13 resultados para Filosofia neoplatônica

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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Lermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer indubbiamente uno dei capisaldi del pensiero novecentesco rappresenta una filosofia molto composita, sfaccettata e articolata, per cos dire formata da una molteplicit di dimensioni diverse che si intrecciano luna con laltra. Ci risulta evidente gi da un semplice sguardo alla composizione interna della sua opera principale, Wahrheit und Methode (1960), nella quale si presenta una teoria del comprendere che prende in esame tre differenti dimensioni dellesperienza umana arte, storia e linguaggio ovviamente concepite come fondamentalmente correlate tra loro. Ma questo quadro dinsieme si complica notevolmente non appena si prendano in esame perlomeno alcuni dei numerosi contributi che Gadamer ha scritto e pubblicato prima e dopo il suo opus magnum: contributi che testimoniano limportante presenza nel suo pensiero di altre tematiche. Di tale complessit, per, non sempre gli interpreti di Gadamer hanno tenuto pienamente conto, visto che una gran parte dei contributi esegetici sul suo pensiero risultano essenzialmente incentrati sul capolavoro del 1960 (ed in particolare sui problemi della legittimazione delle Geisteswissenschaften), dedicando invece minore attenzione agli altri percorsi che egli ha seguito e, in particolare, alla dimensione propriamente etica e politica della sua filosofia ermeneutica. Inoltre, mi sembra che non sempre si sia prestata la giusta attenzione alla fondamentale unitariet da non confondere con una presunta sistematicit, da Gadamer esplicitamente respinta che a dispetto dellindubbia molteplicit ed eterogeneit del pensiero gadameriano comunque vige al suo interno. La mia tesi, dunque, che estetica e scienze umane, filosofia del linguaggio e filosofia morale, dialogo con i Greci e confronto critico col pensiero moderno, considerazioni su problematiche antropologiche e riflessioni sulla nostra attualit sociopolitica e tecnoscientifica, rappresentino le diverse dimensioni di un solo pensiero, le quali in qualche modo vengono a convergere verso un unico centro. Un centro unificante che, a mio avviso, va individuato in quello che potremmo chiamare il disagio della modernit. In altre parole, mi sembra cio che tutta la riflessione filosofica di Gadamer, in fondo, scaturisca dalla presa datto di una situazione di crisi o disagio nella quale si troverebbero oggi il nostro mondo e la nostra civilt. Una crisi che, data la sua profondit e complessit, si per cos dire ramificata in molteplici direzioni, andando ad investire svariati ambiti dellesistenza umana. Ambiti che pertanto vengono analizzati e indagati da Gadamer con occhio critico, cercando di far emergere i principali nodi problematici e, alla luce di ci, di avanzare proposte alternative, rimedi, correttivi e possibili soluzioni. A partire da una tale comprensione di fondo, la mia ricerca si articola allora in tre grandi sezioni dedicate rispettivamente alla pars destruens dellermeneutica gadameriana (prima e seconda sezione) ed alla sua pars costruens (terza sezione). Nella prima sezione intitolata Una fenomenologia della modernit: i molteplici sintomi della crisi dopo aver evidenziato come buona parte della filosofia del Novecento sia stata dominata dallidea di una crisi in cui verserebbe attualmente la civilt occidentale, e come anche lermeneutica di Gadamer possa essere fatta rientrare in questo discorso filosofico di fondo, cerco di illustrare uno per volta quelli che, agli occhi del filosofo di Verit e metodo, rappresentano i principali sintomi della crisi attuale. Tali sintomi includono: le patologie socioeconomiche del nostro mondo amministrato e burocratizzato; lindiscriminata espansione planetaria dello stile di vita occidentale a danno di altre culture; la crisi dei valori e delle certezze, con la concomitante diffusione di relativismo, scetticismo e nichilismo; la crescente incapacit a relazionarsi in maniera adeguata e significativa allarte, alla poesia e alla cultura, sempre pi degradate a mero entertainment; infine, le problematiche legate alla diffusione di armi di distruzione di massa, alla concreta possibilit di una catastrofe ecologica ed alle inquietanti prospettive dischiuse da alcune recenti scoperte scientifiche (soprattutto nellambito della genetica). Una volta delineato il profilo generale che Gadamer fornisce della nostra epoca, nella seconda sezione intitolata Una diagnosi del disagio della modernit: il dilagare della razionalit strumentale tecnico-scientifica cerco di mostrare come alla base di tutti questi fenomeni egli scorga fondamentalmente ununica radice, coincidente peraltro a suo giudizio con lorigine stessa della modernit. Ossia, la nascita della scienza moderna ed il suo intrinseco legame con la tecnica e con una specifica forma di razionalit che Gadamer facendo evidentemente riferimento a categorie interpretative elaborate da Max Weber, Martin Heidegger e dalla Scuola di Francoforte definisce anche razionalit strumentale o pensiero calcolante. A partire da una tale visione di fondo, cerco quindi di fornire unanalisi della concezione gadameriana della tecnoscienza, evidenziando al contempo alcuni aspetti, e cio: primo, come lermeneutica filosofica di Gadamer non vada interpretata come una filosofia unilateralmente antiscientifica, bens piuttosto come una filosofia antiscientista (il che naturalmente qualcosa di ben diverso); secondo, come la sua ricostruzione della crisi della modernit non sfoci mai in una critica totalizzante della ragione, n in una filosofia della storia pessimistico-negativa incentrata sullidea di un corso ineluttabile degli eventi guidato da una razionalit irrazionale e contaminata dalla brama di potere e di dominio; terzo, infine, come la filosofia di Gadamer a dispetto delle inveterate interpretazioni che sono solite scorgervi un pensiero tradizionalista, autoritario e radicalmente anti-illuminista non intenda affatto respingere lilluminismo scientifico moderno tout court, n rinnegarne le pi importanti conquiste, ma pi semplicemente correggerne alcune tendenze e recuperare una nozione pi ampia e comprensiva di ragione, in grado di render conto anche di quegli aspetti dellesperienza umana che, agli occhi di una razionalit limitata come quella scientista, non possono che apparire come meri residui di irrazionalit. Dopo aver cos esaminato nelle prime due sezioni quella che possiamo definire la pars destruens della filosofia di Gadamer, nella terza ed ultima sezione intitolata Una terapia per la crisi della modernit: la riscoperta dellesperienza e del sapere pratico passo quindi ad esaminare la sua pars costruens, consistente a mio giudizio in un recupero critico di quello che egli chiama un altro tipo di sapere. Ossia, in un tentativo di riabilitazione di tutte quelle forme pre- ed extra-scientifiche di sapere e di esperienza che Gadamer considera costitutive della dimensione ermeneutica dellesistenza umana. La mia analisi della concezione gadameriana del Verstehen e dellErfahrung in quanto forme di un sapere pratico (praktisches Wissen) differente in linea di principio da quello teorico e tecnico conduce quindi ad uninterpretazione complessiva dellermeneutica filosofica come vera e propria filosofia pratica. Cio, come uno sforzo di chiarificazione filosofica di quel sapere prescientifico, intersoggettivo e di senso comune effettivamente vigente nella sfera della nostra Lebenswelt e della nostra esistenza pratica. Ci, infine, conduce anche inevitabilmente ad unaccentuazione dei risvolti etico-politici dellermeneutica di Gadamer. In particolare, cerco di esaminare la concezione gadameriana delletica tenendo conto dei suoi rapporti con le dottrine morali di Platone, Aristotele, Kant e Hegel e di delineare alla fine un profilo della sua ermeneutica filosofica come filosofia del dialogo, della solidariet e della libert.

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Il presente studio, per ci che concerne la prima parte della ricerca, si propone di fornire unanalisi che ripercorra il pensiero teorico e la pratica critica di Louis Marin, mettendone in rilievo i caratteri salienti affinch si possa verificare se, nella loro eterogenea interdisciplinarit, non emerga un profilo unitario che consenta di ricomprenderli in un qualche paradigma estetico moderno e/o contemporaneo. Va innanzitutto rilevato che la formazione intellettuale di Marin avvenuta nellalveo di quel montante e pervasivo interesse che lo strutturalismo di stampo linguistico seppe suscitare nelle scienze sociali degli anni sessanta. Si cercato, allora, prima di misurare la distanza che separa lapproccio di Marin ai testi da quello praticato dalla semiotica greimasiana, impostasi in Francia come modello dominante di quella svolta semiotica che ha interessato in quegli anni diverse discipline: dagli studi estetici allantropologia, dalla psicanalisi alla filosofia. Si proceduto, quindi, ad un confronto tra lapparato concettuale elaborato dalla semiotica e alcune celebri analisi del nostro autore tratte soprattutto da Opacit de la peinture e De la reprsentation. Seppure Marin non abbia mai articolato sistematicametne i principi teorici che esplicitassero la sua decisa contrapposizione al potente modello greimasiano, tuttavia le reiterate riflessioni intorno ai presupposti epistemologici del proprio modo di interpretare i testi nonch le analisi di opere pittoriche, narrative e teoriche che ci ha lasciato in centinaia di studi permettono di definirne una concezione estetica nettamente distinta dalla pratica semio-semantica della scuola di A. J. Greimas. Da questo confronto risulter, piuttosto, che il pensiero di un linguista sui generis come E. Benveniste ad avere fecondato le riflessioni di Marin il quale, daltra parte, ha saputo rielaborare originalmente i contributi fondamentali che Benveniste diede alla costruzione della teoria dellenunciazione linguistica. Impostando lequazione: enunciazione linguistica=rappresentazione visiva (in senso lato), Marin diviene linventore del dispositivo concettuale e operativo che consentir di analizzare lenunciazione visiva: la superficie di rappresentazione, la cornice, lo sguardo, liscrizione, il gesto, lo specchio, lo schema prospettico, il trompe-loeil, sono solo alcune delle figure in cui Marin vede tradotto ma in realt immagina ex novo quei dispositivi enunciazionali che il linguista aveva individuato alla base della parole come messa in funzione della langue. Marin ha saputo cos interpretare, in modo convincente, le opere e i testi della cultura francese del XVII secolo alla quale sono dedicati buona parte dei suoi studi: dai pittori del classicismo (Poussin, Le Brun, de Champaigne, ecc.) agli eruditi della cerchia di Luigi XIV, dai filosofi (soprattutto Pascal), grammatici e logici di Port-Royal alle favole di La Fontaine e Perrault. Ma, come si evince soprattutto da testi come Opacit de la peinture, Marin risulter anche un grande interprete del rinascimento italiano. In secondo luogo si cercato di interpretare Le portrait du Roi, il testo forse pi celebre dellautore, sulla scorta dellontologia dellimmagine che Gadamer elabora nel suo Verit e metodo, non certo per praticare una riduzione acritica di due concezioni che partono da presupposti divergenti lo strutturalismo e la critica darte da una parte, lermeneutica filosofica dallaltra ma per rilevare che entrambi ricorrono al concetto di rappresentazione intendendolo non tanto come mimesis ma soprattutto, per usare il termine di Gadamer, come repraesentatio. Sia Gadamer che Marin concepiscono la rappresentazione non solo come sostituzione mimetica del rappresentato cio nella direzione univoca che dal rappresentato conduce allimmagine ma anche come originaria duplicazione di esso, la quale conferisce al rappresentato la sua legittimazione, la sua ragione o il suo incremento dessere. Nella rappresentazione in quanto capace di legittimare il rappresentato di cui pure la raffigurazione abbiamo cos rintracciato la cifra comune tra lestetica di Marin e lontologia dellimmagine di Gadamer. Infine, ci sembrato di poter ricondurre la teoria della rappresentazione di Marin allinterno del paradigma estetico elaborato da Kant nella sua terza Critica. Sebbene manchino in Marin espliciti riferimenti in tal senso, la sua teoria della rappresentazione in quanto dire che mostra se stesso nel momento in cui dice qualcosaltro pu essere intesa come una riflessione estetica che trova nel sensibile la sua condizione trascendentale di significazione. In particolare, le riflessioni kantiane sul sentimento di sublime a cui abbiamo dedicato una lunga disamina ci sono sembrate chiarificatrici della dinamica a cui sottoposta la relazione tra rappresentazione e rappresentato nella concezione di Marin. Lassolutamente grande e potente come tratti distintivi del sublime discusso da Kant, sono stati da noi considerati solo nella misura in cui ci permettevano di fare emergere la rappresentazione della grandezza e del potere assoluto del monarca (Luigi XIV) come potere conferitogli da una rappresentazione estetico-politica costruita ad arte. Ma sono piuttosto le facolt in gioco nella nostra pi comune esperienza delle grandezze, e che il sublime matematico mette esemplarmente in mostra la valutazione estetica e limmaginazione ad averci fornito la chiave interpretativa per comprendere ci che Marin ripete in pi luoghi citando Pascal: una citt, da lontano, una citt ma appena mi avvicino sono case, alberi, erba, insetti, ecc Cos abbiamo applicato i concetti emersi nella discussione sul sublime al rapporto tra la rappresentazione e il visibile rappresentato: rapporto che non smette, per Marin, di riconfigurarsi sempre di nuovo. Nella seconda parte della tesi, quella dedicata allopera di Bernard Stiegler, il problema della comprensione delle immagini stato affrontato solo dopo aver posto e discusso la tesi che la tecnica, lungi dallessere un portato accidentale e sussidiario delluomo solitamente supposto anche da chi ne riconosce la pervasivit e ne coglie il cogente condizionamento deve invece essere compresa proprio come la condizione costitutiva della sua stessa umanit. Tesi che, forse, poteva essere tematizzata in tutta la sua portata solo da un pensatore testimone delle invenzioni tecnico-tecnologiche del nostro tempo e del conseguente e radicale disorientamento a cui esse ci costringono. Per chiarire la propria concezione della tecnica, nel I volume di La technique et le temps opera alla quale, soprattutto, sar dedicato il nostro studio Stiegler decide di riprendere il problema da dove lo aveva lasciato Heidegger con La questione della tecnica: se volgiamo coglierne lessenza non pi possibile pensarla come un insieme di mezzi prodotti dalla creativit umana secondo un certi fini, cio strumentalmente, ma come un modo di dis-velamento della verit dellessere. Posto cos il problema, e dopo aver mostrato come i sistemi tecnici tendano ad evolversi in base a tendenze loro proprie che in buona parte prescindono dallinventivit umana (qui il riferimento ad autori come F. Gille e G. Simondon), Stiegler si impegna a riprendere e discutere i contributi di A. Leroi-Gourhan. noto come per il paletnologo luomo sia cominciato dai piedi, cio dallassunzione della posizione eretta, la quale gli avrebbe permesso di liberare le mani prima destinate alla deambulazione e di sviluppare anatomicamente la faccia e la volta cranica quali ondizioni per linsorgenza di quelle capacit tecniche e linguistiche che lo contraddistinguono. Dei risultati conseguiti da Leroi-Gourhan e consegnati soprattutto in Le geste et la parole, Stiegler accoglie soprattutto lidea che luomo si vada definendo attraverso un processo ancora in atto che inizia col primo gesto di esteriorizzazione dellesperienza umana nelloggetto tecnico. Col che gi posta, per Stiegler, anche la prima forma di simbolizzazione e di rapporto al tempo che lo caratterizzano ancora oggi. Esteriorit e interiorit delluomo sono, per Stiegler, transduttive, cio si originano ed evolvono insieme. Riprendendo, in seguito, lanti-antropologia filosofica sviluppata da Heidegger nellanalitica esistenziale di Essere e tempo, Stiegler dimostra che, se si vuole cogliere leffettivit della condizione dellesistenza umana, necessaria unanalisi degli oggetti tecnici che per Heidegger relega nella sfera dellintramondano e dunque esclude dalla temporalit autentica dellesser-ci. Se vero che luomo o il chi, come lo chiama Stiegler per distinguerlo dal che-cosa tecnico trova nellessere-nel-mondo la sua prima e pi fattiva possibilit dessere, altrettanto ver che questo mondo ereditato da altri gi strutturato tecnicamente, gi saturo della temporalit depositata nelle protesi tecniche nelle quali luomo si esteriorizza, e nelle quali soltanto, quindi, pu trovare quelle possibilit im-proprie e condivise (perch tramandate e impersonali) a partire dalle quali poter progettare la propria individuazione nel tempo. Nel percorso di lettura che abbiamo seguito per il II e III volume de La technique et le temps, lautore impegnato innanzitutto in una polemica serrata con le analisi fenomenologiche che Husserl sviluppa intorno alla coscienza interna del tempo. Questa fenomenologia del tempo, prendendo ad esame un oggetto temporale ad esempio una melodia giunge ad opporre ricordo primario (ritenzione) e ricordo secondario (rimemorazione) sulla base dellapporto percettivo e immaginativo della coscienza nella costituzione del fenomeno temporale. In questo modo Husserl si preclude la possibilit di cogliere il contributo che loggetto tecnico ad esempio la registrazione analogica di una melodia d alla costituzione del flusso temporale. Anzi, Husserl esclude esplicitamente che una qualsiasi coscienza dimmagine termine al quale Stiegler fa corrispondere quello di ricordo terziario: un testo scritto, una registrazione, unimmagine, unopera, un qualsiasi supporto memonico trascendente la coscienza possa rientrare nella dimensione origianaria e costitutiva di tempo. In essa pu trovar posto solo la coscienza con i suo vissuti temporali percepiti, ritenuti o ricordati (rimemorati). Dopo unattenta rilettura del testo husserliano, abbiamo seguito Stiegler passo a passo nel percorso di legittimazione delloggetto tecnico quale condizione costitutiva dellesperienza temporale, mostrando come le tecniche di registrazione analogica di un oggetto temporale modifichino, in tutta evidenza, il flusso ritentivo della coscienza che Husserl aveva supposto automatico e necessitante e con ci regolino, conseguente, la reciproca permeabilit tra ricordo primario e secondario. Linterpretazione tecnica di alcuni oggetti temporali una foto, la sequenza di un film e delle possibilit dispiegate da alcuni dispositivi tecnologici la programmazione e la diffusione audiovisiva in diretta, limmagine analogico-digitale concludono questo lavoro richiamando lattenzione sia sullevidenza prodotta da tali esperienze evidenza tutta tecnica e trascendente la coscienza sia sul sapere tecnico delluomo quale condizione trascendentale e fattuale al tempo stesso per la comprensione delle immagini e di ogni oggetto temporale in generale. Prendendo dunque le mosse da una riflessione, quella di Marin, che si muove allinterno di una sostanziale antropologia filosofica preoccupata di reperire, nelluomo, le condizioni di possibilit per la comprensione delle immagini come rappresentazioni condizione che verr reperit nella sensibilit o nellaisthesis dello spettatore il presente lavoro passer, dunque, a considerare la riflessione tecno-logica di Stiegler trovando nelle immagini in quanto oggetti tecnici esterni alluomo cio nelle protesi della sua sensibilit le condizioni di possibilit per la comprensione del suo rapporto al tempo.

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In base ad una recensione esaustiva dei riferimenti alla musica e al sonoro nella produzione filosofica di Gilles Deleuze e Flix Guattari, la presente ricerca sincentra sulla posizione che il pensiero musicale di John Cage occupa in alcuni testi deleuziani. Il primo capitolo tratta del periodo creativo di Cage fra il 1939 e il 1952, focalizzandosi su due aspetti principali: la struttura micro-macrocosmica che contraddistingue i suoi primi lavori, e i quattro elementi che in questo momento sintetizzano per Cage la composizione musicale. Questi ultimi sono considerati in riferimento alla teoria della doppia articolazione che Deleuze e Guattari riprendono da Hjelmslev; entrambi gli aspetti rimandano al sistema degli strati e della stratificazione esposta su Mille piani. Il secondo capitolo analizza la musica dei decenni centrali della produzione cagiana alla luce del luogo in Mille piani dove Cage messo in rapporto al concetto di piano fisso sonoro. Unattenzione particolare posta al modo in cui Cage concepisce il rapporto fra durata e materiali sonori, e al grado variabile in cui sono presenti il caso e lindeterminazione. Le composizioni del periodo in questione sono inoltre viste in riferimento al concetto deleuzo-guattariano di cartografia, e nelle loro implicazioni per il tempo musicale. Lultimo quindicennio della produzione di Cage considerata attraverso il concetto di rizoma inteso come teoria delle molteplicit. In primo luogo esaminata la partitura di Sylvano Bussotti che figura allinizio di Mille piani; in seguito, i lavori testuali e musicali di Cage sono considerati secondo le procedure compositive cagiane del mesostico, delle parentesi di tempo che concorrono a formare una struttura variabile, e dellarmonia anarchica dellultimo Cage.

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La ricerca ha preso le mosse da tre ipotesi fondamentali: 1) Esiste un legame tra processi cognitivi di basso ed alto livello; 2) Lo spazio senso-motorio una percezione soggettiva; 3) Lo spazio senso-motorio varia in funzione delle diverse modalit di interazione sociale. La tesi sostiene che lo spazio senso-motorio si lascia modulare dalla semplice co-presenza di un altro agente umano e da interazioni cooperative e non cooperative. I capitoli I, II, III, hanno lo scopo di scomporre e spiegare il significato della prima, seconda e terza ipotesi; giungendo a formulare la tesi centrale che sar poi dimostrata sperimentalmente nel capitolo IV. Il capitolo V introduce future linee di ricerca nellambito delletica proponendo una nuova ipotesi sul legame che potrebbe sussistere tra la percezione dello spazio durante linterazione sociale e i giudizi morali. Il lavoro svolto chiama ad operare insieme diverse discipline che concorrono a formare le scienze cognitive: la storia della filosofia, la filosofia della mente contemporanea, la neuropsicologia sperimentale ed alcuni temi della psicologia sociale.

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Il nostro lavoro incentrato su Filosofia dellineguaglianza, acceso libello di filosofia sociale in forma epistolare, composto da Nikolaj Berdjaev allinizio del 1918. Nelle quattordici veementi lettere che costituiscono lopera, egli critica aspramente lidea di eguaglianza sociale e metafisica propagandata dai rivoluzionari, schierandosi a favore dellineguaglianza gerarchica, da lui considerata lunica garanzia della libert e della statura teantropica delluomo. Abbiamo suddiviso la nostra indagine in tre parti: il primo capitolo unintroduzione storico-filosofica al testo, in cui sono evidenziati i concetti fondamentali del pensiero del Nostro; nel secondo capitolo abbiamo messo in luce il legame tra lo stile filosofico di Berdjaev e la cultura religiosa a cui egli appartiene, riflettendo poi sui problemi traduttivi che ne derivano; in particolare ci siamo soffermati sullaforisticit del suo pensiero e sullo spiccato afflato emotivo che pervade la sua esposizione. Infine, abbiamo incluso nel terzo capitolo la traduzione di quattro lettere (Sulla rivoluzione, Sui fondamenti ontologico-religiosi della socialit, Sullo Stato, Sul regno di Dio) e della postfazione aggiunta da Berdjaev a Berlino nel 1923, in occasione della pubblicazione del libro.

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Questo lavoro pone i problema di una presentazione filosofica della Meditazione milanese, nel suo rapporto con l'opera letteraria di Gadda e, contemporaneamente, instaura un confronto tra il complesso della produzione gaddiana (saggistica e narrativa) e l'ipotesi, messa in rilevo da Merleau-Ponty, di trovare al di fuori del vocabolario filosofico le possibilit di esprimere e raccontare la realt che ci circonda. Nel costante riferimento alle posizioni teoretiche espresse nella Meditazione milanese, non solo viene inscritta la figura di Gadda entro un panorama filosofico, ma risulta problematizzato lo statuto stesso della filosofia. .