24 resultados para Eurasia
em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna
Resumo:
Iberia Africa plate boundary, cross, roughly W-E, connecting the eastern Atlantic Ocean from Azores triple junction to the Continental margin of Morocco. Relative movement between the two plate change along the boundary, from transtensive near the Azores archipelago, through trascurrent movement in the middle at the Gloria Fracture Zone, to transpressive in the Gulf of Cadiz area. This study presents the results of geophysical and geological analysis on the plate boundary area offshore Gibraltar. The main topic is to clarify the geodynamic evolution of this area from Oligocene to Quaternary. Recent studies have shown that the new plate boundary is represented by a 600 km long set of aligned, dextral trascurrent faults (the SWIM lineaments) connecting the Gloria fault to the Riff orogene. The western termination of these lineaments crosscuts the Gibraltar accretionary prism and seems to reach the Moroccan continental shelf. In the past two years newly acquired bathymetric data collected in the Moroccan offshore permit to enlighten the present position of the eastern portion of the plate boundary, previously thought to be a diffuse plate boundary. The plate boundary evolution, from the onset of compression in the Oligocene to the Late Pliocene activation of trascurrent structures, is not yet well constrained. The review of available seismics lines, gravity and bathymetric data, together with the analysis of new acquired bathymetric and high resolution seismic data offshore Morocco, allows to understand how the deformation acted at lithospheric scale under the compressive regime. Lithospheric folding in the area is suggested, and a new conceptual model is proposed for the propagation of the deformation acting in the brittle crust during this process. Our results show that lithospheric folding, both in oceanic and thinned continental crust, produced large wavelength synclines bounded by short wavelength, top thrust, anticlines. Two of these anticlines are located in the Gulf of Cadiz, and are represented by the Gorringe Ridge and Coral Patch seamounts. Lithospheric folding probably interacted with the Monchique – Madeira hotspot during the 72 Ma to Recent, NNE – SSW transit. Plume related volcanism is for the first time described on top of the Coral Patch seamount, where nine volcanoes are found by means of bathymetric data. 40Ar-39Ar age of 31.4±1.98 Ma are measured from one rock sample of one of these volcanoes. Analysis on biogenic samples show how the Coral Patch act as a starved offshore seamount since the Chattian. We proposed that compression stress formed lithospheric scale structures playing as a reserved lane for the upwelling of mantle material during the hotspot transit. The interaction between lithospheric folding and the hotspot emplacement can be also responsible for the irregularly spacing, and anomalous alignments, of individual islands and seamounts belonging to the Monchique - Madeira hotspot.
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L’idea che il bogomilismo sia “in una qualche maniera” da riconnettere al manicheismo è di per sè molto antica. Fin da quando giunsero le prime voci su questa nuova eresia che si era diffusa in terra bulgara, i bogomili vennero etichettati come manichei. Non necessariamente però chi è più vicino ad un fenomeno, sia nello spazio sia nel tempo, vede meglio i suoi contorni, le sue implicazioni e la sua essenza. Altri campi di studio ci insegnano che la natura umana tende a inquadrare ciò che non è noto all’interno degli schemi del “già conosciuto”: è così che spesso nomi di popoli si fissano al territorio divenendo concetti geografici anche quando i popoli cambiano; non a caso tutta la regione che si estendeva ad est della Germania veniva definita Sarmazia ed i numerosi popoli che si muovevano al seguito ed agli ordini del gran qan venivano chiamati Tartari; analogamente in semantica possiamo assistere al posizionamento di etichette consolidate e particolari su “oggetti” che ne condividono tratti pur essendo sotto molti aspetti del tutto estranei a quella che si potrebbe definire la matrice: il terrorista islamico che si fa esplodere viene chiamato sui giornali kamikaze e non casualmente lo tsunami porta questo nome: l’onda anomala che può sconvolgere coste distanti migliaia di chilometri dall’epicentro di un terremoto sottomarino ricorda la più familiare onda di porto. Se il continuo riconnettere il bogomilismo al manicheismo delle fonti antiche rappresenta un indizio, ma non necessariamente una prova di certa connessione, la situazione si è notevolmente complicata nel corso del XX secolo. Dobbiamo al principe Obolensky l’introduzione del termine neomanicheismo per indicare le eresie di carattere dualistico sviluppatesi dal X secolo in avanti sul territorio europeo con particolare riferimento al bogomilismo. Il termine dal 1948 in avanti è stato ripetutamente utilizzato più o meno a proposito in svariati lavori a volte pubblicati in sedi editoriali d’eccellenza apparsi in Europa occidentale e nell’est europeo. Il problema principale resta definire il valore da attribuire al termine “neomanicheismo”: indica un forte dualismo religioso in generale, ben diffuso e studiato da tempo ad esempio nei lavori del Bianchi dedicati ai popoli siberiani e mongoli, oppure presuppone una reale catena di connessioni che ci conducono fino al manicheismo vero e proprio? A fronte di chi sostiene che il bogomilismo, così come l’eresia catara, può essere spiegato semplicemente come fenomeno interno al cristianesimo sulla base di un’interpretazione contrastante da quella ufficiale dei testi sacri vi è chi ritiene che sia stato un contatto diretto con gli ambienti manichei a generare le caratteristiche proprie del bogomilismo. Da qui nasce la parte più affascinante della ricerca che porta all’individuazione di possibili contatti attraverso gli spostamenti delle popolazioni, alla circolazione delle idee all’interno di quello che fu il commonwealth bizantino ed all’individuazione di quanto sia rimasto di tutto ciò all’interno della dottrina bogomila. Il lavoro è suddiviso in tre capitoli, preceduti dalla bibliografia e seguiti da un indice analitico dei nomi di persona e luogo. Il primo capitolo prende in esame le fonti sul bogomilismo, il tempo ed il luogo in cui si è manifestato e la sua evoluzione. Il secondo analizza la dottrina bogomila, i suoi possibili contatti con le dottrine iraniche ed i possibili canali di trasmissione delle idee. Il terzo capitolo è costituito da una serie di racconti popoloari bulgari di matrice dualistica e da testi antico slavi usati dai bogomili. La maggior parte di questi testi viene presentata per la prima volta qui in traduzione italiana.
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Il lavoro di tesi si è incentrato sull’analisi dei frammenti di manoscritti ebraici medievali rinvenuti in alcuni archivi e biblioteche dell’area emiliano-romagnola ossia, come è noto, la regione italiana che vanta il maggior numero di frammenti rinvenuti; ben 6.000 frammenti sui circa 10.000 censiti sino ad oggi in tutta l’Italia, vale a dire un numero pari al 60% del totale. Nello specifico è stato esaminato il materiale pergamenaceo ebraico conservato in Archivi e Biblioteche delle città di Cesena, Faenza ed Imola, per un totale di 230 frammenti ebraici. Ho, quindi, proceduto all’identificazione di tutti i frammenti che, se dal punto di vista testuale ci documentano parti delle principali opere ebraiche diffuse nel Medioevo, sotto l’aspetto paleografico ci attestano le tre principali tradizioni scrittorie ebraiche utilizzate in Occidente, ossia: quella italiana, la sefardita e quella ashkenazita, oltre che ad alcuni rari esempi di grafia sefardita di tipo provenzale, una tipologia rara, se si considera che fra i quasi 10.000 frammenti finora scoperti in Italia, il numero di quelli vergati in questa grafia è davvero piccolo. Successivamente ho preso in esame le caratteristiche codicologiche e paleografiche dei frammenti, in particolar modo quelle relative a rigatura, foratura, mise en page e alle varianti grafiche individuali dello scriba, fra cui abbreviazioni, segni grafici di riempimento e resa del tetragramma sacro del nome di Dio, elementi che mi hanno consentito di identificare i frammenti smembrati da uno stesso manoscritto. Ciò ha permesso di individuare ben 80 manoscritti dai quali furono smembrati i 230 frammenti ebraici rinvenuti. Infine, sulla base dei dati raccolti, è stato realizzato un catalogo di tutti i frammenti, all’interno del quale i frammenti sono stati ricomposti per manoscritto. A loro volta, i vari manoscritti, suddivisi per soggetto, sono stati ordinati per secolo, dal più antico al più recente, in base alla grafia in cui sono vergati, ossia: Italiana, Sefardita (Provenzale) o Ashkenazita e per stile: quadrata, semicorsiva e corsiva. A motivo, poi, di nuovi ritrovamenti in diverse località italiane, mi sono dedicata ad un aggiornamento della mia ricerca compiuta per la tesi di Laurea, pubblicata nel 2004, sui frammenti talmudici e midrashici scoperti negli archivi e nelle biblioteche italiani; un genere di letteratura i cui rinvenimenti, per vari motivi, sono estremamente rari. In quell’occasione furono catalogati 475 frammenti talmudici, appartenenti a 151 manoscritti diversi, databili su base paleografica tra i secc. X e XV, e 54 frammenti midrashici appartenenti ad 8 manoscritti databili tra i secc. XII e XV. Ad oggi, dopo 4 anni, sono stati scoperti 21 nuovi frammenti talmudici ed un nuovo frammento midrashico. Nello specifico di questi 21 frammenti: 17 contengono parti tratte dal Talmud babilonese e 4 dal Sefer ha-Halakot di Alfasi (un noto compendio talmudico); mentre il frammento midrashico, rinvenuto presso la Sezione di Archivio di Stato di Foligno, contiene una parte del Midrash haggadah a Deuteronomio, costituendo pertanto già di per se stesso un rinvenimento molto importante. Questo frammento, ad una prima analisi, sembrerebbe completare alcune lacune del Midrash Haggadah ai cinque libri della Torah pubblicato a Vienna nel 1894 da S. Buber sulla base del solo manoscritto esistente che, tuttavia, presentava delle lacune, come riferisce lo stesso autore nella prefazione all’opera.
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La tesis "CAMINOS ANTIGUOS DEL NUEVO MUNDO Bolivia - Sudamerica, Siglos XV - XVII, através de fuentes arqueológicas y etnohistóricas", expone una compleja red vial en el territorio hoy conocido como Bolivia: corazón de Sudamérica (llamado así por su posición central en el subcontinente. Es el primer estudio arqueológico-histórico sobre el transporte en Bolivia, un vasto territorio, conocido por los Inkas (Siglo XIII) como Antisuyu y Collasuyu, una tierra desconocida, inexplorada, montañosa y selvática, poblada por diversas culturas, que habían desarrollado un sistema de tráfico fluvio-terrestre, que les permitiera recorrer tan extenso y contrastado territorio entre Andes y Amazonía. Los españoles le llamaban Alto Perú hacia el 1538, creando en 1559 la Real Audiencia de Charcas principal institución del Alto Perú, que pertenecía al Virreinato del Perú hasta 1776, año en el que se crea el Virreinato del Río de La Plata y el Alto Perú pasa a ser parte de este último. El Alto Perú se independiza de la Corona española en 1826, creándose la República de Bolivia. Sobre la base del primer mapa de Bolivia de 1859, en el que se hace un primer levantamiento de las redes camineras y la complementación con mapas más antiguos del Archivo General de Indias de Sevilla, se desarrolla el presente estudio, complementado con trabajos arqueológicos en la región e investigaciones en los Archivos Históricos de La Paz, Tarija, Santa Cruz y Buenos Aires que contienen manuscritos coloniales inéditos anexados en la presente tesis . El estudio es un aporte importante en el estableciemiento del Qapacñan o Caminos reales y sagrados de los Inkas, por cuanto Bolivia siendo un territorio central en Sudamérica fue un enclave cultural no solo en el periodo inka sino también pre inka. El estudio apunta a conocer la real dimensión del periodo prehistórico inka y pre inka en la región, en cuanto la mayoría de las vías actuales o modernas, se encuentran sobre un trazado antiguo cuyos restos conservan aún la construcción formal de la ingenieria inka o pre inka. Las fuentes etnohistóricas que complementan la investigación corresponden principalmente a los siglos XV a XVII e información arqueológica concerniente al Periodo Inka (siglos XIV – XV aprox.).
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Le vesti e le insegne degli imperatori nonché degli alti dignitari, sono ornate e “appesantite” da pietre preziose, lì disposte non a caso. Esse spesso divengono emblemi dei personaggi che le portano e offrono loro virtù e qualità che spesso si ricollegano anche a caratteristiche di alto valore ideologico. Già dai tempi pre-biblici le pietre sono considerate creature vive, messe in corrispondenza con gli astri, secondo la dottrina della simpathia. Questa concezione perdura anche nel Medioevo: infatti, nei vari lapidari vi sono pietre capaci di generare, e pietre “incinte”; esistono pietre dalle virtù talismaniche e taumaturgiche; altre guariscono, allontanano i mali, ottengono il favore dei potenti, consentono di portare a felice compimento tutto quel che si intraprende; rendono eloquenti, simpatici, graditi. Tornando all’ambito imperiale, l’imperatore per governare deve manifestare qualità che vengono condivise anche da Dio, quali la filantrophia, l’eunomia; rispettare la taxis; essere capace di autocontrollo; mostrare pietà; essere filocristos, vittorioso, misericordioso; essere temperante e giusto. Alcune di queste qualità gli vengono offerte anche dall’uso delle pietre preziose; così ad esempio il diamante dà forza e coraggio: preserva l’integrità del carattere e la buona fede; il rubino allude alla fiamma della carità; lo zaffiro è simbolo della ricchezza e dei cieli, custode dell’innocenza e della verità; lo smeraldo è anche esso simbolo della fede e allude simbolicamente alla capacità di intuire e trasmettere il messaggio divino propria del personaggio che ne è adornato. Le fonti prese in esame anche se vengono separate da un’arco di tempo grande e non rispecchiano un limite cronologico fisso, neccessario per ogni ricerca, tuttavia permettono di delineare il percorso evolutivo delle virtù delle gemme attraverso i secoli; e quindi di avere un’ idea molto più chiara sulla concezione delle pietre stesse, e su come, col passare degli anni, queste virtù si evolvono o svaniscono.
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Kafir Kala is a key-site to understand the historical dynamics of the Samarkand Region in the Early Middle Ages (5th - 8th centuries CE). The site is clearly associated with a Sogdian occupation, as both literature and archaeological research testify. But the chronological phase that follows the Sogdian period, as the Islamic occupation became stable, is still little known. Structures and finds (an hoard of 133 silver coins, in particular) clearly testify a new occupation of some parts of the citadel; and some rooms, dug in the northern side of it, present structures and materials connected with an Islamic activity. The study of material culture from these rooms, and from more ancient contexts, will help to understand the eventual continuity of traditions and the new productions. Besides the citadel, as a matter of fact, also some kilns have been dug, near the main site. Their material culture is very interesting because it represents an example of the typical Sogdian production (ceramics covered with white mica, and stamped). The work on the ceramic material has consisted in cataloguing and classifying all the diagnostics. Three main morphological classes have been individuated: cooking, coarse and table ware), and some other ones (lamps, ossuaries). A catalogue of the finds organized them in a typological system based on their morphology, function, fabric, and eventually decoration style. Crossing the stratigraphical data with information from this typological study, it has been possible to provide a chronological arrangement of the sites investigated by the italo-uzbek archaeological mission from 2001 to 2008.
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The arguments of the thesis is the relationship between the Norman domination and the Greek-speaking people living in Sicily and Southern Italy. Particularly the ascendancy of the greek culture on the norman architecture and his role in the construction of the Norman Kingdom.
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L’idea iniziale di questo lavoro era di tentare un approccio ad una tematica che, per la cronologia scelta, era stata decisamente poco studiata. Il Quattrocento e gli arcivescovi di Ravenna sembravano formare una diade promettente per i risultati che avrebbe potuto dare in termini di riscoperta dell’antico in ambito urbano, di rinascita umanistica e dei valori culturali che, nel particolare deposito memoriale ravennate, avrebbe potuto configurarsi in maniera particolarmente interessante dati i caratteri di unicità che la città – già imperiale, regia ed esarcale – porta inscritti nella sua identità. Le fonti primarie, rivolte all’analisi della politica degli arcivescovi ravennati per la conservazione e l’innovazione della facies urbana cittadina e ricercate anche all’interno del quadro istituzionale/amministrativo e culturale veneziano e della Ferrara estense, dalla cui società e cultura provengono i più importanti arcivescovi ravennati del periodo, hanno restituito il riflesso di una identità cittadina e urbica indebolita. Una difficoltà oggettiva è venuta da un carattere costante delle consuetudini clericali del tempo, la non residenza del presule nella sua chiesa locale, cui neppure il vescovo ravennate ha fatto eccezione. L’ipotesi di partenza finisce dunque per essere sfumata: le dinamiche della gestione e conservazione del patrimonio monumentale e artistico della città non appaiono più in mano all’arcivescovo, ma ad una pluralità di amministratori ed utilizzatori anche del frammentato mondo ecclesiale cittadino. Vengono peraltro messe in luce le attitudini e la sensibilità tutta umanistica di taluni vescovi – Bartolomeo Roverella in particolare -, qualità che non paiono estendersi fuori dalla vita personale dei presuli e meno ancora fino alla città della loro diocesi, ma che indagate in maniera organica e legate alle testimonianze materiali fino ad oggi disperse e per la prima volta riunite nel presente lavoro, apportano nuova luce e aprono la strada a ulteriori lavori di approfondimento.
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La ricerca è dedicata allo studio delle illustrazioni di medicina, astrologia, iatromatematica e mantica trasmesse dal codice 3632 della Biblioteca Universitaria di Bologna, prodotto nel secondo quarto del XV secolo dal medico Giovanni di Aron, e all’inquadramento del manoscritto nel contesto storico e culturale d’origine (con particolare attenzione allo studio e alla trasmissione degli iatrosophia e dei manoscritti illustrati di soggetto medico e naturalistico nei decenni che precedono e seguono la caduta dell’impero). La tesi analizza le caratteristiche dei più noti cicli di illustrazioni di soggetto medico e naturalistico bizantini (copiati anche nel codice oggetto della ricerca) e la loro relazione con i testi che accompagnavano, e studia le dinamiche di trasmissione di queste illustrazione in età paleologa.
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The aim of this work was to show that refined analyses of background, low magnitude seismicity allow to delineate the main active faults and to accurately estimate the directions of the regional tectonic stress that characterize the Southern Apennines (Italy), a structurally complex area with high seismic potential. Thanks the presence in the area of an integrated dense and wide dynamic network, was possible to analyzed an high quality microearthquake data-set consisting of 1312 events that occurred from August 2005 to April 2011 by integrating the data recorded at 42 seismic stations of various networks. The refined seismicity location and focal mechanisms well delineate a system of NW-SE striking normal faults along the Apenninic chain and an approximately E-W oriented, strike-slip fault, transversely cutting the belt. The seismicity along the chain does not occur on a single fault but in a volume, delimited by the faults activated during the 1980 Irpinia M 6.9 earthquake, on sub-parallel predominant normal faults. Results show that the recent low magnitude earthquakes belongs to the background seismicity and they are likely generated along the major fault segments activated during the most recent earthquakes, suggesting that they are still active today thirty years after the mainshock occurrences. In this sense, this study gives a new perspective to the application of the high quality records of low magnitude background seismicity for the identification and characterization of active fault systems. The analysis of the stress tensor inversion provides two equivalent models to explain the microearthquake generation along both the NW-SE striking normal faults and the E- W oriented fault with a dominant dextral strike-slip motion, but having different geological interpretations. We suggest that the NW-SE-striking Africa-Eurasia convergence acts in the background of all these structures, playing a primary and unifying role in the seismotectonics of the whole region.