118 resultados para Affido, Mediatore, Culturale

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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Questa tesi parte da un evento “minore” della storia del XIX secolo per tendere, poi, ad alcuni obiettivi particolari. L’evento è costituito da uno strano funerale postumo, quello di Piero Maroncelli, carbonaro finito alla Spielberg, graziato, poi emigrato in Francia e in America, il cui corpo viene sepolto a New York nell’estate del 1846. Quarant’anni dopo, nel 1886, i resti di Maroncelli vengono esumati e – attraverso una “trafila” particolare, di cui è protagonista la Massoneria, da una sponda all’altra dell’Atlantico – solennemente trasferiti nella città natale di Forlì, dove vengono collocati nel pantheon del cimitero monumentale, inaugurato per l’occasione. Gli eventi celebrativi che si consumano a New York e a Forlì sono molto diversi fra loro, anche se avvengono quasi in contemporanea e sotto regie politiche ispirate dal medesimo radicalismo anticlericale. E’ chiaro che Maroncelli è un simbolo e un pretesto: simbolo di un’italianità transnazionale, composta di un “corpo” in transito, fuori dello spazio nazionale, ma appartenente alla patria (quella grande e quella piccola); pretesto per acquisire e rafforzare legami politici, mercè mobilitazioni di massa in un caso fondate sul festival, sulla festa en plein air, nell’altro sui rituali del cordoglio per i “martiri” dell’indipendenza. L’opportunità di comparare questi due contesti – l’Italia, colta nella sua periferia radicale e la New York della Tammany Hall -, non sulla base di ipotesi astratte, ma nella concretezza di un “caso di studio” reale e simultaneo, consente di riflettere sulla pervasività dell’ideologia democratica nella sua accezione ottocentesca, standardizzata dalla Massoneria, e, d’altro canto, sui riti del consenso, colti nelle rispettive tipicità locali. Un gioco di similitudini e di dissomiglianze, quindi. Circa gli obiettivi particolari – al di là della ricostruzione del “caso” Maroncelli -, ho cercato di sondare alcuni temi, proponendone una ricostruzione in primo luogo storiografica. Da un lato, il tema dell’esilio e del trapianto delle esperienze di vita e di relazione al di fuori del proprio contesto d’origine. Maroncelli utilizza, come strumento di identitario e di accreditamento, il fourierismo; la generazione appena successiva alla sua, grazie alla Giovine Italia, possiede già un codice interno, autoctono, cui fare riferimento; alla metà degli anni Cinquanta, ad esso si affiancherà, con successo crescente, la lettura “diplomatica” di ascendenza sabauda. Dall’altro, ho riflettuto sull’aspetto legato ai funerali politici, al cordoglio pubblico, al trasferimento postumo dei corpi. La letteratura disponibile, al riguardo, è assai ricca, e tale da consentire una precisa classificazione del “caso” Maroncelli all’interno di una tipologia della morte laica, ben delineata nell’Italia dell’Ottocento e del primo Novecento. E poi, ancora, ho preso in esame le dinamiche “festive” e di massa, approfondendo quelle legate al mondo dell’emigrazione italiana a Mew York, così distante nel 1886 dall’élite colta di quarant’anni prima, eppure così centrale per il controllo politico della città. Dinamiche alle quali fa da contrappunto, sul versante forlivese, la visione del mondo radicale e massonico locale, dominato dalla figura di Aurelio Saffi e dal suo tentativo di plasmare un’immagine morale e patriottica della città da lasciare ai posteri. Quasi un’ossessione, per il vecchio triumviro della Repubblica romana (morirà nel 1890), che interviene sulla toponomastica, sull’edilizia cemeteriale, sui pantheon civico, sui “ricordi” patriottici. Ho utilizzato fonti secondarie e di prima mano. Anche sulle prime, quantitativamente assai significative, mi sono misurata con un lavoro di composizione e di lettura comparata prima mai tentato. La giustapposizione di chiavi di lettura apparentemente distanti, ma giustificate dalla natura proteiforme e complicata del nostro “caso”, apre, a mio giudizio, interessanti prospettive di ricerca. Circa le fonti di prima mano, ho attinto ai fondi disponibili su Maroncelli presso la Biblioteca comunale di Forlì, alle raccolte del Grande Oriente d’Italia a Roma, a periodici italoamericani assai rari, sparsi in diverse biblioteche italiane, da Milano a Roma. Mi rendo conto che la quantità dei materiali reperiti, sovente molto eterogenei, avrebbero imposto una lettura delle fonti più accurata di quella che, in questa fase della ricerca, sono riuscita a condurre. E’ vero, però, che le suggestioni già recuperabili ad un’analisi mirata al contenuto principale – le feste, la propaganda, il cordoglio – consentono la tessitura di una narrazione non forzata, nella quale il ricordo della Repubblica romana viaggia da una sponda all’altra dell’Atlantica, insieme ai resti di Maroncelli; nella quale il rituale massonico funge da facilitatore e da “mediatore culturale”; nella quale, infine, il linguaggio patriottico e la koinè democratica trans-nazionale riescono incredibilmente a produrre o a incarnare identità. Per quanto tempo? La risposta, nel caso forlivese, è relativamente facile; in quello della “colonia” italiana di New York, presto alterata nella sua connotazione demografica dalla grande emigrazione transoceanica, le cose appaiono più complesse. E, tuttavia, nel 1911, cinquantesimo dell’Unità, qualcuno, nella grande metropoli americana, si sarebbe ricordato di Maroncelli, sia pure in un contesto e con finalità del tutto diverse rispetto al 1886: segno che qualcosa, sotto traccia, era sopravvissuto.

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La tesi propone un approccio semiotico ai videogiochi e indaga le relazioni tra videogioco, memoria e senso, a partire dall’analisi di un ampio corpus di videogiochi, trasversale rispetto ai generi. Il lavoro intende mostrare la proficuità di un incontro tra semiotica e videogiochi sotto un duplice punto di vista: da un lato i videogiochi, in quanto oggetti “nuovi”, rappresentano un buon banco di prova per la teoria e la metodologia semiotica; dall’altro lato la semiotica permette di comprendere meglio i videogiochi, ricostruendo i meccanismi semiotici che contribuiscono a generare gli effetti di senso tipici di questa forma testuale (es. immersività, interattività, flusso…). Il lavoro si propone quindi il duplice obiettivo di individuare le peculiarità del videogioco in quanto oggetto di analisi semiotica (cap. 1) e i meccanismi che in diversi generi videoludici portano alla creazione di effetti di senso peculiari e alla costruzione di una nuova memoria (capp. 3, 4, 5). Il primo capitolo è dedicato a una riflessione teorica e metodologica che intende preparare il campo per l’analisi, provando a “testare” modelli, concetti e strumenti più o meno assestati con lo scopo di riconoscere lo statuto semiotico dei videogiochi e di individuare il modo migliore per analizzarli semioticamente. Inoltre nel cap. 1 si affrontano, ancora in un’ottica generale, le dinamiche tra memoria del gioco e memoria del giocatore e l’importanza dei processi di apprendimento per l’interpretazione videoludica. Gli ultimi tre capitoli sono invece dedicati ai risultati delle analisi, condotte su un corpus ampio di videogiochi, affiancato da un corpus “di controllo” costituito da video di partite concrete, immagini user-generated, interfacce fisiche di gioco e “discorsi su” i videogiochi inseriti nel corpus principale. Il terzo capitolo individua i meccanismi semiotici che contribuiscono a costruire, de-costruire e ricostruire l’identità del giocatore nel corso della partita. Il quarto capitolo affronta la relazione tra tempo del gioco e tempo del giocatore, concentrandosi sulle modalità di configurazione del tempo in atto nei diversi generi videoludici. L’ultimo capitolo è dedicato all’approfondimento di un aspetto particolare della testualità videoludica: la capacità dei videogiochi di generare esperienze embodied, cioè esperienze ‘incarnate’ e ‘situate’.

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I viaggi e gli studi compiuti in Croazia, Montenegro e Bosnia Erzegovina in occasione della Tesi di Laurea hanno costituito l’occasione per comprendere quanto sia consistente il retaggio di Roma antica sulla sponda orientale dell’Adriatico. Nello stesso tempo si è potuto constatare che, per diversi motivi, dal punto di vista prettamente scientifico, la ricchezza di questo patrimonio archeologico aveva sino allora trovato soltanto poche occasioni di studio. Da qui la necessità di provvedere a un quadro completo e generale relativo alla presenza romana in un territorio come quello della provincia romana di Dalmatia che, pur considerando la sua molteplicità geografica, etnica, economica, culturale, sociale e politica, ha trovato, grazie all’intervento di Roma, una sua dimensione unitaria, un comune denominatore, tanto da farne una provincia che ebbe un ruolo fondamentale nella storia dell’Impero. Il lavoro prende le mosse da una considerazione preliminare e generale, che ne costituisce quasi lo spunto metodologico più determinante: la trasmissione della cultura e dei modelli di vita da parte di Roma alle altre popolazioni ha creato un modello in virtù del quale l’imperialismo romano si è in certo modo adattato alle diverse culture incontrate ed assimilate, dando vita ad una rete di culture unite da elementi comuni, ma anche profondamente diversificate per sintesi originali. Quella che pare essere la chiave di lettura impiegata è la struttura di un impero a forma di “rete” con forti elementi di coesione, ma allo stesso tempo dotato di ampi margini di autonomia. E questo a cominciare dall’analisi dei fattori che aprirono il cammino dell’afflusso romano in Dalmatia e nello stesso tempo permisero i contatti con il territorio italico. La ricerca ne analizza quindi i fattori:il diretto controllo militare, la costruzione di una rete viaria, l’estensione della cittadinanza romana, lo sviluppo della vita locale attraverso la formazione di una rete di municipi, i contatti economici e l’immigrazione di genti romanizzate. L’analisi ha posto in evidenza una provincia caratterizzata da notevoli contraddizioni, che ne condizionarono – presso entrambi i versanti del Velebit e delle Alpi Dinariche – lo sviluppo economico, sociale, culturale e urbanistico. Le profonde differenze strutturali tra questi due territori rimasero sempre presenti: la zona costiera divenne, sotto tutti i punti di vista, una sorta di continuazione dell’Italia, mntre quella continentale non progredì di pari passo. Eppure l’influenza romana si diffuse anche in questa, così che essa si pote conformare, in una certa misura, alla zona litoranea. Come si può dedurre dal fatto che il severo controllo militare divenne superfluo e che anche questa regione fu dotata progressivamente di centri amministrati da un gruppo dirigente compiutamente integrato nella cultura romana. Oltre all’analisi di tutto ciò che rientra nel processo di acculturazione dei nuovi territori, l’obiettivo principale del lavoro è l’analisi di uno degli elementi più importanti che la dominazione romana apportò nei territori conquistati, ovvero la creazione di città. In questo ambito relativamente periferico dell’Impero, qual è il territorio della provincia romana della Dalmatia, è stato dunque possibile analizzare le modalità di creazione di nuovi centri e di adattamento, da parte di Roma, ai caratteri locali dell’insediamento, nonché ai condizionamenti ambientali, evidenziando analogie e differenze tra le città fondate. Prima dell’avvento di Roma, nessuna delle regioni entrate a far parte dei territori della Dalmatia romana, con la sola eccezione della Liburnia, diede origine a centri di vero e proprio potere politico-economico, come ad esempio le città greche del Mediterraneo orientale, tali da continuare un loro sviluppo all’interno della provincia romana. In altri termini: non si hanno testimonianze di insediamenti autoctoni importanti che si siano trasformati in città sul modello dei centri provinciali romani, senza aver subito cambiamenti radicali quali una nuova pianificazione urbana o una riorganizzazione del modello di vita locale. Questo non significa che la struttura politico-sociale delle diverse tribù sia stata cambiata in modo drastico: almeno nelle modeste “città” autoctone, nelle quali le famiglie appaiono con la cittadinanza romana, assieme agli ordinamenti del diritto municipale, esse semplicemente continuarono ad avere il ruolo che i loro antenati mantennero per generazioni all’interno della propria comunità, prima della conquista romana. Il lavoro mette compiutamente in luce come lo sviluppo delle città nella provincia abbia risentito fortemente dello scarso progresso politico, sociale ed economico che conobbero le tribù e le popolazioni durante la fase pre-romana. La colonizzazione greca, troppo modesta, non riuscì a far compiere quel salto qualitativo ai centri autoctoni, che rimasero sostanzialmente privi di concetti basilari di urbanistica, anche se è possibile notare, almeno nei centri costieri, l’adozione di tecniche evolute, ad esempio nella costruzione delle mura. In conclusione questo lavoro chiarisce analiticamente, con la raccolta di un’infinità di dati (archeologici e topografici, materiali ed epigrafici, e desunti dalle fonti storiche), come la formazione della città e l’urbanizzazione della sponda orientale dell’adriatico sia un fenomeno prettamente romano, pur differenziato, nelle sue dinamiche storiche, quasi caso per caso. I dati offerti dalla topografia delle città della Dalmatia, malgrado la scarsità di esempi ben documentati, sembrano confermare il principio della regolarità degli impianti urbani. Una griglia ortogonale severamente applicata la si individua innanzi tutto nelle città pianificate di Iader, Aequum e, probabilmente, anche a Salona. In primis nelle colonie, quindi, ma non esclusivamente. Anche numerosi municipi sviluppatisi da insediamenti di origine autoctona hanno espresso molto presto la tendenza allo sviluppo di un sistema ortogonale regolare, se non in tutta l’area urbana, almeno nei settori di più possibile applicazione. Ne sono un esempio Aenona, Arba, Argiruntum, Doclea, Narona ed altri. La mancanza di un’organizzazione spaziale regolare non ha tuttavia compromesso l’omogeneità di un’attrezzatura urbana tesa alla normalizzazione, in cui i componenti più importanti, forum e suoi annessi, complessi termali, templi dinastici e capitolia, si avviano a diventare canonici. Le differenze più sensibili, che pure non mancano, sembrano dipendere dalle abitudini delle diverse etnie, dai condizionamenti topografici e dalla disponibilità finanziaria dei notabili. Una città romana non può prendere corpo in tutta la sua pienezza solo per la volontà del potere centrale. Un progetto urbanistico resta un fatto teorico finché non si realizzano le condizioni per cui si fondano due fenomeni importantissimi: uno socio-culturale, che consiste nell’emergenza di una classe di notabili “fortunati” desiderosi di dare a Roma dimostrazioni di lealtà, pronti a rispondere a qualsiasi sollecitazione da parte del potere centrale e addirittura ad anticiparlo; l’altro politico-amministrativo, che riguarda il sistema instaurato da Roma, grazie al quale i suddetti notabili possono godere di un certo potere e muoversi in vista della promozione personale nell’ambito della propria città. Aiuti provenienti dagli imperatori o da governatori provinciali, per quanto consistenti, rimangono un fatto non sistematico se non imprevedibile, e rappresentano comunque un episodio circoscritto. Anche se qualche città risulta in grado di costruire pecunia publica alcuni importanti edifici del quadro monumentale, il ruolo del finanziamento pubblico resta relativamente modesto. Quando la documentazione epigrafica esiste, si rivela che sono i notabili locali i maggiori responsabili della costruzione delle opere pubbliche. Sebbene le testimonianze epigrafiche siano scarse e, per la Dalmatia non sia possibile formulare un quadro completo delle committenze che favorirono materialmente lo sviluppo architettonico ed artistico di molti complessi monumentali, tuttavia è possibile osservare e riconoscere alcuni aspetti significativi e peculiari della provincia.

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Italy and France in Trianon’s Hungary: two political and cultural penetration models During the first post-war, the Danubian Europe was the theatre of an Italian-French diplomatic challenge to gain hegemony in that part of the continent. Because of his geographical position, Hungary had a decisive strategic importance for the ambitions of French and Italian foreign politics. Since in the 1920s culture and propaganda became the fourth dimension of international relations, Rome and Paris developed their diplomatic action in Hungary to affirm not only political and economic influence, but also cultural supremacy. In the 1930, after Hitler’s rise to power, the unstoppable comeback of German political influence in central-eastern Europe determined the progressive decline of Italian and French political and economic positions in Hungary: only the cultural field allowed a survey of Italian-Hungarian and French-Hungarian relations in the contest of a Europe dominated by Nazi Germany during the Second World War. Nevertheless, the radical geopolitical changes in second post-war Europe did not compromise Italian and French cultural presence in the new communist Hungary. Although cultural diplomacy is originally motivated by contingent political targets, it doesn’t respect the short time of politics, but it’s the only foreign politics tool that guarantees preservations of bilateral relations in the long run.

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The study of the objects LaTène type found in middle-eastern alpine region (Trentino Alto Adige-Südtirol, Engadina, North Tirol, Voralberg and Villach basin) is aimed to a better comprehension of the complex net of relationships established among the Celts, settled both in the central Europe territories and, since the IV century b.C., in the Po Plain, and the local populations. The ancient authors, who called the inhabitants of this area Raeti, propose for this territory the usual pattern according to which, the population of a region was formed consequently to a migration or was caused by the hunting of pre-existing peoples. The archaeologists, in the last thirty years, recognized a cultural facies typical of the middle-eastern alpine territory during the second Iron Age, and defined that as Fritzens-Sanzeno culture (from the sites of Fritzens, Inn valley, and Sanzeno, Non Valley). The so-called Fritzens-Sanzeno culture spread out without breaks from the material culture of the final Bronze Age and the first Iron Age. This local substratum, characterized by a ceramic repertoire strongly standardized, by peculiar architectural solutions and by a particular typology of rural sacred places (Brandopferplätze), accepted, above all during the second Iron Age, the strong influences coming from the Etruscan world and from the Celtic one (evident in the presence of objects of ornament, of glass artefacts, of elements of the weaponry and of coins). The objects LaTène type become, with different degrees of reliability, important markers of the relationships existing between the Celts and the Raeti, although the ways of interaction (cultural influence, people's movements, commercial exchanges, gifts among élites etc.) is not still clear. The revision of published data and the study of unpublished materials allows to define a rich and articulated picture both to chronological level and to territorial one.

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Di fronte al moltiplicarsi di episodi di commissariamento nella pubblica amministrazione italiana e in particolare nel settore culturale, la presente ricerca mira a comprendere gli obiettivi, le modalità di intervento ed i risultati raggiunti mediante la nomina di commissari straordinari. Si tratta di un intervento anomalo ed inusuale a livello internazionale (la stessa voce commissariamento risulta intraducibile in inglese), dove la ricerca di possibili termini di paragone, effettuata passando in rassegna la letteratura di disaster management, quella sul riaccentramento amministrativo e quella sugli interventi di turnaround nel settore pubblico, restituisce un quadro estremamente specifico del fenomeno, per lo più interno ai confini nazionali. Nello studio, caratterizzato da un forte approccio esplorativo e phenomenon driven, vengono analizzati quattro casi di commissariamento nel settore culturale italiano: due aree archeologiche (quella di Napoli e Pompei e quella di Roma e Ostia) e due Fondazioni Liriche (Teatro Carlo Felice di Genova e Arena di Verona). Dalla ricerca emerge un quadro profondamente critico delle gestioni commissariali. Gli obiettivi ambigui e l’elevata discrezionalità concessa al commissario non sono accompagnati da un’adeguata trasparenza nei processi di nomina, proroga e sostituzione dei commissari, con la prevalenza di rapporti di tipo personale o ‘feudale’. Dal punto di vista dei risultati il commissariamento non incide sulla routine dell’amministrazione ordinaria, rappresentando nel migliore dei casi una parentesi temporanea di buona gestione, o, nel peggiore, perseguendo interventi non legittimi rispetto ai valori professionali che regolano le organizzazioni analizzate. Se considerato alla luce del più generale processo di riforma in senso manageriale che ha coinvolto le istituzioni analizzate dalla fine degli anni ’90, il commissariamento esalta ed intensifica gli aspetti maggiormente critici dell’approccio italiano al New Public Management, in termini di scarsa trasparenza e accountability, elevata influenza della politica nei processi decisionali e generale incoerenza dei disegni di riforma.

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La ricerca in oggetto ha analizzato le relazioni tra migrazione e salute mentale nel Distretto di Pianura Est dell'AUSL di Bologna. Attraverso un dispositivo d’indagine multi-disciplinare basato sui quadri teorici dell'Antropologia Medica Critica, della Salute Pubblica e della Psichiatria, la ricerca si è inserita nell’ampio contesto di sperimentazione di un innovativo modello di assistenza per pazienti migranti, denominato Centro di Consultazione Socio- Culturale. L'architettura dello studio si rifà a un modello di Ricerca-Azione Partecipata e Multi-Situata fondato su un approccio analitico e auto-riflessivo, il quale ha consentito di problematizzare, oltre alle azioni e alle traiettorie dei vari soggetti che operano nel campo della ricerca, anche le categorie oggetto della ricerca stessa. L'analisi, profondamente radicata nel dato empirico, è stata condotta a partire dall'esperienza degli attori sociali coinvolti. Le esperienze, le informazioni e le rappresentazioni reciproche sono state co-costruite in forma partecipativa attraverso l'uso combinato di metodologie quali-quantitative proprie sia delle discipline sanitarie sia di quelle sociali. Come materiali della ricerca sono stati utilizzati: dati primari e secondari prodotti dalle istituzioni e dalle organizzazioni del territorio stesso; informazioni provenienti dall'osservazione partecipante; colloqui con informatori-chiave; interviste semi-strutturate con decisori politici, amministratori, organizzazioni del territorio, operatori dei servizi, cittadini e pazienti. La ricerca ha dimostrato la validità delle prospettive teoriche utilizzate e delle strategie di lavoro proposte. Il modello di lavoro multi-disciplinare e multi-metodologico si è rivelato produttivo nell'indagare congiuntamente le prospettive degli attori coinvolti insieme alle loro traiettorie, alle reciproche interconnessioni e alle relazioni tra processi locali e globali. L’analisi auto-riflessiva ha consentito di analizzare le attività del Centro di Consultazione evidenziandone vantaggi e limiti. Infine, la collaborazione tra Salute Pubblica e Antropologia Medica Critica ha dimostrato una grande potenzialità e produttività sia sul versante della ricerca scientifica sia su quello dell'assistenza sanitaria.

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Le Indicazioni Geografiche (IG) giocano un ruolo importante nella crescita economica e nello sviluppo territoriale rurale quando una determinata qualità di prodotto, reputazione o altra caratteristica del prodotto siano attribuibili essenzialmente alla sua origine geografica. In questa ricerca si è verificato la possibilità di valorizzare la regione del Brasile denominata Vale do Paraiba Fluminense, soprannominata “Vale do Café” e di mettere in luce le potenzialità del caffè come prodotto di qualità, sostenibile sotto il profilo ambientale e sociale: un vero e proprio patrimonio culturale che può rivelarsi una valida risorsa economica per il territorio. Nella prima fase dell'indagine è stata realizzata la ricerca a tavolino e sul campo fondata sulle fonti bibliografiche; nella seconda fase è stata applicata la Metodologia Partecipativa della FAO per identificare il collegamento dell’area di origine e del prodotto locale ed il suo potenziale di sviluppo con le risorse locali attraverso questionari on line. Nell’analisi qualitativa sono stati intervistati rappresentanti delle differenti categorie di stakeholder per arricchire il quadro sul contesto storico della regione. Infine, nella parte quantitativa sono stati applicati dei questionari ai consumatori di caffè del territorio. A conclusione della ricerca il territorio potrebbe reintrodurre un caffè storico, simbolo della ricchezza e decadenza di quella regione come elemento di potenziale economico locale, sfruttando la parte immateriale delle aziende agricole storiche, rilocalizzando il prodotto nella memoria locale, riavvicinando la popolazione alla sua storia e principalmente sensibilizzandola del valore del nome geografico “Vale do Paraiba Fluminense” o “Vale do Café” relazionata alla storia della regione, e del prodotto caffè che si propone rilanciare a favore del territorio, rilocalizzando il nome geografico.