, come modello di studio di analoghe malattie dell’uomo. L’utilizzo di farmaci ad azione antivirale in medicina veterinaria potrebbe contribuire a ridurre l’impatto economico delle malattie limitando, nel contempo, la disseminazione dei patogeni nell’ambiente e, di conseguenza, il rischio sanitario per altri animali e per l’uomo in caso di zoonosi. Le piante sono sempre state utilizzate dall’industria farmaceutica per l’isolamento dei composti attivi e circa il 40% dei farmaci moderni contengono principi d’origine naturale. Alla luce delle recenti emergenze sanitarie, i fitofarmaci sono stati considerati come una valida per migliorare la salute degli animali e la qualità dei prodotti da essi derivati. L’obiettivo del nostro studio è stato indagare l’attività antivirale in vitro di estratti naturali e di molecole di sintesi nei confronti di virus a RNA usando come prototipo il Canine Distemper Virus, modello di studio per virus a RNA a polarità negativa, filogeneticamente correlato al virus del morbillo umano. La scelta di questo virus è dipesa dal fatto che rispetto ai virus a DNA e ai retrovirus attualmente l’offerta di farmaci capaci di contrastare le infezioni da virus a RNA è molto limitata e legata a molecole datate con alti livelli di tossicità. Tra le infezioni emergenti causate da virus a RNA sono sicuramente da menzionare quelle provocate da arbovirus. Le encefaliti virali da arbovirus rappresentano una emergenza a livello globale ed attualmente non esiste una terapia specifica. Una delle molecole più promettenti in vitro per la terapia delle infezioni da arbovirus è la ribavirina (RBV) che, con il suo meccanismo d’azione pleiotropico, si presta ad essere ulteriormente studiata in vivo per la sua attività antivirale nei confronti delle infezioni da arbovirus. Uno dei fattori limitanti l’utilizzo in vivo di questa molecola è l’incapacità della molecola di oltrepassare la barriera emato-encefalica. Nel nostro studio abbiamo messo a punto una formulazione per la somministrazione endonasale di RBV e ne abbiamo indagato la diffusione dalla cavità nasale all’encefalo attraverso l’identificazione e quantificazione della molecola antivirale nei diversi comparti cerebrali . Infine è stato condotto un esperimento in vivo per valutare l’efficacia di un composto a base di semi di Neem, di cui sono già note le proprietà antimicrobiche, nei confronti dell’infezione da orf virus, una zoonosi a diffusione mondiale, che ha un elevato impatto economico in aree ad alta densità ovi-caprina e può provocare lesioni invalidanti anche nell’uomo.

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Il presente lavoro analizza il ruolo ricoperto dal legislatore e dalla pubblica amministrazione rispettivamente nel delineare e attuare politiche pubbliche volte alla promozione di modelli di sviluppo economico caratterizzati da un elevato tasso di sostenibilità ambientale. A tal fine, il lavoro è suddiviso in quattro capitoli. Nel primo capitolo vengono presi in considerazione i principali elementi della teoria generale che costituiscono i piani di lettura del tema trattato. Questa prima fase della ricerca è incentrata, da un lato, sull’analisi (storico-evolutiva) del concetto di ambiente alla luce della prevalente elaborazione giuridica e, dall’altro, sulla formazione del concetto di sviluppo sostenibile, con particolare riguardo alla sua declinazione in chiave ambientale. Nella parte centrale del lavoro, costituita dal secondo e dal terzo capitolo, l’analisi è rivolta a tre settori d’indagine determinanti per l’inquadramento sistematico delle politiche pubbliche del settore: il sistema di rapporti che esiste tra i molteplici soggetti (internazionali, nazionali e locali) coinvolti nella ricerca di soluzioni alla crisi sistemica ambientale; l’individuazione e la definizione dell’insieme dei principi sostanziali che governano il sistema di tutela ambientale e che indirizzano le scelte di policy nel settore; i principali strumenti (giuridici ed economici) di protezione attualmente in vigore. Il quarto ed ultimo capitolo prende in considerazione le politiche relative alle procedure di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti per la produzione di energia alimentati da fonti energetiche rinnovabili, analizzate quale caso specifico che può essere assunto a paradigma del ruolo ricoperto dal legislatore e dalla pubblica amministrazione nel settore delle politiche di sviluppo sostenibile. L’analisi condotta mostra un elevato tasso di complessità del sistema istituzionale e organizzativo, a cui si aggiungono evidenti limiti di efficienza per quanto riguarda il regime amministrativo delle autorizzazioni introdotto dal legislatore nazionale.

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Nel corso degli ultimi anni le problematiche legate al ruolo vettore delle zanzare stanno emergendo sia per quanto riguarda l’uomo che gli animali allevati e selvatici. Diversi arbovirus come West Nile, Chikungunya, Usutu e Dengue, possono facilmente spostarsi a livello planetario ed essere introdotti anche nei nostri territori dove possono dare avvio a episodi epidemici. Le tecniche di monitoraggio e sorveglianza dei Culicidi possono essere convenientemente utilizzate per il rilevamento precoce dell’attività virale sul territorio e per la stima del rischio di epidemie al fine dell’adozione delle opportune azioni di Sanità Pubblica. Io scopo della ricerca del dottorato è inserito nel contesto dei temi di sviluppo del Piano regionale sorveglianza delle malattie trasmesse da vettori in Emilia Romagna. La ricerca condotta è inquadrata prevalentemente sotto l’aspetto entomologico applicativo di utilizzo di dispositivi (trappole) che possano catturare efficacemente possibili insetti vettori. In particolare questa ricerca è stata mirata allo studio comparativo in campo di diversi tipi di trappole per la cattura di adulti di zanzara, cercando di interpretare i dati per capire un potenziale valore di efficacia/efficienza nel rilevamento della circolazione virale e come supporto alla pianificazione della rete di sorveglianza dal punto di vista operativo mediante dispositivi adeguati alle finalità d’indagine. Si è cercato di trovare un dispositivo idoneo, approfondendone gli aspetti operativi/funzionali, ai fini di cattura del vettore principale del West Nile Virus, cioè la zanzara comune, da affiancare all’unica tipologia di trappola usata in precedenza. Le prove saranno svolte sia in campo che presso il laboratorio di Entomologia Medica Veterinaria del Centro Agricoltura Ambiente “G. Nicoli” di Crevalcore, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroambientali della Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna.

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L’elaborato si occupa di fare il punto in materia di indagini difensive a tre lustri dall’entrata in vigore della legge n. 397/2000, epilogo di un lungo processo evolutivo che ha visto da un lato, una gestazione faticosa e travagliata, dall’altro, un prodotto normativo accolto dagli operatori in un contesto di scetticismo generale. In un panorama normativo e giurisprudenziale in continua evoluzione, i paradigmi dettati dagli artt. 24 e 111 della Costituzione, in tema di diritto alla difesa e di formazione della prova penale secondo il principio del contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, richiedono che il sistema giustizia offra sia all’indagato che all’imputato sufficienti strumenti difensivi. Tenuto conto delle diversità che caratterizzano naturalmente i ruoli dell’accusa e della difesa che impongono asimmetrie genetiche inevitabili, l’obiettivo della ricerca consiste nella disamina degli strumenti idonei a garantire il diritto alla prova della difesa in ogni stato e grado del procedimento, nel tentativo di realizzare compiutamente il principio di parità accusa - difesa nel processo penale. La ricerca si dipana attraverso tre direttrici: l’analisi dello statuto sulle investigazioni difensive nella sua evoluzione storica sino ai giorni nostri, lo studio della prova penale nel sistema americano e, infine, in alcune considerazioni finali espresse in chiave comparatistica. Le suggestioni proposte sono caratterizzate da un denominatore comune, ovvero dal presupposto che per contraddire è necessario conoscere e che solo per tale via sia possibile, finalmente, riconoscere il diritto di difendersi indagando.

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Le soluzioni tecnologiche rese oggi disponibili dalle discipline della moderna Geomatica, offrono opportunità di grande interesse per il rilevamento nel settore dei Beni Culturali, sia per quanto riguarda il momento primario del rilievo, cioè la fase di acquisizione del dato metrico, sia per quanto concerne la questione della rappresentazione per oggetti di interesse archeologico, artistico, architettonico. Lo studio oggetto della presente tesi si propone, sulla base di numerose esperienze maturate nel corso del Dottorato dal Laboratorio di Topografia e Fotogrammetria del DISTART, di affrontare e approfondire le problematiche connesse all’utilizzo della fotogrammetria digitale e del laser a scansione terrestre per applicazioni nell’ambito dei Beni Culturali. La ricerca condotta è prettamente applicata, quindi è stata primaria l’esigenza di avere a disposizione reali casi di studio su cui sperimentare le tecniche di interesse; è però importante sottolineare che questo è un campo in cui ogni esperienza presenta proprie caratteristiche e peculiarità che la rendono interessante e difficilmente descrivibile con schemi convenzionali e metodologie standardizzate, quindi le problematiche emerse hanno di volta in volta indirizzato e spinto la ricerca all’approfondimento di certi aspetti piuttosto che altri. A tal proposito è stato evidenziato dalle esperienze effettuate che il campo dei Beni Culturali è forse il più emblematico delle potenzialità rese oggi disponibili dalle moderne tecnologie della Geomatica, e soprattutto dalle possibilità offerte da un approccio integrato e multi – disciplinare di tecniche e tecnologie diverse; per questo nell’Introduzione si è voluto sottolineare questo aspetto, descrivendo l’approccio metodologico adottato in molti lavori in contesto archeologico, che include generalmente diverse tecniche integrate tra loro allo scopo di realizzare in modo veloce e rigoroso un rilievo multi – scala che parte dal territorio, passa attraverso l’area del sito archeologico e degli scavi, ed arriva fino al singolo reperto; questo approccio è caratterizzato dall’avere tutti i dati e risultati in un unico e ben definito sistema di riferimento. In questa chiave di lettura l’attenzione si è poi focalizzata sulle due tecniche che rivestono oggi nel settore in esame il maggiore interesse, cioè fotogrammetria digitale e laser a scansione terrestre. La struttura della tesi segue le fasi classiche del processo che a partire dal rilievo porta alla generazione dei prodotti di rappresentazione; i primi due capitoli, incentrati sull’acquisizione del dato metrico, riguardano quindi da un lato le caratteristiche delle immagini e dei sensori digitali, dall’altro le diverse tipologie di sistemi laser con le corrispondenti specifiche tecniche; sempre nei primi capitoli vengono descritte le caratteristiche metodologiche e tecnico – operative e le relative problematiche delle due tipologie di rilievo. Segue un capitolo sulle procedure di calibrazione delle camere digitali non professionali, imperniato sull’utilizzo di software diversi, commerciali e sviluppati in house per questo scopo, prestando attenzione anche agli strumenti che essi offrono in termini di risultati ottenibili e di controllo statistico sugli stessi. La parte finale della tesi è dedicata al problema della rappresentazione, con l’obiettivo di presentare un quadro generale delle possibilità offerte dalle moderne tecnologie: raddrizzamenti, ortofoto, ortofoto di precisione e infine modelli tridimensionali foto – realistici, generati a partire sia da dati fotogrammetrici sia da dati laser.