162 resultados para LCA , differenziazione , simapro , rifiuti , impatto

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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Il progetto prevede l’applicazione dell’analisi del ciclo di vita al sistema integrato di raccolta, riciclaggio e smaltimento dei rifiuti urbani e assimilati. La struttura di una LCA (Life Cycle Assessment) è determinata dalla serie di norme UNI EN ISO 14040 e si può considerare come “un procedimento oggettivo di valutazione dei carichi energetici e ambientali relativi a un processo o un’attività, effettuato attraverso l’identificazione dell’energia e dei materiali usati e dei rifiuti rilasciati nell’ambiente. La valutazione include l’intero ciclo di vita del processo o attività, comprendendo l’estrazione e il trattamento delle materie prime, la fabbricazione, il trasporto, la distribuzione, l’uso, il riuso, il riciclo e lo smaltimento finale”. Questa definizione si riassume nella frase “ from cradle to grave” (dalla culla alla tomba). Lo scopo dello studio è l’applicazione di una LCA alla gestione complessiva dei rifiuti valutata in tre territori diversi individuati presso tre gestori italiani. Due di questi si contraddistinguono per modelli di raccolta con elevati livelli di raccolta differenziata e con preminenza del sistema di raccolta domiciliarizzato, mentre sul territorio del terzo gestore prevale il sistema di raccolta con contenitori stradali e con livelli di raccolta differenziata buoni, ma significativamente inferiori rispetto ai Gestori prima descritti. Nella fase iniziale sono stati individuati sul territorio dei tre Gestori uno o più Comuni con caratteristiche abbastanza simili come urbanizzazione, contesto sociale, numero di utenze domestiche e non domestiche. Nella scelta dei Comuni sono state privilegiate le realtà che hanno maturato il passaggio dal modello di raccolta a contenitori stradali a quello a raccolta porta a porta. Attuata l’identificazione delle aree da sottoporre a studio, è stato realizzato, per ognuna di queste aree, uno studio LCA dell’intero sistema di gestione dei rifiuti, dalla raccolta allo smaltimento e riciclaggio dei rifiuti urbani e assimilati. Lo studio ha posto anche minuziosa attenzione al passaggio dal sistema di raccolta a contenitori al sistema di raccolta porta a porta, evidenziando il confronto fra le due realtà, nelle fasi pre e post passaggio, in particolare sono stati realizzati tre LCA di confronto attraverso i quali è stato possibile individuare il sistema di gestione con minori impatti ambientali.

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Lo studio che la candidata ha elaborato nel progetto del Dottorato di ricerca si inserisce nel complesso percorso di soluzione del problema energetico che coinvolge necessariamente diverse variabili: economiche, tecniche, politiche e sociali L’obiettivo è di esprimere una valutazione in merito alla concreta “convenienza” dello sfruttamento delle risorse rinnovabili. Il percorso scelto è stato quello di analizzare alcuni impianti di sfruttamento, studiare il loro impatto sull’ambiente ed infine metterli a confronto. Questo ha consentito di trovare elementi oggettivi da poter valutare. In particolare la candidata ha approfondito il tema dello sfruttamento delle risorse “biomasse” analizzando nel dettaglio alcuni impianti in essere nel Territorio della Regione Emilia-Romagna: impianti a micro filiera, filiera corta e filiera lunga. Con la collaborazione di Arpa Emilia-Romagna, Centro CISA e dell’Associazione Prof. Ciancabilla, è stata fatta una scelta degli impianti da analizzare: a micro filiera: impianto a cippato di Castel d’Aiano, a filiera corta: impianto a biogas da biomassa agricola “Mengoli” di Castenaso, a filiera lunga: impianto a biomasse solide “Tampieri Energie” di Faenza. Per quanto riguarda la metodologia di studio utilizzata è stato effettuato uno studio di Life Cycle Assesment (LCA) considerando il ciclo di vita degli impianti. Tramite l’utilizzo del software “SimaPro 6.0” si sono ottenuti i risultati relativi alle categorie di impatto degli impianti considerando i metodi “Eco Indicator 99” ed “Edip Umip 96”. Il confronto fra i risultati dell’analisi dei diversi impianti non ha portato a conclusioni di carattere generale, ma ad approfondite valutazioni specifiche per ogni impianto analizzato, considerata la molteplicità delle variabili di ogni realtà, sia per quanto riguarda la dimensione/scala (microfiliera, filiera corta e filiera lunga) che per quanto riguarda le biomasse utilizzate.

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Nonostante il fatto che una gran parte del mondo viva ancora oggi a livelli di sussistenza, i dati in nostro possesso ci indicano che le attività umane stanno esaurendo le risorse ambientali del pianeta. La causa di questo eccessivo sfruttamento delle risorse è da ricercare nei pattern non sostenibili di produzione e consumo dei paesi sviluppati. La preoccupazione per le conseguenze sull'ambiente e la lotta al cambiamento climatico hanno posto le politiche ambientali al centro dell'attenzione internazionale. Il Protocollo di Kyoto e la Commissione Europea hanno stabilito degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra, rispettivamente del 12% entro il 2012 e del 20% entro il 2020. All'interno del Protocollo di Kyoto l'obiettivo per l'Italia è ridurre del 6,5% le emissioni di gas serra nazionali rispetto al 1990. Le politiche mirate alla riduzione delle emissioni di gas serra hanno in genere come obiettivo gli impianti energetici e i trasporti. Poca attenzione viene data alla filiera agroalimentare pur sapendo che l'agricoltura ha un forte impatto sull'ambiente e recenti studi stimano che circa il 50% del cibo prodotto viene perso o buttato via dalla produzione al consumo. Alla luce di questi dati, il mio lavoro di tesi ha avuto come obiettivo quello di quantificare i rifiuti e gli sprechi agroalimentari in Europa e in Italia e stimare l'impatto ambientale associato. I dati raccolti in questa tesi mettono in evidenza l'importanza di migliorare l'efficienza della filiera agroalimentare per ridurre l'impatto ambientale nazionale e rispettare gli accordi internazionali sulla lotta ai cambiamenti climatici.

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I rifiuti come oggetti impegnano tutte le istituzioni umane in una lotta di definizione del posto che occupano e quindi del valore che assumono. In tale dinamica la gestione dei rifiuti diventa un fatto sociale totale che coinvolge tutte le istituzioni umane in una lotta di definizione territorializzata. La storia del movimento ambientalista ci mostra come partendo dal disagio nei confronti dell’oggetto si è passati ad un disagio nei confronti delle idee che lo generano. Modernizzazione ecologica e modernizzazione democratica sembrano andare per un certo periodo d’accordo. Nei casi di conflittualità recente, e nello studio di caso approfondito di un piano provinciale della gestione rifiuti, il carattere anticipatore dell’attivismo ambientalista, sta rendendo sempre più costosi e incerti, investimenti e risultati strategici . Anche i principi delle politiche sono messi in discussione. La sostenibilità è da ricercare in una relativizzazione dei principi di policy e degli strumenti tecnici di valutazione (e.g. LCA) verso una maggiore partecipazione di tutti gli attori. Si propone un modello di governance che parta da un coordinamento amministrativo territoriale sulle reti logistiche, quindi un adeguamento geografico degli ATO, e un loro maggior ruolo nella gestione del processo di coordinamento e pianificazione. Azioni queste che devono a loro volta aprirsi ai flussi (ecologici ed economici) e ai loro attori di riferimento: dalle aziende multiutility agli ambientalisti. Infine è necessario un momento di controllo democratico che può avere una funzione arbitrale nei conflitti tra gli attori o di verifica. La ricerca si muove tra la storia e la filosofia, la ricerca empirica e la riflessione teorica. Sono state utilizzate anche tecniche di indagine attiva, come il focus group e l’intervista.

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Lo scopo dello studio è un'analisi comparativa degli impatti ambientali, calcolati utilizzando la metodologia del Life Cycle Assessment, della fase agricola di 9 colture dedicate (lignocellulosiche, oleaginose e cereali) da biomassa, con diifferenti destinazioni energetiche (biocarburanti di I e II generazione ed energia elettrica). E' infine stata eseguita un'analisi "from cradle to grave" considerando anche le diverse tecnice di trasformazione possibili, con dati bibliografici. Sotto tutti i profili (impatto per ettaro, impatto per unità energetica generata, e impatto totale della filiera, risulta un netto vantaggio delle coltrue lignocellulosiche, e fra queste specialmente le poliennali.

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In genere, negli studi di vocazionalità delle colture, vengono presi in considerazione solo variabili ambientali pedo-climatiche. La coltivazione di una coltura comporta anche un impatto ambientale derivante dalle pratiche agronomiche ed il territorio può essere più o meno sensibile a questi impatti in base alla sua vulnerabilità. In questo studio si vuole sviluppare una metodologia per relazionare spazialmente l’impatto delle colture con le caratteristiche sito specifiche del territorio in modo da considerare anche questo aspetto nell’allocazione negli studi di vocazionalità. LCA è stato utilizzato per quantificare diversi impatti di alcune colture erbacee alimentari e da energia, relazionati a mappe di vulnerabilità costruite con l’utilizzo di GIS, attraverso il calcolo di coefficienti di rischio di allocazione per ogni combinazione coltura-area vulnerabile. Le colture energetiche sono state considerate come un uso alternativo del suolo per diminuire l’impatto ambientale. Il caso studio ha mostrato che l’allocazione delle colture può essere diversa in base al tipo e al numero di impatti considerati. Il risultato sono delle mappe in cui sono riportate le distribuzioni ottimali delle colture al fine di minimizzare gli impatti, rispetto a mais e grano, due colture alimentari importanti nell’area di studio. Le colture con l’impatto più alto dovrebbero essere coltivate nelle aree a vulnerabilità bassa, e viceversa. Se il rischio ambientale è la priorità, mais, colza, grano, girasole, e sorgo da fibra dovrebbero essere coltivate solo nelle aree a vulnerabilità bassa o moderata, mentre, le colture energetiche erbacee perenni, come il panico, potrebbero essere coltivate anche nelle aree a vulnerabilità alta, rappresentando cosi una opportunità per aumentare la sostenibilità di uso del suolo rurale. Lo strumento LCA-GIS inoltre, integrato con mappe di uso attuale del suolo, può aiutare a valutarne il suo grado di sostenibilità ambientale.

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Questo studio, che è stato realizzato in collaborazione con Hera, è un'analisi della gestione dei rifiuti a Bologna. La ricerca è stata effettuata su diversi livelli: un livello strategico il cui scopo è quello di identificare nuovi metodi per la raccolta dei rifiuti in funzione delle caratteristiche del territorio della città, un livello analitico che riguarda il miglioramento delle applicazioni informatiche di supporto, e livello ambientale che riguarda il calcolo delle emissioni in atmosfera di veicoli adibiti alla raccolta e al trasporto dei rifiuti. innanzitutto è stato necessario studiare Bologna e lo stato attuale dei servizi di raccolta dei rifiuti. È incrociando questi componenti che in questi ultimi tre anni sono state effettuate modifiche nel settore della gestione dei rifiuti. I capitoli seguenti sono inerenti le applicazioni informatiche a sostegno di tali attività: Siget e Optit. Siget è il programma di gestione del servizio, che attualmente viene utilizzato per tutte le attività connesse alla raccolta di rifiuti. È un programma costituito da moduli diversi, ma di sola la gestione dati. la sperimentazione con Optit ha aggiunto alla gestione dei dati la possibilità di avere tali dati in cartografia e di associare un algoritmo di routing. I dati archiviati in Siget hanno rappresentato il punto di partenza, l'input, e il raggiungimento di tutti punti raccolta l'obiettivo finale. L'ultimo capitolo è relativo allo studio dell'impatto ambientale di questi percorsi di raccolta dei rifiuti. Tale analisi, basata sulla valutazione empirica e sull'implementazione in Excel delle formule del Corinair mostra la fotografia del servizio nel 2010. Su questo aspetto Optit ha fornito il suo valore aggiunto, implementando nell'algoritmo anche le formule per il calcolo delle emissioni.

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Ogni anno in Europa milioni di tonnellate di cibo vengono gettate via. Una stima pubblicata dalla Commissione europea afferma che, nei 27 Stati membri, 89 milioni di tonnellate di cibo, o di 179 kg pro capite, vengono scartati. Lo spreco si verifica lungo tutta la catena di agro alimentare; la riduzione dei rifiuti alimentari è diventata una delle priorità dell'agenda europea. La ricerca si concentra su un caso studio, Last Minute Market, un progetto di recupero di sprechi alimentari. L'impatto di questo progetto dal punto di vista economico e ambientale è già stato calcolato. Quello che verrà analizzato è l'impatto di questa iniziativa sulla comunità e in particolare sul capitale sociale, definito come "l'insieme di norme e reti che consentono l'azione collettiva". Obiettivo del presente lavoro è, quindi, quello di eseguire, attraverso la somministrazione di un questionario a diversi stakeholder del progetto, un’analisi confrontabile con quella del 2009 e di verificare a distanza di cinque anni, se l'iniziativa Last Minute Market abbia prodotto una crescita di capitale sociale nella comunità interessata da questa iniziativa. Per riassumere l’influenza del progetto sul capitale sociale in un indice sintetico, viene calcolato quello che verrà chiamato indice di "affidabilità del progetto" (definito in statistica, la "capacità di un prodotto, un sistema o un servizio di fornire le prestazioni richieste, per un certo periodo di tempo in condizioni predeterminate").

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The ideal approach for the long term treatment of intestinal disorders, such as inflammatory bowel disease (IBD), is represented by a safe and well tolerated therapy able to reduce mucosal inflammation and maintain homeostasis of the intestinal microbiota. A combined therapy with antimicrobial agents, to reduce antigenic load, and immunomodulators, to ameliorate the dysregulated responses, followed by probiotic supplementation has been proposed. Because of the complementary mechanisms of action of antibiotics and probiotics, a combined therapeutic approach would give advantages in terms of enlargement of the antimicrobial spectrum, due to the barrier effect of probiotic bacteria, and limitation of some side effects of traditional chemiotherapy (i.e. indiscriminate decrease of aggressive and protective intestinal bacteria, altered absorption of nutrient elements, allergic and inflammatory reactions). Rifaximin (4-deoxy-4’-methylpyrido[1’,2’-1,2]imidazo[5,4-c]rifamycin SV) is a product of synthesis experiments designed to modify the parent compound, rifamycin, in order to achieve low gastrointestinal absorption while retaining good antibacterial activity. Both experimental and clinical pharmacology clearly show that this compound is a non systemic antibiotic with a broad spectrum of antibacterial action, covering Gram-positive and Gram-negative organisms, both aerobes and anaerobes. Being virtually non absorbed, its bioavailability within the gastrointestinal tract is rather high with intraluminal and faecal drug concentrations that largely exceed the MIC values observed in vitro against a wide range of pathogenic microorganisms. The gastrointestinal tract represents therefore the primary therapeutic target and gastrointestinal infections the main indication. The little value of rifaximin outside the enteric area minimizes both antimicrobial resistance and systemic adverse events. Fermented dairy products enriched with probiotic bacteria have developed into one of the most successful categories of functional foods. Probiotics are defined as “live microorganisms which, when administered in adequate amounts, confer a health benefit on the host” (FAO/WHO, 2002), and mainly include Lactobacillus and Bifidobacterium species. Probiotic bacteria exert a direct effect on the intestinal microbiota of the host and contribute to organoleptic, rheological and nutritional properties of food. Administration of pharmaceutical probiotic formula has been associated with therapeutic effects in treatment of diarrhoea, constipation, flatulence, enteropathogens colonization, gastroenteritis, hypercholesterolemia, IBD, such as ulcerative colitis (UC), Crohn’s disease, pouchitis and irritable bowel syndrome. Prerequisites for probiotics are to be effective and safe. The characteristics of an effective probiotic for gastrointestinal tract disorders are tolerance to upper gastrointestinal environment (resistance to digestion by enteric or pancreatic enzymes, gastric acid and bile), adhesion on intestinal surface to lengthen the retention time, ability to prevent the adherence, establishment and/or replication of pathogens, production of antimicrobial substances, degradation of toxic catabolites by bacterial detoxifying enzymatic activities, and modulation of the host immune responses. This study was carried out using a validated three-stage fermentative continuous system and it is aimed to investigate the effect of rifaximin on the colonic microbial flora of a healthy individual, in terms of bacterial composition and production of fermentative metabolic end products. Moreover, this is the first study that investigates in vitro the impact of the simultaneous administration of the antibiotic rifaximin and the probiotic B. lactis BI07 on the intestinal microbiota. Bacterial groups of interest were evaluated using culture-based methods and molecular culture-independent techniques (FISH, PCR-DGGE). Metabolic outputs in terms of SCFA profiles were determined by HPLC analysis. Collected data demonstrated that rifaximin as well as antibiotic and probiotic treatment did not change drastically the intestinal microflora, whereas bacteria belonging to Bifidobacterium and Lactobacillus significantly increase over the course of the treatment, suggesting a spontaneous upsurge of rifaximin resistance. These results are in agreement with a previous study, in which it has been demonstrated that rifaximin administration in patients with UC, affects the host with minor variations of the intestinal microflora, and that the microbiota is restored over a wash-out period. In particular, several Bifidobacterium rifaximin resistant mutants could be isolated during the antibiotic treatment, but they disappeared after the antibiotic suspension. Furthermore, bacteria belonging to Atopobium spp. and E. rectale/Clostridium cluster XIVa increased significantly after rifaximin and probiotic treatment. Atopobium genus and E. rectale/Clostridium cluster XIVa are saccharolytic, butyrate-producing bacteria, and for these characteristics they are widely considered health-promoting microorganisms. The absence of major variations in the intestinal microflora of a healthy individual and the significant increase in probiotic and health-promoting bacteria concentrations support the rationale of the administration of rifaximin as efficacious and non-dysbiosis promoting therapy and suggest the efficacy of an antibiotic/probiotic combined treatment in several gut pathologies, such as IBD. To assess the use of an antibiotic/probiotic combination for clinical management of intestinal disorders, genetic, proteomic and physiologic approaches were employed to elucidate molecular mechanisms determining rifaximin resistance in Bifidobacterium, and the expected interactions occurring in the gut between these bacteria and the drug. The ability of an antimicrobial agent to select resistance is a relevant factor that affects its usefulness and may diminish its useful life. Rifaximin resistance phenotype was easily acquired by all bifidobacteria analyzed [type strains of the most representative intestinal bifidobacterial species (B. infantis, B. breve, B. longum, B. adolescentis and B. bifidum) and three bifidobacteria included in a pharmaceutical probiotic preparation (B. lactis BI07, B. breve BBSF and B. longum BL04)] and persisted for more than 400 bacterial generations in the absence of selective pressure. Exclusion of any reversion phenomenon suggested two hypotheses: (i) stable and immobile genetic elements encode resistance; (ii) the drug moiety does not act as an inducer of the resistance phenotype, but enables selection of resistant mutants. Since point mutations in rpoB have been indicated as representing the principal factor determining rifampicin resistance in E. coli and M. tuberculosis, whether a similar mechanism also occurs in Bifidobacterium was verified. The analysis of a 129 bp rpoB core region of several wild-type and resistant bifidobacteria revealed five different types of miss-sense mutations in codons 513, 516, 522 and 529. Position 529 was a novel mutation site, not previously described, and position 522 appeared interesting for both the double point substitutions and the heterogeneous profile of nucleotide changes. The sequence heterogeneity of codon 522 in Bifidobacterium leads to hypothesize an indirect role of its encoded amino acid in the binding with the rifaximin moiety. These results demonstrated the chromosomal nature of rifaximin resistance in Bifidobacterium, minimizing risk factors for horizontal transmission of resistance elements between intestinal microbial species. Further proteomic and physiologic investigations were carried out using B. lactis BI07, component of a pharmaceutical probiotic preparation, as a model strain. The choice of this strain was determined based on the following elements: (i) B. lactis BI07 is able to survive and persist in the gut; (ii) a proteomic overview of this strain has been recently reported. The involvement of metabolic changes associated with rifaximin resistance was investigated by proteomic analysis performed with two-dimensional electrophoresis and mass spectrometry. Comparative proteomic mapping of BI07-wt and BI07-res revealed that most differences in protein expression patterns were genetically encoded rather than induced by antibiotic exposure. In particular, rifaximin resistance phenotype was characterized by increased expression levels of stress proteins. Overexpression of stress proteins was expected, as they represent a common non specific response by bacteria when stimulated by different shock conditions, including exposure to toxic agents like heavy metals, oxidants, acids, bile salts and antibiotics. Also, positive transcription regulators were found to be overexpressed in BI07-res, suggesting that bacteria could activate compensatory mechanisms to assist the transcription process in the presence of RNA polymerase inhibitors. Other differences in expression profiles were related to proteins involved in central metabolism; these modifications suggest metabolic disadvantages of resistant mutants in comparison with sensitive bifidobacteria in the gut environment, without selective pressure, explaining their disappearance from faeces of patients with UC after interruption of antibiotic treatment. The differences observed between BI07-wt e BI07-res proteomic patterns, as well as the high frequency of silent mutations reported for resistant mutants of Bifidobacterium could be the consequences of an increased mutation rate, mechanism which may lead to persistence of resistant bacteria in the population. However, the in vivo disappearance of resistant mutants in absence of selective pressure, allows excluding the upsurge of compensatory mutations without loss of resistance. Furthermore, the proteomic characterization of the resistant phenotype suggests that rifaximin resistance is associated with a reduced bacterial fitness in B. lactis BI07-res, supporting the hypothesis of a biological cost of antibiotic resistance in Bifidobacterium. The hypothesis of rifaximin inactivation by bacterial enzymatic activities was verified by using liquid chromatography coupled with tandem mass spectrometry. Neither chemical modifications nor degradation derivatives of the rifaximin moiety were detected. The exclusion of a biodegradation pattern for the drug was further supported by the quantitative recovery in BI07-res culture fractions of the total rifaximin amount (100 μg/ml) added to the culture medium. To confirm the main role of the mutation on the β chain of RNA polymerase in rifaximin resistance acquisition, transcription activity of crude enzymatic extracts of BI07-res cells was evaluated. Although the inhibition effects of rifaximin on in vitro transcription were definitely higher for BI07-wt than for BI07-res, a partial resistance of the mutated RNA polymerase at rifaximin concentrations > 10 μg/ml was supposed, on the basis of the calculated differences in inhibition percentages between BI07-wt and BI07-res. By considering the resistance of entire BI07-res cells to rifaximin concentrations > 100 μg/ml, supplementary resistance mechanisms may take place in vivo. A barrier for the rifaximin uptake in BI07-res cells was suggested in this study, on the basis of the major portion of the antibiotic found to be bound to the cellular pellet respect to the portion recovered in the cellular lysate. Related to this finding, a resistance mechanism involving changes of membrane permeability was supposed. A previous study supports this hypothesis, demonstrating the involvement of surface properties and permeability in natural resistance to rifampicin in mycobacteria, isolated from cases of human infection, which possessed a rifampicin-susceptible RNA polymerase. To understand the mechanism of membrane barrier, variations in percentage of saturated and unsaturated FAs and their methylation products in BI07-wt and BI07-res membranes were investigated. While saturated FAs confer rigidity to membrane and resistance to stress agents, such as antibiotics, a high level of lipid unsaturation is associated with high fluidity and susceptibility to stresses. Thus, the higher percentage of saturated FAs during the stationary phase of BI07-res could represent a defence mechanism of mutant cells to prevent the antibiotic uptake. Furthermore, the increase of CFAs such as dihydrosterculic acid during the stationary phase of BI07-res suggests that this CFA could be more suitable than its isomer lactobacillic acid to interact with and prevent the penetration of exogenous molecules including rifaximin. Finally, the impact of rifaximin on immune regulatory functions of the gut was evaluated. It has been suggested a potential anti-inflammatory effect of rifaximin, with reduced secretion of IFN-γ in a rodent model of colitis. Analogously, it has been reported a significant decrease in IL-8, MCP-1, MCP-3 e IL-10 levels in patients affected by pouchitis, treated with a combined therapy of rifaximin and ciprofloxacin. Since rifaximin enables in vivo and in vitro selection of Bifidobacterium resistant mutants with high frequency, the immunomodulation activities of rifaximin associated with a B. lactis resistant mutant were also taken into account. Data obtained from PBMC stimulation experiments suggest the following conclusions: (i) rifaximin does not exert any effect on production of IL-1β, IL-6 and IL-10, whereas it weakly stimulates production of TNF-α; (ii) B. lactis appears as a good inducer of IL-1β, IL-6 and TNF-α; (iii) combination of BI07-res and rifaximin exhibits a lower stimulation effect than BI07-res alone, especially for IL-6. These results confirm the potential anti-inflammatory effect of rifaximin, and are in agreement with several studies that report a transient pro-inflammatory response associated with probiotic administration. The understanding of the molecular factors determining rifaximin resistance in the genus Bifidobacterium assumes an applicative significance at pharmaceutical and medical level, as it represents the scientific basis to justify the simultaneous use of the antibiotic rifaximin and probiotic bifidobacteria in the clinical treatment of intestinal disorders.

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Le celle a combustibile ad ossido solido (SOFC) sono dei sistemi elettrochimici in grado di trasformare direttamente l’energia chimica di un combustibile (generalmente H2) e di un comburente (O2) in energia elettrica, senza l’intervento intermedio di un ciclo termico. Le SOFCs rappresentano un sistema energetico pulito, efficiente e sicuro, tuttavia questa tecnologia presenta costi di produzione ancora elevati e necessita di un maggiore sviluppo. L’argomento della presente tesi si colloca nell’ambito dello studio e realizzazione di materiali per l’elettrolita di SOFCs ed il contributo scientifico che si propone di fornire trova spazio nella necessità di migliorare la sinterizzazione di tali materiali e nell’ottimizzazione dei processi di formatura per produzioni facilmente scalabili a livello industriale con costo contenuto ed ecocompatibili. L’approccio di ricerca adottato è stato quello di approfondire le conoscenze relative ad un ossido di cerio drogato con gadolinio (GDC), scelto come elettrolita, cercando di comprendere su quali parametri intervenire per promuovere la densificazione ed ottimizzare il seguente processo di formatura. La ricerca si è articolata nei seguenti punti: a) Studio del processo di sinterizzazione in relazione alle caratteristiche morfologiche delle polveri di GDC pura ed esaminando l’influenza dell’ossido di rame, aggiunto come drogante, sul comportamento in sinterizzazione e microstruttura finale. I risultati indicano che il processo di sinterizzazione è enormemente influenzato dalla presenza del CuO, dalla sua morfologia e dalla procedura usata per il drogaggio b) Realizzazione di un inchiostro serigrafico a base di GDC in matrice acquosa da depositare su anodi in verde. La serigrafia rappresenta un’importante tecnica di formatura, facilmente adattabile ad una produzione industriale, con cui è possibile ottenere film di GDC densi. L’ottimizzazione dei processi in matrice acquosa porta un enorme contributo per la diminuzione dei costi di produzione e per la realizzazione di un processo maggiormente ecocompatibile. Questo obiettivo è stato raggiunto con la corretta scelta e caratterizzazione di tutti gli additivi di formatura c) Assemblaggio della semicella SOFC anodo supportante e relativo trattamento in co-firing. La messa a punto di un idoneo ciclo di burn out degli organici ha contribuito a preservare l’integrità ed omogeneità dei film depositati che dopo sinterizzazione risultano perfettamente densi e privi di cricche.

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L’Azienda USL di Bologna è la più grande della regione ed è una delle più grandi in Italia: serve una popolazione di 836.697 abitanti ed è distribuita su 50 comuni. E’ stata istituita il 1° gennaio 2004 con la Legge della Regione Emilia Romagna n. 21 del 20/10/2003 che ha unificato i Comuni di tre Aziende USL: “Città di Bologna”, “Bologna Sud” e “Bologna Nord” (ad eccezione del Comune di Medicina che dall’Area Nord è entrato a far parte dell’Azienda USL di Imola che ha mantenuto un’autonoma configurazione giuridica). Il territorio dell’Azienda USL di Bologna si estende per 2915,4 Kmq ed è caratterizzato dalla particolare ubicazione geografica dei suoi distretti. Al Distretto prettamente urbano, quale quello di Bologna Città si affiancano nell’Area Nord i Distretti di pianura quali Pianura Est e Pianura Ovest, mentre nell’Area Sud si collocano i Distretti con territorio più collinare, quali quelli di Casalecchio di Reno e San Lazzaro di Savena ed il Distretto di Porretta Terme che si caratterizza per l’alta percentuale di territorio montuoso. L’unificazione di territori diversi per caratteristiche orografiche, demografiche e socioeconomiche, ha comportato una maggiore complessità rispetto al passato in termini di governo delle condizioni di equità. La rimodulazione istituzionale ed organizzativa dell’offerta dei sevizi sanitari ha comportato il gravoso compito di razionalizzarne la distribuzione, tenendo conto delle peculiarità del contesto. Alcuni studi di fattibilità precedenti l’unificazione, avevano rilevato come attraverso la costituzione di un’Azienda USL unica si sarebbero potuti più agevolmente perseguire gli obiettivi collegati alle prospettive di sviluppo e di ulteriore qualificazione del sistema dei servizi delle Aziende USL dell’area bolognese, con benefici per il complessivo servizio sanitario regionale. Le tre Aziende precedentemente operanti nell’area bolognese erano percepite come inadeguate, per dimensioni, a supportare uno sviluppo dei servizi ritenuto indispensabile per la popolazione ma, che, se singolarmente realizzato, avrebbe condotto ad una inutile duplicazione di servizi già presenti. Attraverso l’integrazione delle attività di acquisizione dei fattori produttivi e di gestione dei servizi delle tre Aziende, si sarebbero potute ragionevolmente conseguire economie più consistenti rispetto a quanto in precedenza ottenuto attraverso il coordinamento volontario di tali processi da parte delle tre Direzioni. L’istituzione della nuova Azienda unica, conformemente al Piano sanitario regionale si proponeva di: o accelerare i processi di integrazione e di redistribuzione dell’offerta dei servizi territoriali, tenendo conto della progressiva divaricazione fra i cambiamenti demografici, che segnavano un crescente deflusso dal centro storico verso le periferie, ed i flussi legati alle attività lavorative, che si muovevano in senso contrario; o riorganizzare i servizi sanitari in una logica di rete e di sistema, condizione necessaria per assicurare l’equità di accesso ai servizi e alle cure, in stretta interlocuzione con gli Enti Locali titolari dei servizi sociali; o favorire il raggiungimento dell’equilibrio finanziario dell’Azienda e contribuire in modo significativo alla sostenibilità finanziaria dell’intero sistema sanitario regionale. L’entità delle risorse impegnate nell’Area bolognese e le dimensioni del bilancio della nuova Azienda unificata offrivano la possibilità di realizzare economie di scala e di scopo, attraverso la concentrazione e/o la creazione di sinergie fra funzioni e attività, sia in ambito ospedaliero, sia territoriale, con un chiaro effetto sull’equilibrio del bilancio dell’intero Servizio sanitario regionale. A cinque anni dalla sua costituzione, l’Azienda USL di Bologna, ha completato una significativa fase del complessivo processo riorganizzativo superando le principali difficoltà dovute alla fusione di tre Aziende diverse, non solo per collocazione geografica e sistemi di gestione, ma anche per la cultura dei propri componenti. La tesi affronta il tema dell’analisi dell’impatto della fusione sugli assetti organizzativi aziendali attraverso uno sviluppo così articolato: o la sistematizzazione delle principali teorie e modelli organizzativi con particolare attenzione alla loro contestualizzazione nella realtà delle organizzazioni professionali di tipo sanitario; o l’analisi principali aspetti della complessità del sistema tecnico, sociale, culturale e valoriale delle organizzazioni sanitarie; o l’esame dello sviluppo organizzativo dell’Azienda USL di Bologna attraverso la lettura combinata dell’Atto e del Regolamento Organizzativo Aziendali esaminati alla luce della normativa vigente, con particolare attenzione all’articolazione distrettuale e all’organizzazione Dipartimentale per cogliere gli aspetti di specificità che hanno caratterizzano il disegno organizzativo globalmente declinato. o l’esposizione degli esiti di un questionario progettato, in accordo con la Direzione Sanitaria Aziendale, allo scopo di raccogliere significativi elementi per valutare l’impatto della riorganizzazione dipartimentale rispetto ai tre ruoli designati in “staff “alle Direzioni degli otto Dipartimenti Ospedalieri dell’AUSL di Bologna, a tre anni dalla loro formale istituzione. La raccolta dei dati è stata attuata tramite la somministrazione diretta, ai soggetti indagati, di un questionario costituito da numerosi quesiti a risposta chiusa, integrati da domande aperte finalizzate all’approfondimento delle dimensioni di ruolo che più frequentemente possono presentare aspetti di criticità. Il progetto ha previsto la rielaborazione aggregata dei dati e la diffusione degli esiti della ricerca: alla Direzione Sanitaria Aziendale, alle Direzioni Dipartimentali ospedaliere ed a tutti i soggetti coinvolti nell’indagine stessa per poi riesaminare in una discussione allargata i temi di maggiore interesse e le criticità emersi. Gli esiti sono esposti in una serie di tabelle con i principali indicatori e vengono adeguatamente illustrati.