4 resultados para 5-liter, Buesseler et al., 2000

em AMS Tesi di Dottorato - Alm@DL - Università di Bologna


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L’analisi del movimento umano ha come obiettivo la descrizione del movimento assoluto e relativo dei segmenti ossei del soggetto e, ove richiesto, dei relativi tessuti molli durante l’esecuzione di esercizi fisici. La bioingegneria mette a disposizione dell’analisi del movimento gli strumenti ed i metodi necessari per una valutazione quantitativa di efficacia, funzione e/o qualità del movimento umano, consentendo al clinico l’analisi di aspetti non individuabili con gli esami tradizionali. Tali valutazioni possono essere di ausilio all’analisi clinica di pazienti e, specialmente con riferimento a problemi ortopedici, richiedono una elevata accuratezza e precisione perché il loro uso sia valido. Il miglioramento della affidabilità dell’analisi del movimento ha quindi un impatto positivo sia sulla metodologia utilizzata, sia sulle ricadute cliniche della stessa. Per perseguire gli obiettivi scientifici descritti, è necessario effettuare una stima precisa ed accurata della posizione e orientamento nello spazio dei segmenti ossei in esame durante l’esecuzione di un qualsiasi atto motorio. Tale descrizione può essere ottenuta mediante la definizione di un modello della porzione del corpo sotto analisi e la misura di due tipi di informazione: una relativa al movimento ed una alla morfologia. L’obiettivo è quindi stimare il vettore posizione e la matrice di orientamento necessari a descrivere la collocazione nello spazio virtuale 3D di un osso utilizzando le posizioni di punti, definiti sulla superficie cutanea ottenute attraverso la stereofotogrammetria. Le traiettorie dei marker, così ottenute, vengono utilizzate per la ricostruzione della posizione e dell’orientamento istantaneo di un sistema di assi solidale con il segmento sotto esame (sistema tecnico) (Cappozzo et al. 2005). Tali traiettorie e conseguentemente i sistemi tecnici, sono affetti da due tipi di errore, uno associato allo strumento di misura e l’altro associato alla presenza di tessuti molli interposti tra osso e cute. La propagazione di quest’ultimo ai risultati finali è molto più distruttiva rispetto a quella dell’errore strumentale che è facilmente minimizzabile attraverso semplici tecniche di filtraggio (Chiari et al. 2005). In letteratura è stato evidenziato che l’errore dovuto alla deformabilità dei tessuti molli durante l’analisi del movimento umano provoca inaccuratezze tali da mettere a rischio l’utilizzabilità dei risultati. A tal proposito Andriacchi scrive: “attualmente, uno dei fattori critici che rallentano il progresso negli studi del movimento umano è la misura del movimento scheletrico partendo dai marcatori posti sulla cute” (Andriacchi et al. 2000). Relativamente alla morfologia, essa può essere acquisita, ad esempio, attraverso l’utilizzazione di tecniche per bioimmagini. Queste vengono fornite con riferimento a sistemi di assi locali in generale diversi dai sistemi tecnici. Per integrare i dati relativi al movimento con i dati morfologici occorre determinare l’operatore che consente la trasformazione tra questi due sistemi di assi (matrice di registrazione) e di conseguenza è fondamentale l’individuazione di particolari terne di riferimento, dette terne anatomiche. L’identificazione di queste terne richiede la localizzazione sul segmento osseo di particolari punti notevoli, detti repere anatomici, rispetto ad un sistema di riferimento solidale con l’osso sotto esame. Tale operazione prende il nome di calibrazione anatomica. Nella maggior parte dei laboratori di analisi del movimento viene implementata una calibrazione anatomica a “bassa risoluzione” che prevede la descrizione della morfologia dell’osso a partire dall’informazione relativa alla posizione di alcuni repere corrispondenti a prominenze ossee individuabili tramite palpazione. Attraverso la stereofotogrammetria è quindi possibile registrare la posizione di questi repere rispetto ad un sistema tecnico. Un diverso approccio di calibrazione anatomica può essere realizzato avvalendosi delle tecniche ad “alta risoluzione”, ovvero attraverso l’uso di bioimmagini. In questo caso è necessario disporre di una rappresentazione digitale dell’osso in un sistema di riferimento morfologico e localizzare i repere d’interesse attraverso palpazione in ambiente virtuale (Benedetti et al. 1994 ; Van Sint Jan et al. 2002; Van Sint Jan et al. 2003). Un simile approccio è difficilmente applicabile nella maggior parte dei laboratori di analisi del movimento, in quanto normalmente non si dispone della strumentazione necessaria per ottenere le bioimmagini; inoltre è noto che tale strumentazione in alcuni casi può essere invasiva. Per entrambe le calibrazioni anatomiche rimane da tenere in considerazione che, generalmente, i repere anatomici sono dei punti definiti arbitrariamente all’interno di un’area più vasta e irregolare che i manuali di anatomia definiscono essere il repere anatomico. L’identificazione dei repere attraverso una loro descrizione verbale è quindi povera in precisione e la difficoltà nella loro identificazione tramite palpazione manuale, a causa della presenza dei tessuti molli interposti, genera errori sia in precisione che in accuratezza. Tali errori si propagano alla stima della cinematica e della dinamica articolare (Ramakrishnan et al. 1991; Della Croce et al. 1999). Della Croce (Della Croce et al. 1999) ha inoltre evidenziato che gli errori che influenzano la collocazione nello spazio delle terne anatomiche non dipendono soltanto dalla precisione con cui vengono identificati i repere anatomici, ma anche dalle regole che si utilizzano per definire le terne. E’ infine necessario evidenziare che la palpazione manuale richiede tempo e può essere effettuata esclusivamente da personale altamente specializzato, risultando quindi molto onerosa (Simon 2004). La presente tesi prende lo spunto dai problemi sopra elencati e ha come obiettivo quello di migliorare la qualità delle informazioni necessarie alla ricostruzione della cinematica 3D dei segmenti ossei in esame affrontando i problemi posti dall’artefatto di tessuto molle e le limitazioni intrinseche nelle attuali procedure di calibrazione anatomica. I problemi sono stati affrontati sia mediante procedure di elaborazione dei dati, sia apportando modifiche ai protocolli sperimentali che consentano di conseguire tale obiettivo. Per quanto riguarda l’artefatto da tessuto molle, si è affrontato l’obiettivo di sviluppare un metodo di stima che fosse specifico per il soggetto e per l’atto motorio in esame e, conseguentemente, di elaborare un metodo che ne consentisse la minimizzazione. Il metodo di stima è non invasivo, non impone restrizione al movimento dei tessuti molli, utilizza la sola misura stereofotogrammetrica ed è basato sul principio della media correlata. Le prestazioni del metodo sono state valutate su dati ottenuti mediante una misura 3D stereofotogrammetrica e fluoroscopica sincrona (Stagni et al. 2005), (Stagni et al. 2005). La coerenza dei risultati raggiunti attraverso i due differenti metodi permette di considerare ragionevoli le stime dell’artefatto ottenute con il nuovo metodo. Tale metodo fornisce informazioni sull’artefatto di pelle in differenti porzioni della coscia del soggetto e durante diversi compiti motori, può quindi essere utilizzato come base per un piazzamento ottimo dei marcatori. Lo si è quindi utilizzato come punto di partenza per elaborare un metodo di compensazione dell’errore dovuto all’artefatto di pelle che lo modella come combinazione lineare degli angoli articolari di anca e ginocchio. Il metodo di compensazione è stato validato attraverso una procedura di simulazione sviluppata ad-hoc. Relativamente alla calibrazione anatomica si è ritenuto prioritario affrontare il problema associato all’identificazione dei repere anatomici perseguendo i seguenti obiettivi: 1. migliorare la precisione nell’identificazione dei repere e, di conseguenza, la ripetibilità dell’identificazione delle terne anatomiche e della cinematica articolare, 2. diminuire il tempo richiesto, 3. permettere che la procedura di identificazione possa essere eseguita anche da personale non specializzato. Il perseguimento di tali obiettivi ha portato alla implementazione dei seguenti metodi: • Inizialmente è stata sviluppata una procedura di palpazione virtuale automatica. Dato un osso digitale, la procedura identifica automaticamente i punti di repere più significativi, nella maniera più precisa possibile e senza l'ausilio di un operatore esperto, sulla base delle informazioni ricavabili da un osso digitale di riferimento (template), preliminarmente palpato manualmente. • E’ stato poi condotto uno studio volto ad indagare i fattori metodologici che influenzano le prestazioni del metodo funzionale nell’individuazione del centro articolare d’anca, come prerequisito fondamentale per migliorare la procedura di calibrazione anatomica. A tale scopo sono stati confrontati diversi algoritmi, diversi cluster di marcatori ed è stata valutata la prestazione del metodo in presenza di compensazione dell’artefatto di pelle. • E’stato infine proposto un metodo alternativo di calibrazione anatomica basato sull’individuazione di un insieme di punti non etichettati, giacenti sulla superficie dell’osso e ricostruiti rispetto ad un TF (UP-CAST). A partire dalla posizione di questi punti, misurati su pelvi coscia e gamba, la morfologia del relativo segmento osseo è stata stimata senza identificare i repere, bensì effettuando un’operazione di matching dei punti misurati con un modello digitale dell’osso in esame. La procedura di individuazione dei punti è stata eseguita da personale non specializzato nell’individuazione dei repere anatomici. Ai soggetti in esame è stato richiesto di effettuare dei cicli di cammino in modo tale da poter indagare gli effetti della nuova procedura di calibrazione anatomica sulla determinazione della cinematica articolare. I risultati ottenuti hanno mostrato, per quel che riguarda la identificazione dei repere, che il metodo proposto migliora sia la precisione inter- che intraoperatore, rispetto alla palpazione convenzionale (Della Croce et al. 1999). E’ stato inoltre riscontrato un notevole miglioramento, rispetto ad altri protocolli (Charlton et al. 2004; Schwartz et al. 2004), nella ripetibilità della cinematica 3D di anca e ginocchio. Bisogna inoltre evidenziare che il protocollo è stato applicato da operatori non specializzati nell’identificazione dei repere anatomici. Grazie a questo miglioramento, la presenza di diversi operatori nel laboratorio non genera una riduzione di ripetibilità. Infine, il tempo richiesto per la procedura è drasticamente diminuito. Per una analisi che include la pelvi e i due arti inferiori, ad esempio, l’identificazione dei 16 repere caratteristici usando la calibrazione convenzionale richiede circa 15 minuti, mentre col nuovo metodo tra i 5 e i 10 minuti.

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The repressor element 1-silencing transcription factor (REST) was first identified as a protein that binds to a 21-bp DNA sequence element (known as repressor element 1 (RE1)) resulting in transcriptional repression of the neural-specific genes [Chong et al., 1995; Schoenherr and Anderson, 1995]. The original proposed role for REST was that of a factor responsible for restricting neuronal gene expression to the nervous system by silencing expression of these genes in non-neuronal cells. Although it was initially thought to repress neuronal genes in non-neuronal cells, the role of REST is complex and tissue dependent. In this study I investigated any role played by REST in the induction and patterning of differentiation of SH-SY5Y human neuroblastoma cells exposed to IGF-I. and phorbol 12- myristate 13-acetate (PMA) To down-regulate REST expression we developed an antisense (AS) strategy based on the use of phosphorothioate oligonucleotides (ODNs). In order to evaluate REST mRNA levels, we developed a real-time PCR technique and REST protein levels were evaluated by western blotting. Results showed that nuclear REST is increased in SH-SY5Y neuroblastoma cells cultured in SFM and exposed to IGF-I for 2-days and it then declines in 5-day-treated cells concomitant with a progressive neurite extension. Also the phorbol ester PMA was able to increase nuclear REST levels after 3-days treatment concomitant to neuronal differentiation of neuroblastoma cells, whereas, at later stages, it is down-regulated. Supporting these data, the exposure to PKC inhibitors (GF10923X and Gö6976) and PMA (16nM) reverted the effects observed with PMA alone. REST levels were related to morphological differentiation, expression of growth coneassociated protein 43 (GAP-43; a gene not regulated by REST) and of synapsin I and βIII tubulin (genes regulated by REST), proteins involved in the early stage of neuronal development. We observed that differentiation of SH-SY5Y cells by IGF-I and PMA was accompanied by a significant increase of these neuronal markers, an effect that was concomitant with REST decrease. In order to relate the decreased REST expression with a progressive neurite extension, I investigated any possible involvement of the ubiquitin–proteasome system (UPS), a multienzymatic pathway which degrades polyubiquinated soluble cytoplasmic proteins [Pickart and Cohen, 2004]. For this purpose, SH-SY5Y cells are concomitantly exposed to PMA and the proteasome inhibitor MG132. In SH-SY5Y exposed to PMA and MG 132, we observed an inverse pattern of expression of synapsin I and β- tubulin III, two neuronal differentiation markers regulated by REST. Their cytoplasmic levels are reduced when compared to cells exposed to PMA alone, as a consequence of the increase of REST expression by proteasome inhibitor. The majority of proteasome substrates identified to date are marked for degradation by polyubiquitinylation; however, exceptions to this principle, are well documented [Hoyt and Coffino, 2004]. Interestingly, REST degradation seems to be completely ubiquitin-independent. The expression pattern of REST could be consistent with the theory that, during early neuronal differentiation induced by IGF-I and PKC, it may help to repress the expression of several genes not yet required by the differentiation program and then it declines later. Interestingly, the observation that REST expression is progressively reduced in parallel with cell proliferation seems to indicate that the role of this transcription factor could also be related to cell survival or to counteract apotosis events [Lawinger et al., 2000] although, as shown by AS-ODN experiments, it does not seem to be directly involved in cell proliferation. Therefore, the decline of REST expression is a comparatively later event during maturation of neuroroblasts in vitro. Thus, we propose that REST is regulated by growth factors, like IGF-I, and PKC activators in a time-dependent manner: it is elevated during early steps of neural induction and could contribute to down-regulate genes not yet required by the differentiation program while it declines later for the acquisition of neural phenotypes, concomitantly with a progressive neurite extension. This later decline is regulated by the proteasome system activation in an ubiquitin-indipendent way and adds more evidences to the hypothesis that REST down-regulation contributes to differentiation and arrest of proliferation of neuroblastoma cells. Finally, the glycosylation pattern of the REST protein was analysed, moving from the observation that the molecular weight calculated on REST sequence is about 116 kDa but using western blotting this transcription factor appears to have distinct apparent molecular weight (see Table 1.1): this difference could be explained by post-translational modifications of the proteins, like glycosylation. In fact recently, several studies underlined the importance of O-glycosylation in modulating transcriptional silencing, protein phosphorylation, protein degradation by proteasome and protein–protein interactions [Julenius et al., 2005; Zachara and Hart, 2006]. Deglycosilating analysis showed that REST protein in SH-SY5Y and HEK293 cells is Oglycosylated and not N-glycosylated. Moreover, using several combination of deglycosilating enzymes it is possible to hypothesize the presence of Gal-β(1-3)-GalNAc residues on the endogenous REST, while β(1-4)-linked galactose residues may be present on recombinant REST protein expressed in HEK293 cells. However, the O-glycosylation process produces an immense multiplicity of chemical structures and monosaccharides must be sequentially hydrolyzed by a series of exoglycosidase. Further experiments are needed to characterize all the post-translational modification of the transcription factor REST.

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The Geoffroy’s bat Myotis emarginatus is mainly present in southern, south-eastern and central Europe (Červerný, 1999) and is often recorded from northern Spain (Quetglas, 2002; Flaquer et al., 2004). It has demonstrated the species’ preference for forest. Myotis capaccinii, confined to the Mediterranean (Guille´n, 1999), is classified as ‘vulnerable’ on a global scale (Hutson, Mickleburgh & Racey, 2001). In general, the species preferred calm waters bordered by well-developed riparian vegetation and large (> 5 m) inter-bank distances (Biscardi et al. 2007). In this study we present the first results about population genetic structure of these two species of genus Myotis. We used two methods of sampling: invasive and non-invasive techniques. A total of 323 invasive samples and a total of 107 non-invasive samples were collected and analyzed. For Myotis emarginatus we have individuated for the first time a set of 7 microsatellites, which can work on this species, started from a set developed on Myotis myotis (Castella et al. 2000). We developed also a method for analysis of non-invasive samples, that given a good percentage of positive analyzed samples. The results have highlighted for the species Myotis emarginatus the presence on the European territory of two big groups, discovered by using the microsatellites tracers. On this species, 33 haplotypes of Dloop have been identified, some of them are presented only in some colonies. We identified respectively 33 haplotypes of Dloop and 10 of cytB for Myotis emarginatus and 25 of dloop and 15 of cytB for Myotis capaccinii. Myotis emarginatus’ results, both microsatellites and mtDNA, show that there is a strong genetic flow between different colonies across Europe. The results achieved on Myotis capaccinii are very interesting, in this case either for the microsatellites or the mitochondrial DNA sequences, and it has been highlighted a big difference between different colonies.

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During my PhD, starting from the original formulations proposed by Bertrand et al., 2000 and Emolo & Zollo 2005, I developed inversion methods and applied then at different earthquakes. In particular large efforts have been devoted to the study of the model resolution and to the estimation of the model parameter errors. To study the source kinematic characteristics of the Christchurch earthquake we performed a joint inversion of strong-motion, GPS and InSAR data using a non-linear inversion method. Considering the complexity highlighted by superficial deformation data, we adopted a fault model consisting of two partially overlapping segments, with dimensions 15x11 and 7x7 km2, having different faulting styles. This two-fault model allows to better reconstruct the complex shape of the superficial deformation data. The total seismic moment resulting from the joint inversion is 3.0x1025 dyne.cm (Mw = 6.2) with an average rupture velocity of 2.0 km/s. Errors associated with the kinematic model have been estimated of around 20-30 %. The 2009 Aquila sequence was characterized by an intense aftershocks sequence that lasted several months. In this study we applied an inversion method that assumes as data the apparent Source Time Functions (aSTFs), to a Mw 4.0 aftershock of the Aquila sequence. The estimation of aSTFs was obtained using the deconvolution method proposed by Vallée et al., 2004. The inversion results show a heterogeneous slip distribution, characterized by two main slip patches located NW of the hypocenter, and a variable rupture velocity distribution (mean value of 2.5 km/s), showing a rupture front acceleration in between the two high slip zones. Errors of about 20% characterize the final estimated parameters.