6 resultados para Canon,
em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna
Resumo:
The thesis focuses on Karl Kraus’s rewritings of some Shakespeare plays and copes with the concepts of “translation” and “quotation” as commensurable forms of intertextuality. Building his Shakespeare’s Bearbeitungen as a montage of quotations of previous German translations, Karl Kraus creates a new kind of hybrid intertextuality that goes beyond the boundaries between quotation and translation. In my opinion, Karl Kraus understands quotation and translation as spatial concepts: in his rewritings he puts Shakespeare’s text into his geometrical and critical “perspective”. The thesis focuses also on the evolution of quotation and translation in Karl Kraus’s work: even maintaining their satirical and destruens function, they develop an “affirmative” role and are used in order to redefine the literary canon. The thesis investigates this form of intertextuality from a comparative point of view, referring to the translation studies (Hermans, Bassnett, Lefevere, Apel, Berman, Meschonnic), theories of intertextuality (Genette, Barthes, Worton, Orr), studies on quotation and montage (Compagnon; Möbius, Hage), and studies on Karl Kraus (Kraft, Ribeiro, Scheichl, Fischer, Timms, Canetti and the famous essay of Walter Benjamin). It also contains a survey of Theater der Dichtung’s historical framework and several comparisons between Karl Kraus’s and other early 20th translations of Shakespeare’s plays.
Resumo:
La tesi si propone di tracciare un confronto tra due autori molto distanti tra loro sia nel tempo che nello spazio: Nikolaj Gogol’ e Dario Fo; in particolare si analizzano le commedie Il Revisore di Gogol’ (1836) e Morte accidentale di un anarchico di Fo (1970). Il nesso tra le due opere è stato individuato dalla critica italiana (Franco Quadri, Ferdinando Taviani, Paolo Puppa). Tuttavia gli spunti interpretativi e comparativi non sono mai stati sviluppati appieno della critica. Nonostante le grandi distanze temporali e spaziali, l’analisi si propone dunque di evidenziare i numerosi motivi di consonanza tra le due opere e i due autori, che peraltro testimoniano anche della grande fortuna arrisa all’estero all’autore ucraino, attraverso la mediazione del teatro russo-sovietico del XX secolo. L’approccio metodologico adottato si fonda sui testi dei formalisti russi, di Lotman, sulla Stilkritik di Aurbach, sugli studi di Frye sulla Bibbia intesa come “grande canone” della letteratura occidentale, e soprattutto sull’analisi della cultura carnevalesca e popolare condotta da Bachtin. Lo studio è indirizzato su alcuni elementi precisi: la trama, lo scambio della personalità, l’impostura, la paura e il riso. Per ciascun di questi elementi è stata svolta l’analisi comparativa delle due opere, situandole in un contesto letterario e culturale che va all’antichità e al Medio Evo, dal quale entrambi gli autori mutuano molte suggestioni.
Resumo:
A partire da una ricognizione storica sull’ultimo impero coloniale portoghese, la tesi intende analizzare come il mito dell’impero abbia contribuito a definire l’identità nazionale del Portogallo e il suo patrimonio culturale e letterario. Il mito viene indagato in particolar modo nella sua componente linguistica e discorsiva, come modalità peculiare di costruire “costellazioni” di immagini. In questo contesto la letteratura assume una rilevanza specifica, poiché le sue risorse formali le permettono di contrapporre alla fissità del mito una potente articolazione in grado di scardinare gli automatismi legati ad una translatio imperii volta a reiterare l’immaginazione del centro. L’analisi di un corpus letterario afferente a quella che potremmo chiamare la letteratura “dei retornados”, che si concentra soprattutto sulla definizione della focalizzazione narrativa e sulla rielaborazione delle figure narrative, intende ricercare le diverse forme di assumere criticamente il canone imperiale e di oltrepassarlo.
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Nei primi due capitoli mi occupo del recupero del Barocco in ambito novecentesco e delle diverse letture e interpretazioni del Barocco e del Neobarocco, concetto che nasce dalla riflessione sul Barocco lungo tutto il Novecento. Riflessione che è stata anche una rivendicazione, a livello estetico, ma non solo, di una attualità o contemporaneità del Barocco, che accomuna tutta la riflessione sulla scoperta della cultura di un secolo, da Wölfflin a Benjamin, da Riegl a Anceschi. Si tratta anche di un rapporto fra Barocco storico e Neobarocco: se la stessa rivalutazione e riscoperta dell’arte del XVII secolo, dalla fine dell’Ottocento e lungo tutto il Novecento, ha coinciso con la sua costruzione terminologica ed ermeneutica, di questa nuova categoria è lo stesso approccio intellettuale contemporaneo che può definirsi, nella più ampia accezione, «neobarocco». Nel terzo capitolo, invece, ho approfondito il rapporto fra Gadda e il Barocco, partendo dal concetto di allegoria moderna di Walter Benjamin. Fondamentale per la mia ricerca è stato il libro di Gilles Deleuze, La piega. Leibniz e il barocco, che ha visto nell’opera del filosofo Leibniz (studiato anche dal proprio Gadda) la chiave di lettura per capire il Barocco nelle sue diverse manifestazioni. E anche il libro di Robert Dombroski, Gadda e il barocco, in cui si parte appunto dal concetto di barocco/neobarocco come punto di approccio per studiare il barocco di Gadda. Infatti, lo stile di Gadda risponde al canone barocco che il poststrutturalismo ha riaccolto nel vivo del dibattito estetico, si pensi ai contributi di Roland Barthes e di Severo Sarduy e, posteriormente, all’opera proprio di Deleuze. Nell’ultimo capitolo, poi, faccio un’analisi di Gadda traduttore di opere del Seicento spagnolo, opere che vengono da lui riscritte grazie alla rielaborazione del passato attraverso il suo linguaggio neobarocco.
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La problématique critique autour de la permanence du picaresque à l’époque contemporaine révèle, à partir des années soixante, une controverse qui n’est pas parvenue à en donner une vision homogène. L’oscillation entre une conception historique close et une conception a-historique ouverte ne permet pas de saisir les données essentielles d’une présence très riche et qui n’a pas du tout disparu. Pour le démontrer, on a pris en considération deux ensembles d’œuvres des XXe et XXIe siècles qui présentent un caractère bien distinct : d’un côté, un corpus restreint, composé par des réécritures ou des adaptations des textes canoniques espagnols ; de l’autre, un deuxième corpus plus riche en termes quantitatifs, qui ne représente pas forcement une réélaboration du canon du genre picaresque. Pour aborder l’analyse du corpus, on a évidemment essayé d’identifier des caractéristiques spécifiques qui ont survécu, tout en subissant parfois des transformations, au cours des XXe et XXIe siècles : plus particulièrement, on a pris en considération le narrateur, le motif de la naissance ignoble, la marginalisation du héros et son statut dynamique, aussi bien que la conclusion du récit. D’une tel analyse, il émerge en définitive que la réactivation du genre picaresque ne se borne pas à une réécriture contemporaine, mais aussi qu’il constitue un genre dont la survivance ne peut être mise en question, et dont la diffusion est assez ample. L’analyse d’une telle permanence dans la littérature contemporaine permet de comprendre que ce genre n’est pas lié exclusivement à une société particulière et à un moment historique précis, mais qu’il relève d’une structure plus profonde qui réussit à s’incarner, au cours de l’histoire, dans l’écriture et dans la tradition littéraire.
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L'inno dedicato ai sette Amesha Spəṇta è parte della produzione avestica recenziore, e si compone in gran parte di porzioni testuali riprese da altri testi avestici a loro volta di formazione tardiva. Lo Yašt si divide in tre parti principali: le stanze 0-10; 11-14; e infine la stanza 15 che comprende la formula di chiusura tipica degli inni avestici. La prima sezione (2.0-10) è composta dalla formula di apertura, incompleta rispetto a quelle dei restanti inni, seguita dai primi sette capitoli di entrambi i Sīh-rōzag compresi i Gāh. Le stanze centrali (11-14) si caratterizzano per l'assenza di passi gemelli, un elevato numero di hapax e di arcaismi formali e inoltre, una grande variabilità nella tradizione manoscritta. Si tratta di una formula magica per esorcizzare/allontanare demoni e stregoni, che doveva essere recitata per sette volte. Tale formula probabilmente rappresentava in origine un testo autonomo che veniva recitato assieme ad altri testi avestici. La versione a noi pervenuta comprende la recitazione di parte di entrambi i Sīh-rōzag, ma è molto probabile che tale arrangement sia soltanto una sequenza recitativa che doveva coesistere assieme ad altre. Attualmente la formula magica viene recitata principalmente assieme allo Yasna Haptaŋhāiti, senza le restanti stanze dell'inno nella sua versione geldneriana. Il testo sembra nascere come formula magica la quale venne recitata assieme a diversi testi avestici come per esempio parti dello Sīh-rōzag. In un periodo impossibile da stabilire con certezza la versione viene fissata nella forma a noi pervenuta nella maggior parte dei manoscritti e per la sua affinità formale probabilmente interpretato come inno e perciò incluso nell'innario avestico.