3 resultados para C-14

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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L’insorgenza di fenomeni coinvolti nello sviluppo della farmacoresistenza costituisce al momento la principale causa di mancata risposta al trattamento chemioterapico nell’osteosarcoma. Questo è in parte dovuto ad una sovraespressione di diversi trasportatori ABC nelle cellule tumorali che causano un aumento dell’efflusso extracellulare del chemioterapico e pertanto una ridotta risposta al trattamento farmacologico. L'oncogene C-MYC è coinvolto nella resistenza al metothrexate, alla doxorubicina e al cisplatino ed è un fattore prognostico avverso, se sovraespresso al momento della diagnosi, in pazienti affetti da osteosarcoma. C-MYC è in grado di regolare l'espressione di diversi trasportatori ABC, probabilmente coinvolti nella resistenza ai farmaci nell’osteosarcoma, e questo potrebbe spiegare l’impatto prognostico avverso dell’oncogene in questo tumore. L’espressione genica di C-MYC e di 16 trasportatori ABC, regolati da C-MYC e / o responsabili dell'efflusso di diversi chemioterapici, è stata valutata su due diverse casistiche cliniche e su un pannello di linee cellulari di osteosarcoma umano mediante real-time PCR. L'espressione della proteina è stata valutata per i 9 trasportatori ABC risultati più rilevanti.Infine l'efficacia in vitro di un inibitore, specifico per ABCB1 e ABCC1, è stata valutata su linee cellulari di osteosarcoma. ABCB1 e ABCC1 sono i trasportatori più espressi nelle linee cellulari di osteosarcoma. ABCB1 è sovraespresso al momento della diagnosi in circa il 40-45% dei pazienti affetti da osteosarcoma e si conferma essere un fattore prognostico avverso se sovraespresso al momento della diagnosi. Pertanto ABCB1 diventa il bersaglio di elezione per lo sviluppo di strategie terapeutiche alternative, nel trattamento dell’osteosarcoma, atte al superamento della farmacoresistenza. L’inibizione dell'attività di tale trasportatore causa un aumento della sensibilità al trattamento chemioterapico nelle linee cellulari di osteosarcoma farmacoresistenti, indicando questo approccio come una possibile strategia per superare il problema della mancata risposta al trattamento farmacologico nei pazienti con osteosarcoma che sovraesprimono ABCB1.

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The development of anti-IFNα antibodies is an occurrence described in chronic hepatitis C patients during treatment with Interferonα/PEG-Interferonα. However, its relevance, especially in difficult-to treat patients, has not been defined. Methods: We retrospectively measured the serum levels of anti-IFNα antibodies (baseline and week 12) and IFNα levels (week 12) by ELISA in 76 previous non-responders, and in 14 naive patients treated with Pegylated-IFNα and Ribavirin. A group of 57 healthy donors (HD) was also assessed as control. Positivity to anti-IFNα antibodies was established on the values of HD. Results: Baseline anti-IFNα antibodies were detected in 15.5% of patients and in 7% of HD, with significantly higher concentrations in patients than HD (181.5±389.9 vs 95.9±143.0 ng mL−1, p=0.0023). All positive patients were IFNα-experienced. At week 12, the prevalence of positivity increased to 22.3 and 28.5% in experienced and naïve patients, respectively, and the levels of anti-IFNα antibodies did not differ between the two groups (391±792.3 vs 384.7±662.6 ng mL−1, respectively). IFNα concentrations were significantly lower in antibody-positive patients than in antibody-negatives (988.2±1402 vs 3462±830.8 pg mL−1, p≤0.0001) and the levels of antibodies and IFNα were inversely correlated (r=-0.405, p=0.0001). The antibody-positive population clustered in null responders (67%) and 19/21 patients (90%) did not achieve SVR. Conclusions: The development of anti-IFNα antibodies is a non-negligible occurrence in patients treated with PEG-IFNα, is stable over time, and has a relevant clinical impact when associated with low levels of circulating PEG-IFNα. It should be considered in patients undergoing treatments including PEG-IFNα.