3 resultados para Guerrilla warfare.
em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna
Resumo:
Scopo di questo lavoro è quello di analizzare le componenti tattiche, strategiche e sociali della guerriglia antiromana in Britannia e in Giudea, in un periodo che va dal I secolo a. C. al III secolo d. C., con l'obiettivo di mettere in luce la differente efficacia delle tattiche non ortodosse rispetto a quelle convenzionali; e di analizzare le risposte teoriche ed empiriche concepite dai Romani per affrontare questa forma di lotta. La tesi è stata articolata nel modo seguente: una prima parte analizza gli aspetti tattici, strategici e sociali della guerriglia e della controguerriglia, anche attraverso il metodo comparativo, mettendo cioè a confronto alcuni dei principali testi sulla guerra non convenzionale redatti in epoche e contesti diversi, dai quali si è cercato di delle costanti potenzialmente applicabili a qualsiasi periodo storico e a qualsiasi area geografica. Nella seconda parte si cerca di applicare tali costanti alla realtà storico – sociale dell'impero romano. Particolare attenzione è stata riservata al rapporto tra la mentalità romana, basata sul concetto di bellum iustum, e le tattiche non ortodosse. La terza e la quarta parte analizzano la resistenza antiromana in Britannia e in Giudea, mettendone in luce tutti gli aspetti, in particolare quelli legati alla guerriglia rurale, a quella urbana, al terrorismo, all'evoluzione della guerriglia da guerra per bande a guerra convenzionale e alla controguerriglia. La scelta di queste due province non è casuale. In province così lontane e diverse tra loro, Roma inviò spesso gli stessi generali esperti di controguerriglia. Questo particolare permette di notare la presenza, a Roma, di una grand strategy che, consapevole del fenomeno della guerriglia, ne affidò la repressione agli stessi generali, specialisti della controguerriglia, non esitando a spostarli, in caso di necessità, da un capo all'altro dell'impero.
Resumo:
La mostra è diventata un nuovo paradigma della cultura contemporanea. Sostenuta da proprie regole e da una grammatica complessa produce storie e narrazioni. La presente ricerca di dottorato si struttura come un ragionamento critico sulle strategie del display contemporaneo, tentando di dimostrare, con strumenti investigativi eterogenei, assumendo fonti eclettiche e molteplici approcci disciplinari - dall'arte contemporanea, alla critica d'arte, la museologia, la sociologia, l'architettura e gli studi curatoriali - come il display sia un modello discorsivo di produzione culturale con cui il curatore si esprime. La storia delle esposizioni del XX secolo è piena di tentativi di cambiamento del rapporto tra lo sviluppo di pratiche artistiche e la sperimentazione di un nuovo concetto di mostra. Nei tardi anni Sessanta l’ingresso, nella scena dell’arte, dell’area del concettuale, demolisce, con un azzeramento radicale, tutte le convenzioni della rappresentazione artistica del dopoguerra, ‘teatralizzando’ il medium della mostra come strumento di potere e introducendo un nuovo “stile di presentazione” dei lavori, un display ‘dematerializzato” che rovescia le classiche relazioni tra opera, artista, spazio e istituzione, tra un curatore che sparisce (Siegelaub) e un curatore super-artista (Szeemann), nel superamento del concetto tradizionale di mostra stessa, in cui il lavoro del curatore, in quanto autore creativo, assumeva una propria autonomia strutturale all’interno del sistema dell’arte. Lo studio delle radici di questo cambiamento, ossia l’emergere di due tipi di autorialità: il curatore indipendente e l’artista che produce installazioni, tra il 1968 e il 1972 (le mostre di Siegelaub e Szeemann, la mimesi delle pratiche artistiche e curatoriali di Broodthaers e la tensione tra i due ruoli generata dalla Critica Istituzionale) permette di inquadrare teoricamente il fenomeno. Uno degli obbiettivi della ricerca è stato anche affrontare la letteratura critica attraverso una revisione/costruzione storiografica sul display e la storia delle teorie e pratiche curatoriali - formalizzata in modo non sistematico all'inizio degli anni Novanta, a partire da una rilettura retrospettiva della esperienze delle neoavanguardie – assumendo materiali e metodologie provenienti, come già dichiarato, da ambiti differenti, come richiedeva la composizione sfaccettata e non fissata dell’oggetto di studio, con un atteggiamento che si può definire comparato e post-disciplinare. Il primo capitolo affronta gli anni Sessanta, con la successione sistematica dei primi episodi sperimentali attraverso tre direzioni: l’emergere e l’affermarsi del curatore come autore, la proliferazione di mostre alternative che sovvertivano il formato tradizionale e le innovazioni prodotte dagli artisti organizzatori di mostre della Critica Istituzionale. Esponendo la smaterializzazione concettuale, Seth Siegelaub, gallerista, critico e impresario del concettuale, ha realizzato una serie di mostre innovative; Harald Szeemann crea la posizione indipendente di exhibition maker a partire When attitudes become forms fino al display anarchico di Documenta V; gli artisti organizzatori di mostre della Critica Istituzionale, soprattutto Marcel Broodhthears col suo Musée d’Art Moderne, Départment des Aigles, analizzano la struttura della logica espositiva come opera d’arte. Nel secondo capitolo l’indagine si sposta verso la scena attivista e alternativa americana degli anni Ottanta: Martha Rosler, le pratiche community-based di Group Material, Border Art Workshop/Taller de Arte Fronterizo, Guerrilla Girls, ACT UP, Art Workers' Coalition che, con proposte diverse elaborano un nuovo modello educativo e/o partecipativo di mostra, che diventa anche terreno del confronto sociale. La mostra era uno svincolo cruciale tra l’arte e le opere rese accessibili al pubblico, in particolare le narrazioni, le idee, le storie attivate, attraverso un originale ragionamento sulle implicazioni sociali del ruolo del curatore che suggeriva punti di vista alternativi usando un forum istituzionale. Ogni modalità di display stabiliva relazioni nuove tra artisti, istituzioni e audience generando abitudini e rituali diversi per guardare la mostra. Il potere assegnato all’esposizione, creava contesti e situazioni da agire, che rovesciavano i metodi e i formati culturali tradizionali. Per Group Material, così come nelle reading-room di Martha Rosler, la mostra temporanea era un medium con cui si ‘postulavano’ le strutture di rappresentazione e i modelli sociali attraverso cui, regole, situazioni e luoghi erano spesso sovvertiti. Si propongono come artisti che stanno ridefinendo il ruolo della curatela (significativamente scartano la parola ‘curatori’ e si propongono come ‘organizzatori’). La situazione cambia nel 1989 con la caduta del muro di Berlino. Oltre agli sconvolgimenti geopolitici, la fine della guerra fredda e dell’ideologia, l’apertura ai flussi e gli scambi conseguenti al crollo delle frontiere, i profondi e drammatici cambiamenti politici che coinvolgono l’Europa, corrispondono al parallelo mutamento degli scenari culturali e delle pratiche espositive. Nel terzo capitolo si parte dall’analisi del rapporto tra esposizioni e Late Capitalist Museum - secondo la definizione di Rosalind Krauss - con due mostre cruciali: Le Magiciens de la Terre, alle origini del dibattito postcoloniale e attraverso il soggetto ineffabile di un’esposizione: Les Immatériaux, entrambe al Pompidou. Proseguendo nell’analisi dell’ampio corpus di saggi, articoli, approfondimenti dedicati alle grandi manifestazioni internazionali, e allo studio dell’espansione globale delle Biennali, avviene un cambiamento cruciale a partire da Documenta X del 1997: l’inclusione di lavori di natura interdisciplinare e la persistente integrazione di elementi discorsivi (100 days/100 guests). Nella maggior parte degli interventi in materia di esposizioni su scala globale oggi, quello che viene implicitamente o esplicitamente messo in discussione è il limite del concetto e della forma tradizionale di mostra. La sfida delle pratiche contemporanee è non essere più conformi alle tre unità classiche della modernità: unità di tempo, di spazio e di narrazione. L’episodio più emblematico viene quindi indagato nel terzo capitolo: la Documenta X di Catherine David, il cui merito maggiore è stato quello di dichiarare la mostra come format ormai insufficiente a rappresentare le nuove istanze contemporanee. Le quali avrebbero richiesto - altrimenti - una pluralità di modelli, di spazi e di tempi eterogenei per poter divenire un dispositivo culturale all’altezza dei tempi. La David decostruisce lo spazio museale come luogo esclusivo dell’estetico: dalla mostra laboratorio alla mostra come archivio, l’evento si svolge nel museo ma anche nella città, con sottili interventi di dissimulazione urbana, nel catalogo e nella piattaforma dei 100 giorni di dibattito. Il quarto capitolo affronta l’ultima declinazione di questa sperimentazione espositiva: il fenomeno della proliferazione delle Biennali nei processi di globalizzazione culturale. Dalla prima mostra postcoloniale, la Documenta 11 di Okwui Enwezor e il modello delle Platforms trans-disciplinari, al dissolvimento dei ruoli in uno scenario post-szeemanniano con gli esperimenti curatoriali su larga scala di Sogni e conflitti, alla 50° Biennale di Venezia. Sono analizzati diversi modelli espositivi (la mostra-arcipelago di Edouard Glissant; il display in crescita di Zone of Urgency come estetizzazione del disordine metropolitano; il format relazionale e performativo di Utopia Station; il modello del bric à brac; la “Scuola” di Manifesta 6). Alcune Biennali sono state sorprendentemente autoriflessive e hanno consentito un coinvolgimento più analitico con questa particolare forma espressiva. Qual è l'impatto sulla storia e il dibattito dei sistemi espositivi? Conclusioni: Cos’è la mostra oggi? Uno spazio sotto controllo, uno spazio del conflitto e del dissenso, un modello educativo e/o partecipativo? Una piattaforma, un dispositivo, un archivio? Uno spazio di negoziazione col mercato o uno spazio di riflessione e trasformazione? L’arte del display: ipotesi critiche, prospettive e sviluppi recenti.
Resumo:
The improvement of devices provided by Nanotechnology has put forward new classes of sensors, called bio-nanosensors, which are very promising for the detection of biochemical molecules in a large variety of applications. Their use in lab-on-a-chip could gives rise to new opportunities in many fields, from health-care and bio-warfare to environmental and high-throughput screening for pharmaceutical industry. Bio-nanosensors have great advantages in terms of cost, performance, and parallelization. Indeed, they require very low quantities of reagents and improve the overall signal-to-noise-ratio due to increase of binding signal variations vs. area and reduction of stray capacitances. Additionally, they give rise to new challenges, such as the need to design high-performance low-noise integrated electronic interfaces. This thesis is related to the design of high-performance advanced CMOS interfaces for electrochemical bio-nanosensors. The main focus of the thesis is: 1) critical analysis of noise in sensing interfaces, 2) devising new techniques for noise reduction in discrete-time approaches, 3) developing new architectures for low-noise, low-power sensing interfaces. The manuscript reports a multi-project activity focusing on low-noise design and presents two developed integrated circuits (ICs) as examples of advanced CMOS interfaces for bio-nanosensors. The first project concerns low-noise current-sensing interface for DC and transient measurements of electrophysiological signals. The focus of this research activity is on the noise optimization of the electronic interface. A new noise reduction technique has been developed so as to realize an integrated CMOS interfaces with performance comparable with state-of-the-art instrumentations. The second project intends to realize a stand-alone, high-accuracy electrochemical impedance spectroscopy interface. The system is tailored for conductivity-temperature-depth sensors in environmental applications, as well as for bio-nanosensors. It is based on a band-pass delta-sigma technique and combines low-noise performance with low-power requirements.