19 resultados para Bottom-up learning

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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Oggetto di indagine del lavoro è il movimento ambientalista e culturale delle Città in Transizione che rappresentano esperimenti di ri-localizzazione delle risorse volte a preparare le comunità (paesi, città, quartieri) ad affrontare la duplice sfida del cambiamento climatico e del picco del petrolio. A partire dal Regno Unito, la rete delle Transition Towns si è in pochi anni estesa significativamente e conta oggi più di mille iniziative. L’indagine di tale movimento ha richiesto in prima battuta di focalizzare l’attenzione sul campo disciplinare della sociologia dell’ambiente. L’attenzione si è concentrata sul percorso di riconoscimento che ha reso la sociologia dell’ambiente una branca autonoma e sul percorso teorico-concettuale che ha caratterizzato la profonda spaccatura paradigmatica proposta da Catton e Dunlap, che hanno introdotto nel dibattito sociologico il Nuovo Paradigma Ecologico, prendendo le distanze dalla tradizionale visione antropocentrica della sociologia classica. Vengono poi presentate due delle più influenti prospettive teoriche della disciplina, quella del Treadmill of Production e la più attuale teoria della modernizzazione ecologica. La visione che viene adottata nel lavoro di tesi è quella proposta da Spaargaren, fautore della teoria della modernizzazione ecologica, secondo il quale la sociologia dell’ambiente può essere collocata in uno spazio intermedio che sta tra le scienze ambientali e la sociologia generale, evidenziando una vocazione interdisciplinare richiamata anche dal dibattito odierno sulla sostenibilità. Ma le evidenze empiriche progressivamente scaturite dallo studio di questo movimento che si autodefinisce culturale ed ambientalista hanno richiesto una cornice teorica più ampia, quella della modernità riflessiva e della società del rischio, in grado di fornire categorie concettuali spendibili nella descrizione dei problemi ambientali e nell’indagine del mutamento socio-culturale e dei suoi attori. I riferimenti empirici dello studio sono tre specifiche realtà locali in Transizione: York in Transition per il Regno Unito, Monteveglio (Bo) e Scandiano (Re) in Transizione per l’Italia.

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This thesis aims at investigating a new approach to document analysis based on the idea of structural patterns in XML vocabularies. My work is founded on the belief that authors do naturally converge to a reasonable use of markup languages and that extreme, yet valid instances are rare and limited. Actual documents, therefore, may be used to derive classes of elements (patterns) persisting across documents and distilling the conceptualization of the documents and their components, and may give ground for automatic tools and services that rely on no background information (such as schemas) at all. The central part of my work consists in introducing from the ground up a formal theory of eight structural patterns (with three sub-patterns) that are able to express the logical organization of any XML document, and verifying their identifiability in a number of different vocabularies. This model is characterized by and validated against three main dimensions: terseness (i.e. the ability to represent the structure of a document with a small number of objects and composition rules), coverage (i.e. the ability to capture any possible situation in any document) and expressiveness (i.e. the ability to make explicit the semantics of structures, relations and dependencies). An algorithm for the automatic recognition of structural patterns is then presented, together with an evaluation of the results of a test performed on a set of more than 1100 documents from eight very different vocabularies. This language-independent analysis confirms the ability of patterns to capture and summarize the guidelines used by the authors in their everyday practice. Finally, I present some systems that work directly on the pattern-based representation of documents. The ability of these tools to cover very different situations and contexts confirms the effectiveness of the model.

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Call me Ismail. Così inizia notoriamente il celebre romanzo di Herman Melville, Moby Dick. In un altro racconto, ambientato nel 1797, anno del grande ammutinamento della flotta del governo inglese, Melville dedica un breve accenno a Thomas Paine. Il racconto è significativo di quanto – ancora nella seconda metà dell’Ottocento – l’autore di Common Sense e Rights of Man sia sinonimo delle possibilità radicalmente democratiche che l’ultima parte del Settecento aveva offerto. Melville trova in Paine la chiave per dischiudere nel presente una diversa interpretazione della rivoluzione: non come una vicenda terminata e confinata nel passato, ma come una possibilità che persiste nel presente, “una crisi mai superata” che viene raffigurata nel dramma interiore del gabbiere di parrocchetto, Billy Budd. Il giovane marinaio della nave mercantile chiamata Rights of Man mostra un’attitudine docile e disponibile all’obbedienza, che lo rende pronto ad accettare il volere dei superiori. Billy non contesta l’arruolamento forzato nella nave militare. Nonostante il suo carattere affabile, non certo irascibile, l’esperienza in mare sulla Rights of Man rappresenta però un peccato difficile da espiare: il sospetto è più forte della ragionevolezza, specie quando uno spettro di insurrezione continua ad aggirarsi nella flotta di sua maestà. Così, quando, imbarcato in una nave militare della flotta inglese, con un violento pugno Billy uccide l’uomo che lo accusa di tramare un nuovo ammutinamento, il destino inevitabile è quello di un’esemplare condanna a morte. Una condanna che, si potrebbe dire, mostra come lo spettro della rivoluzione continui ad agitare le acque dell’oceano Atlantico. Nella Prefazione Melville fornisce una chiave di lettura per accedere al testo e decifrare il dramma interiore del marinaio: nella degenerazione nel Terrore, la vicenda francese indica una tendenza al tradimento della rivoluzione, che è così destinata a ripetere continuamente se stessa. Se “la rivoluzione si trasformò essa stessa in tirannia”, allora la crisi segna ancora la società atlantica. Non è però alla classica concezione del tempo storico – quella della ciclica degenerazione e rigenerazione del governo – che Melville sembra alludere. Piuttosto, la vicenda rivoluzionaria che ha investito il mondo atlantico ha segnato un radicale punto di cesura con il passato: la questione non è quella della continua replica della storia, ma quella del continuo circolare dello “spirito rivoluzionario”, come dimostra nell’estate del 1797 l’esperienza di migliaia di marinai che tra grida di giubilo issano sugli alberi delle navi i colori britannici da cui cancellano lo stemma reale e la croce, abolendo così d’un solo colpo la bandiera della monarchia e trasformando il mondo in miniatura della flotta di sua maestà “nella rossa meteora di una violenta e sfrenata rivoluzione”. Raccontare la vicenda di Billy riporta alla memoria Paine. L’ammutinamento è solo un frammento di un generale spirito rivoluzionario che “l’orgoglio nazionale e l’opinione politica hanno voluto relegare nello sfondo della storia”. Quando Billy viene arruolato, non può fare a meno di portare con sé l’esperienza della Rights of Man. Su quel mercantile ha imparato a gustare il dolce sapore del commercio insieme all’asprezza della competizione sfrenata per il mercato, ha testato la libertà non senza subire la coercizione di un arruolamento forzato. La vicenda di Billy ricorda allora quella del Paine inglese prima del grande successo di Common Sense, quando muove da un’esperienza di lavoro all’altra in modo irrequieto alla ricerca di felicità – dal mestiere di artigiano all’avventura a bordo di un privateer inglese durante la guerra dei sette anni, dalla professione di esattore fiscale alle dipendenze del governo, fino alla scelta di cercare fortuna in America. Così come Paine rivendica l’originalità del proprio pensiero, il suo essere un autodidatta e le umili origini che gli hanno impedito di frequentare le biblioteche e le accademie inglesi, anche Billy ha “quel tipo e quel grado di intelligenza che si accompagna alla rettitudine non convenzionale di ogni integra creatura umana alla quale non sia ancora stato offerto il dubbio pomo della sapienza”. Così come il pamphlet Rights of man porta alla virtuale condanna a morte di Paine – dalla quale sfugge trovando rifugio a Parigi – allo stesso modo il passato da marinaio sulla Rights of Man porta al processo per direttissima che sentenzia la morte per impiccagione del giovane marinaio. Il dramma interiore di Billy replica dunque l’esito negativo della rivoluzione in Europa: la rivoluzione è in questo senso come un “violento accesso di febbre contagiosa”, destinato a scomparire “in un organismo costituzionalmente sano, che non tarderà a vincerla”. Non viene però meno la speranza: quella della rivoluzione sembra una storia senza fine perché Edward Coke e William Blackstone – i due grandi giuristi del common law inglese che sono oggetto della violenta critica painita contro la costituzione inglese – “non riescono a far luce nei recessi oscuri dell’animo umano”. Rimane dunque uno spiraglio, un angolo nascosto dal quale continua a emergere uno spirito rivoluzionario. Per questo non esistono cure senza effetti collaterali, non esiste ordine senza l’ipoteca del ricorso alla forza contro l’insurrezione: c’è chi come l’ufficiale che condanna Billy diviene baronetto di sua maestà, c’è chi come Billy viene impiccato, c’è chi come Paine viene raffigurato come un alcolizzato e impotente, disonesto e depravato, da relegare sul fondo della storia atlantica. Eppure niente più del materiale denigratorio pubblicato contro Paine ne evidenzia il grande successo. Il problema che viene sollevato dalle calunniose biografie edite tra fine Settecento e inizio Ottocento è esattamente quello del trionfo dell’autore di Common Sense e Rights of Man nell’aver promosso, spiegato e tramandato la rivoluzione come sfida democratica che è ancora possibile vincere in America come in Europa. Sono proprio le voci dei suoi detrattori – americani, inglesi e francesi – a mostrare che la dimensione nella quale è necessario leggere Paine è quella del mondo atlantico. Assumendo una prospettiva atlantica, ovvero ricostruendo la vicenda politica e intellettuale di Paine da una sponda all’altra dell’oceano, è possibile collegare ciò che Paine dice in spazi e tempi diversi in modo da segnalare la presenza costante sulla scena politica di quei soggetti che – come i marinai protagonisti dell’ammutinamento – segnalano il mancato compimento delle speranze aperte dall’esperienza rivoluzionaria. Limitando la ricerca al processo di costruzione della nazione politica, scegliendo di riassumerne il pensiero politico nell’ideologia americana, nella vicenda costituzionale francese o nel contesto politico inglese, le ricerche su Paine non sono riuscite fino in fondo a mostrare la grandezza di un autore che risulta ancora oggi importante: la sua produzione intellettuale è talmente segnata dalle vicende rivoluzionarie che intessono la sua biografia da fornire la possibilità di studiare quel lungo periodo di trasformazione sociale e politica che investe non una singola nazione, ma l’intero mondo atlantico nel corso della rivoluzione. Attraverso Paine è allora possibile superare quella barriera che ha diviso il dibattito storiografico tra chi ha trovato nella Rivoluzione del 1776 la conferma del carattere eccezionale della nazione americana – fin dalla sua origine rappresentata come esente dalla violenta conflittualità che invece investe il vecchio continente – e chi ha relegato il 1776 a data di secondo piano rispetto al 1789, individuando nell’illuminismo la presunta superiorità culturale europea. Da una sponda all’altra dell’Atlantico, la storiografia ha così implicitamente alzato un confine politico e intellettuale tra Europa e America, un confine che attraverso Paine è possibile valicare mostrandone la debolezza. Parlando di prospettiva atlantica, è però necessario sgombrare il campo da possibili equivoci: attraverso Paine, non intendiamo stabilire l’influenza della Rivoluzione americana su quella francese, né vogliamo mostrare l’influenza del pensiero politico europeo sulla Rivoluzione americana. Non si tratta cioè di stabilire un punto prospettico – americano o europeo – dal quale leggere Paine. L’obiettivo non è quello di sottrarre Paine agli americani per restituirlo agli inglesi che l’hanno tradito, condannandolo virtualmente a morte. Né è quello di confermare l’americanismo come suo unico lascito culturale e politico. Si tratta piuttosto di considerare il mondo atlantico come l’unico scenario nel quale è possibile leggere Paine. Per questo, facendo riferimento al complesso filone storiografico dell’ultimo decennio, sviluppato in modo diverso da Bernard Bailyn a Markus Rediker e Peter Linebaugh, parliamo di rivoluzione atlantica. Certo, Paine vede fallire nell’esperienza del Terrore quella rivoluzione che in America ha trionfato. Ciò non costituisce però un elemento sufficiente per riproporre l’interpretazione arendtiana della rivoluzione che, sulla scorta della storiografia del consenso degli anni cinquanta, ma con motivi di fascino e interesse che non sempre ritroviamo in quella storiografia, ha contribuito ad affermare un ‘eccezionalismo’ americano anche in Europa, rappresentando gli americani alle prese con il problema esclusivamente politico della forma di governo, e i francesi impegnati nel rompicapo della questione sociale della povertà. Rompicapo che non poteva non degenerare nella violenza francese del Terrore, mentre l’America riusciva a istituire pacificamente un nuovo governo rappresentativo facendo leva su una società non conflittuale. Attraverso Paine, è infatti possibile mostrare come – sebbene con intensità e modalità diverse – la rivoluzione incida sul processo di trasformazione commerciale della società che investe l’intero mondo atlantico. Nel suo andirivieni da una sponda all’altra dell’oceano, Paine non ragiona soltanto sulla politica – sulla modalità di organizzare una convivenza democratica attraverso la rappresentanza, convivenza che doveva trovare una propria legittimazione nel primato della costituzione come norma superiore alla legge stabilita dal popolo. Egli riflette anche sulla società commerciale, sui meccanismi che la muovono e le gerarchie che la attraversano, mostrando così precise linee di continuità che tengono insieme le due sponde dell’oceano non solo nella circolazione del linguaggio politico, ma anche nella comune trasformazione sociale che investe i termini del commercio, del possesso della proprietà e del lavoro, dell’arricchimento e dell’impoverimento. Con Paine, America e Europa non possono essere pensate separatamente, né – come invece suggerisce il grande lavoro di Robert Palmer, The Age of Democratic Revolution – possono essere inquadrate dentro un singolo e generale movimento rivoluzionario essenzialmente democratico. Emergono piuttosto tensioni e contraddizioni che investono il mondo atlantico allontanando e avvicinando continuamente le due sponde dell’oceano come due estremità di un elastico. Per questo, parliamo di società atlantica. Quanto detto trova conferma nella difficoltà con la quale la storiografia ricostruisce la figura politica di Paine dentro la vicenda rivoluzionaria americana. John Pocock riconosce la difficoltà di comprendere e spiegare Paine, quando sostiene che Common Sense non evoca coerentemente nessun prestabilito vocabolario atlantico e la figura di Paine non è sistemabile in alcuna categoria di pensiero politico. Partendo dal paradigma classico della virtù, legata antropologicamente al possesso della proprietà terriera, Pocock ricostruisce la permanenza del linguaggio repubblicano nel mondo atlantico senza riuscire a inserire Common Sense e Rights of Man nello svolgimento della rivoluzione. Sebbene non esplicitamente dichiarata, l’incapacità di comprendere il portato innovativo di Common Sense, in quella che è stata definita sintesi repubblicana, è evidente anche nel lavoro di Bernard Bailyn che spiega come l’origine ideologica della rivoluzione, radicata nella paura della cospirazione inglese contro la libertà e nel timore della degenerazione del potere, si traduca ben presto in un sentimento fortemente contrario alla democrazia. Segue questa prospettiva anche Gordon Wood, secondo il quale la chiamata repubblicana per l’indipendenza avanzata da Paine non parla al senso comune americano, critico della concezione radicale del governo rappresentativo come governo della maggioranza, che Paine presenta quando partecipa al dibattito costituzionale della Pennsylvania rivoluzionaria. Paine è quindi considerato soltanto nelle risposte repubblicane dei leader della guerra d’indipendenza che temono una possibile deriva democratica della rivoluzione. Paine viene in questo senso dimenticato. La sua figura è invece centrale della nuova lettura liberale della rivoluzione: Joyce Appleby e Isaac Kramnick contestano alla letteratura repubblicana di non aver compreso che la separazione tra società e governo – la prima intesa come benedizione, il secondo come male necessario – con cui si apre Common Sense rappresenta il tentativo riuscito di cogliere, spiegare e tradurre in linguaggio politico l’affermazione del capitalismo. In particolare, Appleby critica efficacemente il concetto d’ideologia proposto dalla storiografia repubblicana, perché presuppone una visione statica della società. L’affermazione del commercio fornirebbe invece quella possibilità di emancipazione attraverso il lavoro libero, che Paine coglie perfettamente promuovendo una visione della società per la quale il commercio avrebbe permesso di raggiungere la libertà senza il timore della degenerazione della rivoluzione nel disordine. Questa interpretazione di Paine individua in modo efficace un aspetto importante del suo pensiero politico, la sua profonda fiducia nel commercio come strumento di emancipazione e progresso. Tuttavia, non risulta essere fino in fondo coerente e pertinente, se vengono prese in considerazione le diverse agende politiche avanzate in seguito alla pubblicazione di Common Sense e di Rights of Man, né sembra reggere quando prendiamo in mano The Agrarian Justice (1797), il pamphlet nel quale Paine mette in discussione la sua profonda fiducia nel progresso della società commerciale. Diverso è il Paine che emerge dalla storiografia bottom-up, secondo la quale la rivoluzione non può più essere ridotta al momento repubblicano o all’affermazione senza tensione del liberalismo: lo studio della rivoluzione deve essere ampliato fino a comprendere quell’insieme di pratiche e discorsi che mirano all’incisiva trasformazione dell’esistente slegando il diritto di voto dalla qualifica proprietaria, perseguendo lo scopo di frenare l’accumulazione di ricchezza nelle mani di pochi con l’intento di ordinare la società secondo una logica di maggiore uguaglianza. Come dimostrano Eric Foner e Gregory Claeys, attraverso Paine è allora possibile rintracciare, sulla sponda americana come su quella inglese dell’Atlantico, forti pretese democratiche che non sembrano riducibili al linguaggio liberale, né a quello repubblicano. Paine viene così sottratto a rigide categorie storiografiche che per troppo tempo l’hanno consegnato tout court all’elogio del campo liberale o al silenzio di quello repubblicano. Facendo nostra la metodologia di ricerca elaborata dalla storiografia bottom-up per tenere insieme storia sociale e storia intellettuale, possiamo allora leggere Paine non solo per parlare di rivoluzione atlantica, ma anche di società atlantica: società e politica costituiscono un unico orizzonte d’indagine dal quale esce ridimensionata l’interpretazione della rivoluzione come rivoluzione esclusivamente politica, che – sebbene in modo diverso – tanto la storiografia repubblicana quanto quella liberale hanno rafforzato, alimentando indirettamente l’eccezionale successo americano contro la clamorosa disfatta europea. Entrambe le sponde dell’Atlantico mostrano una società in transizione: la costruzione della finanza nazionale con l’istituzione del debito pubblico e la creazione delle banche, la definizione delle forme giuridiche che stabiliscono modalità di possesso e impiego di proprietà e lavoro, costituiscono un complesso strumentario politico necessario allo sviluppo del commercio e al processo di accumulazione di ricchezza. Per questo, la trasformazione commerciale della società è legata a doppio filo con la rivoluzione politica. Ricostruire il modo nel quale Paine descrive e critica la società da una sponda all’altra dell’Atlantico mostra come la separazione della società dal governo non possa essere immediatamente interpretata come essenza del liberalismo economico e politico. La lettura liberale rappresenta senza ombra di dubbio un salto di qualità nell’interpretazione storiografica perché spiega in modo convincente come Paine traduca in discorso politico il passaggio da una società fortemente gerarchica come quella inglese, segnata dalla condizione di povertà e miseria comune alle diverse figure del lavoro, a una realtà sociale come quella americana decisamente più dinamica, dove il commercio e le terre libere a ovest offrono ampie possibilità di emancipazione e arricchimento attraverso il lavoro libero. Tuttavia, leggendo The Case of Officers of Excise (1772) e ricostruendo la sua attività editoriale alla guida del Pennsylvania Magazine (1775) è possibile giungere a una conclusione decisamente più complessa rispetto a quella suggerita dalla storiografia liberale: il commercio non sembra affatto definire una qualità non conflittuale del contesto atlantico. Piuttosto, nonostante l’assenza dell’antico ordine ‘cetuale’ europeo, esso investe la società di una tendenza alla trasformazione, la cui direzione, intensità e velocità dipendono anche dall’esito dello scontro politico in atto dentro la rivoluzione. Spostando l’attenzione su figure sociali che in quella letteratura sono di norma relegate in secondo piano, Paine mira infatti a democratizzare la concezione del commercio indicando nell’indipendenza personale la condizione comune alla quale poveri e lavoratori aspirano: per chi è coinvolto in prima persona nella lotta per l’indipendenza, la visione della società non indica allora un ordine naturale, dato e immutabile, quanto una scommessa sul futuro, un ideale che dovrebbe avviare un cambiamento sociale coerente con le diverse aspettative di emancipazione. Senza riconoscere questa valenza democratica del commercio non è possibile superare il consenso come presupposto incontestabile della Rivoluzione americana, nel quale tanto la storiografia repubblicana quanto quella librale tendono a cadere: non è possibile superare l’immagine statica della società americana, implicitamente descritta dalla prima, né andare oltre la visione di una società dinamica, ma priva di gerarchie e oppressione, come quella delineata dalla seconda. Le entusiastiche risposte e le violente critiche in favore e contro Common Sense, la dura polemica condotta in difesa o contro la costituzione radicale della Pennsylvania, la diatriba politica sul ruolo dei ricchi mercanti mostrano infatti una società in transizione lungo linee che sono contemporaneamente politiche e sociali. Dentro questo contesto conflittuale, repubblicanesimo e liberalismo non sembrano affatto competere l’uno contro l’altro per esercitare un’influenza egemone nella costruzione del governo rappresentativo. Vengono piuttosto mescolati e ridefiniti per rispondere alla pretese democratiche che provengono dalla parte bassa della società. Common Sense propone infatti un piano politico per l’indipendenza del tutto innovativo rispetto al modo nel quale le colonie hanno fino a quel momento condotto la controversia con la madre patria: la chiamata della convenzione rappresentativa di tutti gli individui per scrivere una nuova costituzione assume le sembianze di un vero e proprio potere costituente. Con la mobilitazione di ampie fasce della popolazione per vincere la guerra contro gli inglesi, le élite mercantili e proprietarie perdono il monopolio della parola e il processo decisionale è aperto anche a coloro che non hanno avuto voce nel governo coloniale. La dottrina dell’indipendenza assume così un carattere democratico. Paine non impiega direttamente il termine, tuttavia le risposte che seguono la pubblicazione di Common Sense lanciano esplicitamente la sfida della democrazia. Ciò mostra come la rivoluzione non possa essere letta semplicemente come affermazione ideologica del repubblicanesimo in continuità con la letteratura d’opposizione del Settecento britannico, o in alternativa come transizione non conflittuale al liberalismo economico e politico. Essa risulta piuttosto comprensibile nella tensione tra repubblicanesimo e democrazia: se dentro la rivoluzione (1776-1779) Paine contribuisce a democratizzare la società politica americana, allora – ed è questo un punto importante, non sufficientemente chiarito dalla storiografia – il recupero della letteratura repubblicana assume il carattere liberale di una strategia tesa a frenare le aspettative di chi considera la rivoluzione politica come un mezzo per superare la condizione di povertà e le disuguaglianze che pure segnano la società americana. La dialettica politica tra democrazia e repubblicanesimo consente di porre una questione fondamentale per comprendere la lunga vicenda intellettuale di Paine nella rivoluzione atlantica e anche il rapporto tra trasformazione sociale e rivoluzione politica: è possibile sostenere che in America la congiunzione storica di processo di accumulazione di ricchezza e costruzione del governo rappresentativo pone la società commerciale in transizione lungo linee capitalistiche? Questa non è certo una domanda che Paine pone esplicitamente, né in Paine troviamo una risposta esaustiva. Tuttavia, la sua collaborazione con i ricchi mercanti di Philadelphia suggerisce una valida direzione di indagine dalla quale emerge che il processo di costruzione del governo federale è connesso alla definizione di una cornice giuridica entro la quale possa essere realizzata l’accumulazione del capitale disperso nelle periferie dell’America indipendente. Paine viene così coinvolto in un frammentato e dilatato scontro politico dove – nonostante la conclusione della guerra contro gli inglesi nel 1783 – la rivoluzione non sembra affatto conclusa perché continua a muovere passioni che ostacolano la costruzione dell’ordine: leggere Paine fuori dalla rivoluzione (1780-1786) consente paradossalmente di descrivere la lunga durata della rivoluzione e di considerare la questione della transizione dalla forma confederale a quella federale dell’unione come un problema di limiti della democrazia. Ricostruire la vicenda politica e intellettuale di Paine in America permette infine di evidenziare un ambiguità costitutiva della società commerciale dentro la quale il progetto politico dei ricchi mercanti entra in tensione con un’attitudine popolare critica del primo processo di accumulazione che rappresenta un presupposto indispensabile all’affermazione del capitalismo. La rivoluzione politica apre in questo senso la società commerciale a una lunga e conflittuale transizione verso il capitalismo Ciò risulta ancora più evidente leggendo Paine in Europa (1791-1797). Da una sponda all’altra dell’Atlantico, con Rights of Man egli esplicita ciò che in America ha preferito mantenere implicito, pur raccogliendo la sfida democratica lanciata dai friend of Common Sense: il salto in avanti che la rivoluzione atlantica deve determinare nel progresso dell’umanità è quello di realizzare la repubblica come vera e propria democrazia rappresentativa. Tuttavia, il fallimento del progetto politico di convocare una convenzione nazionale in Inghilterra e la degenerazione dell’esperienza repubblicana francese nel Terrore costringono Paine a mettere in discussione quella fiducia nel commercio che la storiografia liberale ha con grande profitto mostrato: il mancato compimento della rivoluzione in Europa trova infatti spiegazione nella temporanea impossibilità di tenere insieme democrazia rappresentativa e società commerciale. Nel contesto europeo, fortemente disgregato e segnato da durature gerarchie e forti disuguaglianze, con The Agrarian Justice, Paine individua nel lavoro salariato la causa del contraddittorio andamento – di arricchimento e impoverimento – dello sviluppo economico della società commerciale. La tendenza all’accumulazione non è quindi l’unica qualità della società commerciale in transizione. Attraverso Paine, possiamo individuare un altro carattere decisivo per comprendere la trasformazione sociale, quello dell’affermazione del lavoro salariato. Non solo in Europa. Al ritorno in America, Paine non porta con sé la critica della società commerciale. Ciò non trova spiegazione esclusivamente nel minor grado di disuguaglianza della società americana. Leggendo Paine in assenza di Paine (1787-1802) – ovvero ricostruendo il modo nel quale dall’Europa egli discute, critica e influenza la politica americana – mostreremo come la costituzione federale acquisisca gradualmente la supremazia sulla conflittualità sociale. Ciò non significa che l’America indipendente sia caratterizzata da un unanime consenso costituzionale. Piuttosto, è segnata da un lungo e tortuoso processo di stabilizzazione che esclude la democrazia dall’immediato orizzonte della repubblica americana. Senza successo, Paine torna infatti a promuovere una nuova sfida democratica come nella Pennsylvania rivoluzionaria degli anni settanta. E’ allora possibile vedere come la rivoluzione atlantica venga stroncata su entrambe le sponde dell’oceano: i grandi protagonisti della politica atlantica che prendono direttamente parola contro l’agenda democratica painita – Edmund Burke, Boissy d’Anglas e John Quincy Adams – spostano l’attenzione dal governo alla società per rafforzare le gerarchie determinate dal possesso di proprietà e dall’affermazione del lavoro salariato. Dentro la rivoluzione atlantica, viene così svolto un preciso compito politico, quello di contribuire alla formazione di un ambiente sociale e culturale favorevole all’affermazione del capitalismo – dalla trasformazione commerciale della società alla futura innovazione industriale. Ciò emerge in tutta evidenza quando sulla superficie increspata dell’oceano Atlantico compare nuovamente Paine: a Londra come a New York. Abbandonando quella positiva visione del commercio come vettore di emancipazione personale e collettiva, nel primo trentennio del diciannovesimo secolo, i lavoratori delle prime manifatture compongono l’agenda radicale che Paine lascia in eredità in un linguaggio democratico che assume così la valenza di linguaggio di classe. La diversa prospettiva politica sulla società elaborata da Paine in Europa torna allora d’attualità, anche in America. Ciò consente in conclusione di discutere quella storiografia secondo la quale nella repubblica dal 1787 al 1830 il trionfo della democrazia ha luogo – senza tensione e conflittualità – insieme con la lineare e incontestata affermazione del capitalismo: leggere Paine nella rivoluzione atlantica consente di superare quell’approccio storiografico che tende a ricostruire la circolazione di un unico paradigma linguistico o di un’ideologia dominante, finendo per chiudere la grande esperienza rivoluzionaria atlantica in un tempo limitato – quello del 1776 o in alternativa del 1789 – e in uno spazio chiuso delimitato dai confini delle singole nazioni. Quello che emerge attraverso Paine è invece una società atlantica in transizione lungo linee politiche e sociali che tracciano una direzione di marcia verso il capitalismo, una direzione affatto esente dal conflitto. Neanche sulla sponda americana dell’oceano, dove attraverso Paine è possibile sottolineare una precisa congiunzione storica tra rivoluzione politica, costruzione del governo federale e transizione al capitalismo. Una congiunzione per la quale la sfida democratica non risulta affatto sconfitta: sebbene venga allontanata dall’orizzonte immediato della rivoluzione, nell’arco di neanche un ventennio dalla morte di Paine nel 1809, essa torna a muovere le acque dell’oceano – con le parole di Melville – come un violento accesso di febbre contagiosa destinato a turbare l’organismo costituzionalmente sano del mondo atlantico. Per questo, come scrive John Adams nel 1805 quella che il 1776 apre potrebbe essere chiamata “the Age of Folly, Vice, Frenzy, Brutality, Daemons, Buonaparte -…- or the Age of the burning Brand from the Bottomless Pit”. Non può però essere chiamata “the Age of Reason”, perché è l’epoca di Paine: “whether any man in the world has had more influence on its inhabitants or affairs for the last thirty years than Tom Paine” -…- there can be no severer satyr on the age. For such a mongrel between pig and puppy, begotten by a wild boar on a bitch wolf, never before in any age of the world was suffered by the poltroonery of mankind, to run through such a career of mischief. Call it then the Age of Paine”.

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Asset Management (AM) is a set of procedures operable at the strategic-tacticaloperational level, for the management of the physical asset’s performance, associated risks and costs within its whole life-cycle. AM combines the engineering, managerial and informatics points of view. In addition to internal drivers, AM is driven by the demands of customers (social pull) and regulators (environmental mandates and economic considerations). AM can follow either a top-down or a bottom-up approach. Considering rehabilitation planning at the bottom-up level, the main issue would be to rehabilitate the right pipe at the right time with the right technique. Finding the right pipe may be possible and practicable, but determining the timeliness of the rehabilitation and the choice of the techniques adopted to rehabilitate is a bit abstruse. It is a truism that rehabilitating an asset too early is unwise, just as doing it late may have entailed extra expenses en route, in addition to the cost of the exercise of rehabilitation per se. One is confronted with a typical ‘Hamlet-isque dilemma’ – ‘to repair or not to repair’; or put in another way, ‘to replace or not to replace’. The decision in this case is governed by three factors, not necessarily interrelated – quality of customer service, costs and budget in the life cycle of the asset in question. The goal of replacement planning is to find the juncture in the asset’s life cycle where the cost of replacement is balanced by the rising maintenance costs and the declining level of service. System maintenance aims at improving performance and maintaining the asset in good working condition for as long as possible. Effective planning is used to target maintenance activities to meet these goals and minimize costly exigencies. The main objective of this dissertation is to develop a process-model for asset replacement planning. The aim of the model is to determine the optimal pipe replacement year by comparing, temporally, the annual operating and maintenance costs of the existing asset and the annuity of the investment in a new equivalent pipe, at the best market price. It is proposed that risk cost provide an appropriate framework to decide the balance between investment for replacing or operational expenditures for maintaining an asset. The model describes a practical approach to estimate when an asset should be replaced. A comprehensive list of criteria to be considered is outlined, the main criteria being a visà- vis between maintenance and replacement expenditures. The costs to maintain the assets should be described by a cost function related to the asset type, the risks to the safety of people and property owing to declining condition of asset, and the predicted frequency of failures. The cost functions reflect the condition of the existing asset at the time the decision to maintain or replace is taken: age, level of deterioration, risk of failure. The process model is applied in the wastewater network of Oslo, the capital city of Norway, and uses available real-world information to forecast life-cycle costs of maintenance and rehabilitation strategies and support infrastructure management decisions. The case study provides an insight into the various definitions of ‘asset lifetime’ – service life, economic life and physical life. The results recommend that one common value for lifetime should not be applied to the all the pipelines in the stock for investment planning in the long-term period; rather it would be wiser to define different values for different cohorts of pipelines to reduce the uncertainties associated with generalisations for simplification. It is envisaged that more criteria the municipality is able to include, to estimate maintenance costs for the existing assets, the more precise will the estimation of the expected service life be. The ability to include social costs enables to compute the asset life, not only based on its physical characterisation, but also on the sensitivity of network areas to social impact of failures. The type of economic analysis is very sensitive to model parameters that are difficult to determine accurately. The main value of this approach is the effort to demonstrate that it is possible to include, in decision-making, factors as the cost of the risk associated with a decline in level of performance, the level of this deterioration and the asset’s depreciation rate, without looking at age as the sole criterion for making decisions regarding replacements.

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Supramolecular architectures can be built-up from a single molecular component (building block) to obtain a complex of organic or inorganic interactions creating a new emergent condensed phase of matter, such as gels, liquid crystals and solid crystal. Further the generation of multicomponent supramolecular hybrid architecture, a mix of organic and inorganic components, increases the complexity of the condensed aggregate with functional properties useful for important areas of research, like material science, medicine and nanotechnology. One may design a molecule storing a recognition pattern and programming a informed self-organization process enables to grow-up into a hierarchical architecture. From a molecular level to a supramolecular level, in a bottom-up fashion, it is possible to create a new emergent structure-function, where the system, as a whole, is open to its own environment to exchange energy, matter and information. “The emergent property of the whole assembly is superior to the sum of a singles parts”. In this thesis I present new architectures and functional materials built through the selfassembly of guanosine, in the absence or in the presence of a cation, in solution and on the surface. By appropriate manipulation of intermolecular non-covalent interactions the spatial (structural) and temporal (dynamic) features of these supramolecular architectures are controlled. Guanosine G7 (5',3'-di-decanoil-deoxi-guanosine) is able to interconvert reversibly between a supramolecular polymer and a discrete octameric species by dynamic cation binding and release. Guanosine G16 (2',3'-O-Isopropylidene-5'-O-decylguanosine) shows selectivity binding from a mix of different cation's nature. Remarkably, reversibility, selectivity, adaptability and serendipity are mutual features to appreciate the creativity of a molecular self-organization complex system into a multilevelscale hierarchical growth. The creativity - in general sense, the creation of a new thing, a new thinking, a new functionality or a new structure - emerges from a contamination process of different disciplines such as biology, chemistry, physics, architecture, design, philosophy and science of complexity.

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Il Medio Oriente è una regione in cui le scarse risorse idriche giocano un ruolo fondamentale nei rapporti e nelle relazioni tra gli Stati. Soprattutto nell'area di Israele, Palestina e Giordania la natura transfrontaliera delle fonti idriche condivise è considerata da qualche ricercatore come un catalizzatore del più ampio conflitto arabo-israeliano. Altri studiosi, tuttavia, vedono nella cooperazione regionale sulle risorse idriche un potenziale cammino verso una pace duratura veicolata dalla natura interdipendente delle fonti idriche comuni a più territori. Dato che l'acqua è l'elemento che per molti aspetti contribuisce allo sviluppo sociale ed economico e dato che le fonti idriche sotterranee e di superficie non conoscono confini e si muovono liberamente nel territorio, la cooperazione tra gli Stati rivieraschi delle risorse idriche dovrebbe arrivare a prevalere sul conflitto. Unica nel suo genere, l'ong trilaterale israelo-palestinese giordana Friends of the Earth Middle East, FoEME, ha fatto proprio tale auspicio e dal 1994 punta a sviluppare progetti di cooperazione per la salvaguardia del patrimonio naturale dell'area del bacino del fiume Giordano e del Mar Morto. Attraverso l'esperienza del Progetto Good Water Neighbors, GWN, avviato nel 2002, sta lavorando ad una serie di iniziative nel campo dell'environmental awareness e del social empowerment a favore di comunità  israeliane, palestinesi e giordane transfrontaliere che condividono risorse idriche sotterranee o di superficie. Operando inizialmente a livello locale per identificare i problemi idrico-ambientali di ogni comunità  selezionata e lavorare con i cittadini (ragazzi, famiglie e amministratori municipali) per migliorare la conoscenza idrica locale attraverso attività  di educazione ambientale, di water awareness e piani di sviluppo urbano eco-compatibile, il Progetto GWN ha facilitato a livello transfrontaliero i rapporti tra le comunità  confinanti abbattendo la barriera di sfiducia e sospetto che normalmente impedisce relazioni pacifiche, ha coadiuvato l'analisi dei problemi idrici comuni cercando di risolverli attraverso uno sforzo programmatico condiviso e sostenibile, per giungere infine a livello regionale ad incoraggiare la gestione idrica comune attraverso lo scambio di informazioni, il dialogo e lo sforzo/impegno cooperativo congiunto tra gli attori parte del GWN al fine di incentivare la pace attraverso l'interesse comune della tutela delle fonti idriche condivise. Gli approcci di local development e participation, le azioni di confidence building e il peacebuilding attraverso la tutela ambientale applicati con il metodo di bottom up all'interno di un contesto non pacificato come quello del conflitto arabo-israeliano, fanno del Progetto GWN un esperimento innovativo e originale. Le comunità  israeliane, palestinesi e giordane selezionate hanno imparato a migliorare le proprie condizioni idrico-ambiennali cooperando assieme e sfruttando l'interdipendenza dalle fonti idriche condivise, avviando nel contempo rapporti pacifici con società  sempre considerate nemiche. La sfida è stata quella di far comprendere le potenzialità  di una cooperazione locale, in vista di un coordinamento regionale e di uno sforzo comune in grado di generare un beneficio collettivo. La lezione appresa finora durante questi primi sette anni di Progetto è stata quella di capire che non è necessario attendere la fine del conflitto per poter essere di aiuto alle proprie comunità  o per un benessere personale, ma si può agire subito, anche nel pieno dell'Intifada al-Aqsa e con i coprifuoco.

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Supramolecular self-assembly represents a key technology for the spontaneous construction of nanoarchitectures and for the fabrication of materials with enhanced physical and chemical properties. In addition, a significant asset of supramolecular self-assemblies rests on their reversible formation, thanks to the kinetic lability of their non-covalent interactions. This dynamic nature can be exploited for the development of “self-healing” and “smart” materials towards the tuning of their functional properties upon various external factors. One particular intriguing objective in the field is to reach a high level of control over the shape and size of the supramolecular architectures, in order to produce well-defined functional nanostructures by rational design. In this direction, many investigations have been pursued toward the construction of self-assembled objects from numerous low-molecular weight scaffolds, for instance by exploiting multiple directional hydrogen-bonding interactions. In particular, nucleobases have been used as supramolecular synthons as a result of their efficiency to code for non-covalent interaction motifs. Among nucleobases, guanine represents the most versatile one, because of its different H-bond donor and acceptor sites which display self-complementary patterns of interactions. Interestingly, and depending on the environmental conditions, guanosine derivatives can form various types of structures. Most of the supramolecular architectures reported in this Thesis from guanosine derivatives require the presence of a cation which stabilizes, via dipole-ion interactions, the macrocyclic G-quartet that can, in turn, stack in columnar G-quadruplex arrangements. In addition, in absence of cations, guanosine can polymerize via hydrogen bonding to give a variety of supramolecular networks including linear ribbons. This complex supramolecular behavior confers to the guanine-guanine interactions their upper interest among all the homonucleobases studied. They have been subjected to intense investigations in various areas ranging from structural biology and medicinal chemistry – guanine-rich sequences are abundant in telomeric ends of chromosomes and promoter regions of DNA, and are capable of forming G-quartet based structures– to material science and nanotechnology. This Thesis, organized into five Chapters, describes mainly some recent advances in the form and function provided by self-assembly of guanine based systems. More generally, Chapter 4 will focus on the construction of supramolecular self-assemblies whose self-assembling process and self-assembled architectures can be controlled by light as external stimulus. Chapter 1 will describe some of the many recent studies of G-quartets in the general area of nanoscience. Natural G- quadruplexes can be useful motifs to build new structures and biomaterials such as self-assembled nanomachines, biosensors, therapeutic aptamer and catalysts. In Chapters 2-4 it is pointed out the core concept held in this PhD Thesis, i.e. the supramolecular organization of lipophilic guanosine derivatives with photo or chemical addressability. Chapter 2 will mainly focus on the use of cation-templated guanosine derivatives as a potential scaffold for designing functional materials with tailored physical properties, showing a new way to control the bottom-up realization of well-defined nanoarchitectures. In section 2.6.7, the self-assembly properties of compound 28a may be considered an example of open-shell moieties ordered by a supramolecular guanosine architecture showing a new (magnetic) property. Chapter 3 will report on ribbon-like structures, supramolecular architectures formed by guanosine derivatives that may be of interest for the fabrication of molecular nanowires within the framework of future molecular electronic applications. In section 3.4 we investigate the supramolecular polymerizations of derivatives dG 1 and G 30 by light scattering technique and TEM experiments. The obtained data reveal the presence of several levels of organization due to the hierarchical self-assembly of the guanosine units in ribbons that in turn aggregate in fibrillar or lamellar soft structures. The elucidation of these structures furnishes an explanation to the physical behaviour of guanosine units which display organogelator properties. Chapter 4 will describe photoresponsive self-assembling systems. Numerous research examples have demonstrated that the use of photochromic molecules in supramolecular self-assemblies is the most reasonable method to noninvasively manipulate their degree of aggregation and supramolecular architectures. In section 4.4 we report on the photocontrolled self-assembly of modified guanosine nucleobase E-42: by the introduction of a photoactive moiety at C8 it is possible to operate a photocontrol over the self-assembly of the molecule, where the existence of G-quartets can be alternately switched on and off. In section 4.5 we focus on the use of cyclodextrins as photoresponsive host-guest assemblies: αCD–azobenzene conjugates 47-48 (section 4.5.3) are synthesized in order to obtain a photoresponsive system exhibiting a fine photocontrollable degree of aggregation and self-assembled architecture. Finally, Chapter 5 contains the experimental protocols used for the research described in Chapters 2-4.

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Synthetic biology is a young field of applicative research aiming to design and build up artificial biological devices, useful for human applications. How synthetic biology emerged in past years and how the development of the Registry of Standard Biological Parts aimed to introduce one practical starting solution to apply the basics of engineering to molecular biology is presented in chapter 1 in the thesis The same chapter recalls how biological parts can make up a genetic program, the molecular cloning tecnique useful for this purpose, and an overview of the mathematical modeling adopted to describe gene circuit behavior. Although the design of gene circuits has become feasible the increasing complexity of gene networks asks for a rational approach to design gene circuits. A bottom-up approach was proposed, suggesting that the behavior of a complicated system can be predicted from the features of its parts. The option to use modular parts in large-scale networks will be facilitated by a detailed and shared characterization of their functional properties. Such a prediction, requires well-characterized mathematical models of the parts and of how they behave when assembled together. In chapter 2, the feasibility of the bottom-up approach in the design of a synthetic program in Escherichia coli bacterial cells is described. The rational design of gene networks is however far from being established. The synthetic biology approach can used the mathematical formalism to identify biological information not assessable with experimental measurements. In this context, chapter 3 describes the design of a synthetic sensor for identifying molecules of interest inside eukaryotic cells. The Registry of Standard parts collects standard and modular biological parts. To spread the use of BioBricks the iGEM competition was started. The ICM Laboratory, where Francesca Ceroni completed her Ph.D, partecipated with teams of students and Chapter 4 summarizes the projects developed.

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Most of current ultra-miniaturized devices are obtained by the top-down approach, in which nanoscale components are fabricated by cutting down larger precursors. Since this physical-engineering method is reaching its limits, especially for components below 30 nm in size, alternative strategies are necessary. Of particular appeal to chemists is the supramolecular bottom-up approach to nanotechnology, a methodology that utilizes the principles of molecular recognition to build materials and devices from molecular components. The subject of this thesis is the photophysical and electrochemical investigation of nanodevices obtained harnessing the principles of supramolecular chemistry. These systems operate in solution-based environments and are investigated at the ensemble level. The majority of the chemical systems discussed here are based on pseudorotaxanes and catenanes. Such supramolecular systems represent prototypes of molecular machines since they are capable of performing simple controlled mechanical movements. Their properties and operation are strictly related to the supramolecular interactions between molecular components (generally photoactive or electroactive molecules) and to the possibility of modulating such interactions by means of external stimuli. The main issues addressed throughout the thesis are: (i) the analysis of the factors that can affect the architecture and perturb the stability of supramolecular systems; (ii) the possibility of controlling the direction of supramolecular motions exploiting the molecular information content; (iii) the development of switchable supramolecular polymers starting from simple host-guest complexes; (iv) the capability of some molecular machines to process information at molecular level, thus behaving as logic devices; (v) the behaviour of molecular machine components in a biological-type environment; (vi) the study of chemically functionalized metal nanoparticles by second harmonic generation spectroscopy.

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I temi della ricerca riguardano il rapporto fra avvento del web e la modificazione dei processi di formazione di identità personale e sociale, della percezione dello spazio e del tempo, del prosumerismo digitale e delle varie forme di partecipazione ed associazione. Centrale è stata l’analisi del rapporto fra il Web 2.0 e la trasformazione delle forme di comunicazione a vari livelli, sia personali che sociali. Partendo da una analisi dei contesti socio-economici globali che hanno trasformato la società moderna nella società informazionale, è stato impostato un percorso di ricerca che approfondisse gli attuali criteri di strutturazione della propria identità, alla luce dell’avvento dei social network e delle reti virtuali di comunicazione come strumento preferenziale di socializzazione. La realtà delle reti sociali è stata analizzata in un’ottica di aggregazione spontanea mirata tanto alla comunicazione quanto alla tutela dei consumatori, e le trasformazioni portate dal Web 2.0 sono state la chiave di lettura per ridefinire i parametri della partecipazione dal basso generata dalla rete. Per comprendere la portata di tali trasformazioni nel contesto italiano è stato impostato un paragone tra l’uso del web negli Stati Uniti e in Italia, avendo le recente campagne elettorali dimostrato l’importanza del web nella partecipazione politica bottom-up; il percorso di ricerca ha dunque affrontato una comparazione di due casi, quello italiano e quello statunitense, finalizzato a comprendere l’attuale ruolo dell’utente nelle dinamiche di comunicazione mediatica. Per focalizzare al meglio le trasformazioni sociali generate dalla partecipazione on line è stato infine analizzato il caso del citizen journalism, per misurare, attraverso la metodologia dell’etnografia digitale, l’entità delle trasformazioni in corso. Il portale di giornalismo partecipativo YouReporter è stato il contesto privilegiato dove poter verificare le ipotesi iniziali circa le dinamiche di partecipazione, e il supporto di programmi di elaborazione statistica netnografica ha permesso di destrutturare al meglio tali dinamiche.

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Throughout the twentieth century statistical methods have increasingly become part of experimental research. In particular, statistics has made quantification processes meaningful in the soft sciences, which had traditionally relied on activities such as collecting and describing diversity rather than timing variation. The thesis explores this change in relation to agriculture and biology, focusing on analysis of variance and experimental design, the statistical methods developed by the mathematician and geneticist Ronald Aylmer Fisher during the 1920s. The role that Fisher’s methods acquired as tools of scientific research, side by side with the laboratory equipment and the field practices adopted by research workers, is here investigated bottom-up, beginning with the computing instruments and the information technologies that were the tools of the trade for statisticians. Four case studies show under several perspectives the interaction of statistics, computing and information technologies, giving on the one hand an overview of the main tools – mechanical calculators, statistical tables, punched and index cards, standardised forms, digital computers – adopted in the period, and on the other pointing out how these tools complemented each other and were instrumental for the development and dissemination of analysis of variance and experimental design. The period considered is the half-century from the early 1920s to the late 1960s, the institutions investigated are Rothamsted Experimental Station and the Galton Laboratory, and the statisticians examined are Ronald Fisher and Frank Yates.

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In recent years, nanotechnologies have led to the production of materials with new and sometimes unexpected qualities through the manipulation of nanoscale components. This research aimed primarily to the study of the correlation between hierarchical structures of hybrid organic-inorganic materials such as conductive polymer composites (CPCs). Using a bottom-up methodology, we could synthesize a wide range of inorganic nanometric materials with a high degree of homogeneity and purity, such as thiol capped metal nanoparticles, stoichiometric geomimetic chrysotile nanotubes and metal dioxide nanoparticles. It was also possible to produce inorganic systems formed from the interaction between the synthesized materials. These synthesized materials and others like multiwalled carbon nanotubes and grapheme oxide were used to produce conductive polymer composites. Electrospinning causes polymer fibers to become elongated using an electric field. This technique was used to produce fibers with a nanometric diameter of a polymer blend based on two different intrinsically conducting polymers polymers (ICPs): polyaniline (PANI) and poly(3-hexylthiophene) (P3HT). Using different materials as second phase in the initial electrospun polymer fibers caused significant changes to the material hierarchical structure, leading to the creation of CPCs with modified electrical properties. Further study of the properties of these new materials resulted in a better understanding of the electrical conductivity mechanisms in these electrospun materials.

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Nanoscience is an emerging and fast-growing field of science with the aim of manipulating nanometric objects with dimension below 100 nm. Top down approach is currently used to build these type of architectures (e.g microchips). The miniaturization process cannot proceed indefinitely due to physical and technical limitations. Those limits are focusing the interest on the bottom-up approach and construction of nano-objects starting from “nano-bricks” like atoms, molecules or nanocrystals. Unlike atoms, molecules can be “fully programmable” and represent the best choice to build up nanostructures. In the past twenty years many examples of functional nano-devices able to perform simple actions have been reported. Nanocrystals which are often considered simply nanostructured materials, can be active part in the development of those nano-devices, in combination with functional molecules. The object of this dissertation is the photophysical and photochemical investigation of nano-objects bearing molecules and semiconductor nanocrystals (QDs) as components. The first part focuses on the characterization of a bistable rotaxane. This study, in collaboration with the group of Prof. J.F. Stoddart (Northwestern University, Evanston, Illinois, USA) who made the synthesis of the compounds, shows the ability of this artificial machine to operate as bistable molecular-level memory under kinetic control. The second part concerns the study of the surface properties of luminescent semiconductor nanocrystals (QDs) and in particular the effect of acid and base on the spectroscopical properties of those nanoparticles. In this section is also reported the work carried out in the laboratory of Prof H. Mattoussi (Florida State University, Tallahassee, Florida, USA), where I developed a novel method for the surface decoration of QDs with lipoic acid-based ligands involving the photoreduction of the di-thiolane moiety.

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L'oggetto principale di questa tesi è il concetto di fine negli universi seriali. Spesso si intende il “The End” in un romanzo o in un film come un momento climatico, e che i finali sono collegati ad una teleologia che guida il testo nel suo insieme. Come risultato di questo modo di approcciare i finale, una delle opinioni più comuni è simile a quella di Henry James [1884] che diceva: “distribution at the last of prizes, pensions, husbands, wives, babies, millions, appended paragraph, and cheerful remarks”. Ma è molto difficile applicare la posizione di James a un romanzo modernista o a un film postmoderno e ancor ameno ai cosiddetti universi narrativi seriali, in cui la storia si sviluppa lungo decenni. Nel nostro contemporaneo panorama mediale, il testo non è più concepito come un'opera, ma deve essere costruito e concepito come un network, un ecosistema in cui nuove connessioni economiche e nuove relazioni bottom-up modellano una struttura inedita. Questa nuova struttura può riconfigurare il senso del finale e della fine, ma anche per le vast narratives spesso si dice che “Il finale non corrispondeva alla spirito della storia”, “il finale era deludente”. Potremmo sostenere che il concetto di finale sia ancora importante, nonostante sia stato superato dal punto di vista teorico. Per analizzare se il finale è costruito in un maniera non-lineare ma percepito come teleologico, la tesi è strutturata in due parti e di quattro capitoli. Prima parte “Storia” [1. Letteratura; 2. Cinema], seconda “Forme/strutture” [3. Transmedia; 4. Remix]

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One of the main problems recognized in sustainable development goals and sustainable agricultural objectives is Climate change. Farming contributes significantly to the overall Greenhouse gases (GHG) in the atmosphere, which is approximately 10-12 percent of total GHG emissions, but when taking in consideration also land-use change, including deforestation driven by agricultural expansion for food, fiber and fuel the number rises to approximately 30 percent (Smith et. al., 2007). There are two distinct methodological approaches for environmental impact assessment; Life Cycle Assessment (a bottom up approach) and Input-Output Analysis (a top down approach). The two methodologies differ significantly but there is not an immediate choice between them if the scope of the study is on a sectorial level. Instead, as an alternative, hybrid approaches which combine these two approaches have emerged. The aim of this study is to analyze in a greater detail the agricultural sectors contribution to Climate change caused by the consumption of food products. Hence, to identify the food products that have the greatest impact through their life cycle, identifying their hotspots and evaluating the mitigation possibilities for the same. At the same time evaluating methodological possibilities and models to be applied for this purpose both on a EU level and on a country level (Italy).