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Resumo:
La demolizione idrolitica delle pareti cellulari delle piante tramite enzimi lignocellulosici è quindi uno degli approcci più studiati della valorizzazione di scarti agricoli per il recupero di fitochimici di valore come secondary chemical building block per la chimica industriale. White rot fungi come il Pleurotus ostreatus producono una vasta gamma di enzimi extracellulari che degradano substrati lignocellulosici complessi in sostanze solubili per essere utilizzati come nutrienti. In questo lavoro abbiamo studiato la produzione di diversi tipi di enzimi lignocellulosici quali cellulase, xilanase, pectinase, laccase, perossidase e arylesterase (caffeoilesterase e feruloilesterase), indotte dalla crescita di Pleurotus ostreatus in fermentazione allo stato solido (SSF) di sottoprodotti agroalimentari (graspi d’uva, vinaccioli, lolla di riso, paglia di grano e crusca di grano) come substrati. Negli ultimi anni, SSF ha ricevuto sempre più interesse da parte dei ricercatori, dal momento che diversi studi per produzioni di enzimi, aromi, coloranti e altre sostanze di interesse per l' industria alimentare hanno dimostrato che SSF può dare rendimenti più elevati o migliorare le caratteristiche del prodotto rispetto alla fermentazione sommersa. L’utilizzo dei sottoprodotti agroalimentari come substrati nei processi SSF, fornisce una via alternativa e di valore, alternativa a questi residui altrimenti sotto/o non utilizzati. L'efficienza del processo di fermentazione è stato ulteriormente studiato attraverso trattamenti meccanici di estrusione del substrato , in grado di promuovere il recupero dell’enzima e di aumentare l'attività prodotta. Le attività enzimatiche prodotte dalla fermentazione sono strettamente dipendente della rimozione periodica degli enzimi prodotti. Le diverse matrici vegetali utilizzate hanno presentato diversi fenomeni induttivi delle specifiche attività enzimatiche. I processi SSF hanno dimostrato una buona capacità di produrre enzimi extracellulari in grado di essere utilizzati successivamente nei processi idrolitici di bioraffinazione per la valorizzazione dei prodotti agroalimentari.
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La ricerca ha come oggetto l’edizione critica di circa tremila regesti di documenti di area bolognese datati al X-XII secolo. I documenti sono stati trascritti tra il XVII e XVIII secolo in undici cartulari ecclesiastici, conservati presso l’Archivio di Stato di Bologna. Il lavoro s’inserisce nel progetto di edizione delle carte bolognesi di epoca medievale in corso presso la cattedra di Paleografia latina e Diplomatica dell’Università di Bologna, attualmente incentrata sull’edizione delle carte del secolo XII. La ricerca si propone come strumento di supporto a tale progetto e come completamento delle carte già pubblicate: i cartulari, infatti, offrono spesso copie di documenti mancanti dell’originale o in cattivo stato di conservazione, e costituiscono l’unica traccia di una memoria storica altrimenti perduta. Le raccolte esaminate si collocano a ridosso del periodo napoleonico, quando la maggior parte degli enti ecclesiastici venne soppressa e i loro beni incamerati dallo Stato; esse quindi rispecchiano la condizione dei principali archivi ecclesiastici cittadini dei primi secoli del Medioevo bolognese. La ricerca è strutturata in una prima parte volta a definire in termini storico-diplomatistici la tipologia di fonte esaminata: oggi i cartulari non sono più intesi come semplici raccoglitori di documenti, ma come sistema organico di fonti in grado di far luce su aspetti importanti della storia dell’ente che li ha prodotti. L’indagine del loro contesto di produzione permette di comprenderne meglio le finalità, la forma e il valore giuridico. Parte della ricerca è stata poi incentrata sullo studio delle ragioni che hanno portato gli istituti religiosi bolognesi alla redazione dei cartulari: a tal fine è stata esaminata la legislazione ecclesiastica cinque-settecentesca in materia di conservazione della documentazione e il rapporto della legislazione stessa con la prassi archivistica. Infine è stata realizzata l’edizione critica vera e propria dei regesti, mirante a descrivere le caratteristiche principali di ciascun cartulario.
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Introduzione: L’indicazione alla rivascolarizzazione carotidea è comunemente posta in base alla percentuale di stenosi, alla presenza di sintomi neurologici ed alle condizioni cliniche del paziente. Una placca ad elevato potenziale embolico viene definita “vulnerabile”; la sua caratterizzazione, tuttavia, non è universalmente accettata ai fini della rivascolarizzazione. Lo scopo dello studio è indagare il ruolo del mezzo di contrasto ecografico (CEUS) nell’identificazione della placca carotidea vulnerabile. Materiali e Metodi: I pazienti sottoposti a endoarterectomia carotidea, sono stati valutati mediante TC cerebrale preoperatoria e CEUS. Le microbolle di contrasto rilevate nella placca, indicative di neovascolarizzazione, sono state quantificate in dB-E ed istologicamente valutate per cinque caratteristiche: (densità dei microvasi, spessore del cappuccio fibroso, estensione delle calcificazioni, infiltrato infiammatorio e core lipidico) il valore da 1 a 5, ottenuto in cieco, indica in grado di vulnerabilità della placca. L'ANOVA test, il test di Fisher e t Student sono stati usati per correlare le caratteristiche dei pazienti ed istologiche col valore di dB-E. Risultati: Di 22 pazienti (range 2-7.8, media 4.85 ±1.9 SD) vi era un numero più alto di sintomatici (7.40 ± 0.5) rispetto agli asintomatici (3.5 ± 1.4) (p = 0.002). Un più alto valore di dB-E si associava con la presenza di un sottile cappuccino fibroso (<200 µm, 5.96±1.5 vs. 3 ± 1,p = 0.01) ed un maggiore infiltrato infiammatorio (3.2 ± 0.9 vs. 6.4 ± 1.2, p = 0.03). Placche con vulnerabilità 5 si associavano ad un valore più alto di dB-E rispetto alle placche con vulnerabilità 1 (7.6 ± 0.2 vs. 2.5 ± 0.6, rispettivamente, p=0.001). Preoperatoriamente, le lesioni emboliche ipsilaterali alla TC, correlavano con un più alto valore di dB-E (5.96±1.5 vs. 3.0±1.0, p=0.01). Conclusioni: Il valore di dB-E alla CEUS indica l’estensione della neovascolarizzazione della placca carotidea e può essere utilizzato come marker di vulnerabilità della placca.
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La ricerca è dedicata a verificare se e come, a livello dell’Unione europea, la lotta alla criminalità (ed in particolare quella organizzata) venga condotta nel rispetto di diritti e libertà fondamentali, e se la cooperazione tra Stati membri su questo fronte possa giungere a promuovere standard omogenei ed elevati di tutela degli stessi. Gli ambiti di cooperazione interessati sono principalmente quello giudiziario in materia penale e quello di polizia, e la ritrosia degli Stati a cedere all’Unione competenze in materia si è accompagnata ad un ritardo ancora maggiore dell’emersione, nell’ambito degli stessi, della dimensione dei diritti. Ciò ha reso molto difficile lo sviluppo completo ed equilibrato di uno “spazio di libertà, sicurezza e giustizia” (art. 67 TFUE). L’assetto istituzionale introdotto dal Trattato di Lisbona e l’attribuzione di valore giuridico vincolante alla Carta hanno però posto le basi per il superamento della condizione precedente, anche grazie al fatto che, negli ambiti richiamati, la salvaguardia dei diritti è divenuta competenza ed obiettivo esplicito dell’Unione. Centrale è per la ricerca la cooperazione giudiziaria in materia penale, che ha visto la ricca produzione normativa di stampo repressivo recentemente bilanciata da interventi del legislatore europeo a finalità garantista e promozionale. L’analisi degli strumenti nella prospettiva indicata all’inizio dell’esposizione è quindi oggetto della prima parte dell’elaborato. La seconda parte affronta invece la cooperazione di polizia e quello degli interventi volti alla confisca dei beni e ad impedire il riciclaggio, misure – queste ultime - di particolare rilievo soprattutto per il contrasto al crimine organizzato. Sottesi all’azione dell’Unione in queste materie sono, in modo preponderante, due diritti: quello alla salvaguardia dei dati personali e quello al rispetto della proprietà privata. Questi, anche in ragione delle peculiarità che li caratterizzano e della loro natura di diritti non assoluti, sono analizzati con particolare attenzione.
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The aim of this work is to present various aspects of numerical simulation of particle and radiation transport for industrial and environmental protection applications, to enable the analysis of complex physical processes in a fast, reliable, and efficient way. In the first part we deal with speed-up of numerical simulation of neutron transport for nuclear reactor core analysis. The convergence properties of the source iteration scheme of the Method of Characteristics applied to be heterogeneous structured geometries has been enhanced by means of Boundary Projection Acceleration, enabling the study of 2D and 3D geometries with transport theory without spatial homogenization. The computational performances have been verified with the C5G7 2D and 3D benchmarks, showing a sensible reduction of iterations and CPU time. The second part is devoted to the study of temperature-dependent elastic scattering of neutrons for heavy isotopes near to the thermal zone. A numerical computation of the Doppler convolution of the elastic scattering kernel based on the gas model is presented, for a general energy dependent cross section and scattering law in the center of mass system. The range of integration has been optimized employing a numerical cutoff, allowing a faster numerical evaluation of the convolution integral. Legendre moments of the transfer kernel are subsequently obtained by direct quadrature and a numerical analysis of the convergence is presented. In the third part we focus our attention to remote sensing applications of radiative transfer employed to investigate the Earth's cryosphere. The photon transport equation is applied to simulate reflectivity of glaciers varying the age of the layer of snow or ice, its thickness, the presence or not other underlying layers, the degree of dust included in the snow, creating a framework able to decipher spectral signals collected by orbiting detectors.
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OBIETTIVO : Quantificare le CECs/ml nei pazienti affetti da ischemia critica (IC) degli arti inferiori, eventuali correlazioni tra i fattori di rischio, lo stadio clinico con l’ aumento delle CECs. Valutare i cambiamenti strutturali (calcificazione ed infiltratto infiammatorio) e l’ angiogenesi (numero di capillari /sezione) della parete arteriosa. MATERIALI E METODI: Da Maggio 2006 ad Aprile 2008 in modo prospettico abbiamo arruolato paziente affetti da IC da sottoporre ad intervento chirurgico. In un data base abbiamo raccolto : caratteristiche demografiche, fattori di rischio, stadiazione dell'IC secondo Leriche-Fontaine (L-F), il tipo di intervento chirurgico. Per ogni paziente abbiamo effettuato un prelievo ematico di 2 ml per la quantificazione immunomagnetica delle CECs e prelievo di parete arteriosa. RISULTATI: In modo consecutivo abbiamo arruolato 33 pazienti (75.8% maschi) con età media di 71 aa (range 34-91aa), affetti da arteriopatia ostruttiva cronica periferica al IV stadio di L-F nel 84.8%, da cardiopatia ischemica cronica nel 60.6%, da ipertensione arteriosa nel 72.7% e da diabete mellito di II tipo nel 66.6%. Il valore medio di CECs/ml è risultato significativamente più elevato (p= 0.001) nei soggetti affetti da IC (CECs/ml =531.24 range 107- 3330) rispetto ai casi controllo (CECs/ml = 125.8 range 19-346 ). Le CECs/ml nei pazienti diabetici sono maggiori rispetto alle CECs/ml nei pazienti non diabetici ( 726.7 /ml vs 325.5/ml ), p< 0.05 I pazienti diabetici hanno presentato maggior incidenza di lesioni arteriose complesse rispetto ai non diabetici (66% vs 47%) e minor densità capillare (65% vs 87%). Conclusioni : Le CECs sono un marker sierologico attendibile di danno vascolare parietale, la loro quantità è maggiore nei pazienti diabetici e ipertesi. La minor capacità angiogenetica della parete arteriosa in presenza di maggior calcificazioni ed infiltrato infiammatorio nei diabetici, dimostra un danno istopatologico di parete maggiore .
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Tradizionalmente, l'obiettivo della calibrazione di un modello afflussi-deflussi è sempre stato quello di ottenere un set di parametri (o una distribuzione di probabilità dei parametri) che massimizzasse l'adattamento dei dati simulati alla realtà osservata, trattando parzialmente le finalità applicative del modello. Nel lavoro di tesi viene proposta una metodologia di calibrazione che trae spunto dell'evidenza che non sempre la corrispondenza tra dati osservati e simulati rappresenti il criterio più appropriato per calibrare un modello idrologico. Ai fini applicativi infatti, può risultare maggiormente utile una miglior rappresentazione di un determinato aspetto dell'idrogramma piuttosto che un altro. Il metodo di calibrazione che viene proposto mira a valutare le prestazioni del modello stimandone l'utilità nell'applicazione prevista. Tramite l'utilizzo di opportune funzioni, ad ogni passo temporale viene valutata l'utilità della simulazione ottenuta. La calibrazione viene quindi eseguita attraverso la massimizzazione di una funzione obiettivo costituita dalla somma delle utilità stimate nei singoli passi temporali. Le analisi mostrano come attraverso l'impiego di tali funzioni obiettivo sia possibile migliorare le prestazioni del modello laddove ritenute di maggior interesse per per le finalità applicative previste.
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Il sistema comune europeo dell’imposta sul valore aggiunto privilegia caratteri e finalità economiche nel definire chi siano gli operatori economici soggetti all’IVA. Una disciplina particolare è, tuttavia, prevista per i soggetti di diritto pubblico che, oltre alla principale attività istituzionale, esercitano un’attività di carattere economico. Ai sensi dell’articolo 13 della Direttiva del 28 novembre 2006, 2006/112/CE, gli Stati, le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri enti di diritto pubblico, in relazione alle attività ed operazioni che essi effettuano in quanto pubbliche autorità, non sono considerati soggetti passivi IVA anche se in relazione ad esse percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni. La vigente disciplina europea delle attività economiche esercitate dagli enti pubblici, oltre che inadeguata al contesto economico attuale, rischia di diventare un fattore che influenza negativamente l’efficacia del modello impositivo dell’IVA e l’agire degli enti pubblici. La tesi propone un modello alternativo che prevede l’inversione dell’impostazione attuale della Direttiva IVA al fine di considerare, di regola, soggetti passivi IVA gli organismi pubblici che svolgono - ancorché nella veste di pubblica autorità - attività oggettivamente economiche.
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Il presente lavoro parte dalla constatazione che l’Imposta sul valore aggiunto è stata introdotta con lo scopo specifico di tassare il consumo in modo uniforme a livello europeo. La globalizzazione dell’economia con l’abolizione delle frontiere ha tuttavia favorito la nascita non solo di un mercato unico europeo, ma anche di “un mercato unico delle frodi”. L’esistenza di abusi e frodi in ambito Iva risulta doppiamente dannosa per l’Unione europea: tali condotte incidono quantitativamente sull'ammontare delle risorse proprie dell’Unione e sulle entrate fiscali dei singoli Stati membri nonché violano il principio di concorrenza e producono distorsioni nel mercato unico. È in questo contesto che intervengono i giudici nazionali e la Corte di Giustizia, al fine di porre un freno a tali fenomeni patologici. Quest’ultima, chiamata a far rispettare il diritto comunitario, ha sviluppato una misura antifrode e antiabuso consistente nel diniego del diritto alla detrazione qualora lo stesso venga invocato dal soggetto passivo abusivamente o fraudolentemente. Vedremo però che il problema non può essere facilmente ridotto a formule operative: al di là dello schema, fin troppo scontato, dell’operatore apertamente disonesto e degli operatori con esso dichiaratamente correi, rimane il territorio grigio dei soggetti coinvolti, qualche volta inconsapevolmente qualche volta consapevolmente, ma senza concreta partecipazione nella frode da altri orchestrata. Permane a questo punto la domanda se sia coerente - in un sistema impositivo che privilegia i profili oggettivi, prescindendo, salvo gli aspetti sanzionatori, da quelli soggettivi- negare il diritto alla detrazione Iva per asserita consapevolezza di comportamenti fraudolenti altrui o se non vi siano regole più adatte al fine di porre un freno alle frodi e dunque più conformi al principio di proporzionalità.
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In Medicina Veterinaria l'avvelenamento da rodenticidi anticoagulanti è conosciuto e studiato ormai da anni, essendo una delle intossicazioni più comunemente riscontrate nelle specie non target. In letteratura si rinvengono numerose pubblicazioni ma alcuni aspetti sono rimasti ancora inesplorati.Questo studio si propone di valutare il processo infiammatorio, mediante le proteine di fase acuta (APPs), in corso di fenomeni emorragici, prendendo come modello reale un gruppo di soggetti accidentalmente avvelenati da rodenticidi anticoagulanti. I 102 soggetti avvelenati presentano un valore più elevato di proteina C reattiva (CRP)con una mediana di 4.77 mg/dl statisticamente significativo rispetto alla mediana delle due popolazioni di controllo di pari entità numerica create con cross match di sesso, razza ed età; rispettivamente 0.02 mg/dl dei soggetti sani e 0.37 mg/dl dei soggetti malati di altre patologie. Inoltre all'interno del gruppo dei soggetti avvelenati un valore di CRP elevato all'ammissione può predisporre al decesso. La proteina C reattiva assume quindi un ruolo diagnostico e prognostico in questo avvelenamento. Un'altra finalità, di non inferiore importanza, è quella di definire una linea guida terapeutica con l'ausilio di biomarker coagulativi e di valutare la sicurezza della vitamina K per via endovenosa: in 73 cani, non in terapia con vitamina k, intossicati da rodenticidi anticoagulanti, i tempi della coagulazione (PT ed aPTT) ritornano nel range di normalità dopo 4 ore dalla prima somministrazione di 5 mg/kg di vitamina k per via endovenosa e nessun soggetto durante e dopo il trattamento ha manifestato reazioni anafilattiche, nessuno dei pazienti ha necessitato trasfusione ematica e tutti sono sopravvissuti. Infine si è valutata l'epidemiologia dell'ingestione dei prodotti rodenticidi nella specie oggetto di studio e la determinazione dei principi attivi mediante cromatografia liquida abbinata a spettrofotometria di massa (UPLC-MS/MS).
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Riconosciuto il problema dell’accesso ai farmaci come un problema di giustizia globale, la dissertazione, da un lato, è incentrata sullo studio dei diritti umani e sul diritto alla salute da una prospettiva giusfilosofica e, dall’altro, è finalizzata ad analizzare la disciplina brevettuale internazionale, sia approfondendo gli interessi realmente in gioco, sia studiando la struttura economica del brevetto stesso. Si è cercato quindi di guardare a tali interessi da una nuova prospettiva, ipotizzando una gerarchia di valori che sia completa e coerente con gli obiettivi che la dottrina, la giurisprudenza, nonché il diritto internazionale formalmente enunciano. Il progetto di ricerca vuole, in definitiva, arrivare a proporre nuove soluzioni giuridiche al problema dell’accesso ai farmaci. La dissertazione svolge pertanto uno studio critico della proposta di Thomas Pogge, di natura politica e giuridica e sorretta da istanze filosofiche, volta alla soluzione del problema dell’accesso ai farmaci, i.e. l’Health Impact Fund (HIF). Proposta che pone radicalmente in discussione, anche concretamente, il dogma del monopolio concesso con la privativa quale ricompensa per i costi di R&D sostenuti dai titolari dei brevetti e che pone, invece, l’accento sull’effettivo impatto sulla salute globale di ogni singola invenzione. Analizzandone approfonditamente gli aspetti più rilevanti, si passano poi in rassegna, criticamente, le proposte, alternative o di riforma, del sistema di proprietà intellettuale, volte al miglioramento dell’accesso ai farmaci; a tal proposito, si propone quindi una riforma transitoria della disciplina brevettuale, c.d. Trading Time for Space (TTS), che prevede un allungamento temporale dell’esclusiva brevettuale (Time) in cambio della vendita da parte del titolare della privativa del farmaco ad un prezzo accessibile nei Paesi in via di sviluppo (Space).
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Il lavoro propone un’analisi critica delle disciplina italiana ed europea della consulenza in materia di investimenti. Si considerano innanzitutto le problematiche generali del rapporto tra cliente e intermediario nella prestazione della consulenza, con particolare riferimento ad asimmetrie informative e conflitti di interesse. Si discute, in particolare, il tradizionale paradigma regolamentare fondato sulla trasparenza: le indicazioni della finanza comportamentale suggeriscono, infatti, un intervento normativo più deciso, volto a caratterizzare in maniera fiduciaria la relazione tra cliente e intermediario. Dopo aver analizzato, alla stregua dei modelli teorici illustrati in precedenza, l’evoluzione storica della disciplina della consulenza nell’ordinamento italiano, si sottolinea il ruolo svolto dall’autorità di vigilanza nella sistematizzazione dell’istituto, nel contempo rilevando, tuttavia, la complessiva insufficienza delle norme vigenti al fine di un’adeguata tutela dell’investitore. Si esamina poi la disciplina introdotta dalla MiFID, con specifica attenzione alle implicazioni sistematiche dell’estensione della nozione di consulenza operata dalle autorità di vigilanza: la nuova configurazione del servizio ha determinato un’intensificazione dei doveri fiduciari imposti agli intermediari, testimoniando un superamento del paradigma di trasparenza e un percorso indirizzato verso un approccio maggiormente interventista sul lato dell’offerta. Le conclusioni sono, peraltro, nel senso di uno sviluppo solo parziale di tale processo, risultando dubbio il valore per il cliente di una consulenza non indipendente e potenzialmente esposta, soprattutto negli intermediari polifunzionali, al conflitto di interessi. Particolare enfasi viene posta sulla necessità di introdurre un’effettiva consulenza indipendente, pur nelle difficoltà che la relativa disciplina incontra, anche in ragione delle caratteristiche specifiche del mercato, nell’ordinamento italiano.
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Il ritrovamento della Casa dei due peristili a Phoinike ha aperto la strada a un’intensa opera di revisione di tutti i dati relativi all’edilizia domestica nella regione, con studi comparativi verso nord (Illiria meridionale) e verso sud (il resto dell’Epiro, ovvero Tesprozia e Molossia). Tutta quest’area della Grecia nord-occidentale è stata caratterizzata nell’antichità da un’urbanizzazione scarsa numericamente e tardiva cronologicamente (non prima del IV sec. a.C.), a parte ovviamente le colonie corinzio-corciresi di area Adriatico- Ionica d’età arcaica (come Ambracia, Apollonia, Epidamnos). A un’urbanistica di tipo razionale e programmato (ad es. Cassope, Orraon, Gitani in Tesprozia, Antigonea in Caonia) si associano numerosi casi di abitati cresciuti soprattutto in rapporto alla natura del suolo, spesso diseguale e montagnoso (ad es. Dymokastro/Elina in Tesprozia, Çuka e Aitoit nella Kestrine), talora semplici villaggi fortificati, privi di una vera fisionomia urbana. D’altro canto il concetto classico di polis così come lo impieghiamo normalmente per la Grecia centro-meridionale non ha valore qui, in uno stato di tipo federale e dominato dall’economia del pascolo e della selva. In questo contesto l’edilizia domestica assume caratteri differenti fra IV e I sec. a.C.: da un lato le città ortogonali ripetono schemi egualitari con poche eccezioni, soprattutto alle origini (IV sec. a.C., come a Cassope e forse a Gitani), dall’altro si delinea una spiccata differenziazione a partire dal III sec., quando si adottano modelli architettonici differenti, come i peristili, indizio di una più forte differenziazione sociale (esemplari i casi di Antigonea e anche di Byllis in Illiria meridionale). I centri minori e fortificati d’altura impiegano formule abitative più semplici, che sfruttano l’articolazione del terreno roccioso per realizzare abitazioni a quote differenti, utilizzando la roccia naturale anche come pareti o pavimenti dei vani.
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La tesi di ricerca si propone di indagare il riflesso che i principi/valori producono sul parametro nel sindacato di legittimità costituzionale, al fine di verificarne le implicazioni sulla legalità, in termini di prevedibilità e certezza. In particolare, delineata la connessione tra principi e valori costituzionali e, ricostruito, secondo la teoria dell'ordinamento, il rapporto tra valori e normatività,si analizzano i riflessi prodotti, sul piano interpretativo, dall’apertura del parametro costituzionale alla logica dei valori, enfatizzandone le ricadute sul controllo di costituzionalità delle leggi. Identificato il nesso tra principi e valori nella capacità funzionale dei primi di realizzare i diritti fondamentali, si è inteso rimarcare come la più estesa realizzazione dei principi-valori costituzionali potrebbe compiersi a spese della legge e della certezza del diritto, in una relazione inversamente proporzionale. Ciò apparirebbe evidente dall’ottica privilegiata della materia penale, per cui una legalità materiale, letta alla luce di criteri di adeguatezza e di ragionevole proporzione, seppur vicina alle esigenze di giustizia del caso concreto, se spinta in eccessi interpretativi rischia di invadere il campo del legislatore, unico deputato a compiere scelte di valore.
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L'intervento di connessione cavo-polmonare totale (TCPC) nei pazienti portatori di cuore univentricolare, a causa della particolare condizione emodinamica, determina un risentimento a carico di numerosi parenchimi. Scopo della ricerca è di valutare l'entità di questo danno ad un follow-up medio-lungo. Sono stati arruolati 115 pazienti, sottoposti ad intervento presso i centri di Cardiochirurgia Pediatrica di Bologna (52 pz) e Torino (63 pz). Il follow-up medio è stato di 125±2 mesi. I pazienti sono stati sottoposti ad indagine emodinamica (88 pz), test cardiopolmonare (75 pz) e Fibroscan ed ecografia epatica (47 pz). La pressione polmonare media è stata di 11.5±2.6mmHg, ed in 12 pazienti i valori di pressione polmonare erano superiori a 15mmHg. La pressione atriale media era di 6.7±2.3mmHg ed il calcolo delle resistenze vascolari polmonari indicizzate (RVP) era in media di 2±0.99 UW/m2. In 29 pazienti le RVP erano superiori a 2 UW/m2. La VO2 max in media era pari a 28±31 ml/Kg/min, 58±15 % del valore teorico. La frequenza cardiaca massima all'apice dello sforzo era di 151±22 bpm, pari al 74±17% del valore teorico. Il Fibroscan ha fornito un valore medio di 17.01 kPa (8-34.3kPa). Cinque pazienti erano in classe F2, 9 pazienti in classe F3 e 33 pazienti risultavano in classe F4. Nei pazienti con follow-up maggiore di 10 anni il valore di stiffness epatica (19.6±5.2kPa) è risultato significativamente maggiore a quello dei pazienti con follow-up minore di 10 anni (15.1±5.8kPa, p<0.01). La frequenza cardiaca massima raggiunta durante lo sforzo del test cardiopolmonare è risultata significativamente correlata alla morfologia del ventricolo unico, risultando del 67.8±14.4% del valore teorico nei pazienti portatori di ventricolo destro contro il 79.6±8.7% dei portatori di ventricolo sinistro (p=0.006). L'intervento di TCPC determina un risentimento a carico di numerosi parenchimi proporzionale alla lunghezza del follow-up, e necessita pertanto un costante monitoraggio clinico-strumentale multidisciplinare.