5 resultados para Mythology, Slavic.

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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This 
study
 participates 
of
 the 
vivacious
 and
 recent 
interest
 for
 the 
Martial’s
 work, 
that
 has
 brought
 to
 discover
 a
 wealth
 and 
a 
complexity,
 remained 
for 
a
long
 time
 hidden, 
of 
the 
epigrammatic
 kind.
 Of
 this
 complexity
 is
 an
 important
 part
 the
 refined
 allusive
 game
 with
 the
 preceding
 tradition,
 as
 that
 with 
Ovid.
 My 
work
 is
 divided
 in
 two
 sections: 
the 
first
 one
 is dedicated
 to 
the 
passages 
in 
which
 Martial
 quotes
 Ovid
 and
 to
 the
 surest
 and
 more
 important
 recalls.
 The
 single
 chapters
 are
 dedicated
 to
 a
 detail
 theme
 (the
 apostrophe
 to
 the
 book;
 the
 mythology;
 the
 love;
 the
 exile).
 The
 second
 section, 
instead, 
is
 dedicated 
to 
the 
rhetoric,
 with
 an 
analysis 
of
 the
 structure 
of 
the 
poetic
 discourse
 in
 the
 elegy
 and
 in
 the
 epigram,
 and
 to
 the study
 of
 some
 rhetorical
 figures,
 in
 primis
 the
 sententia,
 key‐element
 in
 the
 Martial’s
 work,
 but
 also
 decisive
 in
 the
 innovative
 poetic process
 begun by
 Ovid.


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La tesi mira a ridefinire lo statuto del personaggio nell’ambito del self-conscious novel postmoderno, alla luce delle più recenti tendenze narratologiche, con particolare riferimento all’unnatural narratology. Per poter presentare un modello scientificamente valido si è fatto ricorso alla comparazione della produzione letteraria di due macro-aree: quella britannica e quella slava (Russia - Unione Sovietica - e Polonia). Come figura di mediazione tra queste due culture si pone senza dubbio Vladimir V. Nabokov, cardine e personalità di spicco della ricerca. Tra le analisi testuali proposte sono stati presi in considerazione i seguenti autori: Julian Barnes, Vladimir Nabokov, Daniil Charms, Konstantin Vaginov, Andrej Bitov, Saša Sokolov, Bruno Schulz e Tadeusz Kantor.

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Come dimostrano i sempre più numerosi casi di cronaca riportati dai notiziari, la preoccupazione per la gestione delle immagini di morte si configura come un nodo centrale che coinvolge spettatori, produttori di contenuti e broadcaster, dato che la sua emersione nel panorama mediale in cui siamo immersi è sempre più evidente. Se la letteratura socio-antropologica è generalmente concorde nel ritenere che, rispetto al passato, oggi la morte si manifesti con meno evidenza nella vita comune delle persone, che tendono a rimuovere i segni della contiguità vivendo il lutto in forma privata, essa è però percepita in modo pervasivo perché disseminata nei (e dai) media. L'elaborato, concentrandosi in maniera specifica sulle produzioni audiovisive, e quindi sulla possibilità intrinseca al cinema – e alle sue forme derivate – di registrare un evento in diretta, tenta di mappare alcune dinamiche di produzione e fruizione considerando una particolare manifestazione della morte: quella che viene comunemente indicata come “morte in diretta”. Dopo una prima ricognizione dedicata alla tensione continua tra la spinta a considerare la morte come l'ultimo tabù e le manifestazioni che essa assume all'interno della “necrocultura”, appare chiaro che il paradigma pornografico risulta ormai inefficace a delineare compiutamente le emersioni della morte nei media, soggetta a opacità e interdizioni variabili, e necessita dunque di prospettive analitiche più articolate. Il fulcro dell'analisi è dunque la produzione e il consumo di precisi filoni quali snuff, cannibal e mondo movie e quelle declinazioni del gore che hanno ibridato reale e fittizio: il tentativo è tracciare un percorso che, a partire dal cinema muto, giunga al panorama contemporaneo e alle pratiche di remix rese possibili dai media digitali, toccando episodi controversi come i Video Nasties, le dinamiche di moral panic scatenate dagli snuff film e quelle di contagio derivanti dalla manipolazione e diffusione delle immagini di morte.

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Questa tesi coniuga metodologie tradizionali e nuove tecnologie per far luce sulla straordinaria proliferazione di immagini musicali che caratterizza il ducato di Alfonso I d’Este (1505-1534) e offrire la possibilità di esplorare in modo nuovo uno degli ambienti più significativi del Rinascimento: il Camerino delle Pitture, studiolo del Duca. Il lavoro svolto ha portato all’individuazione di 60 opere finora mai analizzate da un punto di vista iconografico-musicale, ad eccezione di pochissimi casi, e alla creazione del primo catalogo iconografico-musicale sulla Ferrara di Alfonso I (vol. II). Il vol. I della tesi espone gli approfondimenti critici. Il corpus raccolto nel catalogo è inquadrato nel particolare contesto culturale di ricercata sinergia tra le arti, alla luce della dimensione cortese del consumo musicale ma soprattutto del valore identitario che Alfonso stesso attribuiva alla musica. Le immagini musicali sono quindi analizzate nella duplice veste di testimonianze storiche (sui contesti esecutivi, sulle sonorità degli ensembles, sulla diffusione e l’interesse per alcuni strumenti e sul loro valore di emblemi dell’elegante ed armonica vita cortese) e di omaggio verso il Duca, i suoi gusti artistici e le sue vedute culturali. Ad Alfonso e alle sue identificazioni mitologiche è dedicata la seconda parte. Un accurato profilo caratteriale prelude all’analisi di alcune delle opere più significative della committenza alfonsina con particolare attenzione ai capolavori provenienti dai suoi studioli, lo Studio dei Marmi e il Camerino delle Pitture. Quest’ultimo è al centro anche della terza ed ultima parte della tesi che ne propone, in conclusione, un’originale elaborazione 3D in cui è possibile avere informazioni storico-critiche sulle opere e, soprattutto, ascoltare una registrazione inedita del canone di Adrian Willaert raffigurato nel Baccanale degli Andrii di Tiziano, autentico manifesto identitario e culturale di Alfonso.

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Questa tesi propone un indagine sulla memoria del retorno a partire da una prospettiva critica che assume il “sud globale di lingua portoghese” come spazio storico e concettuale di riferimento. Si riflette sull'idea di specificità attribuita alla colonizzazione promossa dal Portogallo in Africa tenendo conto delle contraddizioni associate al movimento migratorio innescato dal processo violento di decolonizzazione dell’Africa portoghese.
 Le memorie trauamatiche sul retorno espongono la violenza come componente costitutiva della realtà coloniale ma ripropongono anche dinamiche che permettono l’occultamento del razzismo. L'esplorazione della “soffitta”, assunta come metafora della memoria familiare custodita nello spazio domestico, accompagna quella dell’archivio pubblico. L’analisi dell’archivio ufficiale e della memoria familiare riflette il tentativo di stabilire un dialogo tra storia e memoria superando la logica di antitesi che tradizionalmente le contrappone. Utilizzando il concetto criticamente problematico di “postmemoria” si riflette sulla riconfigurazione del rapporto con il passato in funzione di un’idea di “eredità come compito” assunto nel presente). La possibilità di “salvare” il passato dalla progressiva scomparsa dei testimoni comporta un pericolo di abuso ideologico connaturato al processo di trasmissione. La traduzione delle memorie coloniali sul retorno dallo spazio intimo allo spazio del dibattito pubblico mostra la relazione tra la costruzione della mitologia familiare e l’adozione del discorso lusotropicale. Il tentativo di definire la natura indecifrabile del retornado comporta la possibilità di sanzionare la violenza coloniale negando una responsabilità collettiva riferita al colonialismo. Si presenta il tentativo di configurare i termini di una questione post-coloniale portoghese dai contorni opachi. Questa tesi approda ad una conclusione aperta, articolata sul rischio sempre presente di appropriazione delle categorie critiche post-coloniali da parte dell’ideologia egemonica. Attraverso le (post)memorie (post)coloniali la denuncia del razzismo in quanto eredità permanente e la riconfigurazione dell’archivio coloniale costituiscono operazioni possibili, necessarie, ma non per questo scontate o prive di rischi.